• La Tunisia rifiuta i respingimenti collettivi e le deportazioni di migranti irregolari proposti da #Meloni e #Piantedosi

    1.Il risultato del vertice di Tunisi era già chiaro prima che Giorgia Meloni, la presidente della Commissione europea Von del Leyen ed il premier olandese Mark Rutte incontrassero il presidente Saied. Con una operazione di immagine inaspettata, il giorno prima del vertice, l’uomo che aveva lanciato mesi fa la caccia ai migranti subsahariani presenti nel suo paese, parlando addirittura del rischio di sostituzione etnica, si recava a Sfax, nella regione dalla quale si verifica la maggior parte delle partenze verso l’Italia, e come riferisce Il Tempo, parlando proprio con un gruppo di loro, dichiarava : “ Siamo tutti africani. Questi migranti sono nostri fratelli e li rispettiamo, ma la situazione in Tunisia non è normale e dobbiamo porre fine a questo problema. Rifiutiamo qualsiasi trattamento disumano di questi migranti che sono vittime di un ordine mondiale che li considera come ‘numeri’ e non come esseri umani. L’intervento su questo fenomeno deve essere umanitario e collettivo, nel quadro della legge”. Lo stesso Saied, secondo quanto riportato dalla Reuters, il giorno precedente la visita, aggiungeva che di fronte alla crescente mobilità migratoria “La soluzione non sarà a spese della Tunisia… non possiamo essere una guardia per i loro paesi”.

    Alla fine del vertice non c’è stata una vera e propria conferenza stampa congiunta, ma è stata fatta trapelare una Dichiarazione sottoscritta anche da Saied che stabilisce una sorta di roadmap verso un futuro Memorandum d’intesa (MoU) tra la Tunisia e l’Unione europea, che si dovrebbe stipulare entro il prossimo Consiglio europeo dei capi di governo che si terrà a fine giugno. L’Ue e la Tunisia hanno dato incarico, rispettivamente, al commissario europeo per l’Allargamento Oliver Varheliy e al ministro degli Esteri tunisino Nabil Ammar di stilare un memorandum d’intesa (Memorandum of Understanding, MoU) sul pacchetto di partnership allargata, che dovrebbe essere sottoscritto dalla Tunisia e dall’Ue “prima di fine giugno”. Una soluzione che sa tanto di rinvio, nella quale certamente non si trovano le richieste che il governo Meloni aveva cercato di fare passare, già attraverso il Consiglio dei ministri dell’Unione europea di Lussemburgo, restando poi costretto ad accettare una soluzione di compromesso, che non prevedeva affatto -come invece era stato richiesto- i respingimenti collettivi in alto mare, delegati alla Guardia costiera tunisina, e le deportazioni in Tunisia di migranti irregolari o denegati, dopo una richiesta di asilo, giunti in Italia dopo un transito temporaneo da quel paese.

    Secondo Piantedosi, “la Tunisia è già considerata un Paese terzo sicuro da provvedimenti e atti ufficiali italiani” e “La Farnesina ha già una lista formale di Stati terzi definiti sicuri. Sia in Africa, penso al Senegal, così come nei Balcani”. Bene che nella sua conferenza stampa a Catania, censurata dai media, non abbia citato la Libia, dopo avere chiesto la collaborazione del generale Haftar per bloccare le partenze verso l’Italia. Ma rimane tutto da dimostrare che la Tunisia sia un “paese terzo sicuro”, soprattutto per i cittadini non tunisini, generalmente provenienti dall’area subsahariana, perchè il richiamo strumentale che fa il ministro dell’interno alla lista di “paesi terzi sicuri” approvata con decreti ministeriali ed ampliata nel corso del tempo, riguarda i cittadini tunisini che chiedono asilo in Italia, e che comunque possono fare valere una richiesta di protezione internazionale, non certo i migranti provenienti da altri paesi e transitati in Tunisia, che si vorrebbero deportare senza troppe formalità, dopo procedure rapide in frontiera. Una possibilità che ancora non è concessa allo stato della legislazione nazionale e del quadro normativo europeo (in particolare dalla Direttiva Rimpatri 2008/115/CE), che si dovrebbe comunque modificare prima della entrata in vigore, ammsso che ci si arrivi prima delle prossime elezioni europee, del Patto sulla migrazione e l’asilo recentemente approvato a Lussemburgo.

    La Presidente della Comissione Europea, nella brevissima conferenza stampa tenuta dopo la chiusura del vertice di Tunisi ha precisato i punti essenziali sui quali si dovrebbe trovare un accordo tra Bruxelles e Tunisi, Fondo monetario internazionale permettendo. Von der Leyen ha confermato che la Ue è pronta a mobilitare 900 milioni di euro di assistenza finanziaria per Tunisi. I tempi però non saranno brevi. “La Commissione europea valuterà l’assistenza macrofinanziaria non appena sarà trovato l’accordo (con il Fmi) necessario. E siamo pronti a mobilitare fino a 900 milioni di euro per questo scopo di assistenza macrofinanziaria. Come passo immediato, potremmo fornire subito un ulteriore sostegno al bilancio fino a 150 milioni di euro”. Come riferisce Adnkronos, “Tunisi dovrebbe prima trovare l’intesa con il Fondo Monetario Internazionale su un pacchetto di aiuti, a fronte del quale però il Fondo chiede riforme, che risulterebbero impopolari e che la leadership tunisina esita pertanto ad accollarsi”. Secondo Adnkronos, L’Ue intende “ripristinare il Consiglio di associazione” tra Ue e Tunisia e l’Alto Rappresentante Josep Borrell “è pronto ad organizzare il prossimo incontro entro la fine dell’anno”, ha sottolineato la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen al termine dell’incontro. L’esecutivo comunitario è pronto ad aiutare la Tunisia con un pacchetto basato su cinque pilastri, il principale dei quali è costituito da aiuti finanziari per oltre un miliardo di euro. Il primo è lo sviluppo economico. “Sosterremo la Tunisia, per rafforzarne l’economia. La Commissione Europea sta valutando un’assistenza macrofinanziaria, non appena sarà trovato l’accordo necessario. Siamo pronti a mobilitare fino a 900 milioni di euro per questo scopo. E, come passo immediato, potremmo fornire altri 150 milioni di euro di sostegno al bilancio“. “Il secondo pilastro – continua von der Leyen – sono gli investimenti e il commercio. L’Ue è il principale investitore straniero e partner commerciale della Tunisia. E noi proponiamo di andare oltre: vorremmo modernizzare il nostro attuale accordo commerciale. C’è molto potenziale per creare posti di lavoro e stimolare la crescita qui in Tunisia. Un focus importante per i nostri investimenti è il settore digitale. Abbiamo già una buona base“. Sempre secondo quanto riferito da Adnkronos, “La Commissione Europea sta lavorando ad un memorandum di intesa con la Tunisia nelle energie rinnovabili, campo nel quale il Paese nordafricano ha un potenziale “enorme”, mentre l’Ue ne ha sempre più bisogno, per alimentare il processo di elettrificazione e decarbonizzazione della sua economia, spiega la presidente. L’energia è “il terzo pilastro” del piano in cinque punti che von der Leyen ha delineato al termine della riunione”.

    Quest’anno l’Ue “fornirà alla Tunisia 100 milioni di euro per la gestione delle frontiere, ma anche per la ricerca e il soccorso, la lotta ai trafficanti e il rimpatrio”, annuncia ancora la presidente. Il controllo dei flussi migratori è il quarto pilastro del programma che von der Leyen ha delineato per i rapporti bilaterali tra Ue e Tunisia. Per la presidente della Commissione europea, l’obiettivo “è sostenere una politica migratoria olistica radicata nel rispetto dei diritti umani. Entrambi abbiamo interesse a spezzare il cinico modello di business dei trafficanti di esseri umani. È orribile vedere come mettono deliberatamente a rischio vite umane, a scopo di lucro. Lavoreremo insieme su un partenariato operativo contro il traffico di esseri umani e sosterremo la Tunisia nella gestione delle frontiere”.

    Nel pacchetto di proposte comprese nel futuro Memorandum d’intesa UE-Tunisia, che si dovrebbe sottoscrivere entro la fine di giugno, rientrerebbero anche una serie di aiuti economici all’economia tunisina, in particolare nei settori dell’agricoltura e del turismo, e nuove possibilità di mobilità studentesca, con programmi tipo Erasmus. Nulla di nuovo, ed anche una dotazione finanziaria ridicola, se si pensa ai 200 milioni di euro stanziati solo dall’Italia con il Memorandum d’intesa con la Tunisia siglato da Di Maio per il triennio 2021-2023. Semmai sarebbe interessante sapere come stati spesi quei soldi, visti i risultati sulla situazione dei migranti in transito in Tunisia, nelle politiche di controllo delle frontiere e nei soccorsi in mare.

    2. Non è affatto vero dunque che sia passata la linea dell’Italia per due ragioni fondamentali. L’Italia chiedeva una erogazione immediata degli aiuti europei alla Tunisia e una cooperazione operativa nei respingimenti collettivi in mare ed anche la possibilità di riammissione in Tunisia di cittadini di paesi terzi ( non tunisini) giunti irregolarmente nel nostro territorio, o di cui fosse stata respinta la domanda di protezione nelle procedure in frontiera. Queste richieste della Meloni (e di Piantedosi) sono state respinte, e non rientrano nel Memorandum d’intesa che entro la fine del mese Saied dovrebbe sottoscrivere con l’Unione Europea (il condizionale è d’obbligo).

    Gli aiuti europei sono subordinati all’accettazione da parte di Saied delle condizioni poste dal Fondo Monetario internazionale per l’erogazione del prestito fin qui rifiutato dal presidente. Un prestito che sarebbe condizionato al rispetto di paramentri monetari e di abbattimento degli aiuti pubblici, e forse anche al rispetto dei diritti umani, che in questo momento non sono accettati dal presidente tunisino, ormai di fatto un vero e proprio autocrate. Con il quale la Meloni, ormai lanciata verso il presidenzialismo all’italiana, si riconosce più di quanto non facciano esponenti politici di altri paesi europei. Al punto che persino Mark Rutte, che nel suo paese ha attuato politiche migratorie ancora più drastiche di quelle propagandate dal governo italiano, richiama, alla fine del suo intervento, l’esigenza del rispetto dei diritti umani delle persone migranti, come perno del nuovo Memorandum d’intesa tra la Tunisia e l’Unione Europea.

    Per un altro verso, la “lnea dell’Italia”, dunque la politica dei “respingimenti su delega”, che si vorrebbe replicare con la Tunisia, sul modello di quanto avviene con le autorità libiche, delegando a motovedette, donate dal nostro paese e coordinate anche dall’agenzia europea Frontex, i respingimenti collettivi in acque internazionali, non sembra di facile applicazione per evidenti ragioni geografiche e geopolitiche.

    La Tunisia non e’ la Libia (o la Turchia), le autorità centrali hanno uno scarso controllo dei punti di partenza dei migranti e la corruzione è molto diffusa. Sembra molto probabile che le partenze verso l’Italia continueranno ad aumentare in modo esponenziale nelle prossime settimane. Aumentare le dotazioni di mezi e i supporti operativi in favore delle motovedette tunisine si è già dimostrata una politica priva di efficacia e semmai foriera di stragi in mare. Sulle stragi in mare neppure una parola dopo il vertice di Tunisi. Non è vero che la diminuzione delle partenze dalla Tunisia nel mese di maggio sia conseguenza della politica migratoria del governo Meloni, risultando soltanto una conseguenza di un mese caratterizzato da condizioni meteo particolarmente sfavorevoli, come ha riconosciuto anchel’OIM e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), e come tutti hanno potuto constatare anche in Italia. Vedremo con il ritorno dell’estate se le partenze dalla Tunisia registreranno ancora un calo.

    La zona Sar (di ricerca e salvataggio) tunisina si limita alle acque territoriali (12 miglia dalla costa) ed i controlli affidati alle motovedette tunisine non si possono svolgere oltre. Difficile che le motovedette tunisine si spingano nella zona Sar “libica” o in quella maltese. Continueranno ad intercettare a convenienza, quando i trafficanti non pagheranno abbastanza per corrompere, ed i loro interventi, condotti spesso con modalità di avvicinamento che mettono a rischio la vita dei naufraghi, non ridurranno di certo gli arrivi sulle coste italiane di cittadini tunisini e subsahariani. Per il resto il futuribile Memorandum d’intesa Tunisia-Libia, che ancora e’ una scatola vuota, e che l’Unione europea vincola al rispetto dei diritti umani, dunque anche agli obblighi internazionali di soccorso in mare, non può incidere in tempi brevi sui rapporti bilaterali tra Roma e Tunisi, che sono disciplinati da accordi bilaterali che si dovrebbero modificare successivamente, sempre in conformità con la legislazione ( e la Costituzione) italiana e la normativa euro-unitaria. Dunque non saranno ogettto di nuovi accordi a livello europeo con la Tunisia i respingimenti collettivi vietati dall’art.19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e non si potranno realizzare, come vorrebero la Meloni e Piantedosi, deportazioni in Tunisia di cittadini di altri paesi terzi, peraltro esclusi dai criteri di “connessione” richiesti nella “proposta legislativa” adottata dal Consiglio dei ministri dell’interno di Lussemburgo. E si dovranno monitorare anche i respingimenti di cittadini tunisini in Tunisia, dopo la svolta autoritaria impressa dall’autocrate Saied che ha fatto arrestare giornalisti e sindacalisti, oltre che numerosi membri dei partiti di opposizione. In ogni caso non si dovranno dimenticare le condanne ricevute dall’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo, proprio per i respingimenti differiti effettuati ai danni di cittadini tunisini (caso Khlaifia). Faranno morire ancora centinaia di innocenti. Dare la colpa ai trafficanti non salva dal fallimento politico e morale nè l’Unione Europea nè il governo Meloni.

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    Saied, inaccettabili centri migranti in Tunisia

    (ANSA) – TUNISI, 11 GIU – Il presidente tunisino Kais Saied, nel suo incontro con la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen e del primo ministro olandese Mark Rutte “ha fatto notare che la soluzione che alcuni sostengono segretamente di ospitare in Tunisia migranti in cambio di somme di denaro è disumana e inaccettabile, così come le soluzioni di sicurezza si sono dimostrate inadeguate, anzi hanno aumentato le sofferenze delle vittime della povertà e delle guerre”. Lo si legge in un comunicato della presidenza tunisina, pubblicato al termine dell”incontro. (ANSA).

    2023-06-11 18:59

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    ANSA/Meloni e l”Ue incassano prima intesa ma Saied alza posta

    (dell”inviato Michele Esposito)

    (ANSA) – TUNISI, 11 GIU – Una visita lampo, una dichiarazione congiunta che potrebbe portare ad un cruciale memorandum d”intesa, un orizzonte ancora confuso dal continuo alzare la posta di Kais Saied. Il vertice tra Ursula von der Leyen, Giorgia Meloni, Mark Rutte e il presidente tunisino potrebbe segnare un prima e un dopo nei rapporti tra l”Ue e il Paese nordafricano. Al tavolo del palazzo presidenziale di Cartagine, per oltre due ore, i quattro hanno affrontato dossier a dir poco spigolosi, dalla gestione dei migranti alla necessità di un”intesa tra Tunisia e Fmi. La luce verde sulla prima intesa alla fine si è accesa. “E” un passo importante, dobbiamo arrivare al Consiglio europeo con un memorandum già siglato tra l”Ue e la Tunisia”, è l”obiettivo fissato da Meloni, che ha rilanciato il ruolo di prima linea dell”Italia nei rapporti tra l”Europa e la sponda Sud del Mediterraneo. Nel Palazzo voluto dal padre della patria tunisino, Habib Bourguiba, von der Leyen, Meloni e Rutte sono arrivati con l”ideale divisa del Team Europe. I tre, di fatto, hanno rappresentato l”intera Unione sin da quando, a margine del summit in Moldavia della scorsa settimana, è nata l”idea di accelerare sul dossier tunisino. I giorni successivi sono stati segnati da frenetici contatti tra gli sherpa. Il compromesso, iniziale e generico, alla fine è arrivato. L”Ue sborserà sin da subito, e senza attendere il Fondo Monetario Internazionale, 150 milioni di euro a sostegno del bilancio tunisino. E” un primo passo ma di certo non sufficiente per Saied. Sulla seconda parte del sostegno europeo, il pacchetto di assistenza macro-finanziaria da 900 milioni, l”Ue tuttavia non ha cambiato idea: sarà sborsato solo dopo l”intesa tra Saied e l”Fmi. Intesa che appare ancora lontana: poco dopo la partenza dei tre leader europei, la presidenza tunisina ha infatti invitato il Fondo a “rivedere le sue ricette” ed evitare “diktat”, sottolineando che gli aiuti da 1,9 miliardi, sotto forma di prestiti, “non porteranno benefici” alla popolazione. La difficoltà di mettere il punto finale al negoziato tra Ue e Tunisia sta anche in un altro dato: la stessa posizione europea è frutto di un compromesso tra gli Stati membri. Non è un caso, ad esempio, che sia stato Rutte, portatore delle istanze dei Paesi del Nord, a spiegare come la cooperazione tra Ue e Tunisia sulla gestione dei flussi irregolari debba avvenire “in accordo con i diritti umani”. La dichiarazione congiunta, in via generica, fa riferimento ai principali nodi legati ai migranti: le morti in mare, la necessità di aumentare i rimpatri dell”Europa degli irregolari, la lotta ai trafficanti. Von der Leyen ha messo sul piatto sovvenzioni da 100 milioni di euro per sostenere i tunisini nel contrasto al traffico illegale e nelle attività di search & rescue. Meloni, dal canto suo, ha annunciato “una conferenza su migrazione e sviluppo in Italia, che sarà un ulteriore tappa nel percorso del partenariato” tra l”Ue e Tunisi. Saied ha assicurato il suo impegno sui diritti umani e nella chiusura delle frontiere sud del Paese, ma sui rimpatri la porta è aperta solo a quella per i tunisini irregolari. L”ipotesi che la Tunisia, come Paese di transito sicuro, ospiti anche i migranti subsahariani, continua a non decollare. “L”idea, che alcuni sostengono segretamente, che il Paese ospiti centri per i migranti in campo di somme di danaro è disumana e inaccettabile”, ha chiuso Saied. La strada, insomma, rimane in salita. La strategia dell”Ue resta quella adottata sin dalla prima visita di un suo commissario – Paolo Gentiloni – lo scorso aprile: quella di catturare il sì di Saied con una partnership economica ed energetica globale e di lungo periodo, in cui la migrazione non è altro che un ingranaggio. Ma Tunisi, su diritti e rule of law, deve fare di più. “L”Ue vuole investire nella stabilità tunisina. Le difficoltà del suo percorso democratico si possono superare”, ha detto von der Leyen. Delineando la mano tesa dell”Europa ma anche la linea rossa entro la quale va inquadrata la nuova partnership. (ANSA).

    2023-06-11 19:55

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    Statement 11 June 2023 Tunis
    The European Union and Tunisia agreed to work together on a comprehensive partnership package (https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/statement_23_3202)

    European Commission – Statement
    The European Union and Tunisia agreed to work together on a comprehensive partnership package
    Tunis, 11 June 2023

    Building on our shared history, geographic proximity, and strong relationship, we have agreed towork together on a comprehensive partnership package, strengthening the ties that bind us in a mutually beneficial manner.
    We believe there is enormous potential to generate tangible benefits for the EU and Tunisia. The comprehensive partnership would cover the following areas:

    - Strengthening economic and trade ties ,

    - A sustainable and competitive energy partnership

    - Migration

    - People-to-people contacts

    The EU and Tunisia share strategic priorities and in all these areas, we will gain from working together more closely.
    Our economic cooperation will boost growth and prosperity through stronger trade and investment links, promoting opportunities for businesses including small and medium sized enterprises. Economic support, including in the form of Macro Financial Assistance, will also be considered. Our energy partnership will assist Tunisia with the green energy transition, bringing down costs and creating the framework for trade in renewables and integration with the EU market.
    As part of our joint work on migration, the fight against irregular migration to and from Tunisia and the prevention of loss of life at sea, is a common priority, including fighting against smugglers and human traffickers, strengthening border management, registration and return in full respect of human rights.
    People-to-people contacts are central to our partnership and this strand of work will encompass stronger cooperation on research, education, and culture, as well as developing Talent Partnerships, opening up new opportunities for skills development and mobility, especially for youth.

    Enhanced political and policy dialogue within the EU-Tunisia Association Council before the end of the year will offer an important opportunity to reinvigorate political and institutional ties, with the aim of addressing common international challenges together and preserving the rules-based order.
    We have tasked the Minister of Foreign Affairs, Migration and Tunisians Abroad and the
    Commissioner for Neighbourhood and Enlargement to work out a Memorandum of Understanding on the comprehensive partnership package, to be endorsed by Tunisia and the European Union before the end of June.

    https://www.a-dif.org/2023/06/11/la-tunisia-rifiuta-i-respingimenti-collettivi-e-le-deportazioni-di-migranti-i

    #Tunisie #externalisation #asile #migrations #réfugiés #Memorandum_of_Understanding (#MoU) #Italie #frontières #externalisation_des_frontières #réadmission #accord_de_réadmission #refoulements_collectifs #pays_tiers_sûr #développement #aide_au_développement #conditionnalité_de_l'aide #énergie #énergies_renouvelables

    #modèle_tunisien

    • EU offers Tunisia over €1bn to stem migration

      Brussels proposes €255mn in grants for Tunis, linking longer-term loans of up to €900mn to reforms

      The EU has offered Tunisia more than €1bn in a bid to help the North African nation overcome a deepening economic crisis that has prompted thousands of migrants to cross the Mediterranean Sea to Italy.

      The financial assistance package was announced on Sunday in Tunis after Ursula von der Leyen, accompanied by the prime ministers of Italy and the Netherlands, Giorgia Meloni and Mark Rutte, met with Tunisian president Kais Saied. The proposal still requires the endorsement of other EU governments and will be linked to Tunisian authorities passing IMF-mandated reforms.

      Von der Leyen said the bloc is prepared to mobilise €150mn in grants “right now” to boost Tunisia’s flagging economy, which has suffered from surging commodity prices linked to Russia’s invasion of Ukraine. Further assistance in the form of loans, totalling €900mn, could be mobilised over the longer-term, she said.

      In addition, Europe will also provide €105mn in grants this year to support Tunisia’s border management network, in a bid to “break the cynical business model of smugglers and traffickers”, von der Leyen said. The package is nearly triple what the bloc has so far provided in migration funding for the North African nation.

      The offer of quick financial support is a boost for Tunisia’s embattled president, but longer-term support is contingent on him accepting reforms linked to a $1.9bn IMF package, a move Saied has been attempting to defer until after presidential elections next year.

      Saied has refused to endorse the IMF loan agreement agreed in October, saying he rejected foreign “diktats” that would further impoverish Tunisians. The Tunisian leader is wary of measures such as reducing energy subsidies and speeding up the privatisation of state-owned enterprises as they could damage his popularity.

      Meloni, who laid the groundwork for the announcement after meeting with Saied on Tuesday, has been pushing Washington and Brussels for months to unblock financial aid for Tunisia. The Italian leader is concerned that if the north African country’s economy imploded, it would trigger an even bigger wave of people trying to cross the Mediterranean.

      So far this year, more than 53,000 migrants have arrived in Italy by boat, more than double compared with the same period last year — with a sharp increase in boats setting out from Tunisia one factor behind the surge.

      The agreement was “an important step towards creating a true partnership to address the migration crisis,” Meloni said on Sunday.

      In February, Saied stoked up racist violence against people from sub-Saharan African countries by saying they were part of a plot to change Tunisia’s demographic profile.

      His rhetoric has softened in an apparent bid to improve the image of the deal with the EU. Visiting a camp on Saturday, he criticised the treatment of migrants “as mere numbers”. However, he added, “it is unacceptable for us to play the policeman for other countries”.

      The Tunisian Forum for Economic and Social Rights think-tank criticised the EU’s visit on Sunday as “an attempt to exploit [Tunisia’s] political, economic and social fragility”.

      The financial aid proposal comes days after European governments agreed on a long-awaited migration package that will speed up asylum proceedings and make it easier for member states to send back people who are denied asylum.

      The package also includes proposals to support education, energy and trade relations with the country, including by investing in Tunisia’s renewable energy network and allowing Tunisian students to take part in student exchange programme Erasmus+.

      The presence of the Dutch prime minister, usually a voice for fiscally conservative leaders in the 27-strong bloc, indicated that approval of the package would not be as difficult to achieve as other foreign funding requests. The Netherlands, while not a frontline country like Italy, has also experienced a spike in so-called secondary migration, as many of the people who arrive in southern Europe travel on and apply for asylum in northern countries.

      Calling the talks “excellent”, Rutte said that “the window is open, we all sense there’s this opportunity to foster this relationship between the EU and Tunisia”.

      https://www.ft.com/content/82d6fc8c-ee95-456a-a4e1-8c2808922da3

    • Migrations : les yeux doux de #Gérald_Darmanin au président tunisien

      Pour promouvoir le Pacte sur la migration de l’Union européenne, le ministre de l’Intérieur en visite à Tunis a flirté avec les thèses controversées de Kais Saied, présentant le pays comme une « victime » des flux de réfugiés.

      Quand on sait que l’on n’obtiendra pas ce que l’on désire de son hôte, le mieux est de porter la faute sur un tiers. Le ministre français de l’Intérieur, Gérald Darmanin, a fait sienne cette stratégie durant sa visite dimanche 18 et lundi 19 juin en Tunisie. Et tant pis pour les pays du Sahel, victimes collatérales d’un échec annoncé.

      Accompagné de son homologue allemande, Nancy Faeser, le premier flic de France était en Tunisie pour expliquer au président tunisien Kais Saied le bien-fondé du Pacte sur la migration et l’asile en cours de validation dans l’Union européenne. Tel quel, il pourrait faire de la Tunisie un pays de transit ou d’établissement pour les migrants refoulés au nord de la Méditerranée. La Tunisie n’a jamais accepté officiellement d’être le gardien des frontières de l’Europe, même du temps du précédent président de la République, Béji Caïd Essebsi – officieusement, les gardes-côtes ont intercepté plus de 23 000 migrants de janvier à mai. Ce n’est pas le très panarabisant Kais Saied qui allait céder.

      Surtout que le chef de l’Etat aux méthodes autoritaires avait déjà refusé pareille proposition la semaine dernière, lors de la visite de la présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen, accompagnée de Giorgia Meloni et Mark Rutte, chefs du gouvernement italien et néerlandais, malgré les promesses de plus d’un milliard d’euros d’aides à long terme (des projets budgétés de longue date pour la plupart). Kais Saied avait encore réitéré son refus au téléphone le 14 juin à Charles Michel, le président du Conseil européen.
      « Grand remplacement »

      Peu de chance donc que Gérald Darmanin et Nancy Faeser, « simples » ministres de l’Intérieur aient plus de succès, bien que leurs pays pèsent « 40 % du budget de l’Union européenne », comme l’a malicieusement glissé le ministre français. Alors pour ne pas repartir complètement bredouille, le locataire de la place Beauvau a promis du concret et flirté avec les thèses très controversées de Kais Saied.

      La France a promis une aide bilatérale de 25,8 millions d’euros pour « acquérir les équipements nécessaires et organiser les formations utiles, des policiers et des gardes-frontières tunisiens pour contenir le flux irrégulier de migrants ». Darmanin a surtout assuré que la Tunisie ne deviendra pas « la garde-frontière de l’Union européenne, ce n’est pas sa vocation ». Au contraire, il a présenté l’ancienne puissance carthaginoise comme une « victime » du flux migratoire.

      « Les Tunisiens qui arrivent de manière irrégulière sur le territoire européen sont une portion très congrue du nombre de personnes qui traversent à partir de la Tunisie la Méditerranée pour venir en Europe. Il y a beaucoup de Subsahariens notamment qui prennent ces routes migratoires », a ajouté le ministre de l’Intérieur français. Un argument martelé depuis des mois par les autorités tunisiennes. Dans un discours reprenant les thèses du « grand remplacement », Kais Saied, le 21 février, avait provoqué une campagne de haine et de violence contre les Subsahariens. Ces derniers avaient dû fuir par milliers le pays. Sans aller jusque-là, Gérald Darmanin a joué les VRP de Kais Saied, déclarant qu’« à la demande de la Tunisie », la France allait jouer de ses « relations diplomatiques privilégiées » avec ces pays (Côte d’Ivoire, Sénégal, Cameroun, notamment) pour « prévenir ces flux ». Si les migrants arrivant par bateaux en Italie sont, pour beaucoup, des Subsahariens – le nombre d’Ivoiriens a été multiplié par plus de 7 depuis le début de l’année par rapport à l’an dernier à la même période –, les Tunisiens demeurent, selon le HCR, la première nationalité (20 %) à débarquer clandestinement au sud de l’Europe depuis 2021.
      Préférence pour Giorgia Meloni

      Gérald Darmanin a quand même soulevé un ancien contentieux : le sort de la vingtaine de Tunisiens radicalisés et jugés dangereux actuellement présents sur le territoire français de façon illégale. Leur retour en Tunisie pose problème. Le ministre français a affirmé avoir donné une liste de noms (sans préciser le nombre) à son homologue tunisien. En attendant de savoir si son discours contribuera à réchauffer les relations avec le président tunisien – ce dernier ne cache pas sa préférence pour le franc-parler de Giorgia Meloni, venue deux fois ce mois-ci – Gérald Darmanin a pu profiter de prendre le café avec Iheb et Siwar, deux Tunisiens réinstallés dans leur pays d’origine via une aide aux retours volontaires mis en place par l’Office français de l’immigration et de l’intégration. En 2022, les Tunisiens ayant eu recours à ce programme étaient… 79. Quand on est envoyé dans une guerre impossible à gagner, il n’y a pas de petite victoire.

      https://www.liberation.fr/international/afrique/migrations-les-yeux-doux-de-gerald-darmanin-au-president-tunisien-2023061
      #Darmanin #France

    • Crisi economica e rimpatri: cosa stanno negoziando Ue e Tunisia

      Con l’economia del Paese nordafricano sempre più in difficoltà, l’intreccio tra sostegno finanziario ed esternalizzazione delle frontiere si fa sempre più stretto. E ora spunta una nuova ipotesi: rimpatriare in Tunisia anche cittadini di altri Paesi

      Durante gli ultimi mesi di brutto tempo in Tunisia, il governo italiano ha più volte dichiarato di aver compiuto «numerosi passi avanti nella difesa dei nostri confini», riferendosi al calo degli arrivi di migranti via mare dal Paese nordafricano. Ora che il sole estivo torna a splendere sulle coste del Sud tunisino, però, le agenzie stampa segnalano un nuovo «aumento delle partenze». Secondo l’Ansa, durante le notti del 18 e 19 giugno, Lampedusa ha contato prima dodici, poi altri quindici sbarchi. Gli arrivi sono stati 18, con 290 persone in totale, anche tra la mezzanotte e le due del 23 giugno. Come accadeva durante i mesi di febbraio e marzo, a raggiungere le coste siciliane sono soprattutto ivoriani, malesi, ghanesi, nigeriani, sudanesi, egiziani. I principali porti di partenza delle persone che raggiungono l’Italia via mare, nel 2023, si trovano soprattutto in Tunisia.

      È durante questo giugno piovoso che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è atterrata a Tunisi non una ma ben due volte, con l’intento di negoziare quello che ha tutta l’aria di uno scambio: un maggior sostegno finanziario al bilancio di una Tunisia sempre più in crisi in cambio di ulteriori azioni di militarizzazione del Mediterraneo centrale. Gli aiuti economici promessi da Bruxelles, necessari perché la Tunisia eviti la bancarotta, sono condizionati alla firma di un nuovo accordo con il Fondo monetario internazionale. Il prezzo da pagare, però, sono ulteriori passi avanti nel processo di esternalizzazione della frontiera dell’Unione europea. Un processo già avviato da anni che, come abbiamo raccontato nelle precedenti puntate di #TheBigWall, si è tradotto in finanziamenti alla Tunisia per un valore di 59 milioni di euro dal 2011 a oggi, sotto forma di una lunga lista di equipaggiamenti a beneficio del ministero dell’Interno tunisino.

      Che l’Italia si stia nuovamente muovendo in questo senso, è stato reso noto dalla documentazione raccolta tramite accesso di richiesta agli atti da IrpiMedia in collaborazione con ActionAid sull’ultimo finanziamento di 12 milioni di euro approvato a fine 2022. A dimostrarlo, è anche l’ultima gara d’appalto pubblicata da Unops, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Servizi di Progetto, che dal 2020 fa da intermediario tra il inistero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale italiano (Maeci) e il ministero dell’Interno tunisino, per la fornitura di sette nuove motovedette, in scadenza proprio a giugno.

      Le motovedette si sommano al recente annuncio, reso noto da Altreconomia a marzo 2023, della fornitura di 100 pick-up Nissan Navara alla Guardia nazionale tunisina. Con una differenza, però: Roma non negozia più da sola con Tunisi, ma si impone come mediatrice tra il Paese nordafricano e l’Unione europea. Secondo le informazioni confidenziali diffuse da una fonte diplomatica vicina ai negoziati Tunisia-Ue, la lista più recente sottoposta dalla Tunisia alla Commissione europea includerebbe anche «droni, elicotteri e nuove motovedette per un totale di ulteriori 200 milioni di euro». Durante la visita del 19 giugno, anche la Francia ha annunciato un nuovo sostegno economico a Tunisi del valore di 26 milioni di euro finalizzato a «contrastare la migrazione».

      Il prezzo del salvataggio dalla bancarotta sono i migranti

      Entro fine giugno è attesa la firma del nuovo memorandum tra Unione europea e Tunisia. Ad annunciarlo è stata la presidente della Commissione Ue Ursula Von der Leyen, arrivata a Tunisi l’11 giugno insieme a Giorgia Meloni e a Mark Rutte, il primo ministro olandese.

      La visita ha fatto seguito al Consiglio dell’Ue, il vertice che riunisce i ministri competenti per discutere e votare proposte legislative della Commissione in cui sono stati approvati alcuni provvedimenti che faranno parte del Patto sulla migrazione e l’asilo. L’intesa, che dovrebbe sostituire anche il controverso Regolamento di Dublino ma deve ancora essere negoziata con l’Europarlamento, si lega alle trattative con la Tunisia. Tra i due dossier esiste un parallelismo tracciato dalla stessa Von Der Leyen che, a seguito del recente naufragio di fronte alle coste greche, ha dichiarato: «Sulla migrazione dobbiamo agire in modo urgente sia sul quadro delle regole che in azioni dirette e concrete. Per esempio, il lavoro che stiamo facendo con la Tunisia per stabilizzare il Paese, con l’assistenza finanziaria e investendo nella sua economia».

      Nel frattempo, in Tunisia, la situazione economica si è fatta sempre più complicata. Il 9 giugno, infatti, l’agenzia di rating Fitch ha declassato il Paese a “-CCC” per quanto riguarda l’indice Idr, Issuer default ratings, ovvero il misuratore della capacità di solvenza di aziende e fondi sovrani. Più è basso, più è alta la possibilità, secondo Fitch, che il Paese (o la società, quando l’indice Idr si applica alle società) possa finire in bancarotta. Colpa principalmente delle trattative fallite tra il governo di Tunisi e il Fondo monetario internazionale (Fmi): ad aprile 2023, il presidente Kais Saied ha rifiutato pubblicamente un prestito da 1,9 miliardi di dollari.

      Principale ragione del diniego tunisino sono stati i «diktat», ha detto Saied il 6 aprile, imposti dal Fmi, cioè una serie di riforme con possibili costi sociali molto alti. Al discorso, sono seguite settimane di insistente lobbying da parte italiana, a Tunisi come a Washington, perché si tornasse a discutere del prestito. Gli aiuti promessi da Von Der Leyen in visita a Tunisi (900 milioni di euro di prestito condizionato, oltre ai 150 milioni di sostegno bilaterale al bilancio) sono infatti condizionati al sì dell’Fmi.

      La Tunisia, quindi, ha bisogno sempre più urgentemente di sostegno finanziario internazionale per riuscire a chiudere il bilancio del 2023 e a rispettare le scadenze del debito pubblico estero. E le trattative per fermare i flussi migratori si intensificano. A giugno 2023, come riportato da AnsaMed, Meloni ha dichiarato di voler «risolvere alla partenza» la questione migranti, proprio durante la firma del Patto sull’asilo a Bruxelles. Finanziamenti in cambio di misure di controllo delle partenze, quindi. Ma di che tipo? Per un’ipotesi che tramonta, un’altra sembra prendere corpo.
      I negoziati per il nuovo accordo di riammissione

      La prima ipotesi è trasformare la Tunisia in un hotspot, una piattaforma esterna all’Unione europea per lo smistamento di chi avrebbe diritto a una forma di protezione e chi invece no. È un’idea vecchia, che compariva già nelle bozze di accordi Ue-Tunisia fermi al 2018, dove si veniva fatto esplicito riferimento ad «accordi regionali di sbarco» tra Paesi a Nord del Mediterraneo e Paesi a Sud, e a «piattaforme di sbarco […] complementari a centri controllati nel territorio Ue». All’epoca, la Tunisia rispose con un secco «no» e anche oggi sembra che l’esito sarà simile. Secondo una fonte vicina alle trattative in corso per il memorandum con l’Ue, «è improbabile che la Tunisia accetti di accogliere veri e propri centri di smistamento sul territorio».

      L’opinione del presidente tunisino Kais Saied, infatti, è ben diversa dai toni concilianti con i quali ha accolto i rappresentanti politici europei, da Meloni ai ministri dell’Interno di Francia (Gérald Darmanin) e Germania (Nancy Faeser), questi ultimi incontrati lo scorso 19 giugno. Saied ha più volte ribadito che «non saremo i guardiani dell’Europa», provando a mantenere la sua immagine pubblica di “anti-colonialista” e sovranista.

      Sotto la crescente pressione economica, esiste comunque la possibilità che il presidente tunisino scenda a più miti consigli e rivaluti l’idea della Tunisia come hotspot. In questo scenario, i Paesi Ue potrebbero rimandare in Tunisia non solo persone tunisine a cui è negata la richiesta d’asilo, ma anche persone di altre nazionalità che hanno qualche tipo di legame (ancora tutto da definire nei dettagli) con la Tunisia. Il memorandum Tunisia-Ue, quindi, potrebbe includere delle clausole relative non solo ai rimpatri dei cittadini tunisini, ma anche alle riammissioni di cittadini di altri Paesi.

      A sostegno di questa seconda ipotesi ci sono diversi elementi. Il primo è un documento della Commissione europea sulla cooperazione estera in ambito migratorio, visionato da IrpiMedia, datato maggio 2022, ma anticipato da una bozza del 2017. Nel documento, in riferimento a futuri accordi di riammissione, si legge che la Commissione avrebbe dovuto lanciare, «entro la fine del 2022», «i primi partenariati con i Paesi nordafricani, tra cui la Tunisia». Il secondo elemento è contenuto nell’accordo raggiunto dal Consiglio sul Patto. Su pressione dell’Italia, la proposta di legge prevede la possibilità di mandare i richiedenti asilo in un Paese terzo considerato sicuro, sulla base di una serie di fattori legati al rispetto dei diritti umani in generale e dei richiedenti asilo più nello specifico.
      I dubbi sulla Tunisia, Paese terzo sicuro

      A marzo 2023 – durante il picco di partenze dalla Tunisia a seguito di un violento discorso del presidente nei confronti della comunità subsahariana nel Paese – la lista dei Paesi di origine considerati sicuri è stata aggiornata, e include ormai non solo la Tunisia stessa, sempre più insicura, come raccontato nelle puntate precedenti, ma anche la Costa d’Avorio, il Ghana, la Nigeria. Che rappresentano ormai le prime nazionalità di sbarco.

      In questo senso, aveva attirato l’attenzione la richiesta da parte delle autorità tunisine a inizio 2022 di laboratori mobili per il test del DNA, utilizzati spesso nei commissariati sui subsahariani in situazione di regolarità o meno. Eppure, nel contesto la situazione della comunità subsahariana nel Paese resta estremamente precaria. Solo la settimana scorsa un migrante di origine non chiara, ma subsahariano, è stato accoltellato nella periferia di Sfax, dove la tensione tra famiglie tunisine in situazioni sempre più precarie e subsahariani continua a crescere.

      Malgrado un programma di ritorno volontario gestito dall’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), continua a esistere una tendopoli di fronte alla sede dell’organizzazione internazionale. La Tunisia, dove manca un quadro legale sul diritto di asilo che tuteli quindi chi viene riconosciuto come rifugiato da UNHCR, continua a non essersi dotata di una zona Sar (Search & Rescue). Proprio a questo fa riferimento esplicito la bozza del nuovo patto sull’asilo firmato a Bruxelles. Una delle condizioni richieste, allora, potrebbe essere proprio quella di notificare all’Organizzazione marittima internazionale (Imo) una zona Sar una volta ottenuti tutti gli equipaggiamenti richiesti dal ministero dell’Interno tunisino.

      https://irpimedia.irpi.eu/thebigwall-crisi-economica-rimpatri-cosa-stanno-negoziando-ue-tunisia
      #crise_économique #UE #externalisation

    • Pour garder ses frontières, l’Europe se précipite au chevet de la Tunisie

      Alors que le régime du président #Kaïs_Saïed peine à trouver un accord avec le #Fonds_monétaire_international, la Tunisie voit plusieurs dirigeants européens — notamment italiens et français — voler à son secours. Un « soutien » intéressé qui vise à renforcer le rôle de ce pays comme garde-frontière de l’Europe en pleine externalisation de ses frontières.

      C’est un fait rarissime dans les relations internationales. En l’espace d’une semaine, la présidente du Conseil italien, Giorgia Meloni, aura effectué deux visites à Tunis. Le 7 juin, la dirigeante d’extrême droite n’a passé que quelques heures dans la capitale tunisienne. Accueillie par son homologue Najla Bouden, elle s’est ensuite entretenue avec le président Kaïs Saïed qui a salué, en français, une « femme qui dit tout haut ce que d’autres pensent tout bas ». Quatre jours plus tard, c’est avec une délégation européenne que la présidente du Conseil est revenue à Tunis.

      Accompagnée de la présidente de la Commission européenne #Ursula_von_der_Leyen et du premier ministre néerlandais #Mark_Rutte, Meloni a inscrit à l’agenda de sa deuxième visite les deux sujets qui préoccupent les leaders européens : la #stabilité_économique de la Tunisie et, surtout, la question migratoire, reléguant au second plan les « #valeurs_démocratiques ».

      Un pacte migratoire

      À l’issue de cette rencontre, les Européens ont proposé une série de mesures en faveur de la Tunisie : un #prêt de 900 millions d’euros conditionné à la conclusion de l’accord avec le Fonds monétaire international (#FMI), une aide immédiate de 150 millions d’euros destinée au budget, ainsi que 105 millions pour accroitre la #surveillance_des_frontières. Von der Leyen a également évoqué des projets portant sur l’internet à haut débit et les énergies vertes, avant de parler de « rapprochement des peuples ». Le journal Le Monde, citant des sources bruxelloises, révèle que la plupart des annonces portent sur des fonds déjà budgétisés. Une semaine plus tard, ce sont #Gérald_Darmanin et #Nancy_Faeser, ministres français et allemande de l’intérieur qui se rendent à Tunis. Une #aide de 26 millions d’euros est débloquée pour l’#équipement et la #formation des gardes-frontières tunisiens.

      Cet empressement à trouver un accord avec la Tunisie s’explique, pour ces partenaires européens, par le besoin de le faire valoir devant le Parlement européen, avant la fin de sa session. Déjà le 8 juin, un premier accord a été trouvé par les ministres de l’intérieur de l’UE pour faire évoluer la politique des 27 en matière d’asile et de migration, pour une meilleure répartition des migrants. Ainsi, ceux qui, au vu de leur nationalité, ont une faible chance de bénéficier de l’asile verront leur requête examinée dans un délai de douze semaines. Des accords devront également être passés avec certains pays dits « sûrs » afin qu’ils récupèrent non seulement leurs ressortissants déboutés, mais aussi les migrants ayant transité par leur territoire. Si la Tunisie acceptait cette condition, elle pourrait prendre en charge les milliers de subsahariens ayant tenté de rejoindre l’Europe au départ de ses côtes.

      Dans ce contexte, la question des droits humains a été esquivée par l’exécutif européen. Pourtant, en mars 2023, les eurodéputés ont voté, à une large majorité, une résolution condamnant le tournant autoritaire du régime. Depuis le mois de février, les autorités ont arrêté une vingtaine d’opposants dans des affaires liées à un « complot contre la sûreté de l’État ». Si les avocats de la défense dénoncent des dossiers vides, le parquet a refusé de présenter sa version.

      L’allié algérien

      Depuis qu’il s’est arrogé les pleins pouvoirs, le 25 juillet 2021, Kaïs Saïed a transformé la Tunisie en « cas » pour les puissances régionales et internationales. Dans les premiers mois qui ont suivi le coup de force, les pays occidentaux ont oscillé entre « préoccupations » et compréhension. Le principal cadre choisi pour exprimer leurs inquiétudes a été celui du G 7. C’est ainsi que plusieurs communiqués ont appelé au retour rapide à un fonctionnement démocratique et à la mise en place d’un dialogue inclusif. Mais, au-delà des proclamations de principe, une divergence d’intérêts a vite traversé ce groupement informel, séparant les Européens des Nord-Américains. L’Italie — et dans une moindre mesure la France — place la question migratoire au centre de son débat public, tandis que les États-Unis et le Canada ont continué à orienter leur communication vers les questions liées aux droits et libertés. En revanche, des deux côtés de l’Atlantique, le soutien à la conclusion d’un accord entre Tunis et le FMI a continué à faire consensus.

      La fin de l’unanimité occidentale sur la question des droits et libertés va faire de l’Italie un pays à part dans le dossier tunisien. Depuis 2022, Rome est devenue le premier partenaire commercial de Tunis, passant devant la France. Ce changement coïncide avec un autre bouleversement : la Tunisie est désormais le premier pays de départ pour les embarcations clandestines en direction de l’Europe, dans le bassin méditerranéen. Constatant que la Tunisie de Kaïs Saïed a maintenu une haute coopération en matière de #réadmission des Tunisiens clandestins expulsés du territoire italien, Rome a compris qu’il était dans son intérêt de soutenir un régime fort et arrangeant, en profitant de son rapprochement avec l’Algérie d’Abdelmadjid Tebboune, qui n’a jamais fait mystère de son soutien à Kaïs Saïed. Ainsi, en mai 2022, le président algérien a déclaré qu’Alger et Rome étaient décidées à sortir la Tunisie de « son pétrin ». Les déclarations de ce type se sont répétées sans que les autorités tunisiennes, d’habitude plus promptes à dénoncer toute ingérence, ne réagissent publiquement. Ce n’est pas la première fois que l’Italie et l’#Algérie — liées par un #gazoduc traversant le territoire tunisien — s’unissent pour soutenir un pouvoir autoritaire en Tunisie. Déjà, en 1987, Zine El-Abidine Ben Ali a consulté Rome et Alger avant de déposer le président Habib Bourguiba.

      L’arrivée de Giorgia Meloni au pouvoir en octobre 2022 va doper cette relation. La dirigeante d’extrême droite, élue sur un programme de réduction drastique de l’immigration clandestine, va multiplier les signes de soutien au régime en place. Le 21 février 2023, un communiqué de la présidence tunisienne dénonce les « menaces » que font peser « les hordes de migrants subsahariens » sur « la composition démographique tunisien ». Alors que cette déclinaison tunisienne de la théorie du « Grand Remplacement » provoque l’indignation, — notamment celle de l’Union africaine (UA) — l’Italie est le seul pays à soutenir publiquement les autorités tunisiennes. Depuis, la présidente du Conseil italien et ses ministres multiplient les efforts diplomatiques pour que la Tunisie signe un accord avec le FMI, surtout depuis que l’UE a officiellement évoqué le risque d’un effondrement économique du pays.

      Contre les « diktats du FMI »

      La Tunisie est en crise économique au moins depuis 2008. Les dépenses sociales engendrées par la révolution, les épisodes terroristes, la crise du Covid et l’invasion de l’Ukraine par la Russie n’ont fait qu’aggraver la situation du pays.

      L’accord avec l’institution washingtonienne est un feuilleton à multiples rebondissements. Fin juillet 2021, avant même la nomination d’un nouveau gouvernement, Saïed charge sa nouvelle ministre des Finances Sihem Namsia de poursuivre les discussions en vue de l’obtention d’un prêt du FMI, prélude à une série d’aides financières bilatérales. À mesure que les pourparlers avancent, des divergences se font jour au sein du nouvel exécutif. Alors que le gouvernement de Najla Bouden semble disposé à accepter les préconisations de l’institution financière (restructuration et privatisation de certaines entreprises publiques, arrêt des subventions sur les hydrocarbures, baisse des subventions sur les matières alimentaires), Saïed s’oppose à ce qu’il qualifie de « diktats du FMI » et dénonce une politique austéritaire à même de menacer la paix civile. Cela ne l’empêche pas de promulguer la loi de finances de l’année 2023 qui reprend les principales préconisations de l’institution de Bretton Woods.

      En octobre 2022, un accord « technique » a été trouvé entre les experts du FMI et ceux du gouvernement tunisien et la signature définitive devait intervenir en décembre. Mais cette dernière étape a été reportée sine die, sans aucune explication.

      Ces dissensions au sein d’un exécutif censé plus unitaire que sous le régime de la Constitution de 2014 trouvent leur origine dans la vision économique de Kaïs Saïed. Après la chute de Ben Ali, les autorités de transition ont commandé un rapport sur les mécanismes de corruption du régime déchu. Le document final, qui pointe davantage un manque à gagner (prêts sans garanties, autorisations indument accordées…) que des détournements de fonds n’a avancé aucun chiffre. Mais en 2012, le ministre des domaines de l’État Slim Ben Hmidane a avancé celui de 13 milliards de dollars (11,89 milliards d’euros), confondant les biens du clan Ben Ali que l’État pensait saisir avec les sommes qui se trouvaient à l’étranger. Se saisissant du chiffre erroné, Kaïs Saïed estime que cette somme doit être restituée et investie dans les régions marginalisées par l’ancien régime. Le 20 mars 2022, le président promulgue une loi dans ce sens et nomme une commission chargée de proposer à « toute personne […] qui a accompli des actes pouvant entraîner des infractions économiques et financières » d’investir l’équivalent des sommes indument acquises dans les zones sinistrées en échange de l’abandon des poursuites.

      La mise en place de ce mécanisme intervient après la signature de l’accord technique avec le FMI. Tandis que le gouvernement voulait finaliser le pacte avec Washington, Saïed mettait la pression sur la commission d’amnistie afin que « la Tunisie s’en sorte par ses propres moyens ». Constatant l’échec de sa démarche, le président tunisien a préféré limoger le président de la commission et dénoncer des blocages au sein de l’administration. Depuis, il multiplie les appels à un assouplissement des conditions de l’accord avec le FMI, avec l’appui du gouvernement italien. Le 12 juin 2023, à l’issue d’une rencontre avec son homologue italien, Antonio Tajani, le secrétaire d’État américain Anthony Blinken s’est déclaré ouvert à ce que Tunis présente un plan de réforme révisé au FMI.

      Encore une fois, les Européens font le choix de soutenir la dictature au nom de la stabilité. Si du temps de Ben Ali, l’islamisme et la lutte contre le terrorisme étaient les principales justifications, c’est aujourd’hui la lutte contre l’immigration, devenue l’alpha et l’oméga de tout discours politique et électoraliste dans une Europe de plus en plus à droite, qui sert de boussole. Mais tous ces acteurs négligent le côté imprévisible du président tunisien, soucieux d’éviter tout mouvement social à même d’affaiblir son pouvoir. À la veille de la visite de la délégation européenne, Saïed s’est rendu à Sfax, deuxième ville du pays et plaque tournante de la migration clandestine. Il est allé à la rencontre des populations subsahariennes pour demander qu’elles soient traitées avec dignité, avant de déclarer que la Tunisie ne « saurait être le garde-frontière d’autrui ». Un propos réitéré lors de la visite de Gérald Darmanin et de son homologue allemande, puis à nouveau lors du Sommet pour un nouveau pacte financier à Paris, les 22 et 23 juin 2023.

      https://orientxxi.info/magazine/pour-garder-ses-frontieres-l-europe-se-precipite-au-chevet-de-la-tunisie

    • Perché oggi Meloni torna in Tunisia

      È la terza visita da giugno: l’obiettivo è un accordo per dare al paese aiuti economici europei in cambio di più controlli sulle partenze di migranti

      Nella giornata di domenica è previsto un viaggio istituzionale in Tunisia della presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni, insieme alla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e al primo ministro olandese #Mark_Rutte. Per Meloni è la terza visita in Tunisia in poco più di un mese: era andata da sola una prima volta il 6 giugno, e poi già insieme a von der Leyen e Rutte l’11 giugno.

      Il motivo delle visite è stata una serie di colloqui con il presidente tunisino, l’autoritario Kais Saied, per firmare un “memorandum d’intesa” tra Unione Europea e Tunisia che ha l’obiettivo di fornire un aiuto finanziario al governo tunisino da circa un miliardo di euro. Questi soldi si aggiungerebbero al prestito del Fondo Monetario Internazionale (#FMI) da 1,7 miliardi di euro di cui si parla da tempo e che era stato chiesto dalla Tunisia per provare a risolvere la sua complicata situazione economica e sociale.

      Il memorandum, di cui non sono stati comunicati i dettagli, secondo fonti a conoscenza dei fatti impegnerebbe la Tunisia ad applicare alcune riforme chieste dall’FMI, e a collaborare maggiormente nel bloccare le partenze di migranti e richiedenti asilo che cercano di raggiungere l’Italia via mare.

      Nell’incontro dell’11 giugno le discussioni non erano andate benissimo, e avevano portato solo alla firma di una dichiarazione d’intenti. La visita di domenica dovrebbe invece concludersi con una definizione degli accordi, almeno nelle intenzioni dei leader europei. «Speriamo di concludere le discussioni che abbiamo iniziato a giugno», aveva detto venerdì la vice portavoce della Commissione Europea Dana Spinant annunciando il viaggio di domenica.

      Il memorandum d’intesa prevede che l’Unione Europea offra alla Tunisia aiuti finanziari sotto forma di un prestito a tassi agevolati di 900 milioni di euro – da erogare a rate nei prossimi anni – oltre a due contributi a fondo perduto rispettivamente da 150 milioni di euro, come contributo al bilancio nazionale, e da 100 milioni di euro per impedire le partenze delle imbarcazioni di migranti. Quest’ultimo aiuto di fatto replicherebbe su scala minore quelli dati negli anni scorsi a Libia e Turchia affinché impedissero con la forza le partenze di migranti e richiedenti asilo.

      Dell’accordo si è parlato molto criticamente nelle ultime settimane per via delle violenze in corso da tempo nel paese, sia da parte della popolazione locale che delle autorità, nei confronti dei migranti subsahariani che transitano nel paese nella speranza di partire via mare verso l’Europa (e soprattutto verso l’Italia). Da mesi il presidente Kais Saied – che negli ultimi tre anni ha dato una svolta autoritaria al governo del paese – sta usando i migranti come capro espiatorio per spiegare la pessima situazione economica e sociale in cui si trova la Tunisia.

      Ha più volte sostenuto che l’immigrazione dai paesi africani faccia parte di un progetto di «sostituzione demografica per rendere la Tunisia un paese unicamente africano, che perda i suoi legami con il mondo arabo e islamico». Le sue parole hanno causato reazioni razziste molto violente da parte di residenti e polizia nei confronti dei migranti, con arresti arbitrari e varie aggressioni. L’ultimo episodio è stato segnalato all’inizio di luglio, quando le forze dell’ordine tunisine hanno arrestato centinaia di migranti provenienti dall’Africa subsahariana e li hanno portati con la forza in una zona desertica nell’est del paese al confine con la Libia.

      https://www.ilpost.it/2023/07/16/tunisia-meloni

    • Firmato a Tunisi il memorandum d’intesa tra Tunisia e Ue, Meloni: «Compiuto passo molto importante»

      Saied e la delegazione Ue von der Leyen, Meloni e #Rutte siglano il pacchetto complessivo di 255 milioni di euro per il bilancio dello Stato nordafricano e per la gestione dei flussi migratori. 5 i pilastri dell’intesa

      E’ stato firmato il Memorandum d’intesa per una partnership strategica e globale fra Unione europea e Tunisia. L’Ue ha diffuso il video della cerimonia di firma, alla quale erano presenti la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il premier dell’Olanda Mark Rutte e il presidente tunisino Kais Saied. Al termine della cerimonia di firma è iniziato l’incontro fra i tre leader europei e Saied, a seguito del quale sono attese dichiarazioni alla stampa. L’incontro si svolge nel palazzo presidenziale tunisino di Cartagine, vicino Tunisi. Per raggiungere questo obiettivo Bruxelles ha proposto un pacchetto di aiuti (150 milioni a sostegno del bilancio dello Stato e 105 milioni come supporto al controllo delle frontiere), su cui era stato avviato un negoziato.

      «Il Team Europe torna a Tunisi. Eravamo qui insieme un mese fa per lanciare una nuova partnership con la Tunisia. E oggi la portiamo avanti». Lo scrive sui social la Presidente della Commissione Ue, Ursula Von der Leyen, postando foto con lei, Meloni, Rutte e Saied.

      E nella conferenza stampa congiunta con Saied, Meloni e Rutte la presidente ha affermato che la Ue coopererà con la Tunisia contro i trafficanti di migranti.

      «Abbiamo raggiunto un obiettivo molto importante che arriva dopo un grande lavoro diplomatico. Il Memorandum è un importante passo per creare una vera partnership tra l’Ue e la Tunisia». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni al termine dell’incontro con Kais Saied nel palazzo di Cartagine. L’intesa va considerata «un modello» perle relazioni tra l’Ue e i Paesi del Nord Africa.

      L’obiettivo iniziale era di firmare un Memorandum d’intesa entro lo scorso Consiglio europeo, del 29 e 30 giugno, ma c’è stato uno slittamento. L’intesa con l’Europa, nelle intenzioni di Bruxelles, dovrebbe anche facilitare lo sblocco del finanziamento del Fondo monetario internazionale da 1,9 miliardi al momento sospeso, anche se in questo caso la trattativa è tutta in salita.

      Anche oggi, nel giorno della firma del Memorandum di Intesa tra Unione europea e Tunisia, a Lampedusa - isola simbolo di migrazione e di naufragi - sono sbarcati in 385 (ieri quasi mille). L’obiettivo dell’accordo voluto dalla premier Meloni e il presidente Saied è soprattutto arginare il flusso incontrollato di persone che si affidano alla pericolosa via del mare per approdare in Europa. Un problema che riguarda i confini esterni meridionali dell’Unione europea, come ha sempre sottolineato la presidente del Consiglio, che oggi arriverà a Tunisi per la seconda volta, con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen e con il collega olandese Mark Rutte.

      Le dichiarazioni della premier Giorgia Meloni

      «Oggi abbiamo raggiunto un risultato estremamente importante, il memorandum firmato tra Tunisia e Ue è un ulteriore passo verso la creazione di un vero partenariato che possa affrontare in modo integrato la crisi migratoria e lo sviluppo per entrambe le sponde del Mediterraneo».

      Così la presidente del Consiglio Giorgia Meloni nel punto stampa dopo la firma del Memorandum.

      «Il partenariato con la Tunisia- ha aggiunto Meloni- rappresenta per noi un modello per costruire nuove relazioni con i vicini del Nord Africa. Il memorandum è un punto di partenza al quale dovranno conseguire diversi accordi per mettere a terra gli obiettivi che ci siamo dati».

      Infine la presidente del Consiglio ha ricordato che «domenica prossima 23 luglio a Roma ci sarà la conferenza internazionale sull’immigrazione che avrà come protagonista il presidente Saied e con lui diversi capi di Stato e governo dei paesi mediterranei. E’ un altro importante passo per affrontare la cooperazione mediterranea con un approccio integrato e io lo considero come l’inizio di un percorso che può consentire una partnership diversa da quella che abbiamo avuto nel passato».

      Le dichiarazioni della Presidente della Commisisone Europea

      Per Ursula Von der Leyen l’accordo odierno è «un buon pacchetto di misure», da attuare rapidamente «in entrambe le sponde del Mediterraneo» ma ha anche precisato che «L’ assistenza macrofinanziaria sarà fornita quando le condizioni lo permetteranno».

      La Presidente ha elencato i 5 pilastri del Memorandum con la Tunisia:

      1) creare opportunità per i giovani tunisini. Per loro «ci sarà una finestra in Europa con l’#Erasmus». Per le scuole tunisine stanziati 65 milioni;

      2) sviluppo economico della Tunisia. La Ue aiuterà la crescita e la resilienza dell’economia tunisina;

      3) investimenti e commercio: "La Ue è il più grande partner economico della Tunisia. Ci saranno investimenti anche per migliorare la connettività della Tunisia, per il turismo e l’agricoltura. 150 milioni verranno stanziati per il ’#Medusa_submarine_cable' tra Europa e Tunisia;

      4) energia pulita: la Tunisia ha «potenzialità enormi» per le rinnovabili. L’ Europa ha bisogno di «fonti per l’energia pulita. Questa è una situazione #win-win. Abbiamo stanziato 300 milioni per questo progetto ed è solo l’inizio»;

      5) migranti: «Bisogna stroncare i trafficanti - dice Von der Leyen - e distruggere il loro business». Ue e Tunisia coordineranno le operazioni Search and Rescue. Per questo sono stanziati 100 milioni di euro.

      Le dichiarazioni del Presidente Kais Saied

      «Dobbiamo trovare delle vie di collaborazione alternative a quelle con il Fondo Monetario Internazionale, che è stato stabilito dopo la seconda Guerra mondiale. Un regime che divide il mondo in due metà: una metà per i ricchi e una per i poveri eche non doveva esserci». Lo ha detto il presidente tunisino Kais Saied nelle dichiarazioni alla stampa da Cartagine.

      «Il Memorandum dovrebbe essere accompagnato presto da accordi attuativi» per «rendere umana» la migrazione e «combattere i trafficanti. Abbiamo oggi un’assoluta necessità di un accordo comune contro la migrazione irregolari e contro la rete criminale di trafficanti».

      «Grazie a tutti e in particolare la premier Meloni per aver risposto immediatamente all’iniziativa tunisina di organizzare» un vertice sulla migrazione con i Paesi interessati.

      https://www.rainews.it/articoli/2023/07/memorandum-dintesa-tra-unione-europea-e-tunisia-la-premier-meloni-von-der-le
      #memorandum_of_understanding #développement #énergie #énergie_renouvelable #économie #tourisme #jeunes #jeunesse #smugglers #traficants_d'êtres_humains #aide_financière

    • La Tunisie et l’Union européenne signent un partenariat sur l’économie et la politique migratoire

      La présidente de la Commission européenne s’est réjouie d’un accord destiné à « investir dans une prospérité partagée », évoquant cinq piliers dont l’immigration irrégulière. La Tunisie est un point de départ pour des milliers de migrants vers l’Europe.

      L’Union européenne (UE) et la Tunisie ont signé dimanche 16 juillet à Tunis un protocole d’accord pour un « partenariat stratégique complet » portant sur la lutte contre l’immigration irrégulière, les énergies renouvelables et le développement économique de ce pays du Maghreb. La présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen, s’est réjouie d’un accord destiné à « investir dans une prospérité partagée », évoquant « cinq piliers », dont les questions migratoires.

      La Tunisie est un point de départ pour des milliers de migrants qui traversent la Méditerranée vers l’Europe. Les chefs de gouvernement italien, Giorgia Meloni, et néerlandais, Mark Rutte, accompagnaient la dirigeante européenne après une première visite il y a un mois, pendant laquelle ils avaient proposé ce partenariat.

      Il s’agit « d’une nouvelle étape importante pour traiter la crise migratoire de façon intégrée », a dit Mme Meloni, qui a invité le président tunisien, Kais Saied, présent à ses côtés, à participer dimanche à Rome à un sommet sur les migrations. Celui-ci s’est exprimé à son tour pour insister sur le volet de l’accord portant sur « le rapprochement entre les peuples ».

      « Nouvelles relations avec l’Afrique du Nord »

      Selon Mme Meloni, le partenariat entre la Tunisie et l’UE « peut être considéré comme un modèle pour l’établissement de nouvelles relations avec l’Afrique du Nord ». M. Rutte a pour sa part estimé que « l’accord bénéficiera aussi bien à l’Union européenne qu’au peuple tunisien », rappelant que l’UE est le premier partenaire commercial de la Tunisie et son premier investisseur. Sur l’immigration, il a assuré que l’accord permettra de « mieux contrôler l’immigration irrégulière ».

      L’accord prévoit une aide de 105 millions d’euros pour lutter contre l’immigration irrégulière et une aide budgétaire de 150 millions d’euros alors que la Tunisie est étranglée par une dette de 80 % de son produit intérieur brut (PIB) et est à court de liquidités. Lors de sa première visite, la troïka européenne avait évoqué une « assistance macrofinancière de 900 millions d’euros » qui pouvait être fournie à la Tunisie sous forme de prêt sur les années à venir.

      Mme von der Leyen a affirmé dimanche que Bruxelles « est prête à fournir cette assistance dès que les conditions seront remplies ». Cette « assistance » de l’UE est conditionnée à un accord entre la Tunisie et le Fonds monétaire international (FMI) pour un nouveau crédit du Fonds, un dossier qui est dans l’impasse depuis des mois.

      https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/07/16/la-tunisie-et-l-union-europeenne-signent-un-partenariat-sur-l-economie-et-la

    • Les députés reprochent à la Commission européenne d’avoir signé un accord avec un « cruel dictateur » tunisien

      Des eurodéputés ont dénoncé mardi le protocole d’accord signé par l’UE avec la Tunisie.

      L’accord a été conclu dimanche après une réunion à Tunis entre le président tunisien Kaïs Saïed et la présidente de la Commission européenne Ursula von der Leyen, accompagnée de la Première ministre italienne Giorgia Meloni et du Premier ministre néerlandais Mark Rutte.

      Le texte, qui doit encore être précisé, prévoit l’allocation d’au moins 700 millions d’euros de fonds européens, dont certains sous forme de prêts, dans le cadre de cinq piliers : la stabilité macroéconomique, l’économie et le commerce, la transition verte, les contacts interpersonnels et les migrations.

      Ursula von der Leyen a présenté le mémorandum comme un « partenariat stratégique et global ». Mais les eurodéputés ont adopté un point de vue très critique sur la question. Ils dénoncent les contradictions entre les valeurs fondamentales de l’Union européenne et le recul démocratique en cours en Tunisie. Ils ont également déploré l’absence de transparence démocratique et de responsabilité financière.

      La figure de Kaïs Saïed, qui a ouvertement diffusé des récits racistes contre les migrants d’Afrique subsaharienne a fait l’objet des reproches de la part des parlementaires.

      https://twitter.com/sylvieguillaume/status/1681221845830230017

      « Il est très clair qu’un accord a été conclu avec un dictateur cruel et peu fiable », a dénoncé Sophie in ’t Veld (Renew Europe). « Le président Saïed est un dirigeant autoritaire, ce n’est pas un bon partenaire, c’est un dictateur qui a augmenté le nombre de départs ».

      S’exprimant au nom des sociaux-démocrates (S&D), Birgit Sippel a accusé les autorités tunisiennes d’abandonner les migrants subsahariens dans le désert « sans nourriture, sans eau et sans rien d’autre », un comportement qui a déjà été rapporté par les médias et les organisations humanitaires.

      « Pourquoi la Tunisie devrait-elle soudainement changer de comportement ? Et qui contrôle l’utilisation de l’argent ? » interroge Birgit Sippel, visiblement en colère.

      « Nous finançons à nouveau un autocrate sans contrôle politique et démocratique au sein de cette assemblée. Ce n’est pas une solution. Cela renforcera un autocrate en Tunisie », a-t-elle ajouté.

      https://twitter.com/NatJanne/status/1680982627283509250

      En face, la Commissaire européenne en charge des Affaires intérieures Ylva Johansson, a évité toute controverse et a calmement défendu le mémorandum UE-Tunisie. La responsable suédoise a souligné que le texte introduit des obligations pour les deux parties.

      « Il est clair que la Tunisie est sous pression. Selon moi, c’est une raison de renforcer et d’approfondir la coopération et d’intensifier le soutien à la Tunisie », a-t-elle répondu aux députés européens.

      Selon Ylva Johansson, 45 000 demandeurs d’asile ont quitté la Tunisie cette année pour tenter de traverser la « route très meurtrière » de la Méditerranée centrale. Cette « augmentation considérable » suggère un changement du rôle de la Tunisie, de pays d’origine à pays de transit, étant donné que « sur ces 45 000, seuls 5 000 étaient des citoyens tunisiens ».

      « Il est très important que notre objectif principal soit toujours de sauver des vies, d’empêcher les gens d’entreprendre ces voyages qui finissent trop souvent par mettre fin à leur vie, c’est une priorité », a poursuivi la Commissaire.

      Les députés se sont concentrés sur les deux enveloppes financières les plus importantes de l’accord : 150 millions d’euros pour l’aide budgétaire et 105 millions d’euros pour la gestion des migrations, qui seront toutes les deux déboursées progressivement. Certains eurodéputés ont décrit l’aide budgétaire, qui est censée soutenir l’économie fragile du pays, comme une injection d’argent dans les coffres privés de Kaïs Saïed qui serait impossible à retracer.

      « Vous avez financé un dictateur qui bafoue les droits de l’homme, qui piétine la démocratie tunisienne que nous avons tant soutenue. Ne nous mentez pas ! », s’est emporté Mounir Satouri (les Verts). « Selon nos analyses, les 150 et 105 millions d’euros sont une aide au Trésor (tunisien), un versement direct sur le compte bancaire de M. Kaïs Saïed ».

      https://twitter.com/alemannoEU/status/1680659154665340928

      Maria Arena (S&D) a reproché à la Commission européenne de ne pas avoir ajouté de dispositions supplémentaires qui conditionneraient les paiements au respect des droits de l’homme.

      « Nous donnons un chèque en blanc à M. Saïed, qui mène actuellement des campagnes racistes et xénophobes, soutenues par sa police et son armée », a déclaré l’eurodéputée belge.

      « Croyez-vous vraiment que M Saïed, qui a révoqué son parlement, qui a jeté des juges en prison, qui a démissionné la moitié de sa juridiction, qui interdit maintenant aux blogueurs de parler de la question de l’immigration et qui utilise maintenant sa police et son armée pour renvoyer des gens à la frontière (libyenne), croyez-vous vraiment que M. Saïed va respecter les droits de l’homme ? Madame Johansson, soit vous êtes naïve, soit vous nous racontez des histoires ».

      Dans ses réponses, Ylva Johansson a insisté sur le fait que les 105 millions d’euros affectés à la migration seraient « principalement » acheminés vers des organisations internationales qui travaillent sur le terrain et apportent une aide aux demandeurs d’asile, comme l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), bien qu’elle ait admis que certains fonds seraient en fait fournis aux agents tunisiens sous la forme de navires de recherche et de sauvetage et de radars.

      https://twitter.com/vonderleyen/status/1680626156603686913

      « Permettez-moi d’insister sur le fait que la Commission européenne, l’UE, n’est pas impliquée dans le refoulement de ressortissants de pays tiers vers leur pays d’origine. Ce que nous faisons, c’est financer, par l’intermédiaire de l’OIM, les retours volontaires et la réintégration des ressortissants de pays tiers », a souligné la Commissaire.

      « Je ne suis pas d’accord avec la description selon laquelle la Tunisie exerce un chantage. Je pense que nous avons une bonne coopération avec la Tunisie, mais il est également important de renforcer cette coopération et d’augmenter le soutien à la Tunisie. Et c’est l’objectif de ce protocole d’accord ».

      https://fr.euronews.com/my-europe/2023/07/18/les-deputes-reprochent-a-la-commission-europeenne-davoir-signe-un-accor

  • [rapport] Zoom sur les menaces géopolitiques et climatiques du projet de gazoduc EastMed, soutenu par l’UE - Espace Presse Greenpeace France
    https://www.greenpeace.fr/espace-presse/rapport-zoom-sur-les-menaces-geopolitiques-et-climatiques-du-projet-de-ga

    Un nouveau rapport publié aujourd’hui par Greenpeace Italie dénonce les risques #géopolitiques et climatiques liés au projet de gazoduc EastMed, que la Commission européenne a jugé prioritaire dans le cadre des projets d’intérêt commun (PIC) dans le domaine de l’#énergie.

    Le gazoduc, qui ne serait pas mis en service avant 2028, relierait les champs gaziers israéliens et chypriotes à la Grèce puis à l’Italie, traversant les eaux contestées entre la Grèce, la Turquie et Chypre.

    Face au danger qu’il représente à la fois pour la paix en #Europe et pour le #climat, Greenpeace demande à la Commission et aux gouvernements européens de se retirer du projet de #gazoduc EastMed, de le retirer de la liste des PIC et de procéder à une évaluation des risques de #conflit pour tout projet transfrontalier d’infrastructure de combustibles #fossiles soutenu par l’UE. La France doit également prendre ses responsabilités en poussant activement pour l’arrêt du soutien de l’#UE à ce projet.

  • Au-delà des gazoducs Nord Stream, le méthane fuit un peu partout sur le globe vajo avec afp - RTS

    Des dizaines de milliers de tonnes de méthane se sont échappées des gazoducs Nord Stream 1 et 2. Mais pour les spécialistes, cet événement n’est qu’un incident parmi des milliers d’autres qui se produisent chaque année à travers le monde.


    Carte montrant la localisation des principaux gazoducs et les principales sources d’émission de méthane liées à l’industrie pétrolière et gazière. © Kayrros Inc., Esri, HERE, Garmin, FAO, NOAA, USGS, OpenStreetMap contributors, and the GIS User Community

    Les fuites des gazoducs Nord Stream 1 et 2 dues à un sabotage présumé en mer Baltique ont relâché quelque 70’000 tonnes de méthane (lire encadré), puissant gaz à effet de serre, selon une estimation mercredi de chercheurs français à partir d’observations atmosphériques. L’armée danoise avait publié sur Twitter des photos et vidéos de trois bouillonnements à la surface de la mer Baltique. Ces « jacuzzis » géants mesurent de 200 mètres à 1 kilomètre de diamètre.

    « Ce sont des chiffres importants, équivalents à 2% des émissions françaises ou aux émissions d’une ville comme Paris sur un an, ce n’est pas une bonne nouvelle, mais pas une bombe climatique », a relevé Philippe Ciais, chercheur au Commissariat à l’énergie atomique et aux énergies alternatives (CEA), au Laboratoire des sciences du climat et de l’environnement.

    Ces estimations sont bien moins élevées que les premières produites par des experts ou ONG dans les jours suivant les explosions sur les gazoducs le 26 septembre, qui se fondaient sur des estimations des quantités de gaz contenues dans les tuyaux. Plusieurs les évaluaient autour de 300’000 tonnes. Les chercheurs du CEA ont toutefois souligné que cette première étude devrait quoi qu’il en soit « être confirmée par d’autres modélisateurs ».

    Des fuites, pas des événements isolés
    Ce n’est pas la première fois que des fuites causées par l’industrie des hydrocarbures ont lieu. L’Agence internationale de l’énergie (AIE) a souvent pointé les quantités énormes de méthane qui fuient chaque année des installations de production d’énergies fossiles à travers le monde.

    Pour 2021, elle avait estimé que ces fuites mondiales équivalaient à la totalité de la consommation de gaz du secteur énergétique en Europe. Quant aux infrastructures gazières mondiales, souvent mal entretenues, elles perdraient à cause de fuites environ 10% des quantités transportées.

    Début 2022, des chercheurs du CNRS, dont Thomas Lauvaux, associés à la société Kayrros https://www.cnrs.fr/fr/des-emissions-massives-de-methane-par-lindustrie-petroliere-et-gaziere-detectee , ont cartographié 1800 panaches de méthane à travers le globe et visibles sur des images satellites. « On se doute que ces fuites sont courantes et datent de plusieurs décennies. Mais formellement, on est remonté jusqu’en 2019, année des premiers satellites capables de voir ce phénomène », explique Thomas Lauvaux, jeudi dans l’émission de la RTS Tout un monde.

    Selon une étude du Commissariat à l’énergie atomique et aux énergies alternatives, les émissions de méthane ont augmenté de près de 10% sur la dernière décennie et proviennent pour 22% de l’exploitation du pétrole et du gaz.

    Les fuites se produisent majoritairement dans les « grands bassins gaziers » aux Etats-Unis, en Algérie, au Turkménistan, en Russie ou encore en Iran. « Chez tous les producteurs de gaz et de pétrole, on voit régulièrement des fuites énormes sortir de leurs installations », indique-t-il.

    Manque de transparence
    Ces rejets sont provoqués par des fuites accidentelles « de quelques jours à quelques semaines », par des fuites quasi continues dues à l’ancienneté des installations et par des opérations de maintenance, « qui représentent près de la moitié des détections ». « Pour sécuriser la zone, on laisse les gazoducs à l’air libre ventiler le gaz dans l’atmosphère », décrit Thomas Lauvaux.

    Jusqu’à présent, il y avait une « forme de minimisation » des fuites qui étaient mises sur le compte de « rares accidents ». « On se rend compte qu’on est bien au-delà du simple accident », dit-il. Le chercheur dénonce un manque de transparence qui ne permet pas aux gouvernements d’agir. Il estime qu’il faudrait davantage de satellites et de moyens humains pour pouvoir suivre l’ensemble des fuites sur la planète.

    Le méthane, fort pouvoir réchauffant à court terme
    La gaz naturel est principalement composé de méthane, à l’effet de réchauffement 80 fois plus important que celui du CO2 sur un horizon de 10 à 20 ans. Il est considéré comme responsable de près du tiers du réchauffement de la planète déjà enregistré.

    Toutefois, sa durée de vie dans l’atmosphère est relativement courte, une dizaine d’années, contre des décennies, voire des centaines d’années pour le CO2. Au contact de l’eau, une partie de ce méthane va s’oxyder et se transformer en CO2.

    « Sur le long terme, on pourrait presque ignorer le méthane. Mais sur les objectifs à court terme, 2030, que l’Union européenne et l’ONU se sont fixés, le méthane a un rôle très important à jouer », estime Thomas Lauvaux, professeur à l’Université de Reims Champagne-Ardenne, spécialiste des sciences du climat.

    Source : https://www.rts.ch/info/monde/13443237-audela-des-gazoducs-nord-stream-le-methane-fuit-un-peu-partout-sur-le-g

    #climat #méthane #gazoducs #énergie #pollution #methane #gaz #co2 #gaz_de_schiste #réalité #pollution #fuites #réchauffement

  • Gaz et Gaz / Nord Stream et vieilles munitions chimiques Robin des Bois
    la plus grande décharge sous-marine de munitions chimiques de la mer Baltique

    Les explosions suivies de fuites de gaz survenues le 26 septembre 2022 sur les gazoducs du consortium international Nord Stream reliant la Russie à l’Allemagne ont-elles réveillé, déplacé ou disloqué des munitions chimiques immergées à proximité ou en contiguïté ? Selon la Suède et le Danemark, les ruptures des canalisations sous-marines ont été provoquées par des explosions correspondant à plusieurs centaines de kilos de TNT, soit l’équivalent de plusieurs bombes aériennes conventionnelles utilisées pendant la dernière guerre mondiale. Les experts d’HELCOM (Commission pour la protection de l’environnement de la mer Baltique) estiment qu’une explosion conventionnelle peut produire assez d’énergie et de surpression pour disperser des agents de guerre chimiques à des distances inattendues.


    La zone au nord-est de l’île danoise de Bornholm où les explosions ont eu lieu est la plus grande décharge sous-marine de munitions chimiques de la mer Baltique. Le tonnage estimé se situe entre 30.000 et 35.000 tonnes. Les immersions connues ont duré d’août 1945 à juillet 1965. Ces chiffres et ces dates sont empreints d’incertitudes à cause de la disparité, de la disparition et de la fragmentation des archives écrites et de la fragilité des témoignages oraux.

    La décharge sous-marine de Bornholm est un catalogue de toutes les horreurs mises au point par les chimistes et les militaires allemands de la Première Guerre Mondiale et diversifiées par les nazis. La gamme est complète : des vésicants, des irritants, des lacrymogènes, des vomitifs, des sternutatoires, des toxiques, des neurotoxiques et des suffocants. Les plus connus sont le tabun, le gaz moutarde (ypérite), le phosgène et le sinistre Zyklon B qui suffoquait les déportés dans les chambres à gaz des camps d’extermination. Au moins 300 tonnes de grosses bombes conventionnelles explosives ont aussi été immergées au large de Bornholm. Ces munitions allemandes non utilisées ou leurs matières premières et adjuvants chimiques persistants ont été pour la plupart immergés sous la tutelle des administrations britanniques et soviétiques en Allemagne occupée puis par les autorités de l’Allemagne de l’Est.

    Les bombes, les obus, les grenades, les mines étaient jetés en mer depuis des barges, des pontons ou des vieux bateaux encore disponibles, en même temps que des barils, des fûts et autres conteneurs d’agents précurseurs de munitions chimiques.

    La zone d’immersion primaire était délimitée par des bouées. Les embarcations étaient chargées au maximum avec les munitions les plus légères directement accessibles. En pratique, les équipages commençaient à s’en débarrasser avant d’atteindre le périmètre désigné. Les munitions souvent emballées dans des caisses en bois pouvaient dériver sur quelques milles avant de couler. Pour accélérer l’évacuation des quais et entrepôts des ports de départ, des “objets flottants non identifiés” ont été bourrés de munitions et coulés dans la décharge sous-marine. Quatre épaves ont été repérées par sonar entre 1999 et 2006. Des carcasses métalliques sont éparpillées autour et visibles sur certains ponts. On ne sait pas à ce jour s’il s’agit de munitions conventionnelles ou chimiques. La décharge sous-marine de Bornholm n’est pas confinée. Par 70 à 100 m de fond il n’y a aucun dispositif technique qui empêche les munitions de se déplacer et de se décomposer au fil du temps, de l’érosion et de la houle sous-marine.

    Le gaz moutarde (ypérite) semble être l’agent chimique dominant dans la zone. Pendant les travaux préalables à la pose de Nord Stream 1, dans la Zone Economique Exclusive du Danemark, 4 bombes KC 250 au gaz moutarde ont été découvertes entre 7 m et 17 m de la trajectoire du gazoduc. Elles ont été inspectées avant la pose en automne-hiver 2010. Les bombes étaient dans un état de corrosion avancée. Des suintements d’ypérite étaient visibles. Ils étaient estimés pour chaque munition à 20 kg soit 20% du contenu initial de chaque bombe. Les coques étaient fissurées voire disloquées. Pour chaque munition, une charge de 15 kg de TNT était visible et paraissait intacte. A la demande des autorités danoises considérant qu’elles ne posaient pas de risque pour le gazoduc, les bombes ont été laissées sur place. Elles ont été de nouveau inspectées en janvier 2011, après la pose du gazoduc. Aucune dégradation supplémentaire n’aurait été observée.

    Entre 1994 et 2012, HELCOM rapporte que près de 4 tonnes de “blocs” d’ypérite ont été remontées à la surface par des engins de pêche dans le secteur de l’île de Bornholm. Ils ont été pour la plupart rejetés en mer dans des endroits désignés par les autorités danoises. Entre 1968 et 1984, au moins 25 pêcheurs polonais ont été brûlés par des résidus d’ypérite pris dans les filets dans le secteur de Bornholm, et en juillet 1955, 102 enfants d’une colonie de vacances ont été brûlés sur une plage de Darlowo en Pologne, face à Bornholm, après avoir récupéré sur la plage un baril fuyard contenant de l’ypérite.

    
Entre 1968 et 1984, 196 tonnes de poissons contaminés dans les filets des pêcheurs danois par des particules d’ypérite ont été retirés du marché et détruits.
Sur le long terme, des résidus et produits de dégradation des agents chimiques sont susceptibles de s’accumuler dans les poissons de fond comme les soles et les poissons omnivores comme les cabillauds. Les poissons dans la décharge de Bornholm et aux alentours souffrent par rapport à des espèces analogues capturées dans des zones extérieures d’un état sanitaire dégradé, d’un taux élevé d’ulcères de la peau et de pathologies rénales. Les poissons, les crustacés et tous les organismes marins vivant dans la zone ou autour sont plongés dans un environnement cancérogène, mutagène et reprotoxique.

    “L’héritage du passé repose encore au fond de la mer, il est intimement lié aux poissons d’aujourd’hui et il se pourrait que ses effets soient seulement perceptibles sur les consommateurs de demain” (1).

    Au large des côtes françaises, au moins 6 décharges sous-marines contiennent des munitions chimiques. L’une d’elles, dans la Fosse des Casquets au large du Cotentin, a été par la suite une zone d’immersion de déchets nucléaires.

    (1) HELCOM, 2013 . Chemical Munitions Dumped in the Baltic Sea. Report of the ad hoc Expert Group to Update and Review the Existing Information on Dumped Chemical Munitions in the Baltic Sea.

    Source : https://robindesbois.org/gaz-et-gaz-nord-stream-et-vieilles-munitions-chimiques

    #Nord_Stream #gazoduc #Bornholm #Baltique #munitions_chimiques #tabun #gaz_moutarde #ypérite #phosgène #Zyklon_B #poissons #crustacés #poisons #contamination

  • Comment saboter un gazoduc
    Par Pierre Rimbert (mai 2021)

    https://www.monde-diplomatique.fr/2021/05/RIMBERT/63053

    Pour Washington, cibler Nord Stream 2 présente des avantages mercantiles autant que géopolitiques : grâce au soutien de la Commission européenne, favorable au marché flexible du gaz naturel liquéfié (GNL) américain plutôt qu’aux gazoducs russes, et à l’appui des pays les plus atlantistes de l’Union (Pologne, Danemark…), Washington n’entend pas seulement contrecarrer les plans de Moscou, mais aussi et surtout imposer ses excédents de gaz de schiste liquéfiés sur le marché européen. Et, au passage, mettre sous pression l’Allemagne, avec laquelle les différends commerciaux s’accumulent. Toute la subtilité diplomatique des États-Unis se déploie à cet effet.

    M. Trump, qui, depuis son arrivée au pouvoir, menace l’Europe de sanctions douanières, obtient en juillet 2018 la capitulation de Bruxelles : l’Union accepte de revoir de fond en comble sa politique gazière en faveur du GNL « de la liberté » (dixit M. Trump) et au détriment du gazoduc « totalitaire ». La nouvelle directive gaz, adoptée l’année suivante, empile les chicanes administratives destinées à entraver Nord Stream 2, au point que ses concepteurs doivent en repenser l’architecture juridique et commerciale.

    #gazoduc #nord_stream_2

  • Princertitude @princertitude – Twitter
    https://twitter.com/princertitude/status/1574751606574301184

    First Squawk – @FirstSquawk
    SWEDISH NATIONAL SEISMOLOGY CENTRE : MEASUREMENT STATIONS IN SWEDEN AND DENMARK REGISTERED POWERFUL SUBSEA BLASTS IN AREAS OF NORD STREAM GAS LEAKS ON MONDAY -SWEDISH BROADCASTER SVT

    Voici les coordonnées des fuites constatées données par les autorités suédoise.
    6km séparent les fuites de NS1
    75km séparent les fuites de NS1 et NS2

    On peut écarter l’accident.

    • Marée blanche
      Fuites sur les gazoducs Nord Stream : une bombe climatique ?

      L’endommagement des gazoducs Nord Stream 1 et 2 en mer Baltique a des conséquences environnementales : le méthane qui s’en échappe est un gaz à effet de serre particulièrement puissant qui contribue au réchauffement climatique.

      L’effet sera moins tangible qu’une marée noire. Mais les conséquences seront bien là pour l’environnement. Si la faune locale devrait être relativement épargnée, les fuites massives détectées ce mardi sur les gazoducs Nord Stream 1 et 2 au large du Danemark sont une mauvaise nouvelle pour la lutte contre le changement climatique. Les gros tuyaux enfouis sous l’eau renferment du méthane (CH4), gaz à effet de serre redoutable. « Le méthane est un gaz au pouvoir réchauffant 84 à 87 fois plus puissant que le CO2 sur vingt ans », rappelle Anna-Lena Renaud, des Amis de la Terre. Il se dégrade assez rapidement dans l’atmosphère mais au bout d’un siècle, son pouvoir de réchauffement est encore environ 30 fois supérieur à celui du CO2.

      Rejets directs dans l’atmosphère

      L’armée danoise a publié sur Twitter des photos et vidéos de trois bouillonnements à la surface de la mer Baltique repérés ce mardi. Ces trois jacuzzis géants mesurent de 200 mètres à 1 kilomètre de diamètre. Une vidéo provenant de la même source montre de grosses bulles remonter. Si une partie minime peut se dissoudre dans l’eau, « l’intégralité ou presque du gaz qui s’échappe se retrouve dans l’atmosphère », affirme Thomas Lauvaux, chercheur au Laboratoire des sciences du climat et de l’environnement.

      Concernant les quantités relâchées, « seule l’entreprise qui opère le pipeline peut donner un chiffre », estime-t-il, en précisant qu’une fuite classique sur un pipeline terrestre relâche environ 6 à 7 millions de mètres cubes en une journée. Les deux gazoducs endommagés sont majoritairement détenus par le géant russe Gazprom, qui n’a pas communiqué sur les quantités présentes à cet endroit dans les tuyaux. Même à l’arrêt, les pipelines doivent contenir un minimum de gaz pour maintenir la pression.

      A quel point cette fuite est-elle une bombe climatique ? « Tout dépend de la taille et de la durée des fuites », répond Anna-Lena Renaud. « La durée de réparation va aussi être variable. Sous l’eau, tout est compliqué. Cela peut prendre des jours, voire des semaines », complète Thomas Lauvaux. Les fuites vont libérer « plusieurs millions de tonnes d’équivalent CO2 dans l’atmosphère », se risque à évaluer Sasha Müller-Kraenner, de l’ONG environnementale allemande DUH cité par l’AFP. Avant de pointer leurs « conséquences dramatiques » en matière de réchauffement climatique.

      Ce n’est pas la première fois que des fuites causées par l’industrie des hydrocarbures sont repérées. Début 2022, des chercheurs du CNRS, dont Thomas Lauvaux, associés à la société Kayrros ont cartographié 1 800 panaches de méthane à travers le globe et visibles sur des images satellites, dont les plus émetteurs libèrent 12 milliards de mètres cubes de ce gaz par an. Ces rejets sont provoqués par des opérations de maintenance et des fuites accidentelles qui ont un « impact climatique comparable à celui de la circulation de 20 millions de véhicules pendant un an ». Les chercheurs alertaient alors sur la nécessité de « colmater » ces rejets.

      Selon une étude du Commissariat à l’énergie atomique et aux énergies alternatives, les émissions de méthane ont augmenté de près de 10% sur la dernière décennie et proviennent pour 22% de l’exploitation du pétrole et du gaz. « En 2019, les concentrations de CH4 n’ont jamais été aussi élevées depuis au moins huit cents mille ans », pointait aussi le Giec dans son dernier rapport sur l’état du climat. Dans un communiqué publié en avril, les experts internationaux pour le climat rappelaient que pour limiter le réchauffement climatique à 1,5 °C, les émissions de méthane devaient être réduites d’un tiers d’ici à 2030. La fuite en mer Baltique ne devrait pas aider.

      https://www.liberation.fr/environnement/climat/fuites-sur-les-gazoducs-nord-stream-une-bombe-climatique-20220927_LQXE5GU

      edit
      Ça ne fait même pas 24 heures qu’ils ont nommé Didier Lallement secrétaire général de la mer, c’est déjà le bordel

      https://twitter.com/Nini_MacBright/status/1574816876949127168

      #méthane #réchauffement_climatique #gazoduc

    • « bombe climatique » au quotidien

      Cette fuite, aussi énorme soit-elle, correspond « malheureusement à seulement une journée d’émissions de méthane de l’industrie pétrogazière, dont l’exploitation relâche 80 millions de tonnes par jour », précise Antoine Rostand, PDG de Kayrros, une entreprise française qui a participé à l’étude publiée dans Science et utilise depuis 2019 un système européen de satellites pour traquer les fuites de méthane sur la planète. Fin février, l’Agence internationale de l’énergie révélait que les émissions de méthane issues du secteur de l’énergie sont 70 % plus élevées que les quantités déclarées officiellement par les gouvernements.

      La lutte contre le méthane est celle « qui a le plus d’impact à court terme » contre le changement climatique, rappelle-t-il. Alors que les émissions de méthane sont aussi dues à l’agriculture et aux déchets, « l’action la plus rapide porte sur les énergies fossiles, assure le PDG. On sait d’où viennent les fuites importantes, on sait comment les éviter ou comment les réparer rapidement. Mais la volonté politique a jusqu’à présent fait défaut pour que les mauvaises pratiques soient abandonnées. » L’étude publiée dans Science a montré que la majorité des fuites ne sont pas des accidents, mais qu’elle ont été causées lors d’opérations de maintenance.

      En novembre 2021, à la conférence mondiale sur le climat (COP26) de Glasgow, en Ecosse, plus de cent Etats, dont la France, les Etats-Unis, l’Arabie saoudite, le Canada ou l’Irak, se sont engagés à réduire les émissions mondiales de méthane d’au moins 30 % d’ici à 2030 par rapport aux niveaux de 2020. Il s’agit du premier engagement international en la matière. Les pays signataires couvrent près de la moitié des émissions mondiales de méthane et 70 % du Produit intérieur brut mondial. S’il était respecté, ce pacte permettrait d’éviter 0,2 °C de réchauffement d’ici à 2050.

      https://www.lemonde.fr/economie/article/2022/09/28/fuites-sur-les-gazoducs-nord-stream-1-et-2-le-risque-d-une-bombe-climatique_

      #industrie_pétrogazière

    • et les vaches, ça fait combien de % du CH4 mondial ? Elles, plus les émissions induites (ptet pas de méthane pour le coup) par l’agriculture pour les nourrir ?

    • Je ne vois pas du tout ce que tu insinues, @sombre.

      Crise en Ukraine : Washington assure que le gazoduc Nord Stream 2 sera mort-né si Moscou envahit son voisin
      Publié le 27/01/2022 21:16
      https://www.francetvinfo.fr/monde/europe/manifestations-en-ukraine/crise-en-ukraine-washington-assure-que-le-gazoduc-nord-stream-2-sera-mo

      Les Etats-Unis ont dit jeudi 27 janvier être persuadés que le gazoduc controversé Nord Stream 2 reliant la Russie à l’Allemagne ne sera pas activé si Moscou envahit l’Ukraine. « Nous continuons nos conversations très fortes et claires avec nos alliés allemands et je veux être claire avec vous aujourd’hui : si la Russie envahit l’Ukraine, d’une manière ou d’une autre, Nord Stream 2 n’ira pas de l’avant », a déclaré la numéro 3 de la diplomatie américaine, Victoria Nuland, devant la presse.

    • Nord Stream 2 : « Les Américains piétinent la souveraineté européenne »
      6 janv. 2021 (mis à jour : 14 janv. 2021)
      https://www.euractiv.fr/section/economie/news/sanctions-americaines-nouveau-tour-de-vis-pour-nord-stream-2

      Mais côté européen, quelques lignes dans le document de 1 824 pages sèment le trouble. Le texte apporte en effet une « clarification et expansion des sanctions concernant la construction de Nord Stream 2 ».

      Concrètement, la loi renforce les sanctions américaines unilatérales en place depuis 2019 avec la loi de protection de la sécurité énergétique de l’Europe (Protecting Europe’s Energy Security Act) et la loi d’autorisation de défense nationale 2020. Désormais, celles-ci ne visent plus que les entreprises vendant, prêtant ou fournissant des navires en charge de mettre en place les tuyaux du gazoduc, mais également tout ceux qui « facilitent » la provision de ces navires. La liste des navires indésirables aux yeux américains est par ailleurs élargie pour contenir désormais tous les vaisseaux participants, directement ou indirectement, à des « activités » de mise en place de tuyaux.

      Donc les gus, dans leur loi interne de la défense sanctionnent tous seuls les gus qui participent d’une manière ou d’une autre dans la réalisation d’une infrastructure qui est déterminante pour la sécurisation de l’appro d’énergie en Europe  ?

      Celui-ci semble pourtant plus improbable que jamais. « La stratégie américaine est efficace », a expliqué Marc-Antoine Eyl-Mazzega, directeur du centre Énergie & Climat de l’Institut français des relations internationales (Ifri) à Euractiv France. « La probabilité de mise en service de Nord Stream 2 est encore plus faible qu’auparavant. » En cause : les sanctions annoncées par les États-Unis entravent la capacité des entreprises européennes chargées de certifier la conformité des tuyaux de réaliser leur travail. Sans certification, il sera pourtant difficile d’obtenir les assurances nécessaires à la mise en service du gazoduc. Selon le chercheur, une entreprise norvégienne vient justement de renoncer à ses activités suite aux annonces américaines.

      Les Norvégiens qui ne sont pas eu Europe, qui sont parmi les meilleurs au monde dans le domaine de la plomberie sous-marine et qui ont inauguré leur gazoduc directement concurrent de Nord Stream 2… le jour même du sabotage.
      Je veux ma panoplie de 🤡 tout de suite.

    • Là, c’est en 2019
      Les États-Unis feront tout pour arrêter le projet Nord Stream 2
      https://www.euractiv.fr/section/l-europe-dans-le-monde/news/les-etats-unis-feront-tout-pour-arreter-le-projet-nord-stream-2

      « Je pense que le président Trump a été très clair sur le fait que les États-Unis vont faire tout ce qui est en leur pouvoir pour que la sécurité européenne soit au premier plan en ce qui concerne les décisions énergétiques », a-t-il déclaré, interrogé pour savoir si les États-Unis envisageaient des sanctions.

      Et aussi

      L’Ukraine est particulièrement préoccupée par le fait que Nord Stream 2 et la connexion prévue à Turkstream pourrait permettre à la Russie de l’éliminer comme pays de transit – l’exposant potentiellement à de nouvelles incursions militaires de Moscou.

    • Et encore une couche

      Trump critique Nord Stream 2 au sommet de l’OTAN
      https://www.euractiv.fr/section/l-europe-dans-le-monde/news/trump-begins-nato-summit-with-nord-stream-2-attack

      Le président américain a déclaré que l’Allemagne payait « des milliards et des milliards de dollars » à la Russie, le pays contre lequel nous sommes censés vous protéger », a-t-il estimé.

      "Germany is totally controlled by Russia," Pres. Trump tells NATO Secretary General Stoltenberg as they sit down together for bilateral breakfast ahead of Brussels summit. https://t.co/CmyplgrxzN pic.twitter.com/6RnFk8Drgs

      — ABC News (@ABC) July 11, 2018

      Ce n’est pas la première fois que Donald Trump vise Nord Stream 2. Le 17 mai, le Wall Street Journal rapportait que le président avait demandé à l’Allemagne d’abandonner le projet. Il s’agissait pour lui d’une condition pour un accord commercial avec l’Europe qui n’incluait pas des droits de douane élevés sur l’acier et l’aluminium européens.

      Donald Trump a par ailleurs déjà essayé de promouvoir le gaz naturel liquéfié américain (GNL) lors d’une rencontre à Varsovie en juillet 2016 avec des dirigeants d’Europe centrale et orientale.

      On se demande bien qui bafoue le droit international, là…

    • Donald Trump mise sur les exportations de GNL vers l’Europe de l’Est
      https://www.euractiv.fr/section/energie/news/trump-to-promote-us-lng-exports-at-warsaw-summit

      Donald Trump a salué, dans un discours, le début d’un « âge d’or » durant laquelle les entreprises américaines d’énergie assoiront leur pouvoir à l’étranger grâce à des exportations de gaz naturel, de charbon et de pétrole.

      Après avoir passé des années dans le rôle d’importateur majeur de gaz naturel, les États-Unis devraient devenir un exportateur net cette année ou en 2018, grâce au développement de la fracturation hydraulique dans des états comme le Texas ou la Pennsylvanie.

      « Nous sommes ici aujourd’hui pour déployer une nouvelle politique énergétique américaine », a déclaré Donald Trump lors d’un événement au ministère de l’Énergie, auquel participaient des chefs d’entreprise de l’industrie du pétrole et du charbon et des membres de syndicats ayant construit des gazoducs. « Nous exporterons de l’énergie américaine partout dans le monde. »

      Rebaptisée « prédominance énergétique », la politique de Donald Trump, déjà mise en route par l’administration précédente, vise à exporter du gaz naturel liquéfié (GNL) vers des marchés d’Europe de l’Est et d’Asie.

      « Nous serons exportateurs. […] Nous serons dominants. Nous exporterons de l’énergie américaine partout dans le monde, tout autour de la planète. […] L’âge d’or de l’Amérique a démarré. Croyez-moi », a déclaré le président des États-Unis.

      C’est moi qui ait mis des trucs en gras pour ceux qui roupillent au fond de la classe.

  • Gasdotto transahariano: Algeria, Nigeria e Niger firmano un protocollo d’intesa per un progetto da 13 miliardi di dollari

    La Trans-Saharan gas pipeline è lunga 4.128 km ed è progettata per trasportare fino a 30 miliardi di m³ di gas naturale all’anno verso l’Europa. La nostra ipocrisia: abbiamo cercato di bloccare il finanziamento di progetti di combustibili fossili in Africa, ma ora ci affanniamo per assicurarci il petrolio e il gas del continente

    (#paywall)
    https://www.nigrizia.it/notizia/africa-gas-gasdotto-nigeria-niger-algeria-tunisia-italia-transmed-petrolio
    #gazoduc #énergie #Afrique #gaz #Algérie #Niger #Nigeria #gazoduc_trans-saharien #NIGAL #Trans-Saharan_Gas-Pipeline (#TSGP)

  • Also wenn ich das richtig sehe, wird Europa auf jeden Fall verliere...
    https://diasp.eu/p/14170584

    Also wenn ich das richtig sehe, wird Europa auf jeden Fall verlieren

    Vorteile hat so ein Europa interner Krieg ja nur für die Waffen liefern oder die die Rohstoffverteilung neu organisieren wollen. Also die USA und China. China hält sich so ganz offiziell bis jetzt raus, wird aber sicher der Top-Abnehmer des russischen Reichtums und wenn man die chinesischen Medien anschaut, ist da ja kein Zweifel auf wessen Seite die da zur Not sind. Die USA machen fröhlich Geschäfte mit allen Beteiligten und die hätten bestimmt auch nichts gegen ein Steinzeiteuropa – weniger Stress. Atombomben gibts ja auch noch.

    #china #krieg #nato #russland #usa Originally posted at: (...)

  • Wenn etwas schiefgeht, dann wird es vor allem uns treffen
    https://diasp.eu/p/14114998

    Wenn etwas schiefgeht, dann wird es vor allem uns treffen

    Dirk Pohlmann hat in wenigen Worten skizziert, wie wir in Sachen Ukraine, Russland, Nordstream 2 usw. an der Nase herumgeführt werden. Und was uns droht. Albrecht Müller.

    Nordstream 2 gibt es, weil die deutsche Regierung es wollte, nicht weil die russische es wollte. Deutschland braucht Gaslieferungen, um sicher Grundlast-Strom produzieren zu können, nachdem die Nuklearkraftwerke abgeschaltet werden.

    Die USA sind gegen Nordstream 2, sie versuchen die Pipeline zu stoppen, seit vielen Jahren, mit vielen Mitteln. Aus vielen Gründen, aus geopolitischen, aber auch aus simplen wirtschaftlichen Interessen. Frackinggaslieferungen aus den USA wären beides, ein Geschäft und erpressungsfähiger Einfluss auf Deutschland.

    Die USA wollen die NATO (...)

  • [En continu] Le Kremlin dénonce une « hystérie » américaine « à son apogée »
    Publié samedi 12 février 2022 - Le Temps
    https://www.letemps.ch/monde/continu-kremlin-denonce-une-hysterie-americaine-apogee

    (...) L’Ukraine dénonce « l’hystérie » de la Maison-Blanche

    Les avertissements américains évoquant une attaque imminente de la Russie contre l’Ukraine « provoquent la panique et n’aident pas » les Ukrainiens, a dénoncé samedi le président Volodymyr Zelensky, cité par l’agence Interfax-Ukraine. « Actuellement, le meilleur ami de nos ennemis est la panique dans notre pays. Et toutes ces informations (sur une possible attaque) ne font que provoquer la panique et ne nous aident pas », a-t-il dit lors d’un déplacement en province.

    Les avertissements américains évoquant une attaque imminente de la Russie contre l’Ukraine « provoquent la panique et n’aident pas » les Ukrainiens, a dénoncé samedi le président Volodymyr Zelensky, cité par l’agence Interfax-Ukraine. « Actuellement, le meilleur ami de nos ennemis est la panique dans notre pays. Et toutes ces informations (sur une possible attaque) ne font que provoquer la panique et ne nous aident pas », a-t-il dit lors d’un déplacement en province.

    Il a jugé qu’il y avait « trop » d’annonces annonçant une « guerre profonde, totale de la part de la Russie ». « Si vous avez une information en plus sur une invasion certaine à 100%, donnez-la nous ! », a-t-il encore insisté. « Nous comprenons les risques, nous savons qu’ils sont là », a-t-il ajouté.

    La diplomatie ukrainienne, qui n’a cessé de juger les Etats-Unis trop alarmistes sur le sujet, estimait un peu plus tôt qu’il était « extrêmement important de garder le calme ». La porte-parole de la diplomatie russe Maria Zakharova affirmait que « l’hystérie de la Maison-Blanche est plus révélatrice que jamais. Les Anglo-Saxons ont besoin d’une guerre ».

    La diplomatie ukrainienne, qui n’a cessé de juger les Etats-Unis trop alarmistes sur le sujet, estimait un peu plus tôt qu’il était « extrêmement important de garder le calme ». La porte-parole de la diplomatie russe Maria Zakharova affirmait que « l’hystérie de la Maison-Blanche est plus révélatrice que jamais. Les anglo-saxons ont besoin d’une guerre ». (...)

    #Ukraine

    • Gaspreis-Explosion – für die Medien kein Thema, außer man kann Putin dafür verantwortlich machen

      https://www.nachdenkseiten.de/?p=80121

      [...]

      Polen will schon im nächsten Jahr vollkommen unabhängig von russischem Gas sein. Das ist zwar Unsinn, aber so lautet die offizielle Sprachregelung der polnischen Regierung. Man hat die langfristigen Lieferverträge mit Russland gekündigt und bezieht sein Gas nun zu großen Teilen auf dem liberalisierten EU-Spotmarkt für Erdgas. Nun ist Gas aber keine Ware, die man per Mausklick virtuell transportieren kann. Ab 2023 will Polen einen großen Teil seines Gasbedarfs über die neu gebaute Baltic Pipe über Dänemark aus Norwegen beziehen. Der Rest soll durch Flüssiggasimporte aus den USA gedeckt werden und da das nicht reicht, wird Polen de facto einen großen Teil seines Gases aus einem Land beziehen, das selbst Gasimporteur ist: Deutschland. Und bis Baltic Pipe Gas liefert, bezieht Polen sogar den größten Teil seines Erdgases aus Deutschland. Deutsches Gas? Das von Deutschland nach Polen exportierte Gas stammt natürlich nicht aus Deutschland, sondern aus Russland. Deutsche Händler kaufen ganz einfach russisches Gas und verkaufen es dann an die Polen. Dies sei durch den Umweg über Deutschland für Polen aus der „Sicherheitsperspektive“ jedoch unproblematisch.

      Der polnische Wunsch nach einer energiepolitischen Unabhängigkeit von Russland ist dabei ein äußerst lukratives Geschäft für deutsche Gashändler. Die kaufen das Gas preiswert aus den in langfristigen Lieferverträgen vereinbarten Abnahmemengen aus Russland ein und verkaufen es dann zu den weitaus höheren Preisen auf dem Spotmarkt und den Futuremärkten an Polen weiter. Noch verrückter wird die ganze Geschichte, wenn man sich die physischen Lieferwege anschaut. Deutschland bezieht dieses Gas hauptsächlich aus Russland über die durch Polen verlaufende Jamal-Pipeline. Und über eben diese Pipeline liefern die Händler dann auch das Gas im Rückwärtsbetrieb an Polen weiter.

      Genau das passiert durchgängig seit nunmehr 36 Tagen. Nach Meldungen des deutschen Netzbetreibers Gascade liefert die Jamal-Pipeline seitdem nicht etwa russisches Gas in deutsche Speicher, sondern umgekehrt russisches Gas aus deutschen Speichern ostwärts nach Polen und von dort aus sogar in die Ukraine. Zurzeit beträgt das Liefervolumen sagenhafte 13 Millionen Kilowattstunden pro Stunde. Das ist, gemessen am derzeitigen Gaspreis an den Spotmärkten, Gas im Wert 1,3 Millionen Euro pro Stunde, 31,2 Millionen Euro pro Tag. Leider ist nicht bekannt, zu welchem Preis die Händler das Gas zuvor aus Russland eingekauft haben. Wenn der Preis sich jedoch an dem langfristigen Durchschnittspreis auf dem Future-Markt orientiert, so kann man davon ausgehen, dass sie zurzeit mindestens 400% Gewinn machen.

      Nun ist es aber nicht nur so, dass nur deutsche Spekulanten sich mit diesem Dreieckhandel die Taschen vollstopfen. Gas, das eigentlich für deutsche Kunden bestimmt ist, fließt nach Polen und in die Ukraine und gleichzeitig kommt kein neues Gas aus Russland durch die Jamal-Pipeline in die deutschen Gasspeicher, da diese ja im Rückwärtsbetrieb Gas aus den Speichern gen Osten transportieren muss. Die Folge: Die Speicher leeren sich und auf dem deutschen Gasmarkt treibt die Knappheit den Preis in die Höhe. Die Versorger geben diese Preissteigerungen an die Verbraucher weiter. Energieintensive Unternehmen gehen pleite und ein durchschnittlicher Haushalt muss mehr als 100 Euro pro Jahr mehr für die Heizkosten aufbringen. Somit zahlen letztlich auch deutsche Haushalte den Preis dafür, dass Länder wie Polen mit politischer Unterstützung Deutschlands ihre antirussischen Reflexe energiepolitisch umsetzen. Aber klar, Schuld daran ist natürlich Putin. Wer sonst?

      Warum liest man über diese Zusammenhänge nichts in den Zeitungen? Warum ist das politisch kein Thema?

      [...]

      pris du #gaz #Pologne #Ukraïne #Russie
      #entrepôts #spéculation

  • Nord Stream 2, le gazoduc de la discorde
    https://www.connaissancedesenergies.org/afp/nord-stream-2-le-gazoduc-de-la-discorde-220128

    AFP parue le 28 janv. 2022 - 12h09
    (...)
    Pas encore exploité mais promu par le géant russe Gazprom, le projet, estimé à plus de 10 milliards d’euros, a été cofinancé par cinq groupes européens du secteur de l’énergie (OMV, Engie, Wintershall Dea, Uniper et Shell).

    (...)

    L’Ukraine craint, à terme, de perdre les revenus qu’elle tire du transit du gaz russe et d’être plus vulnérable vis-à-vis de Moscou.

    Les Etats-Unis sont depuis le début vent debout contre un aménagement qui affaiblirait économiquement et stratégiquement l’Ukraine, augmenterait la dépendance de l’UE au gaz russe et dissuaderait les Européens d’acheter le gaz de schiste que les Américains espèrent leur vendre.

    On pourrait demander aux américains de payer pour construire u n gazoduc qui relierait les US à l’Europe ? Comme les Russes ont fait avec leurs gazoducs... Et comme ça, on pourrait bénéficier de l’assistance désintéressée et bienfaitrice des américains. (ça n’arrivera jamais, évidemment ; les américains, ce sont ces gens qui sont capables d’acheter du gaz russe pour le revendre à ses alliés au prix fort)

    Les européens sont priés d’accepter d’être la cible des missiles russes, du fait des missiles américains sur son sol. Et d’accepter les prix élevés du gaz, du fait de l’obligation de le faire transiter par le territoire ukrainien, avec les conditions financières de ce transit. Le parrain américain, il te dit, ami européen, que le gaz russe, si tu en veux, tu devras le payer au prix fort. Être protégé, ça a un coût et il ne faut pas tenter de le contourner, ce coût.

  • Face à la Russie, il faut arrêter le gazoduc Nord Stream 2
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2021/01/25/face-a-la-russie-il-faut-arreter-le-gazoduc-nord-stream-2_6067495_3232.html

    Editorial. La chancelière allemande Angela Merkel et l’Union européenne doivent se rendre à l’évidence. L’affaire Navalny et l’attitude du pouvoir russe exigent une politique plus claire des Européens, et notamment l’arrêt des travaux du gazoduc.

    pas vraiment une surprise…

    • ... et rien de nouveau

      #Nordstream #Nord_Stream 2 #Russie #Allemagne #États-Unis
      #gazoduc #LNG #géopolitique #Navalny

      –---------------

      déjà pendant des années 1960 ...

      Röhrenembargo

      https://de.wikipedia.org/wiki/R%C3%B6hren-Embargo

      Das Röhren-Embargo war ein gegenüber den Staaten des Ostblocks – speziell gegenüber der Sowjetunion – verhängtes Embargo, das den Export von Großröhren für den Bau von Gas- und Öl-Pipelines ab 1963 nahezu komplett unterband. Das Röhren-Embargo wurde in der Bundesrepublik Deutschland am 18. Dezember 1962 verkündet und setzte einen Beschluss des NATO-Rates um, der in der Zeit des kalten Krieges die Politik der kleinen Nadelstiche verfolgte um die Entwicklung des Ostblockes so weit wie möglich zu behindern. Insbesondere sollte der Bau der Erdölleitung Freundschaft verhindert werden, die die DDR mit Rohöl aus der Sowjetunion beliefern sollte. Die Fertigstellung dieser und weiterer Pipeline-Projekte wurde allerdings nur verzögert.

      Das Embargo hatte für die Entwicklung der Ost-West-Beziehungen weitreichende Folgen, da es die wirtschaftlichen Beziehungen zu östlichen Handelspartnern extrem erschwerte, weil auch bereits unterzeichnete Verträge der Unternehmen Mannesmann, Phoenix-Rheinrohr und Hoesch nicht mehr erfüllt werden konnten. Das Embargo hatte Bestand bis November 1966, da es außer dem durch den Vertrauensverlust für die westliche Welt entstandenen Schaden keinen nennenswerten Einfluss hatte. Für westdeutsche Firmen kam der direkte Export von Röhren in die Sowjetunion wieder in Gang mit den 1970 begonnenen Röhren-Erdgas-Geschäften.

      #sanctions et #guerre_froide #USSR

  • Nord Stream 2 says preparations for construction in Danish waters can go ahead | Reuters
    https://www.reuters.com/article/us-nordstream-russia-denmark-idUKKBN29K0LG

    FILE PHOTO: The Russian pipe-laying ship “Fortuna” is seen in the Mecklenburg Bay ahead of the resumption of Nord Stream 2 gas pipeline construction near Insel Poel, Germany January 14, 2021.
    REUTERS/Annegret Hilse_

    The Russia-led Nord Stream 2 (NS2) consortium on Friday said preparatory work to complete the subsea gas pipeline to Germany in Danish waters can go ahead, pointing to the latest notifications by the Danish Maritime Authority.

    Denmark’s Nautiskinformation notified shippers on Thursday that prohibited areas near Bornholm would be established beginning on Friday for the pipe laying vessel Fortuna, assisted by construction and supply vessels.

    Earlier, the German business daily Handelsblatt said the NS2 group, which is led by Russia’s Gazprom, was delaying the completion work, linking this to enhanced sanctions pressure from Washington aimed at halting the project.

    A spokesman for the Switzerland-based group, who had referenced the Danish website, said he would not comment any further.

    The consortium will probably be able to say at the end of January or in early February when work will resume, the Handelsblatt report had quoted the group as saying.

    More than 90% of the project has been completed.

    According to Refinitiv Eikon ship tracking data, the Fortuna was anchored near the German port of Rostock on Friday.

    Construction of Nord Stream 2 was initially halted in December 2019 following the sanctions threat from the United States, which wants to cut Europe’s dependence on Russian energy and sell its own liquefied natural gas to the region.

    • propre lien:

      https://www.heise.de/tp/features/Nord-Stream-2-Neue-Genehmigung-aber-noch-kein-Weiterbau-5026018.html

      Nord Stream 2: Neue Genehmigung, aber noch kein Weiterbau | 2021-01-15

      [...]

      Einen „genauen Termin für die Wiederaufnahme der Verlegearbeiten“ könne man voraussichtlich erst Ende Januar oder Anfang Februar nennen.

      Dass man sich so wenig auskunftsfreudig zeigt, dürfte auch mit der Drohung neuer Sanktionen der US-Staatsführung zusammenhängen, die den Fertigbau parteiübergreifend verhindern möchte. Die Regierung des Bundeslandes Mecklenburg-Vorpommern hat deshalb eine „Stiftung Klima- und Umweltschutz MV“ ins Leben gerufen, die Geschäfte tätigen könnte, vor denen international tätige private Unternehmen aus Angst vor solchen Sanktionen zurückschrecken. Die Satzung dieser Stiftung sieht vor, dass die Nord Stream 2 AG den Geschäftsführer der SKUMV vorschlägt, und dass der Vorstand seine „Geschäftsgrundsätze im Benehmen mit der Nord Stream 2 AG“ festsetzt.

      [...]

      Auch Benedikt Brechtken, der 21-jährige Twitter-Star der Liberalen, hält das Vorgehen der mecklenburgischen Ministerpräsidentin für unaufrichtig: „Wenn Manuela Schwesig schon auf Kuschelkurs mit Putin geht“, so der Vertreter des libertären Flügels der Partei gegenüber Telepolis, dann „sollte sie wenigstens offen dazu stehen“: „Aber ihre durchsichtige Bemühung, die Anbiederung an Russland durch Klimaschutz-Pathos zu verdecken, kann man nur als versuchte Wählerverarsche bezeichnen.“

      Ganz von der Hand zu weisen ist ein Zusammenhang zwischen der Nord-Stream-2-Leitung und der vor allem von den Grünen propagierten Klima- und Umweltschutzpolitik aber nicht: Mit dem Gas, das die Pipeline liefert, werden nämlich nicht nur Wohnungen beheizt, in denen der Einbau neuer Ölkessel ab 2026 verboten ist - es werden auch Kraftwerke betrieben, die Grundlaststrom liefern, wenn der Wind nicht weht und die Sonne nicht scheint. In der Vergangenheit kam dieser Grundlaststrom außer aus Kohle- vor allem aus Kernkraftwerken. Aber die Kernkraftwerke, die noch laufen, sollen dem Willen der Bundesregierung und der Grünen nach bis Ende 2022 abgeschaltet werden.

      Nach dem Beinahe-Blackout vom letzten Freitag beunruhigt das nicht nur Energieexperten in Deutschland, sondern auch im benachbarten Ausland. Werner Hengst, der Geschäftsführer von Netz Niederösterreich, warnte am Dienstag davor, dass sich „die Situation in den nächsten Jahren durch den starken Ausbau der volatilen Erneuerbaren-Stromerzeugung und den Wegfall großer Back-up-Kraftwerke in Europa verschärfen wird“. Die 50.000 Megawatt, die dann nicht mehr zur Verfügung stehen, entsprechen seiner Rechnung nach der Leistung von „mehr als zweihundert Donau-Kraftwerken“.

      [/]

      #auf_deutsch

      #Nordstream #Nord_Stream 2 #Russie #Allemagne #États-Unis
      #éléctricité #charge_de_base #gazoduc

      cf. aussi: https://seenthis.net/messages/896502

  • Pour la vie et contre l’argent
    Le CNI-CIG et l’EZLN appellent à la solidarité
    avec le Front des peuples en défense de la terre et de l’eau
    des États de Morelos, Puebla et Tlaxcala

    CNI, EZLN

    https://lavoiedujaguar.net/Pour-la-vie-et-contre-l-argent-Le-CNI-CIG-et-l-EZLN-appellent-a-la-s

    Nous, Congrès national indigène - Conseil indigène de gouvernement et l’EZLN, dénonçons la lâche expulsion des compañeros du campement en résistance de San Pedro Apatlaco, dans l’État de Morelos, perpétrée par la Garde nationale au petit matin du 23 novembre pour reprendre illégalement la construction du conduit qui transporte l’eau de la rivière Cuautla à la centrale thermoélectrique de Huexca.

    Avec quel cynisme le gouvernement néolibéral qui prétend diriger ce pays obéit à ses patrons qui sont le grand capital, avec quel cynisme les forces armées, sous les ordres du contremaître, violente les peuples pour livrer l’eau de la rivière Cuautla, volée aux villages paysans d’Ayala, aux entreprises qui bénéficient du Projet intégral Morelos, comme Elecnor et Enagasa, à qui il a accordé la concession du gazoduc ; Bonatti et Abengoa, constructeurs du gazoduc et de la centrale thermoélectrique de Huexca ; et ceux qui bénéficieront de la consommation de gaz, comme Saint-Gobain, Nissan, Burlington, Continental et Gas Natural del Noreste.

    Avec le Projet intégral Morelos, les forces armées et le gouvernement néolibéral, utilisant des survols militaires, avancent dans la répression et l’imposition de l’infrastructure énergétique, s’appuyant sur la destruction et la dépossession du territoire des peuples indigènes (...)

    #Mexique #EZLN #peuples_originaires #Puebla #Morelos #Tlaxcala #Popocatepetl #mégaprojet #gazoduc #résistance #solidarité

  • Israël rejoint un nouveau forum régional en vue de vendre du gaz à l’Europe
    Par Sue Surkes 23 septembre 2020 | The Times of Israël
    L’État juif s’associe à l’Égypte, la Jordanie, la Grèce, Chypre, l’Italie et l’AP pour officialiser le club énergétique de Méditerranée orientale ; la Turquie est ignorée
    https://fr.timesofisrael.com/israel-rejoint-un-nouveau-forum-regional-en-vue-de-vendre-du-gaz-a

    Dans un contexte de changements géopolitiques accélérés au Moyen-Orient, Israël a rejoint mardi l’Égypte, la Jordanie, la Grèce, Chypre, l’Italie et l’Autorité palestinienne pour signer les statuts du EastMed Gas Forum (EMGF), établissant officiellement Israël et l’Égypte comme une organisation intergouvernementale régionale, basée au Caire.

    Le forum veut coopérer à la mise en place d’un gazoduc de gaz naturel reliant Israël, la Grèce et Chypre à l’Italie et à l’Europe. L’objectif final est d’approvisionner le continent avec 10 % de son gaz.

    Le forum a été lancé il y a trois ans par le ministre de l’Energie Yuval Steinitz avec son homologue égyptien, Tarek El Mula. Les Égyptiens ont organisé la signature en ligne de mardi, qui a suivi l’encrage d’un protocole d’accord en janvier.
    (...)
    La France a demandé à rejoindre l’organisme et l’Union européenne et les États-Unis y participent en tant qu’observateurs. Ces derniers sont particulièrement soucieux de maîtriser la puissance de la Russie, qui demeurait l’an dernier le plus grand fournisseur de gaz naturel et de pétrole de l’UE, devant la Norvège. (...)

    #Gazoduc

  • Live übertragen am 09.09.2020 phoenix runde: Nord Stream 2 – Brauch...
    https://diasp.eu/p/11689217

    Live übertragen am 09.09.2020

    phoenix runde: Nord Stream 2 – Brauchen wir die Pipeline?

    https://www.youtube.com/watch?v=onNge1YyV14

    Ist es das Ende für die Ostseepipeline Nord Stream 2? Das Projekt wird als mögliches Druckmittel auf Moskau im Fall des vergifteten russischen Oppositionellen Nawalny gehandelt. Viele osteuropäische Länder wären damit mehr als einverstanden. Das Projekt ist von je her umstritten. Bedenken gab und gibt es wegen Russlands möglicher geostrategischer Einflussnahme durch das Pipelineprojekt. Doch wie wichtig ist die Ostseepipeline für die europäische Energieversorgung? Gewinnt Russland an Einfluss durch Nord Stream 2 oder nicht? Alexander Kähler diskutiert mit: Prof. Claudia Kemfert, Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung Michael Harms, Ost-Ausschuss der Deutschen (...)