• #Mothership

    In the middle of the Mediterranean Sea, the crew of the #Ocean_Viking is rescuing people in exile fleeing Libya, crammed in unseaworthy boats. Once rescued and welcomed on board, survivors receive first aid, then accompanied to a safe port. On this ship, like a refuge within a refuge, the Women’s Shelter is a listening and care center for women and children.

    To ensure that people in distress are rescued in compliance with human rights and maritime law, a tug-of-war between authorities and humanitarian aid workers occurs on a daily basis.

    https://www.thepartysales.com/movie/mothership
    https://vimeo.com/943563441/3f3fb81516?share=copy

    #sauvetage #mer #Méditerranée #migrations #réfugiés
    #film #film_documentaire #Muriel_Cravatte

  • Relier les rives. Sur les traces des morts en Méditerranée

    Sur le port de #Catane, à l’est de la Sicile, des milliers de personnes en péril débarquent, accompagnées des corps de celles qui n’ont pas survécu à la traversée de la Méditerranée. Dans un contexte d’#indifférence générale à cette #hécatombe et un environnement politique marqué par la criminalisation des migrants, un petit groupe d’habitants et d’habitantes s’est mobilisé pour redonner un nom aux défunts et joindre leurs familles. L’ouvrage retrace cette initiative locale inédite, qu’aucune autorité nationale ou européenne n’avait entreprise jusque-là de façon systématique.
    Au cours des visites répétées au #cimetière, des lectures de dossiers administratifs et des enquêtes conduites pour suivre les pistes susceptibles de relier un corps à une histoire, un attachement particulier à ces inconnus naît. Le livre raconte les vies des morts auprès de celles et ceux qui les accueillent sur l’autre rivage. Il explore les tentatives collectives et intimes menées pour tracer un chemin entre nous et les autres.
    Émaillé d’extraits de textes rédigés par des hommes et des femmes soucieux d’empêcher l’oubli, ainsi que des poèmes et des chansons qui donnent, à leurs yeux, sens à leur engagement, ce récit entend restituer la dimension sensible de leurs investigations. Il rend également perceptible la fragilité des liens invisibles et rarement mis en mots qui unissent des vivants à des morts dont ils ne savent (presque) rien.

    https://www.editionsladecouverte.fr/relier_les_rives-9782348083761
    #livre #Filippo_Furri #Carolina_Kobelinsky #mourir_aux_frontières #Italie #morts_aux_frontières #migrations #réfugiés #Méditerranée #identification

  • Why is Italy forbidding NGO planes from departing from Sicily?

    NGO planes are forbidden from departing from five Italian airports near migrant routes on the Mediterranean, officials said this week. Here’s more background on the decision.

    NGO planes that patrol Mediterranean waters for migrant vessels in distress will no longer be able to depart from airports in Sicily, Italy’s civil aviation authority announced this week.

    Here’s some background on the specifics of the decision.
    No flights from Sicilian airports

    Italy’s National Entity for Civil Aviation (#ENAC) — a department of the Ministry of Transport, which is headed by Matteo Salvini — signed five ordinances barring NGO planes from departing the Sicilian airports of Palermo (Punta Raisi and Bocca di Falco), Lampedusa, Pantelleria and Trapani.

    According to the ordinance, these civil airplanes not only violate “the regulative legal framework of the Search and Rescue missions” but also risk “compromising the safety of migrant people who are not assisted by the current protocols approved by the Maritime Authority.”

    ENAC, in the ordinance, further stated that “anyone who takes part in Search and Rescue operations outside the legal provisions of the framework currently in place is punished with sanctions listed in the navigation code, and additional sanctions such as the administrative detention of the airplane.”
    Nadir rescue

    While the new ordinance was announced, German NGO Resquship vessel Nadir rescued a dinghy carrying 57 migrants in international waters.

    https://www.infomigrants.net/en/post/56955/why-is-italy-forbidding-ngo-planes-from-departing-from-sicily

    #sauvetage #Seabird #avions #criminalisation_de_la_solidarité #Méditerranée #mer_Méditerranée #migrations #réfugiés #Colibrì #Pilotes_Volontaires #Italie #aéroports

    • Migranti, il ministero di Salvini vuole fermare gli aerei delle ong. Le ordinanze emanate dall’Enac: “Elusione del quadro normativo”

      Non solo le navi, più volte sottoposte a fermi amministrativi per aver disobbedito alla guardia costiera libica. Adesso il governo prova a impedire alle ong di usare gli aerei che monitorano il Mediterraneo centrale per segnalare imbarcazioni in difficoltà, ma anche per documentare respingimenti o il comportamento dei libici, più volte filmati mentre intimidiscono gli equipaggi delle navi umanitarie o addirittura mentre sparano nel bel mezzo di un soccorso. Lo strumento per fermare velivoli come il Seabird della ong Sea Watch potrebbero essere alcune ordinanze emanate dell’Ente nazionale per l’Aviazione civile (Enac), controllato dal Ministero dei Trasporti di Matteo Salvini. “Interdizione all’operatività dei velivoli e delle imbarcazioni delle ONG sullo scenario del Mare Mediterraneo centrale”, titolano i provvedimenti, che in base a non meglio precisate “segnalazioni trasmesse dal Comando generale della Guardia costiera” accusano i velivoli delle ong di “sostanziale elusione del quadro normativo di riferimento” e minacciano sanzioni e sequestri.

      “Chiunque effettua attività in ambito Search and Rescue al di fuori delle previsioni del quadro normativo vigente è punito con le sanzioni di cui al Codice della navigazione, nonché con l’adozione di ulteriori misure sanzionatorie quali il fermo amministrativo dell’aeromobile“, dice il primo dei due articoli che compongono le ordinanze emanate dall’Enac nei giorni scorsi per tutti gli aeroporti siciliani e delle due isole minori, compreso quello di Lampedusa, il principale scalo utilizzato dai due velivoli operativi, il Seabird di Sea Watch e il Colibrì della ong svizzera Pilots Volontaires. Le ordinanze emanate dalle direzioni territoriali della Sicilia Occidentale e Orientale di Enac sono già in vigore e fin dalle prossime ore potrebbero abbattersi sugli aerei umanitari, impedendo loro di decollare e quindi di sorvolare il Mediterraneo.

      Questo il ragionamento: “Ritenuto che alla luce della normativa nazionale e sovranazionale citata, solo il Comando Generale della Guardia Costiera deve essere riconosciuto unica Autorità Marittima nazionale competente in ambito SAR”, “preso atto delle segnalazioni trasmesse dalla predetta Autorità marittima circa le reiterate attività effettuata da velivoli e natanti, riconducibili alla proprietà di Soggetti anche extra U/E, che si traduce nel prelievo – da imbarcazioni di fortuna – di persone migranti provenienti da rotte nordafricane”, vista la già citata “sostanziale elusione del quadro normativo “che si traduce per la Guardia Costiera nazionale in un aggravio dei propri compiti istituzionali di intervento in mare” e addirittura, si legge, nel rischio di “compromettere l’incolumità delle persone migranti non assistite secondo i protocolli vigenti ed approvati dall’Autorità marittima”, gli aerei che non rispettano le regole rischiano il fermo amministrativo. Come nel caso delle navi, il fermo potrà essere impugnato davanti ai tribunali amministrativi. Ma nel frattempo si resta a terra.

      I legali delle ong sono già al lavoro per contrastare le ordinanze, che almeno nella forma sembrano piuttosto vaghe. Non è chiaro infatti a quali violazioni si riferiscano. Gli aerei non portano materialmente a termine le operazioni SAR e qualora segnalino barche in pericolo sono poi i comandanti delle navi a interagire e ricevere istruzioni dal centro nazionale di coordinamento di soccorso marittimo competente per l’area SAR interessata. L’accusa potrebbe essere la stessa mossa sempre più spesso alle navi umanitarie, quella di interferire con la guardia costiera libica in zona SAR di sua competenza. Ma le ordinanze non citano i decreti del governo Meloni, quelli voluti dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, la cui supposta violazione motiva i recenti fermi proprio con l’accusa di aver disobbedito ai libici. Accusa che più volte è stata dimostrata infondata, anche grazie ai video che smentiscono la versione dei libici. E che nessuno avrà modo di registrare se gli aerei resteranno a terra. Peggio, i migranti in pericolo segnalati dai velivoli potrebbero non essere intercettati. “In passato ci è capitato di avvistare persone in mare dopo che la loro barca si era già capovolta, e di riuscire a farle soccorrere”, racconta al Fatto un componente dell’equipaggio del Seabird. “In alcuni casi è stato chiarissimo: senza un aereo in grado di avvistarli non avrebbero avuto scampo”.

      Le ordinanze di Enac, dichiara la ong Sea Watch, “hanno il chiaro scopo di fermare i nostri aerei da ricognizione, ovvero gli unici occhi della società civile nel Mediterraneo. Occhi fondamentali per documentare le quotidiane violazioni dei diritti umani che vi avvengono, comprese quelle perpetrate dalla cosiddetta guardia costiera libica attraverso le motovedette e le risorse generosamente elargite dal Governo italiano. Fermare gli aerei ONG vuol dire rendere cieca la società civile e i cittadini italiani ed europei rispetto a quanto avviene nel Mediterraneo come risultato delle politiche migratorie dei loro governi. Un atto vigliacco e cinico di chi usa la criminalizzazione delle ONG come strumento di propaganda politica in vista delle imminenti elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. Non fermeremo le nostre operazioni anche a costo di mettere in pericolo i nostri aerei. Questo attacco che calpesta il diritto internazionale non ci impedirà di continuare a dare fastidio a chi vorrebbe che quanto avviene quotidianamente nel Mediterraneo rimanesse segreto e senza foto e video a documentarlo”.

      https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/05/07/migranti-il-ministero-di-salvini-pronto-a-fermare-gli-aerei-delle-ong-ordinanze-dellenac-elusione-del-quadro-normativo/7539355

  • L’Australie et les Tuvalu ont finalisé un traité historique prévoyant l’accueil de réfugiés climatiques
    https://www.lemonde.fr/planete/article/2024/05/11/l-australie-et-les-tuvalu-ont-finalise-un-traite-historique-prevoyant-l-accu

    L’Australie et les Tuvalu ont finalisé un traité historique prévoyant l’accueil de réfugiés climatiques
    Par Isabelle Dellerba (Sydney, correspondance)
    L’archipel des Tuvalu, un micro-Etat insulaire du Pacifique Sud menacé de disparaître sous les flots d’ici à la fin du XXIe siècle, pouvait difficilement refuser la main tendue par Canberra. En novembre 2023, l’Australie a offert l’asile climatique à l’ensemble de sa population en échange d’un droit de regard sur les pactes de sécurité qu’il envisagerait de signer avec d’autres nations. Ce traité historique a provoqué de vifs débats dans l’archipel, inquiet pour sa souveraineté. Jeudi 9 mai, les deux pays ont conclu un « mémorandum explicatif » qui, en levant certaines zones d’ombre, devrait permettre sa mise en œuvre dès l’année 2024.
    Principal point de contentieux, l’article 4, qui stipule que Canberra aura son mot à dire sur « tout partenariat, accord ou engagement » que les Tuvalu voudraient conclure avec d’autres Etats ou entités sur les sujets de sécurité et de défense ; une clause très critiquée par les Tuvaluans, qui l’ont associée à un droit de veto.Pour mettre fin au débat, le mémorandum précise que cet article ne s’appliquera que dans un « nombre restreint de circonstances » et que les « Tuvalu n’ont pas besoin de la permission de l’Australie avant de commencer à discuter avec d’autres partenaires ». Afin d’aplanir les derniers doutes, il ajoute que chaque partie « peut suspendre les obligations et même résilier le traité par accord mutuel ou unilatéralement ».
    De manière générale, ce mémorandum détaille et confirme les principales dispositions du traité. Il rappelle que l’île-continent viendra en aide à ces îles polynésiennes en cas d’agression militaire, de catastrophe naturelle ou encore de pandémie. Mais aussi et surtout que l’Australie offrira, chaque année, la résidence permanente à 280 Tuvaluans – « tirés au sort » parmi les candidats au départ –, ce qui devrait lui permettre d’accueillir, à terme, les 11 200 habitants de l’archipel.
    Richard Gokrun, directeur de l’organisation Tuvalu Climate Action Network, joint par téléphone par Le Monde, n’a pas l’intention de faire ses valises, mais plutôt de se battre pour assurer un avenir à son peuple, même s’il ne peut que constater chaque jour les dégâts causés par le changement climatique dans son pays constitué de neuf atolls coralliens à fleur d’eau. (...) Cette année, le phénomène océanographique qui submerge habituellement les zones basses de cette langue de terre perdue en plein milieu de l’océan Pacifique a été encore amplifié par de fortes pluies et des vents violents. Les vagues ont atteint 3,41 mètres. L’eau salée a recouvert les cultures, y compris dans des zones jusqu’ici épargnées, a poussé des rochers sur la terre et a endommagé des parties de la route principale, paralysant l’activité des habitants. Avant la fin du siècle, 95 % du territoire des Tuvalu pourrait être inondé par de grandes marées périodiques si la hausse des températures n’est pas maintenue en dessous de 1,5 °C, rendant le pays inhabitable.
    (...) Sur place, les autorités sont à pied d’œuvre. Elles ont d’ores et déjà entrepris de gagner 7,5 hectares de terre sur la mer, en draguant le sable du lagon, pour arrêter les vagues et empêcher l’eau de monter à travers le sol. A terme, elles ont prévu, avec le soutien du Programme des Nations unies pour le développement, de surélever une partie du territoire de la capitale pour y relocaliser progressivement les infrastructures et la population, si elles obtiennent le financement nécessaire.
    Jeudi, le gouvernement australien a annoncé qu’il allait investir 12 millions d’euros pour soutenir ces projets d’adaptation et débourser, au total, 67 millions d’euros d’aides supplémentaires. « Mais il y a déjà de nombreux Tuvaluans qui envisagent de partir pour mettre à l’abri leur famille et assurer leur avenir », regrette l’activiste Richard Gokrun. Ce dernier aurait souhaité que l’Australie, qui continue à approuver de nouveaux projets de mines de charbon, dont quatre ces deux dernières années, s’engage aussi à faire davantage pour réduire ses émissions de gaz à effet de serre.
    Le gouvernement travailliste, dirigé par Anthony Albanese, s’est doté d’une politique climatique relativement ambitieuse – réduire de 43 % les émissions de gaz à effet de serre d’ici à 2030 par rapport à 2005 –, mais qui est pour l’heure insuffisante pour limiter le réchauffement au-dessous de 2 °C par rapport à l’aire préindustrielle. D’autant plus que, jeudi, il a annoncé qu’il prévoyait de recourir au gaz naturel « d’ici à 2050 et au-delà ». Cette annonce a immédiatement provoqué la colère des organisations de défense de l’environnement. « Nous croyons que le Pacifique mérite un avenir meilleur que celui que cette stratégie gazière nous impose. L’Australie ne peut pas espérer réparer les relations avec la région tout en continuant d’extraire et d’exporter la destruction climatique », a notamment condamné Joseph Sikulu, directeur de la région Pacifique de l’ONG 350.org. Avant son entrée en vigueur, le traité, qui est le premier accord bilatéral jamais conclu spécifiquement axé sur la mobilité climatique, sera examiné par les Parlements des deux pays et fera l’objet d’une consultation publique.

    #Covid-19#migrant#migration#australie#tuvalu#refugieclimatique#securite#environnement#sante#asileclimatique#politiquemigratoire

  • Le « pacte migratoire » européen, sitôt voté, sitôt contesté
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2024/05/10/le-pacte-migratoire-europeen-sitot-vote-sitot-conteste_6232420_3232.html

    Le « pacte migratoire » européen, sitôt voté, sitôt contesté
    Philippe Jacqué, Bruxelles, bureau européen
    Mardi 14 mai, le conseil des ministres de l’économie de l’Union européenne (UE) doit ratifier le pacte sur la migration et l’asile. Un mois après le vote du Parlement européen, les Etats valideront cette dizaine de textes qui doivent permettre d’harmoniser la gestion de l’arrivée des migrants aux frontières du continent. Après huit ans de négociations, l’UE disposera enfin de règles communes en matière d’enregistrement et de filtrage des demandeurs d’asile, le plus souvent à la frontière dans des centres fermés, et de leur retour dans leur pays d’origine s’ils n’obtiennent pas le statut de réfugié.
    Un système de solidarité entre les Vingt-Sept sera également organisé pour alléger la tâche des pays en première ligne comme l’Italie, l’Espagne, la Grèce, Malte et Chypre. En parallèle, la Commission européenne a multiplié les accords avec les pays du pourtour méditerranéen, comme la Tunisie, l’Egypte et dernièrement le Liban, pour qu’ils contrôlent mieux les départs de migrants, en échange de soutiens financiers.
    Le « pacte migratoire » et ces accords doivent permettre de réduire le nombre d’arrivées irrégulières en Europe. En 2023, quelque 380 000 personnes sont arrivées sur les côtes européennes, le nombre le plus élevé depuis la crise des réfugiés syriens, en 2015. Plus d’un million de personnes étaient alors arrivées sur le continent.Des chercheurs, organisations non gouvernementales et groupes politiques de gauche critiquent cette politique qui renforce l’« Europe forteresse », sans offrir pour autant assez de voies d’accès légales et sûres, qu’il s’agisse de visas d’étude, de travail, voire de visas humanitaires. Ils critiquent une approche de la question migratoire centrée sur le thème des entrées irrégulières, présentées comme une « menace » pour le continent.
    Alors que l’Europe a su accueillir près de 6 millions d’Ukrainiens, une partie du personnel politique se crispe à propos de 380 000 migrants irréguliers. Un nombre qui, rapporté aux 450 millions de citoyens européens, est nettement moins élevé qu’aux Etats-Unis (335 millions d’habitants), où 3,2 millions d’irréguliers sont arrivés en 2023. Tout débat rationnel, prenant en compte le savoir-faire européen en matière d’intégration ou l’importance démographique et économique de l’immigration, semble balayé pendant la campagne des élections européennes, qui se tiendront du 6 au 9 juin.
    Dans ce contexte électoral, le « pacte migratoire », sitôt adopté, est à la fois contesté comme trop répressif par la gauche et comme trop restrictif par la droite qui prône un nouveau durcissement. L’extrême droite n’hésite pas à demander un refoulement systématique des migrants qui tentent d’atteindre les côtes européennes, une pratique non seulement inhumaine, mais illégale. En Allemagne, le parti AfD est allé jusqu’à évoquer l’idée de « remigration », qui prévoit même d’expulser des citoyens allemands issus de l’immigration. Un concept qu’ils affirment ne plus soutenir.
    A droite, d’autres partis veulent chasser sur les terres de l’extrême droite. C’est le cas du premier parti du Parlement européen et qui devrait le rester, le Parti populaire européen (PPE, dont est membre Les Républicains), et sa tête de liste, Ursula von der Leyen, l’actuelle présidente de la Commission. Dans son manifeste électoral, le PPE propose d’externaliser vers des pays tiers dits « sûrs » le traitement des dossiers des demandeurs d’asile arrivés irrégulièrement.
    Débat intense
    L’un des modèles ultimes est la « loi sur la sûreté du Rwanda » qu’a adoptée en avril le Royaume-Uni. Londres a passé un accord avec Kigali pour lui envoyer, contre financements, des demandeurs d’asile arrivés sur ses côtes. Si le système d’asile rwandais leur accorde le statut de réfugiés, ils pourront y rester. Sinon, ils pourraient être renvoyés vers leur pays d’origine selon les règles rwandaises.
    Une telle politique est illégale au regard de la réglementation européenne actuelle. Pour renvoyer une personne dans un pays tiers, il faut que ce pays soit jugé « sûr » – c’est-à-dire qu’il respecte certaines normes en matière de droits humains – et justifier un lien, par exemple familial, entre cette personne et ce pays tiers. Un verrou juridique qui empêche la mise en place de tout système d’externalisation généralisé au niveau européen. Les groupes libéraux, sociaux-démocrates, écologistes rejettent cette idée poussée par le PPE.
    Néanmoins, au niveau des Etats, le débat est intense. Plusieurs pays, dont le Danemark, dirigé par la sociale-démocrate Mette Frederiksen, déploient d’importants efforts diplomatiques pour promouvoir des « projets innovants » de gestion de la migration. Deux tiers des Etats membres, dont le Danemark, la République tchèque, l’Autriche ou l’Italie, préparent une lettre à destination de la prochaine Commission afin d’explorer toutes les options de partenariats, voire d’externalisation, respectant les droits et les conventions actuels.
    Le modèle imaginé par l’Italie avec l’Albanie est particulièrement mis en avant. En 2023, Rome a passé un accord avec Tirana pour y rediriger les migrants sauvés par la marine italienne en Méditerranée. Alors que les ONG de défense des droits humains ont appelé la Commission à dénoncer ce projet, cette dernière n’en a rien fait, car Rome affirme que le droit applicable dans le camp d’accueil des migrants installé en Albanie sera italien, et que toute la procédure sera menée par l’Italie. Rome serait donc dans les clous du droit international. La controverse ne fait que commencer. En 2023, le Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés a marqué son opposition à toute externalisation en matière d’asile : « Celles-ci peuvent déclencher un effet domino et conduire à une érosion progressive de la protection internationale des réfugiés. »

    #Covid-19#migrant#migration#UE#pactemigratoire#albanie#liban#rawanda#droit#remigration#refoulement#externationalisation#refugie#HCR#sante

  • Migrant centres in Albania 20 May opening postponed

    Army engineers at work but facilities not finished.

    The opening of new Italian-run migrant centres in Albania, which was scheduled for 20 May, has been postponed, according to reports Wednesday.
    The Italian military engineers working on the Shengjin and Gjader sites, according to the agreement between Rome and Tirana, have not yet finished setting up the facilities.
    Meanwhile, the contract for the management of the facilities for 24 months was awarded to the Medihospes cooperative with a bid of 133.8 million euro.
    Italy is to set up two migrant hotspots and a centre to hold migrants awaiting repatriation for a total expenditure of almost 34 million euro a year.
    The agreement, signed by Premier Giorgia Meloni and her Albanian counterpart Edi Rama in Rome in November, provides for the reception and processing of up to 3,000 migrants and refugees rescued by Italian ships per month.
    People with special needs such as the elderly, children or pregnant women, migrants and refugees who have been rescued by NGO-run ships and people who land directly on Italian soil are to be excluded from the deal.
    Since taking office in autumn 2022 the Meloni government has been reaching out to third countries in a bid to stem irregular migration by sea to Italy, which in 2023 rose by around 50% over the previous year.
    The Italian opposition has slammed the Albania deal as creating a new Guantanamo and allegedly breaching the Italian Constitution, charges the government rejects.
    The Italian Bishops Conference (CEI) and the Council of Europe have also criticized the agreement.
    Some other EU countries have said it is a model that could be emulated, as has European Commission President Ursula von der Leyen.

    https://www.ansa.it/english/news/world/2024/05/08/migrant-centres-in-albania-20-may-opening-postponed_2ebbb364-2fdc-49ac-bdde-be4

    #migrations #externalisation
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    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...
    https://seenthis.net/messages/1043873

  • 10 mai 2024 :

    🆘 from ~11 people stranded on an islet on the #Evros river, near #Didymoticho!

    We received information about this group, but can’t reach them. The relative who alerted us to them lost contact two hours ago and is worried. @Hellenicpolice
    have been alerted: assist them now!

    https://twitter.com/alarm_phone/status/1788934414317056326

    #limbe #zone_frontalière #île #Evros #asile #migrations #réfugiés #frontières #fleuve_Evros #Turquie #Grèce #Thrace #îlots

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    ajouté à la métaliste sur #métaliste sur des #réfugiés abandonnés sur des #îlots dans la région de l’#Evros, #frontière_terrestre entre la #Grèce et la #Turquie :
    https://seenthis.net/messages/953343

  • Migranti, la nuova mossa del governo per i rimpatri : ampliata la lista dei Paesi sicuri. E scoppia la polemica

    Nei centri in Albania anche chi arriva da Bangladesh, Sri Lanka, Egitto e Camerun. Albano: “I giudici dovranno verificare se sono davvero luoghi non pericolosi”

    Un tassello dietro l’altro il governo prova a riempire la cornice dell’ancora vuoto progetto Albania nel tentativo di non farlo fallire prima del tempo. E così, dopo l’assegnazione dell’appalto da 133 milioni di euro per la gestione dei centri al colosso dell’accoglienza Medihospes del discusso Camillo Aceto, oggi un decreto ministeriale della Farnesina pubblicato in gazzetta ufficiale come d’incanto fa lievitare la lista dei cosiddetti Paesi sicuri, quelli – per intenderci – in cui potranno essere rimpatriati con le procedure accelerate di frontiera i migranti soccorsi nel Mediterraneo che da lì provengono.

    La lista, fino a ieri composta da 15 paesi, ne contiene ora ben 21: tra i sei nuovi ingressi alcuni Paesi d’origine di un numero consistente di migranti che arrivano in Italia via mare. Innanzitutto il Bangladesh, ma anche Sri Lanka, Camerun ed Egitto, a cui di aggiungono due Paesi sudamericani, Colombia e Perù da cui, in aereo, arrivano in Italia ogni anno migliaia di persone che poi chiedono asilo.

    Il Bangladesh , cosi come già l’anno scorso, è in cima alla lista dei Paesi d’origine dei migranti che arrivano in Italia grazie ad una triangolazione dall’Africa che riescono a raggiungere in aereo: 3425 quelli sbarcati nei primi 4 mesi del 2024, più di 1000 gli egiziani.

    Numeri consistenti che adesso, con il loro inserimento nella lista dei Paesi sicuri, consentiranno alle autorità italiane di portarli direttamente nei centri albanesi in attesa del probabile rimpatrio nel caso in cui la loro richiesta di asilo(come avviene nella maggior parte dei casi) dovesse essere respinta. Nel 2023 sono stati più di 12.000 gli arrivi dal Bangladesh e 11.000 dall’Egitto.

    I giudici della sezione immigrazione nutrono forti perplessità sul fatto che alcuni dei paesi inclusi nell’elenco, su tutti l’Egitto, possano essere considerati sicuri. La presidente di Magistratura democratica, Silvia Albano, spiega: “Il decreto ministeriale è fonte normativa secondaria e deve rispettare tanto le fonti sovraordinate, come la Costituzione e la normativa della UE, quanto la legge ordinaria”; quindi “i giudici dovranno verificare se il Paese designato come sicuro con decreto ministeriale, possa essere effettivamente considerato tale in base a quanto stabilito dalla legge”.

    #pays_sûrs #liste #Albanie #Italie #asile #migrations #réfugiés #externalisation #renvois #expulsions

    #Bangladesh #Sri-Lanka #Cameroun #Egypte #Colombie #Pérou

    –-
    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais... :
    https://seenthis.net/messages/1043873

  • Nicolas Schmit veut revoir certains accords migratoires

    Les accords de plusieurs millions d’euros que l’UE a signés avec les pays voisins pour réduire l’immigration irrégulière doivent être « révisés », estime Nicolas Schmit, tête de liste des socialistes européens pour les élections de juin.

    « Je suis assez réticent à l’égard de ces accords qui doivent encore faire la preuve de leur efficacité. Nous dépensons actuellement d’énormes sommes d’argent, en donnant cet argent à différents régimes ou gouvernements, comme le gouvernement tunisien. Nous savons que les autorités tunisiennes traitent très mal les réfugiés », explique Nicolas Schmit à Euronews lors d’une interview exclusive filmée mardi matin.

    « Nous avons toujours des problèmes en Libye, où il y a deux gouvernements. Nous avons des questions pour l’Egypte. Je suis donc assez réticent à ce genre d’accords », poursuit-il.

    « Je pense que nous devons les revoir et voir ce qui peut être fait, comment nous pouvons le faire différemment parce que nous ne savons pas exactement comment l’argent est utilisé ».

    Nicolas Schmit, l’actuel commissaire européen en charge de l’Emploi et des Droits sociaux, rompt ouvertement avec la présidente de la Commission, Ursula von der Leyen, qui, au cours de l’année écoulée, a encouragé la politique de signature d’accords avec les pays voisins, tels que la Tunisie, la Mauritanie et l’Égypte, dans le but de stimuler leurs économies fragiles et de réduire le nombre de départs d’immigrants clandestins.

    Cette stratégie, qui prévoit des millions de fonds européens et des projets d’investissement, bénéficie d’un large soutien des dirigeants de l’UE dont l’Italienne Giorgia Meloni, le Grec Kyriakos Mitsotakis, le Belge Alexander De Croo et l’Espagnol Pedro Sánchez, qui ont tous, à un moment donné, rejoint Ursula von der Leyen lors de ses voyages officiels.

    Mais ces accords ont été fortement critiqués par les ONG humanitaires et les spécialistes des migrations, qui affirment qu’ils sont mal conçus, qu’ils manquent de transparence et qu’ils reposent sur un vote de confiance de la part de gouvernements autocratiques. Les nombreux rapports faisant état de violations des droits de l’homme en Tunisie et en Égypte ont jeté une ombre sur ces textes.

    Le dernier chapitre en date de cette politique concerne le Liban, où la présidente de la Commission a annoncé la semaine dernière un programme d’aide d’un milliard d’euros destiné à soulager les difficultés financières du pays frappé par la crise et à empêcher une vague de réfugiés de se diriger vers Chypre. L’enveloppe, entièrement constituée de subventions, sera progressivement mise en place jusqu’en 2027.

    « Personne ne sait exactement comment l’argent annoncé sera dépensé au Liban, étant donné la situation du gouvernement libanais, qui est, d’une certaine manière, un gouvernement très faible », analyse Nicolas Schmit.

    Au cours de son entretien avec Euronews, Le Luxembourgeois de 70 ans a fustigé le « modèle rwandais » que le Royaume-Uni a mis en place pour transporter les migrants par avion vers le pays africain et traiter leurs demandes d’asile sur place. Si les demandes sont approuvées, les réfugiés se verront accorder l’asile au Rwanda, et non sur le sol britannique.

    Dans son manifeste, le Parti populaire européen (PPE) présente une ébauche de projet similaire au « modèle rwandais » visant à externaliser partiellement le traitement des demandes. Ursula von der Leyen, tête de liste du PPE, nie la comparaison et insiste sur le fait que tout projet serait compatible avec le droit international.

    « Je suis absolument contre ce que nous appelons le modèle rwandais, qui va à l’encontre des droits fondamentaux sur lesquels l’Europe s’est construite », insiste Nicolas Schmit. « Déléguer le traitement des réfugiés au Rwanda ou à d’autres pays est une question de non-respect de la dignité humaine ».
    Pas question de travailler avec CRE

    Nicolas Schmit et Ursula von der Leyen se trouvent dans une position particulière car tous deux travaillent au sein de la Commission mais ils font campagne respectivement pour le PSE et le PPE.

    La présidente de l’institution demeure la favorite selon les sondages. Son parti devrait rester la première force politique au Parlement à l’issue des élections de juin.

    Toutefois, ces dernières semaines, Ursula von der Leyen a fait sursauter l’opinion publique en raison de ses ouvertures vers le groupe des Conservateurs et réformistes européens (CRE), qui regroupe notamment Fratelli d’Italia (Italie), Droit et Justice (Pologne), Vox (Espagne), l’Alliance néo-flamande N-VA (Belgique), le Parti démocratique civique (République tchèque) et les Démocrates de Suède (Suède).

    Le CRE devrait progresser de manière significative après le mois de juin, et pourrait devenir le troisième groupe le plus important, ce qui donnerait à cette formation eurosceptique et anti-Pacte vert un plus grand poids dans la prise de décision.

    Pour être reconduite par les dirigeants, Ursula von der Leyen devra être confirmée par une majorité au Parlement. Les socialistes ont prévenu que si la responsable allemande cherchait à obtenir des voix au sein de CRE, elle perdrait leur soutien.

    « Il n’y a aucun moyen - je suis très clair là-dessus - il n’y a aucun moyen d’avoir un arrangement, un accord ou quoi que ce soit avec l’extrême droite », assure Nicolas Schmit à Euronews.

    Il accuse le PPE de faire une « distinction très spéciale » entre l’extrême droite « décente » et l’extrême droite « paria » et a mis en garde contre les conséquences imprévisibles de cette ligne de plus en plus floue, affirmant que le CRE défendait une conception « fondamentalement différente » de l’Europe.

    « Lorsque je regarde l’extrême droite dite décente, qui sont ces gens ? Ce sont des Vox. Ce sont des admirateurs de Franco. Des admirateurs de Mussolini. C’est le parti PiS (Droit et Justice) qui était sur le point d’abolir l’État de droit en Pologne et qui a été sanctionné par la Commission. Où est donc l’extrême droite décente ? Il n’y en a pas », explique-t-il.

    « C’est pourquoi il n’est pas possible d’avoir un arrangement qui se contente d’acheter des votes parce que l’extrême droite est intelligente. Ils ne donneront pas leurs voix pour rien. Ils demanderont des concessions sur la manière dont la politique européenne sera définie », assure Nicolas Schmit.

    Cette interview fait partie d’une série en cours avec toutes les têtes de liste pour les élections européennes. L’interview complète de Nicolas Schmit sera diffusée sur Euronews le week-end du 17 mai.

    https://fr.euronews.com/my-europe/2024/05/07/les-accords-de-lue-sur-limmigration-avec-legypte-et-la-tunisie-doivent-

    #UE #Tunisia #Egypt #Nicolas_Schmit #Ursula_von_der_Leyen

    ping @cdb_77

  • Migration : les États membres s’efforcent de transférer les procédures d’immigration à des États non membres de l’UE

    Un groupe d’États membres de l’UE, emmené par la #République_tchèque et le #Danemark, prépare une #lettre à la #Commission_européenne demandant que les migrants qui tentent d’atteindre l’UE soient transférés vers des États tiers sélectionnés avant d’atteindre les #côtes de l’Union — une procédure qui, selon les experts, risque d’être difficile à appliquer dans le cadre de la législation européenne actuelle sur l’immigration.

    Selon la lettre obtenue par les journaux tchèques, les signataires appellent à la conclusion d’#accords avec des pays tiers vers lesquels les États membres de l’UE pourraient envoyer les migrants interceptés en mer. L’ensemble de l’UE pourrait alors adopter un modèle similaire à celui conclu en novembre 2023 entre l’#Italie et l’#Albanie.

    « Là, une solution permanente pourrait être trouvée pour eux », peut-on lire dans la lettre, comme le rapporte le journal Hospodářské noviny.

    Selon ce plan, les migrants qui se dirigent vers l’Europe sans les documents nécessaires n’atteindraient même pas les côtes de l’UE, peut-on également lire dans la lettre.

    Le plan prévoit également le transfert des personnes qui se trouvent déjà dans un pays de l’UE, mais qui n’y ont pas obtenu l’asile, suggérant que ces migrants pourraient être emmenés dans un pays tiers, où ils resteraient jusqu’à ce qu’ils puissent être expulsés.

    Cette lettre a été rédigée à l’initiative du Danemark et de la République tchèque, et soutenue par plusieurs États membres. Une telle approche est soutenue par la majorité des Vingt-Sept, dont les #Pays-Bas, les États baltes et l’Italie, a appris Euractiv.

    L’Italie a été le premier État membre à signer un accord bilatéral avec un pays tiers — l’Albanie — sur l’externalisation des procédures de migration.

    « L’#externalisation et la #relocalisation des demandes d’asile ont une triple fonction : lutter plus efficacement contre les organisations criminelles dédiées au #trafic_d’êtres humains, comme outil de #dissuasion contre les départs illégaux, et comme moyen de soulager la pression migratoire sur les pays de première entrée, comme l’Italie, la Grèce, l’Espagne, Chypre ou Malte », a déclaré à Euractiv Italie le sous-secrétaire d’État au ministère italien de l’Intérieur, le député de la Lega Nicola Molteni (Identité et Démocratie).

    La #Hongrie est également favorable à une externalisation, mais n’a pas encore signé la lettre. Comme l’a confié un diplomate à Euractiv République tchèque, Budapest est « toxique » et pourrait nuire à la pertinence de la lettre.

    Le débat sur l’externalisation a battu son plein peu après l’approbation par le Parlement européen du nouveau pacte européen sur la migration et l’asile, et les États membres devraient formellement approuver le paquet législatif le 14 mai.

    L’externalisation des procédures d’immigration sera également abordée lors de la conférence internationale sur l’immigration qui se tiendra à Copenhague lundi (6 mai).

    « La conférence sera une bonne occasion de présenter les propositions du groupe de travail dirigé par le Danemark, avec la représentation de la majorité des États membres de l’UE, pour compléter le pacte sur la migration et l’asile après les élections européennes avec de nouvelles mesures, en particulier dans la dimension de la migration extérieure [y compris l’externalisation], basée sur un nouveau type de partenariat aussi complet », a déclaré Hana Malá, porte-parole du ministère tchèque de l’Intérieur, à Euractiv République tchèque.

    Les partenariats avec les États membres ne faisant pas partie de l’UE sont également soutenus par la présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen.

    « Parallèlement à la mise en œuvre du Pacte sur les migrations, nous poursuivrons nos partenariats avec les pays d’origine et de transit afin de nous attaquer ensemble aux causes profondes des migrations », a-t-elle déclaré.

    Cependant, certains émettent des doutes quant à l’externalisation. C’est notamment le cas des libéraux français.

    Pour le député français Sacha Houlié, qui fait partie de l’aile gauche du parti majoritaire du président Emmanuel Macron, Renaissance (Renew Europe), l’externalisation des processus migratoires est aux antipodes du pacte sur la migration et l’asile adopté par le Parlement européen.

    « Envoyer des personnes dans des pays qui n’ont rien à voir avec leur pays d’origine, comme l’Albanie ou le Rwanda, pose un problème moral et éthique », a fustigé M. Houlié.

    L’externalisation de la gestion des migrations a également été qualifiée d’« inacceptable » par l’eurodéputé italien Brando Benifei, chef de la délégation du Parti démocrate (Partido Democratico, Socialistes et Démocrates européens) au sein de l’hémicycle européen.
    Critiques des ONG

    Les organisations de défense des droits de l’Homme se montrent particulièrement critiques concernant l’externalisation des procédures d’immigration, y compris l’accord italo-albanais.

    « Il est grand temps que les institutions européennes reconnaissent que l’accord entre l’Italie et l’Albanie créerait un système illégal et nuisible, auquel il faut mettre fin. Au lieu d’accroître la souffrance des individus, les autorités devraient garantir l’accès à une procédure d’asile efficace, à un accueil adéquat et à des itinéraires sûrs et réguliers », a souligné l’organisation Amnesty International en février.

    Selon l’expert en migration Vít Novotný, la proposition d’externaliser le traitement des demandes d’asile risque d’être difficile à mettre en œuvre, car les règles européennes, même dans le cadre du nouveau pacte migratoire, sont basées sur des procédures d’asile se déroulant uniquement sur le territoire de l’Union.

    « Le changement est concevable, la porte est là, mais le chemin juridique est long », a déclaré M. Novotný du Centre Wilfried Martens pour les études européennes à Euractiv République tchèque, soulignant que cette situation est encore spéculative.

    Il a expliqué que les propositions sur le retour des demandeurs déboutés pourraient être beaucoup plus faciles à obtenir un consensus et que l’initiative pourrait aider à résoudre le problème de longue date des déportations.

    Toutefois, il est essentiel de trouver des pays partenaires adéquats — un problème qui, selon M. Novotný, persiste.

    « La question est de savoir dans quelle mesure l’UE a essayé de trouver de tels pays. Il est possible qu’elle n’ait pas suffisamment essayé », a-t-il affirmé.

    « Maintenant que même l’Allemagne parle de solutions similaires, ce qui était impensable il y a seulement un an ou deux, il y a peut-être plus de chances de trouver un ou plusieurs pays de ce type. Mais pour l’instant, je ne fais que spéculer », a-t-il ajouté.

    M. Novotný a également rappelé les efforts de l’UE en 2018, lorsque le président du Conseil européen de l’époque, Donald Tusk, a déclaré que l’UE avait essayé de se mettre d’accord avec l’Égypte pour reprendre les personnes secourues en mer.

    « Et [le président Abdel Fattah] al-Sisi avait répondu très fermement à l’époque qu’il n’y avait pas moyen. Maintenant, cela se fait de manière un peu plus diplomatique, ce qui est probablement une meilleure façon de réussir », a conclu l’expert.

    https://www.euractiv.fr/section/all/news/migration-les-etats-membres-sefforcent-de-transferer-les-procedures-dimmigr

    #UE #Union_européenne #EU #asile #migrations #réfugiés #Europe #externalisation #pays_tiers

    • A Copenhague, une #conférence sur les #partenariats pour l’immigration

      Les représentants de plusieurs gouvernements européens se sont retrouvés, lundi, au Danemark, pour discuter des partenariats avec des pays tiers, dans le but de réduire l’immigration en Europe.

      La première ministre danoise, Mette Frederiksen (à gauche), avec la commissaire européenne chargée des affaires intérieures et des migrations, Ylva Johansson, lors d’une conférence internationale sur les migrations, à Copenhague, le 6 mai 2024. MADS CLAUS RASMUSSEN / AFP

      En janvier 2023, le gouvernement danois annonçait renoncer, temporairement, à sous-traiter le droit d’asile au Rwanda. A l’époque, le ministre de l’immigration et de l’intégration, Kaare Dybvad, faisait valoir que son pays souhaitait avancer avec ses partenaires européens, reconnaissant qu’une solution danoise ne réglerait pas le problème auquel faisait face l’Union européenne. « Nous nous sommes aussi rendu compte qu’après nous avoir envoyés balader, de plus en plus de pays semblaient intéressés par ce que nous avions à proposer », explique-t-on aujourd’hui au ministère.

      Lire aussi | Article réservé à nos abonnés Pacte européen sur la migration et l’asile : « Le régime d’asile actuel est inhumain par nature ; il doit être réformé en profondeur »

      Lundi 6 mai, Copenhague accueillait une conférence internationale sur l’immigration. Plus de 250 responsables politiques et représentants d’organisations internationales, dont le Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés, l’Organisation internationale pour les migrations ou Europol, y ont évoqué différents types de « solutions durables », sous forme de « partenariats » avec des pays tiers, destinés à endiguer les arrivées et à accélérer les retours.

      Le ministre de l’intérieur italien, Matteo Piantedosi, ses homologues autrichien et tchèque, Gerhard Karner et Vit Rakusan, de même que le ministre de l’immigration néerlandais, Eric van der Burg, ont fait le déplacement. La Belgique, l’Allemagne et la Suède étaient, quant à elles, représentées par leurs secrétaires d’Etat à l’intérieur et à l’immigration.

      « Une base solide »

      Venue accueillir les délégués, la première ministre sociale-démocrate danoise, Mette Frederiksen, a constaté que « le système actuel de l’immigration et de l’asile s’était de facto effondré », rappelant que le nombre d’arrivées en Europe « était comparable à 2015 ». « Le pacte européen sur la migration et l’asile est une base solide sur laquelle nous pouvons nous appuyer. Mais nous avons également besoin de partenariats plus larges et plus égaux, et d’un engagement en faveur d’une solution durable à long terme », a-t-elle déclaré, en ouverture de la conférence.

      Au cours de la journée, il a notamment été question de la loi, adoptée le 23 avril, par le Parlement britannique, qui va permettre au Royaume-Uni d’expulser des demandeurs d’asile vers le Rwanda. Un modèle très controversé, imaginé par le Danemark, qui avait été le premier pays à légiférer, dès 2021, avant de signer un accord de coopération bilatérale avec Kigali en septembre 2022, puis de suspendre son projet d’y délocaliser la prise en charge des demandeurs d’asile et des réfugiés.

      Lire aussi | Article réservé à nos abonnés Transférer les demandeurs d’asile au Rwanda : l’obstination du gouvernement de Rishi Sunak

      Copenhague, cependant, n’y a pas renoncé, selon M. Dybvad, qui estime qu’« une coopération européenne commune avec un ou plusieurs pays tiers en dehors de l’Europe devrait réduire l’incitation à y venir ». D’après le gouvernement danois, un tel système serait « plus humain et plus juste », car il réduirait le pouvoir des trafiquants et permettrait d’accorder l’asile à ceux « qui en ont vraiment besoin ».

      « Partenariats stratégiques »

      L’accord migratoire, signé entre l’Italie et l’Albanie, en janvier, a également été évoqué ainsi que les « partenariats stratégiques », passés par l’Union européenne, avec la Turquie, la Tunisie, le Maroc, l’Egypte et la Mauritanie. « Il n’est pas possible de penser que nous pouvons gérer l’immigration seuls au sein de l’UE », a observé Ylva Johansson, la commissaire européenne aux affaires intérieures, vantant le partenariat avec la Tunisie, qui a permis de « réduire d’environ 80 % les départs depuis que l’accord a été signé », en juillet 2023.

      Pour autant, pas question de sous-traiter l’asile à un pays tiers : « Ce n’est pas possible dans le cadre du pacte sur la migration » et « cela ne semble pas être un gros succès au Royaume-Uni », a-t-elle asséné. Le ministre autrichien de l’intérieur, M. Karner, n’est pas de cet avis : « Nous n’avons pas besoin d’une, mais de plusieurs solutions », martèle-t-il, affirmant qu’une des priorités, pour la prochaine Commission européenne, devra être de « modifier le cadre réglementaire », notamment « le critère de connexion », qui interdit aux pays européens d’envoyer un demandeur d’asile dans un pays où il n’a aucune connexion.

      Conseiller du ministre des affaires étrangères mauritanien, Abdoul Echraf Ouedraogo plaide, lui, pour « une réponse holistique ». La seule solution durable est de « s’attaquer aux facteurs structurels à l’origine de l’immigration, notamment aux inégalités de développement », dit-il, rappelant, par ailleurs, que les pays européens manquent de main-d’œuvre et auraient tout intérêt à faciliter les voies légales d’immigration vers l’UE.

      https://www.lemonde.fr/international/article/2024/05/07/a-copenhague-une-conference-sur-les-partenariats-pour-l-immigration_6232022_

  • En #Tunisie, la #répression s’accentue sur les migrants subsahariens et les associations qui les soutiennent

    Originaires d’Afrique de l’Ouest ou de l’Est, plusieurs centaines d’hommes, de femmes et d’enfants ont été expulsées vers les frontières du pays.

    Il était 2 heures du matin, vendredi 3 mai, lorsque les agents des forces de l’ordre se sont présentés devant le campement de migrants, installé en face du siège de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), dans le quartier des berges du Lac à Tunis. « On était tous couchés, on dormait. D’un coup, il a fallu fuir », se souvient Simon, un exilé camerounais de 21 ans qui préfère utiliser un nom d’emprunt. Lui a réussi à échapper à la police. « Mais ceux qui n’y sont pas parvenus ont été arrêtés. Nous sommes toujours sans nouvelle de certains d’entre eux », dit-il, toujours à la rue.

    Ils étaient des centaines, originaires principalement de pays d’Afrique de l’Ouest, à dormir dehors dans l’attente d’une assistance de l’OIM pour un retour volontaire dans leur pays. « On veut juste rentrer chez nous, assure Simon qui a déposé en décembre 2023 une demande pour être rapatrié au Cameroun. On ne comprend pas pourquoi ils ont fait ça. On était calmes, on n’a agressé personne, on n’a rien fait de mal. »

    Plus loin, au bout de la rue, plusieurs centaines d’exilés – des hommes, des femmes et même des enfants majoritairement originaires du Soudan et de pays d’Afrique de l’Est en proie à la guerre – étaient installées dans les allées d’un jardin public en attendant d’obtenir une protection internationale.
    Des expulsions collectives

    D’autres avaient planté leurs tentes à quelques centaines de mètres de là, devant le siège du Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés. Des dizaines de personnes exilées, installées dans la Maison des jeunes depuis à la fermeture du camp de Choucha en 2017, ont également été délogées, dans la banlieue de La Marsa.

    Au total, près de 80 mandats de dépôt ont été émis à l’encontre des personnes arrêtées au cours du week-end et au moins plusieurs centaines d’entre elles ont été expulsées vers les frontières du pays, selon plusieurs ONG. Cette évacuation coordonnée et de large ampleur fait suite à d’autres opérations similaires dans la région de Sfax la semaine passée.

    Lundi 6 mai, au cours d’un conseil de sécurité, le président Kaïs Saïed a reconnu pour la première fois des expulsions collectives de la part des autorités tunisiennes, précisant que « 400 personnes » ont été renvoyées vers « la frontière orientale », en « coordination continue » avec les pays voisins.

    « Nous assistons à une répression tous azimuts des populations noires migrantes qui continuent de subir des abus systématiques de leurs droits », dénonce Salsabil Chellali, directrice du bureau de Human Rights Watch à Tunis. Elle souligne que, de manière générale, les arrestations et les expulsions menées par les autorités se font « sans aucune évaluation au cas par cas du statut » des exilés, « en dehors de tout Etat de droit et cadre légal », simplement car « ces personnes sont identifiées comme noires et comme venant de pays africains ».
    « Hordes de migrants clandestins »

    Depuis le discours du président Kaïs Saïed, en février 2023, au cours duquel il avait désigné les « hordes de migrants clandestins » comme complice d’un complot visant à modifier l’identité arabo-islamique du pays, les autorités tunisiennes ont opéré un virage sécuritaire dans la gestion des migrants africains subsahariens.

    La répression à leur encontre s’est élargie ces derniers jours aux organisations de la société civile. Saadia Mosbah, présidente de Mnemty, une association de lutte contre les discriminations raciales, a été arrêtée lundi 6 mai sur la base de la loi relative à la lutte contre le terrorisme et à la répression du blanchiment d’argent et placée en garde à vue.

    Activiste tunisienne noire et figure de la lutte antiraciste en Tunisie, Mme Mosbah s’était montrée très critique envers les politiques anti-migrants du président Kaïs Saïed depuis plus d’un an. Un autre membre de l’association a été entendu dans le cadre de l’enquête, mais a été laissé en liberté. Leurs bureaux ont été perquisitionnés.

    L’organisation Terre d’asile Tunisie (TAT), section tunisienne de France terre d’asile, a elle aussi reçu la visite des fonctionnaires de police dans ses bureaux de Tunis et de Sfax. Son ancienne directrice, Sherifa Riahi, a été entendue puis placée en garde à vue sur la base de la même loi utilisée contre Mme Mosbah, confie au Monde une source sous couvert d’anonymat. Quatre personnes ont été entendues, « sans que cela donne lieu à une arrestation ».

    Le président et le vice-président du Conseil tunisien des réfugiés (CTR) ont eux aussi été arrêtés, placés sous mandat de dépôt à l’issue de leur garde à vue. Ils sont accusés d’« associations de malfaiteurs dans le but d’aider des personnes à accéder au territoire tunisien », selon une déclaration du parquet, alors que le CTR assiste le Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés dans l’enregistrement des demandeurs d’asile, avec l’aval des autorités en l’absence de loi encadrant le droit d’asile en Tunisie.
    « Faire peur aux associations »

    Le président du Conseil tunisien des réfugiés (CTR) et l’un de ses collègues ont eux aussi été arrêtés. Selon la radio privée Mosaïque FM, ils sont accusés d’aide à l’hébergement de migrants en situation irrégulière, alors même que cette organisation assiste le Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés dans l’enregistrement des demandeurs d’asile, avec l’aval des autorités en l’absence de loi encadrant le droit d’asile en Tunisie.

    « C’est un nouveau cap franchi dans la répression, s’alarme Salsabil Chellali. Les autorités veulent faire peur aux associations qui mènent des actions pour atténuer un tant soit peu la souffrance des migrants et demandeurs d’asile et de mettre fin à toute assistance qu’ils peuvent recevoir en Tunisie. Ça ne fait qu’exacerber les conditions vulnérables dans lesquelles ils sont. »

    Dans son discours lundi soir, M. Saïed a fustigé des associations qui « reçoivent d’énormes sommes d’argent de l’étranger ». « Il n’y a pas de place pour des associations qui pourraient remplacer l’Etat », a-t-il affirmé, qualifiant par ailleurs les dirigeants de ces associations de « traîtres » et d’« agents ».

    M. Saïed a aussi répété « aux chefs d’Etat » et « au monde entier », comme il l’a fait de nombreuses fois, que « la Tunisie n’est pas une terre pour installer ces gens et qu’elle veille à ce qu’elle ne soit pas également un point de passage pour eux vers les pays du nord de la Méditerranée ».

    Tout en refusant d’accueillir les migrants, les autorités tunisiennes continuent pourtant de les empêcher de rejoindre l’Europe moyennant un soutien financier et logistique de l’Union européenne. Entre le 1er janvier et le 15 avril, 21 270 migrants ont ainsi été interceptés en mer par la Garde nationale, contre 13 903 sur la même période en 2023, selon les chiffres communiqués par son porte-parole, Houssem Jebabli, à l’agence de presse Nova.

    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2024/05/08/en-tunisie-la-repression-s-accentue-sur-les-migrants-subsahariens-et-les-ass
    #migrations #anti-migrants #expulsions #expulsions_collectives #réfugiés #arrestations

    ping @_kg_

    • Nella Tunisia di Saied adesso viene colpito chi aiuta i migranti

      Perquisizioni nelle sedi di importanti organizzazioni umanitarie e arresti di attivisti, mentre Italia e Ue continuano a elargire fondi. Continuano le deportazioni dei cittadini stranieri nelle zone desertiche al confine con Algeria e Libia

      Fin dove si spingerà Kais Saied? Chi lavora in ambito migratorio a Tunisi si pone questa domanda da tempo. Il 21 febbraio 2023 il presidente della Repubblica ha accusato le persone di origine subsahariana e sudanese di stare compiendo una sostituzione etnica nel paese. Successivamente, nel luglio dello stesso anno, sono arrivate le strette di mano con la premier Giorgia Meloni e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen per la firma del memorandum d’intesa, mentre il ministero degli Interni attuava vere e proprie deportazioni di migliaia di migranti verso le zone desertiche ai confini con Algeria e Libia.

      Le deportazioni continuano ancora oggi. Saied, invece, ha rivolto l’attenzione verso tutti coloro che si occupano di migrazioni: «La Tunisia non sarà una terra d’insediamento per questi immigrati e non è neanche un punto di passaggio per loro. Ci sono degli individui che hanno ricevuto dei soldi nel 2018 per portare qui queste persone. Enormi somme di denaro sono arrivate dall’estero a favore degli immigrati africani e a profitto di reti e associazioni che pretendono falsamente di proteggere queste persone», ha dichiarato il presidente durante il Consiglio di sicurezza del 6 maggio scorso.

      SAIED È PASSATO presto dalle parole ai fatti. Nell’ultima settimana quattro persone di tre organizzazioni diverse sono state poste in custodia cautelare con capi di accusa che vanno dall’associazione a delinquere con il fine di aiutare le persone a entrare illegalmente in Tunisia al riciclaggio di denaro e appropriazione indebita. Si tratta di due esponenti del Centro tunisino per i rifugiati (Ctr) che lavora a stretto contatto con l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), all’interno di un quadro giuridico estremamente precario in quanto il paese manca di una legislazione sul diritto d’asilo; della ex presidente di Terre d’Asile in Tunisia Sherifa Riahi e di Saadia Mosbah, uno dei volti più conosciuti della società civile locale per la sua attività di sensibilizzazione contro il razzismo e presidente dell’associazione Mnemty.

      I dettagli della messa in applicazione di queste disposizioni rappresentano un precedente a cui la società civile tunisina potrebbe abituarsi molto presto. I locali di Terre d’Asile sono stati perquisiti a Sfax, Sousse e Tunisi. La stessa sorte è capitata all’ufficio di Mnemty e all’abitazione di Mosbah. Nonostante un quadro altamente frammentato e a rischio per chi decide di andare contro le disposizioni presidenziali, le reazioni non sono mancate. Romdhane Ben Amor, portavoce del Forum tunisino per i diritti economici e sociali, ha dichiarato che «la Tunisia sta aggravando la crisi e promuove l’idea che non ci sia una soluzione». Si è espresso duramente anche Bassem Trifi, presidente della Lega tunisina dei diritti umani, organizzazione che vinse il premio Nobel per la pace nel 2015.

      AL DI LÀ DELLA CRONACA è importante capire dove si inserisce l’ulteriore stretta autoritaria del presidente Kais Saied. Da inizio anno la Garde nationale ha dichiarato di avere intercettato in mare 21.270 persone, 9mila in più rispetto al 2023. Un dato preoccupante sia per il piccolo Stato nordafricano, diventato un hub strategico di primo piano per le partenze, ma anche per l’Europa e per l’Italia in particolare, impegnate a finanziare in maniera sempre più importante le politiche securitarie della Tunisia.

      Una soluzione per garantire gli interessi delle due sponde del Mediterraneo sono le deportazioni verso il deserto. Da quasi un anno migliaia di persone sono state caricate sui bus e lasciate a loro stesse in aree disabitate lungo i confini del paese con l’Algeria e la Libia. Un meccanismo attuato dal ministero degli Interni su tutto il territorio nazionale, con una particolare attenzione a Sfax, seconda città della Tunisia dove il fenomeno migratorio è più accentuato. L’ultimo caso risale alla mattina del 3 maggio di fronte ai locali dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e dell’Unhcr a Tunisi dove centinaia di persone in attesa del rimpatrio volontario o che godevano di qualche forma di “protezione” avevano trovato un rifugio precario costruito con tende di fortuna. Un imponente intervento securitario ha evacuato la zona, arrestato circa 80 persone e deportato almeno altre 200, secondo la ricostruzione di Refugees in Libya.

      ANCHE IN QUESTO CASO urge andare oltre la cronaca. La sensazione che emerge da questo ulteriore restringimento presidenziale è che da ora in avanti occuparsi di migrazione e documentare possibili abusi diventerà sempre più complicato, soprattutto in quelle zone periferiche dove le violazioni avvengono. A partire proprio da Sfax: in questa città da più di un mese sono aumentati i raid della polizia nei confronti della popolazione subsahariana e sudanese.

      https://ilmanifesto.it/nella-tunisia-di-saied-adesso-viene-colpito-chi-aiuta-i-migranti

    • En Tunisie, arrestation de deux autres chroniqueurs pour avoir critiqué la situation du pays

      #Borhen_Bssais, présentateur à la télévision et à la radio, et #Mourad_Zeghidi, chroniqueur, ont été interpellés samedi soir, tout comme #Sonia_Dahmani, avocate et chroniqueuse.

      Au lendemain de l’arrestation musclée de l’avocate et chroniqueuse Sonia Dahmani poursuivie pour des motifs similaires, la justice tunisienne a décidé, dimanche 12 mai, de placer en détention deux chroniqueurs qui ont émis des critiques sur la situation du pays, a appris l’Agence France-Presse (AFP) auprès d’un avocat.

      Interpellés samedi soir, Borhen Bssais, présentateur à la télévision et à la radio et Mourad Zeghidi, chroniqueur, « font l’objet d’un mandat de dépôt de quarante-huit heures », selon Me Ghazi Mrabet. « Ils devront comparaître devant un juge d’instruction », a-t-il ajouté à l’AFP. Selon l’avocat, M. Zeghidi est poursuivi « pour une publication sur les réseaux sociaux dans laquelle il soutenait un journaliste arrêté [Mohamed Boughalleb, condamné à six mois de prison pour diffamation d’une fonctionnaire] et des déclarations lors d’émissions télévisées depuis février ».

      Mourad Zeghidi est commentateur politique à la télévision et travaille avec Borhen Bssais, qui présente des programmes sur des chaînes de radio et télévision privées. Les motivations exactes de l’arrestation de M. Bssais ne sont pas établies mais, selon l’avocat, il aurait été arrêté aussi en vertu de l’article 54, promulgué en septembre 2022 par le président tunisien, Kaïs Saïed, pour réprimer la production et diffusion de « fausses nouvelles », mais critiqué par les défenseurs des droits humains car sujet à des interprétations très larges.

      Poursuite de plus de soixante critiques du pouvoir

      En un an et demi, plus de soixante personnes parmi lesquelles des journalistes, des avocats et des opposants à M. Saïed, auteur d’un coup de force en juillet 2021 par lequel il s’est octroyé les pleins pouvoirs, ont fait l’objet de poursuites sur la base de ce texte, selon le Syndicat national des journalistes.

      C’est en vertu du même décret 54 que l’avocate Sonia Dahmani fait l’objet de poursuites et a été arrêtée samedi soir à la suite d’une intervention ironique à la télévision, alors qu’elle s’était réfugiée à la Maison des avocats. La scène a été filmée en direct par une équipe de la télévision publique française France 24 mais a été interrompue par l’intervention de policiers encagoulés.

      Jeudi, l’avocate avait reçu une convocation, à laquelle elle n’a pas donné suite, pour comparaître devant un juge d’instruction sans que les motifs soient précisés, à la suite d’une intervention ironique à la télévision. L’ordre national des avocats a condamné devant la presse samedi soir ce qu’elle a décrit comme « une invasion [de son siège] et une agression flagrante », exigeant la libération immédiate de Mme Dahmani et annonçant une grève régionale à partir de lundi.

      France 24 a protesté dans un communiqué contre le fait ces policiers aient « arraché la caméra de son trépied » et arrêté pour « une dizaine de minutes » son caméraman. La chaîne francophone internationale a condamné « fermement cette entrave à la liberté de la presse et cette intervention brutale et intimidante des forces de l’ordre empêchant ses journalistes d’exercer leur métier ».

      Lors d’une émission de télévision, mardi, Sonia Dahmani avait lancé d’une façon ironique « de quel pays extraordinaire parle-t-on ? », en réponse à un autre chroniqueur qui affirmait que les migrants venus de plusieurs pays d’Afrique subsaharienne cherchaient à s’installer en Tunisie, une déclaration jugée par des internautes comme « dégradante » pour l’image du pays.
      Répression des migrants subsahariens et de leurs soutiens

      Par ailleurs, plusieurs ONG d’aide aux migrants ont subi des contrôles la semaine passée et la présidente de l’association antiraciste Mnemty (« mon rêve »), Saadia Mosbah, a été placée en garde à vue le 6 mai pour des soupçons de blanchiment d’argent.

      Mme Mosbah et son association avaient été en première ligne dans la défense des migrants d’Afrique subsaharienne en Tunisie après un violent discours en février 2023 du président Saïed dénonçant l’arrivée de « hordes de migrants clandestins » dans le cadre d’un complot « pour changer la composition démographique » du pays.

      Lundi, M. Saïed a répété que son pays « ne sera[it] pas une terre pour implanter ces gens-là » et « veillera[it] à ne pas être un point de passage ». Il s’en est également pris à « des associations et organisations » qui reçoivent, selon lui, « des sommes astronomiques de l’étranger ». Avec la Libye, la Tunisie est l’un des principaux points de départ de l’émigration clandestine en direction de l’Italie.

      Une manifestation à l’appel de la coalition d’opposition Front de salut national pour réclamer « des élections libres et équitables » cet automne, et « la fin de la destruction systématique du pays », a rassemblé environ trois cents personnes dimanche, selon des journalistes de l’AFP. « Stop Etat policier » ou « Dégage, dégage Kaïs Saïed ! », scandaient les manifestants.

      https://www.lemonde.fr/afrique/article/2024/05/12/en-tunisie-arrestation-de-deux-autres-chroniqueurs-pour-avoir-critique-la-si

    • Inquiétante arrestation d’une militante antiraciste en Tunisie

      Le pouvoir tunisien durcit un peu plus le ton sur la question des migrants subsahariens... Il s’en prend désormais aux ONG qui les aident !

      La garde à vue de Saadia Mosbah est inquiétante à bien des égards. Elle a fait sienne la cause des Tunisiens et des Tunisiennes qui, comme elle, sont noirs. Elle est également très active dans la défense des droits des migrants d’Afrique subsaharienne. Chaque année, des milliers d’entre eux rejoignent les côtes de la Tunisie pour tenter la traversée vers l’Europe.

      Leur présence est un sujet explosif dans le pays et une cible de choix pour le président Kaïs Saïed. Il dénonce « des hordes de migrants clandestins » venus pour modifier la composition démographique du pays. Le grand remplacement, version tunisienne. Résultat : les tensions sont vives entre une partie de la population et les migrants.

      L’année dernière la police tunisienne en a arrêté des centaines avant de les conduire dans le désert, dans un no man’s land près des frontières libyenne et algérienne. Des hommes, des femmes, des enfants, parfois des bébés...sans vivre. Plusieurs d’entre eux sont morts.

      Parmi les voix qui s’élèvent, celle de Saadia Mosbah, véritable égérie du mouvement antiraciste en Tunisie. C’est elle qui vient d’être arrêtée, ainsi que l’ancienne présidente de la branche locale de France Terre d’Asile.

      Ce qui leur est reproché

      Selon la presse tunisienne, les deux femmes auraient été placées en garde à vue pendant plusieurs jours pour de possibles violations d’une loi contre le terrorisme et le blanchiment d’argent. En début de semaine, le président tunisien a lancé une charge violente contre les organisations qui aident les migrants. Kaïs Saïed reproche à ces ONG de toucher beaucoup d’argent de l’étranger. Il les a qualifiés de « traîtres » et les accuse d’essayer d’implanter les migrants subsahariens en Tunisie.

      Une menace pour les Tunisiens noirs

      Si Saadia Mosbah défend les droits des migrants, elle s’est surtout fait connaître en brisant un tabou. Celui des discriminations raciales en Tunisie.

      Par son combat, elle a largement contribué à faire que son pays soit le premier du monde arabe à adopter une loi contre le racisme. Votée en 2018, elle prévoit des amendes, voire même de la prison pour des faits de discrimination raciale. A ce jour, elle reste très rarement appliquée.

      Le président, pourtant un juriste de formation, ne semble pas la connaître ou s’en préoccuper. Pour les Tunisiens descendants d’esclaves qui constituent 10 à 15% de la population selon l’ONG que dirige Saadia Mosbah, son arrestation est un recul de plus dans un contexte particulièrement tendu.

      https://www.radiofrance.fr/franceinter/podcasts/les-histoires-du-monde/histoires-du-monde-du-vendredi-10-mai-2024-7541609

  • Migranti, la #Medihospes si aggiudica l’appalto da 133 milioni di euro per i centri in Albania

    Il colosso dell’accoglienza in diverse inchieste anche per le condizioni poco dignitose di vita garantite nelle strutture. Il suo amministratore è #Camillo_Aceto, già arrestato a Bari e finito in #Mafia_capitale.

    La gallina dalle uova d’oro dei centri per migranti in Albania è finita nelle mani del businessman italiano dell’accoglienza, quel Camillo Aceto il cui nome, negli ultimi vent’anni, è comparso nelle più disparate inchieste della magistratura da un capo all’altro d’Italia e con le accuse più diverse: dalla truffa nelle forniture di pasti alle mense ospedaliere di Bari che lo vide finire agli arresti nel 2003 all’indagine per infiltrazioni mafiose nella gestione del Cara di Mineo in Mafia capitale a svariate indagini per frode in pubbliche forniture da parte delle varie società in cui ha avuto incarichi dirigenziali e che alla fine sono confluite nella Medihospes.

    Il colosso dell’accoglienza che gestisce più del 60 per cento di centri migranti in Italia, 3.800 posti letto in 26 strutture, si è aggiudicato il bando milionario per la gestione dei centri che il governo italiano intende aprire in Albania per tenervi, in attesa di rimpatrio, alcune migliaia di migranti provenienti dai cosiddetti paesi sicuri che verranno soccorsi da navi militari italiane in acque internazionali. Ben 133.789.967,55 milioni di euro la cifra che Medihospes incasserà per gestire l’accoglienza dei migranti nell’#hotspot di #Shengjin e nel centrio per richiedenti asilo ( con annesso Cpr) che sorgerà nell’area di #Gjader. La prefettura di Roma ha ritenuto l’offerta di Medihospes, con un ribasso del 4,94 per cento sulla base d’asta, più vantaggiosa rispetto a quelle degli altri due concorrenti selezionati tra oltre 30 aziende: il consorzio #Hera e #Officine_sociali. Per due anni, rinnovabili per altri due, Medihospes dovrà provvedere alle esigenze di vitto, alloggio e servizi basici per i migranti che verranno portati in Albania.

    Un’aggiudicazione che continua ad assembrare ombre sull’operazione Albania i cui altissimi costi di partenza (650 milioni) sono già lievitati a quasi un miliardo a fronte di una totale incertezza sui tempi di apertura dei centri. Stando al bando, Medihospes dovrebbe essere pronta per partire il 20 maggio. Peccato che, per quella data, nelle aree di Shengjin e Gjader non ci sarà molto altro oltre alle ruspe. La consegna dei lavori delle opere di urbanizzazione e della realizzazione delle strutture affidata al genio militare è infatti prevista per la fine di ottobre quando la stagione calda degli sbarchi sarà già finita.

    Il ruolo di semimonopolio di Medihospes nel mondo dell’accoglienza viene fuori dal report “Centri d’Italia” 2022 fatto da Action Aid e Open Polis sugli ultimi dati forniti dal Viminale: a quella data la cooperativa sociale gestiva 26 strutture in sei regioni: 24 Cas, il Cpa di Udine e l’hotspot di Messina, 3800 posti letto sempre sovraffollati in condizioni spesso oggetto di denunce.

    Ex amministratore de #La_Cascina, indagata in Mafia capitale, con sedi e iniziative spesso coincidenti con quelle della #Senis_Hospes, poi diventata Medihospes, Camillo Aceto è sempre caduto in piedi mantenendo un ruolo centrale. «Solo con economie di scala e sacrificando i servizi - osserva Fabrizio Coresi di Action Aid - solo soggetti come Medihospes possono riuscire a realizzare un ribasso consistente e rendersi disponibili a gestire centri come quelli in Albania dove i diritti delle persone accolte non sono al centro».

    https://www.repubblica.it/cronaca/2024/05/07/news/migranti_appalto_albania_medihospes-422857446

    #Albanie #Italie #asile #migrations #réfugiés #coût #appel_d'offre #externalisation #sous-traitance
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    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...
    https://seenthis.net/messages/1043873

  • Bulgaria : Road to Schengen. Part One : the EU’s external border.

    On the 31st of March, Bulgaria - alongside Romania - joined Schengen as a partial member by air & sea. The inclusion of land crossings for full accession of these countries was blocked by an Austrian veto over concerns(1) that it would lead to an increase in people wanting to claim asylum in the EU.

    What is significant about Bulgaria becoming a Schengen member is that, what has been seen in the lead up, and what we will see following accession, is a new precedent of aggressively fortified borders set for the EU’s external Schengen borders. Which in turn may shape EU wide standards for border management.

    The EU’s external border between Bulgaria and Turkey has become infamous for a myriad of human rights violations and violence towards people who are forced to cross this border ‘illegally’. People continually face the violence of these crossings due to the lack of safe and legal routes allowing people to fulfill their right to seek asylum in Europe.

    In 2022 it was along this border that live ammunition(2) was first used against people seeking asylum in the EU. Shot by the Bulgarian authorities. In the same year it was reported(3) that people were illegally detained for up to 3 days in a cage-like structure attached to the police station in the border town of Sredets. It was also known that vehicles belonging to the European border force Frontex - who are responsible for border management and supposedly upholding fundamental rights - were present in the vicinity of the cages holding detained people.

    The EU’s illegal border management strategy of pushbacks are also well documented and commonplace along this border. Testimonies of pushbacks in this region are frequent and often violent. Within the past year Collective Aid has collected numerous testimonies from survivors of these actions of the state who describe(4) being stripped down to their underwear, beaten with batons and the butts of guns, robbed, and set on by dogs. Violence is clearly the systematic deterrence strategy of the EU.

    Similar violence occurs and is documented along Bulgaria’s northern border with Serbia. During an assessment of the camps in Sofia in March, outside of the Voenna Rampa facility, our team spoke to an Afghan man who, 6 months prior, was beaten so badly during a pushback that his leg was broken. Half a year later he was still using a crutch and was supported by his friends. Due to the ordeal, he had decided to try and claim asylum in Bulgaria instead of risking another border crossing.

    Despite the widespread and well documented violations of European and international law by an EU member state, at the beginning of March Bulgaria was rewarded(5) with its share of an 85 million Euro fund within a ‘cooperation framework on border and migration management’. The money within this framework specifically comes under the Border Management and Visa Instrument (BMVI) 2021 – 2027, designed to ‘enhance national capabilities at the EU external borders’. Within the instrument Bulgaria is able to apply for additional funding to extend or upgrade technology along its borders. This includes purchasing, developing, or upgrading equipment such as movement detection and thermo-vision cameras and vehicles with thermo-vision capabilities. It is the use of this border tech which enables and facilitates the illegal and violent practices which are well documented in Bulgaria.

    Close to the town of Dragoman along the northern border with Serbia, we came across an example of the kind of technology which used a controlled mounted camera that tracked the movement of our team. This piece of equipment was also purchased by the EU, and is used to track movement at the internal border.

    The cooperation framework also outlines(6) a roadmap where Frontex will increase its support of policing at Bulgaria’s border with Turkey. In late February, in the run up to Bulgaria becoming a Schengen member, on a visit to the border with Turkey, Hans Leijtens - Frontex’s executive director - announced(7) an additional 500 - 600 additional Frontex personnel would be sent to the border. Tripling the numbers already operational there.

    Meanwhile Frontex - who have been known(8) to conceal evidence of human rights violations - are again under scrutiny(9) for their lack of accountability in regards to the upholding of fundamental rights. Two days prior to the announcement of additional Frontex staff an investigation(10) by BIRN produced a report from a Frontex whistleblower further highlighting the common kinds of violence and rights violations which occur during pushbacks at this border. As well as the fact that Frontex officers were intentionally kept away from ‘hot spots’ where pushbacks are most frequent. The investigation underlines Frontex’s inability to address, or be held accountable for, human rights violations that occur on the EU’s external borders.

    The awarded money is the next step following a ‘successful’ pilot project for fast-track asylum and returns procedures which was started in March of the previous year. The project was implemented in the Pastrogor camp some 13km from the Turkish border which mostly houses people from the Maghreb region of northwest Africa. A 6 month project report(11) boasts a 60% rejection rate from around 2000 applicants. In line with the EU’s new migration pact, the project has a focus on returns whereby an amendment to national legislation has been prepared to allow a return decision to be made and delivered at the same time as an asylum rejection. As well as the launch of a voluntary return programme supported by the 2021-2027 Asylum, Migration and Integration Fund (AMIF). Through which cash incentives for voluntary returns will be increased across the board. These cash incentives are essentially an EU funded gaslighting project, questioning the decisions of people to leave their home countries based on their own survival and safety.

    Our team visited the former prison of the Pastrogor camp in March. Which at the time held only 16 people - some 5% of its 320 capacity.

    The implementation of this pilot project and the fortification of the border with Turkey have been deemed a success by the EU commision(12) who have praised both as indicators of Bulgaria’s readiness to join the Schengen area.

    Unsurprisingly, what we learn from Bulgaria’s accession to becoming a Schengen member is that the EU is not only deliberately ignoring Bulgaria’s dire human rights history in migration and border management. But, alongside the political and economic strengthening brought with Schengen accession, they are actively rewarding the results of such rights violations with exceptional funding that can sustain the state’s human rights infringements. All while the presence of Frontex validates the impunity enjoyed by Bulgaria’s violent border forces who show no respect for human rights law. In early April the European Commision gave a positive report(13) on the results from EU funding which support this border rife with fundamental rights abuses. In a hollow statement Bulgaria’s chief of border police stated: “we are showing zero tolerance to the violation of fundamental rights”.

    What the changes in border management strategies at the EU’s external border to Turkey- in light of Bulgaria’s entry to the Schengen - mean in reality is that people who are still forced to make the crossing do so at greater risk to themselves as they are forced deeper into both the hands of smuggling networks and into the dangerous Strandzha national park.

    The Strandzha national park straddles the Bulgarian-Turkish border. It is in this densely forested and mountainous area of land where people are known to often make the border crossing by foot. A treacherous journey often taking many days, and also known to have taken many lives - lighthouse reports identified 82 bodies of people on the move that have passed through three morgues in Bulgaria. Many of whom will have died on the Strandzha crossing.

    It is reported(14) that morgues in the towns of Burgas and Yambol - on the outskirts of the Strandzha national park - are having difficulty finding space due to the amount of deaths occurring in this area. So much so that a public prosecutor from Yambol explained this as the reason why people are being buried without identification in nameless graves, sometimes after only 4 days of storage. It is also reported that families who tried to find and identify the bodies of their deceased loved ones were forced to pay cash bribes to the Burgas morgue in order to do so.

    Through networks with families in home countries, NGOs based nearby make efforts to alert authorities and to respond to distress calls from people in danger within the Strandzha national park. However, the Bulgarian state makes these attempts nearly impossible through heavy militarisation and the associated criminalisation of being active in the area. It is the same militarisation that is supported with money from the EU’s ‘cooperation framework’. Due to these limitations even the bodies that make it to morgues in Bulgaria are likely to be only a percentage of the total death toll that is effectively sponsored by the EU.

    Local NGO Mission Wings stated(15) that in 2022 they received at most 12 distress calls, whereas in 2023 the NGO stopped counting at 70. This gives a clear correlation between increased funding to the fortification of the EU’s external border and the amount of lives put in danger.

    People are also forced to rely more on smuggling networks. Thus making the cost of seeking asylum greater, and the routes more hidden. When routes become more hidden and reliant on smuggling networks, it limits the interaction between people on the move and NGOs. In turn, testimonies of state violence and illegal practices cannot be collected and violations occur unchallenged. Smuggling networks rely on the use of vehicles, often driving packed cars, vans, and lorries at high speed through the country. Injuries and fatalities of people on the move from car crashes and suffocating are not infrequent in Bulgaria. Sadly, tragic incidents(16) like the deaths of 18 innocent people from Afghanistan in the back of an abandoned truck in February last year are likely only to increase.

    https://www.collectiveaidngo.org/blog/2024/5/3/bulgaria-road-to-schengen-part-one-the-eus-external-border
    #Bulgarie #frontières #Schengen #migrations #frontières_extérieures #asile #réfugiés #Balkans #route_des_Balkans #violence #Turquie #Sredets #encampement #Frontex #droits_humains #Serbie #Sofia #Voenna_Rampa #Border_Management_and_Visa_Instrument (#BMVI) #aide_financière #technologie #Dragoman #Pastrogor #camps_de_réfugiés #renvois #expulsions #retour_volontaire #Asylum_Migration_and_Integration_Fund (#AMIF) #Strandzha #Strandzha_national_park #forêt #montagne #Burgas #Yambol #mourir_aux_frontières #décès #morts_aux_frontières #identification #tombes #criminalisation_de_la_solidarité #morgue

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    ajouté à ce fil de discussion :
    Europe’s Nameless Dead
    https://seenthis.net/messages/1029609

  • Connaître les morts de la Méditerranée

    Depuis dix ans, près de 30 000 personnes sont mortes ou ont disparu en tentant de franchir la Méditerranée. Qui sont-elles ? Comment les identifier ? Des anthropologues et des activistes tentent de répondre.

    Lorsqu’ils sont vivants, les autorités s’empressent de vouloir les identifier, collecter notamment leurs empreintes digitales afin de les tracer et les empêcher de tenter de nouvelles fois de franchir les frontières. Lorsqu’ils sont morts, en revanche, ces mêmes autorités, ou d’autres, se fichent totalement de savoir qui ils ou elles sont. Ils et elles ce sont les exilé.es qui au péril de leur vie traversent la Méditerranée. Anthropologues, Carolina Kobelinsky et Filippo Furri ont cherché à connaître ces morts de la Méditerranée. Ils sont cette semaine les invités de La Suite dans les Idées. Et seront rejoint en seconde partie, depuis la Suisse, par l’écrivain Timba Bemba.

    https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/la-suite-dans-les-idees/connaitre-les-morts-de-la-mediterranee-1580262

    #mourir_aux_frontières #décès #identification #morts_aux_frontières #Méditerranée #migrations #réfugiés #carolina_kobelinsky #filippo_furri
    #podcast #audio #Timba_Bema

  • Campi di lavoro e lavoro nei campi

    Dall’agosto 1940 e fino alla fine del 1945 vennero internati, in numerosi campi sparsi sull’insieme del territorio ticinese, mediamente circa un migliaio di soldati stranieri, i quali rappresentarono una categoria specifica dell’insieme dei profughi accolti durante la Seconda guerra mondiale. Si trattò in gran parte di soldati polacchi, ma nei campi allestiti in Ticino risiedettero per periodi di tempo variabili pure francesi, italiani, tedeschi, austriaci, sovietici, indiani e vietnamiti, nonché un contingente di combattenti provenienti dal continente africano. Chi erano questi uomini? A quale regime furono sottoposti e perché? Dove sorsero i campi in cui furono confinati? Come trascorrevano le loro giornate? Quali furono i rapporti con la popolazione locale? Quale memoria della loro presenza si è sedimentata in Ticino? Attingendo a fonti archivistiche sinora poco sfruttate, il volume analizza e approfondisce il tema dell’internamento militare sul piano regionale, facendolo costantemente dialogare in senso verticale con quello nazionale. La pluralità degli approcci adottati e dei punti di vista considerati ha consentito di fare emergere alcune specificità ticinesi e, in altri casi, di fare luce su aspetti finora poco studiati dell’internamento militare nel suo insieme. Colmando una lacuna storiografica e fornendo un quadro esaustivo delle coordinate geografiche e temporali dell’internamento militare, il libro si presta a fungere da strumento imprescindibile per chiunque voglia affrontare la tematica della presenza di internati militari in Ticino ed eventualmente approfondirla sul piano locale.

    #livre
    #camps_de_travail #Tessin #Suisse #histoire #réfugiés_ukrainiens #réfugiés_polonais #Pologne #deuxième_guerre_mondiale #seconde_guerre_mondiale #WWII #mémoire

    • Polish Army in Insubrica region: the case study of Polish internees in Losone

      During the German campaign in the West, in June 1940, 2nd Polish Infantry Division under command of Bronisław Prugar-Ketling (1891-1948) was sent to the French region of Belfort to support 8th French army. After being cut off from supply, approximately 12,000 to 13,000 Polish soldiers of this Infantry Division, crossed the Swiss border on 19-20 June 1940, south of Ajoie, avoiding thus the German capture.

      The soldiers were interned in Switzerland according to the Hague Convention. After a failed attempt to concentrate all Pole servicemen in only one camp in Büren an der Aare, Polish soldiers were dispersed throughout Switzerland. From 1941, barrack camps were set up in all Switzerland, where these Poles soldiers were interned until December 1945. In the Insubrica region, many Polish soldiers were gathered and managed in Losone, nearby Locarno and Ascona.

      These interned Poles soldiers made mainly group-wise work assignments for the Swiss national defence works, related to the national infrastructure like constructions of roads and bridges, drainage of swamps as well as general works in the agriculture. A total of 450 kilometers in paths, bridges and canals were built alone in Ticino by these servicemen. At present, monuments and commemorative plaques commemorate the involuntary stay of these Polish soldiers people throughout the Ticino region. After the war, around 500 Poles were able to settle down in Switzerland, obtaining the Swiss citizenship.

      In addition to building and paving roads between Arcegno and Golino in the Canton Ticino, the Polish army soldiers, interned in the Losone camp during 1941-1945, worked hard to reclaim approximately 100 hectares of the land in the municipality of Losone between “Saleggi” and “Gerre”. This hard work reshaped radically the landscape of the region in the mid of the 1940s.

      Thanks to the intervention of Polish soldiers, a large amount of uncultivated agricultural areas in Ticino could be developed and, later, transformed in tourist and industrial zones.

      A hard work of Polish prisoners allowed a creation of a very important agricultural zone in Losone that persisted for many years until a construction of the famous 18 holes Golf place (shown in the centre of the map that can be seen above).

      Further in the North, in the 1980’s, an important industrial settlement called “Zandone” was created (on the left side of the above shown map). The Polish work allowed to erect a large camping in Melezza and the “Scuderia delle cavalli delle Gerre” in the area of Zandone. Between Arcegno and Golino, Polish soldiers managed to pave a road, that is named today “strada dei polacchi” (in English: Polish road).

      Polish soldiers were interned also in other parts of Switzerland and left unmistakable traces of their hard work. There are several so-called Polenweg‘s, which are roads that were built by Polish soldiers during the Second World War in Switzerland.

      https://insubricahistorica.ch/blog/2018/04/16/polish-army-in-insubrica-region-case-of-losone
      #Losone

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      Gli internati polacchi nel Locarnese e Valle Maggia

      Avevamo già scritto nell’aprile 2018 su Insubrica Historica un breve contributo sugli internati polacchi nella regione Insubrica. Durante dei lavori di ricerca per un imminente pubblicazione di Insubrica Historica sul Locarnese, abbiamo ritrovato ulteriori dettagli, che valgono la pena di essere condivisi.

      La presenza degli internati polacchi in Ticino e soprattutto nel Locarnese è legata soprattutto alla caserma di Losone posta nella località Piana di Arbigo, la quale ospitò ben oltre la fine del conflitto un ingente numero di soldati polacchi, circa un migliaio. Da questa caserma vennero impiegati per diversi lavori di bonifica. La loro presenza viene ricordata nel Locarnese per la Strada dei Polacchi da Arcegno a Golino, o ancora ad Orselina per la cappella della Madonna di “Ostra Brama”.

      Vi erano però diversi altri campi di lavoro distribuiti nella regione, i quali ospitavano anche loro soldati polacchi. In particolare grazie ad un recente articolo di Fabio Cheda Gli internati polacchi a Maggia, vi sono alcuni dettagli di questi campi nella Valle Maggia.

      I campi erano distribuiti nella maniera seguente: ai Ronchini di Aurigeno (15-30 militi), a Bignasco (10-15 militi), a Cevio (40-50 militi), a Linescio (30-35 militi), presso l’edificio “Cortao di Bonitt” a Maggia (30-35 militi), al Piano di Peccia (fino a 15 militi) e a San Carlo (100-200 militi). Nella sola Valle Maggia vi era circa il 15% (n=200) del totale dei soldati polacchi internati in Svizzera (n=12’000) durante la guerra. La maggior parte di loro erano entrati in Svizzera nella regione del Giura Francese, duranta la disfatta dell’esercito francese nell’estate del 1940.

      L’ubicazione di alcuni di questi campi e località di lavoro come a Lodano, lascia dedurre che l’impiego di questi soldati non era confinato al solo settore agricolo ma soprattutto anche nel disboscamento delle superfici forestali della Valle.

      «Questi baldi giovanotti facevano girare spesso la testa alle ragazze e alle mogli locali, tenendo in considerazione che gran parte degli uomini del paese erano impegnati nel servizio militare. È appurato che i Polacchi abbiano lasciato il segno: una donna si presentò un giorno ai capi responsabili mostrando il ventre gonfio…» (Fabio Cheda, A tu per tu, Dicembre 2020)

      Sempre secondo Fabio Cheda, il rapporto dei soldati polacchi con la popolazione era esemplare. Molto positivo, soprattutto con le signorine della Valle, tanto che vennero celebrati anche dei matrimoni.

      Non tutti i soldati polacchi ebbero la pazienza di restare fino alla fine del conflitto, oppure di ritornare in Pologna. Ve ne sono alcuni che riuscirono anche a fuggire da questi campi di lavoro prima e dopo il conflitto, i quali pur essendo controllati da soldati dell’esercito Elvetico, non sottostavano a rigida disciplina, come invece si ebbe in altri campi soprattutto della Svizzera tedesca.

      https://insubricahistorica.ch/blog/2021/09/30/gli-internati-polacchi-nel-locarnese-e-valle-maggia
      #internement #internés

    • Internati polacchi in Svizzera tra guerra, lavoro e sentimento

      Un’analisi storica sulla presenza degli internati militari polacchi in Svizzera durante la Seconda Guerra Mondiale vuole essere un momento prezioso per una riflessione su noi stessi e sulla nostra terra elvetica: terra di transito in cui i nostri orizzonti hanno potuto incontrarsi, per pochi anni, con un popolo straordinario, che nel dolore, nella perdita e nella sofferenza del conflitto ha saputo dare, oltre che il suo sudore del lavoro - fondamentale per il nostro Paese - durante l’internamento, un esempio unico di dignità, di comunanza e di fratellanza.
      Al di là della politica e delle vicissitudini belliche, gli uomini hanno saputo ritrovarsi, anche soltanto per un istante.

      https://www.editore.ch/shopvm/varia/internati-polacchi-in-svizzera-tra-guerra-lavoro-e-sentimento-detail.html

  • Acquitté, Mimmo Lucano rêve de propager le modèle d’accueil de son village à travers l’Europe

    Lourdement condamné en septembre 2021 pour « association de malfaiteurs aux fins d’immigration irrégulière », l’ancien maire calabrais Mimmo Lucano a été presque totalement blanchi par la justice le 12 avril. Il salue une « #victoire_morale » et se présente aux élections municipales et européennes qui se tiendront en juin.

    L’ancienL’ancien maire de Riace garde le sourire, malgré le véritable « périple judiciaire » qu’il a dû traverser ces dernières années. Domenico Lucano, que tout le monde surnomme « Mimmo », insiste : sa propre personne ne compte pas. Il regrette surtout que l’image de Riace, petite commune de Calabre où il vit, et dont il a été le maire entre 2004 et 2018, ait été entachée par les accusations dont il a fait l’objet.

    À travers son acquittement récent, et quasi total, il estime que l’accueil de l’autre est enfin reconnu « comme une solution et une renaissance », notamment pour les terres désertées par la population. « C’est avant tout une victoire morale », souligne-t-il. Ce modèle vertueux d’accueil et de solidarité, ce « Village global » qu’il a contribué à développer au fil des ans, Mimmo Lucano aimerait le voir élargi à toute l’Europe, à l’heure où celle-ci tend plutôt à se barricader.

    Pour tenter d’y parvenir, il a choisi de se présenter aux prochaines élections municipales, à Riace, qui se tiendront en même temps que les élections européennes, pour lesquelles il est également candidat sur une liste d’alliance entre les Verts et la gauche italienne. « Ce qu’on voudrait, c’est une nouvelle Europe qui deviendrait le salut du monde. Pas celle des barbelés, dont les politiques ont provoqué la mort de dizaines de milliers de personnes », dit-il. Entretien.

    Mediapart : Vous sortez d’un sacré feuilleton judiciaire…

    Domenico Lucano : Oui. Un périple judiciaire. C’est mon histoire, mais c’est surtout celle d’une petite communauté, celle de Riace. Un petit bout de la périphérie européenne, avec sa mer Méditerranée, une sorte d’autoroute des pays arabes vers l’Europe. Mais c’est aussi la mer de la tragédie du monde. La Méditerranée a malheureusement changé de couleur, passant du bleu, du vert, au rouge, la couleur du sang. Le sang de beaucoup d’hommes et de femmes qui ne sont pas arrivés au bout de leur chemin. La mer est devenue un piège à leur tentative de bonheur. Elle a pris la couleur de la mort. Au cœur de l’histoire de Riace, il y a surtout un combat, devenu très médiatique, pour l’accueil de l’autre et pour un idéal politique différent.

    Beaucoup de réfugiés afghans fuyant les talibans sont arrivés en Calabre. Je pense aussi à cette tragique nuit d’hiver, le 26 février 2023, durant laquelle les secours ne sont pas venus. Le ministère de l’intérieur a organisé l’arrivée de la douane plutôt que celle des gardes-côtes, qui avaient pourtant les moyens de les sauver. Quatre-vingt-quatorze personnes ont perdu la vie, après avoir passé cinq jours en mer, dont beaucoup d’enfants. En 2022, l’actuel ministre de l’intérieur a utilisé ces mots terribles s’agissant des migrants : il s’agit de « charges résiduelles ». Le gouvernement italien fêtait l’anniversaire de Salvini pendant que les familles pleuraient leurs morts. C’est sans doute le moment le plus déplorable. Il ne sert à rien d’être parmi les grandes puissances mondiales ou de surveiller sa croissance économique quand on est capables d’un tel cynisme face à la vie humaine. La droite a montré son vrai visage.

    La droite et l’extrême droite ?

    Je crois qu’il n’y a pas de différence en Italie. « Extrême » est un adjectif, mais la droite est le lieu commun de la déshumanisation. On a vu différentes tentatives du ministère de l’intérieur pour empêcher les migrants de débarquer en Italie. Le paradoxe, c’est de constater qu’un gouvernement indigne, qui s’illustre par son inhumanité, grimpe dans les sondages. Faire face à ce gouvernement en Italie, en usant d’une parole libre, ne provoque en retour que des coups de matraque. C’est du jamais-vu. Il y a une dérive de la droite en Italie.

    Ce contexte politique vous a aussi valu une lourde condamnation en 2021 – 13 ans de prison et 500 000 euros d’amende, pour « association de malfaiteurs aux fins d’immigration irrégulière ». Comment l’avez-vous vécue ?

    Le 4 octobre 2018, à l’aube, j’ai vu des voitures arriver chez moi pour m’arrêter. Cela a marqué le début d’une histoire hallucinante, qui a duré presque sept ans. Quand j’ai été condamné en première instance le 30 septembre 2021, le sentiment qu’il s’agissait d’un procès politique s’est vite propagé en Italie. On m’a contraint à m’éloigner de Riace durant onze mois, alors que j’avais donné ma vie pour cette terre. Il y a eu une manifestation d’ampleur à Rome, un ex-sénateur a lancé une collecte de fonds destinée à régler l’amende dont je faisais l’objet.

    La collecte a rencontré un succès fou. Mais je lui ai dit que je n’en voulais pas. Je voulais simplement continuer d’accueillir les réfugiés à Riace, et on a construit le « Village global », avec une crèche pour 12 enfants immigrés et plein d’activités. On a tout fait pour continuer de faire exister ce monde-là. J’ai donc vécu cette condamnation avec sérénité, parce que j’ai pu profiter de la solidarité de la population italienne et du reste du monde, qui se raccrochait à la seule perspective de la fraternité.

    Je suis conscient que le fait qu’un petit village de Calabre puisse devenir un exemple pour l’accueil des personnes exilées a beaucoup gêné. Le modèle « Riace » a fait peur au système néolibéral. Mais l’ennemi n’est pas l’étranger ou celui qui lui vient en aide : ce n’est autre que cette nouvelle vague de fascisme qu’il y a en Europe et dans le monde, qui ne cherche qu’à fermer les frontières et à créer des forteresses. Je regrette d’avoir vu après tant d’années de propagande une forme d’égoïsme s’installer dans l’esprit des gens, tel un consensus politique.

    Comment vous sentez-vous aujourd’hui, après cette réhabilitation par la justice ?

    Je vais bien. Deux de mes enfants sont à Rome, le troisième habite avec mon épouse, et je suis seul à Riace. La plupart de mes proches ont vécu l’acquittement comme une libération. Au niveau local, il y a eu une solidarité immédiate, y compris de la part de personnes qui ne partageaient pas ma vision politique. Mais le plus merveilleux dans cette fin de feuilleton, ce n’est pas l’acquittement en soi, ce sont les motivations des juges. Ces derniers ont attendu 90 jours pour les rendre publiques et signifier au reste de monde qu’on ne touchera pas au message politique pour lequel je me suis battu.

    Ils ont rétabli la vérité et confirmé que je n’avais pas pensé à profiter une seconde du système d’accueil que j’avais mis en place à Riace, ni que j’avais pu m’enrichir par ce biais. Ce n’est donc pas un acquittement technique ou juridique. C’est un acquittement moral. Et pour la première fois dans l’histoire des migrations, l’immigration en Italie peut enfin être regardée sous une lumière totalement opposée à celle proposée par certains politiciens. L’accueil de l’autre est enfin reconnu comme une solution et une renaissance. C’est avant tout une victoire morale, et cela vaut plus que tout.

    Vous avez fait le choix de revenir en politique, en vous présentant aux municipales à Riace mais aussi aux européennes, sur la liste des Verts et de l’Alliance de gauche (Alleanza Verdi e Sinistra) – élections qui se tiendront toutes deux les 8 et 9 juin prochains. Est-ce que votre acquittement a joué dans votre décision ?

    Non, car je n’ai jamais perdu ce désir d’engagement politique. La politique, pour moi, se résume à l’espoir, et je n’ai jamais été fatigué à l’idée de continuer d’espérer. Dès le départ, le Village global a été conçu comme un laboratoire politique au niveau local. Cela a d’ailleurs été l’opportunité de multiples réunions, prises de décision collectives et autres activités communes. C’est dans cette démarche que nous avons donc voulu réunir la gauche au-delà du Parti démocrate (Partito Democratico), dont Elly Schlein est la secrétaire.

    Ça n’a pas été facile. Les responsables du parti n’en ont pas tenu compte, alors on a trouvé une coalition a gauche du Parti démocrate. Les Verts et l’Alliance de gauche italienne m’ont demandé si je voulais participer aux européennes. Et avec tous les camarades de Riace, on a dit oui. C’était une envie partagée, parce que les positions qu’ils défendent contre la guerre, en faveur de l’accueil des exilés ou encore pour une loi pour le salaire minimum en Italie correspondaient à mes choix politiques. Un jour, j’aimerais qu’il y ait un panneau « Village de l’accueil » un peu partout dans les communes d’Europe !

    Mais force est de constater que l’on observe plutôt une politique de rejet en Europe…

    À Riace, on a réussi à l’échelle d’une toute petite réalité. Un village de quatre cents habitants est désormais connu pour sa politique d’accueil. À l’échelle européenne, nous ne serons peut-être plus là pour observer ce changement de paradigme. Mais je suis persuadé que d’une petite chose peut naître une grande chose. Je suis heureux que figure sur notre liste la candidate Ilaria Salis, arrêtée par Viktor Orbán en Hongrie pour son engagement contre le fascisme. Nous avons une histoire similaire, elle se bat pour le respect des droits humains. Lorsque j’ai vu les images d’elle à la télévision, la montrant menottée, j’ai été fier de la savoir à mes côtés dans cette aventure au niveau européen.

    Le pacte migratoire européen a été adopté dans la douleur il y a peu. Êtes-vous inquiet de voir cette politique de repli concrétisée à l’échelle européenne à travers ces textes ?

    Ce pacte est absurde. Je n’en partage pas les objectifs, évidemment. On voit partout des tentatives d’affaiblir le droit d’asile, y compris en Italie, ou de créer des sortes de voies de déportation vers des pays tiers comme l’Albanie, où le respect des droits humains n’est pas garanti. C’est triste quand on voit ce qu’on a été capables de faire à notre petite échelle. Je pense que la droite souffre d’un syndrome de la peur de l’être humain. C’est ce qu’on observe en Italie mais aussi en Europe. Ce qu’on voudrait, c’est une nouvelle Europe qui deviendrait le salut du monde. Pas celle des barbelés, dont les politiques ont provoqué la mort de dizaines de milliers de personnes.

    Pourquoi vous présenter à deux élections, à deux échelles différentes ?

    C’est une question redoutable (rires). Je ne veux pas devenir un bureaucrate. Je mettrai la même conviction à l’échelle européenne et je ne ferai de concession à personne : les profits de la politique ne m’intéressent pas. Et j’ajouterai que paradoxalement, je suis d’accord avec la manière dont Matteo Salvini m’a défini un jour, lorsqu’une personne lui a demandé ce qu’il pensait de moi. Il a répondu : « Il vaut zéro. » Ça me convient assez bien, je considère que je ne suis personne. Ce qui est sûr, c’est que j’ai à cœur de poursuivre mon engagement au niveau local et européen. En Italie, la loi permet d’être à la fois maire et député européen.

    Alors, bien sûr, les possibilités sont multiples : je peux être élu maire de Riace, être élu député européen ou les deux, ou pas élu du tout. Je continuerai dans tous les cas à développer le modèle Riace, et j’aimerais élargir ce modèle d’accueil à d’autres communes en Italie, et à d’autres États en Europe, un modèle en faveur de l’accueil qui permet aussi de contrer le déclin démographique. Et pour aller plus loin, j’aimerais également créer une collectivité de communes qui partagerait une monnaie unique, pour nous permettre de sortir de ce néolibéralisme, qui détruit notre économie et notre démocratie, tout en valorisant le travail fourni au sein de la communauté.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/040524/acquitte-mimmo-lucano-reve-de-propager-le-modele-d-accueil-de-son-village-

    #Riace #Mimmo_Lucano #Domenico_Lucano #accueil #réfugiés #migrations #Italie #Calabre #justice #acquittement #entretien #interview #solidarité #criminalisation_de_la_solidarité #villes-refuge #périple_judiciaire #condamnation #réhabilitation #libération #acquittement_moral #engagement_politique

    –—

    Ce fil de discussion est la suite de celui-ci :
    11 octobre 2023, verdict en cour d’appel pour le #procès contre #Mimmo_Lucano, ancien maire de #Riace
    https://seenthis.net/messages/1020950

    signalé par @olaf ici :
    https://seenthis.net/messages/1052451

    ping @_kg_

  • Mai 2024
    ~22 people stranded on an islet in the #Evros river, by #Kastanies !

    The group say there are children and people who need urgent medical care. They report some of them have been pushed back to #Türkiye before and fear it happening again. @Hellenicpolice: assist them now!


    https://twitter.com/alarm_phone/status/1786506051719725182

    #limbe #zone_frontalière #île #Evros #asile #migrations #réfugiés #frontières #fleuve_Evros #Turquie #Grèce #Thrace #îlots
    #nudité

    –-

    ajouté à la métaliste sur #métaliste sur des #réfugiés abandonnés sur des #îlots dans la région de l’#Evros, #frontière_terrestre entre la #Grèce et la #Turquie :
    https://seenthis.net/messages/953343

  • Avec le #Liban, l’UE compte de nouveau sur un #pays_tiers pour contrôler les migrations

    Un nouvel #accord a été conclu entre l’Union européenne et le Liban cette semaine, à hauteur d’un milliard d’euros. Ce dernier vise, sous couvert d’aider à maintenir la sécurité et la stabilité du pays, à freiner les départs d’exilés syriens en direction de l’Europe.

    La tournée continue. L’Union européenne vient de signer un nouveau « deal », cette fois avec le Liban, pour qu’un pays tiers gère le contrôle de ses frontières. Après l’Égypte et la Tunisie, c’est désormais à un Liban en crise de tenter de maîtriser les départs des exilés présents sur son sol, qui pourraient aspirer à rejoindre l’Europe pour une vie meilleure.

    Cette aide d’un milliard d’euros, annoncée à l’occasion d’une visite de la présidente de la commission européenne Ursula von der Leyen et du président chypriote Níkos Christodoulídis à Beyrouth le 2 mai, devrait s’étaler jusqu’en 2027 et « permettra de soutenir la population au Liban et de contribuer à sa sécurité et sa stabilité », a argué Ursula von der Leyen.

    Entre les lignes, le spectre migratoire n’est jamais bien loin : cette enveloppe doit certes permettre de soutenir « les plus vulnérables », à l’heure où le Liban traverse une crise socio-économique majeure, mais aussi et surtout « les réfugiés, les personnes déplacées à l’intérieur du pays et les communautés d’accueil », tout en renforçant le soutien aux forces armées libanaises « dans la lutte contre la #traite et le #trafic_d’êtres_humains ».

    Autrement dit les #passeurs, qui permettent aux Syriennes et Syriens de faire la traversée vers l’île de Chypre, où le nombre d’arrivées par la mer a bondi ces dernières années ; et où, tout récemment, le gouvernement a annoncé vouloir suspendre les demandes d’asile pour les Syrien·nes sur l’île, en violation du droit international et en particulier de la Convention de Genève relative aux réfugiés.

    C’était d’ailleurs l’objet d’une première rencontre entre le président chypriote et le premier ministre libanais, Najib Mikati, organisée le 8 avril dernier à Beyrouth. Le premier ministre libanais avait alors assuré que « l’armée et les forces de sécurité libanaises faisaient de leur mieux pour mettre fin à l’immigration illégale ».

    L’entrevue avait abouti sur l’idée d’une coopération entre les deux pays, avec une « aide substantielle de la commission européenne », comme l’avait souligné le porte-parole du gouvernement chypriote à l’issue de la rencontre.

    Des contours flous

    Plus surprenant, le Conseil européen a également « réaffirmé la nécessité de créer les conditions d’un #retour_sûr, volontaire et digne des réfugiés syriens, telles que définies par le Haut-Commissariat aux réfugiés », peut-on lire dans un communiqué de la commission européenne en date du 2 mai.

    La #Syrie n’est pourtant pas considérée comme un #pays_sûr, comme le font remarquer différents observateurs : en septembre 2021, l’ONG Amnesty International avait même pointé dans un rapport les nombreuses violences – torture, viols, détention arbitraire – dont les réfugiés de retour en Syrie peuvent faire l’objet.

    Dans tous les cas, soulève Wadih Al-Asmar, président du réseau EuroMed Droits, « 250 millions d’euros sont prévus pour l’#armée_libanaise, qui participe à renvoyer des Syriens chez eux malgré les dangers qu’ils encourent en Syrie ». L’argent européen va donc « permettre des violations des droits de l’homme », regrette-t-il, expliquant que plusieurs cas ont déjà été documentés par ses équipes dernièrement.

    L’homme s’interroge par ailleurs sur cette enveloppe financière tombée de nulle part : fait-elle partie des fonds alloués par l’UE au Liban de façon régulière depuis 2011 ? S’agit-il d’une somme allouée de façon exceptionnelle ?

    Il souligne les « contours très flous » de cet accord, conclu avec le premier ministre libanais alors que celui-ci n’a pas l’habilitation de signer des accords internationaux, pour lequel aucun texte n’a encore visiblement été rédigé. « Aucun texte n’a été présenté au parlement libanais ou au parlement européen. C’est avant tout un grand effet d’annonce », estime celui qui est aussi président du centre libanais des droits humains à Beyrouth.

    Un coup de com’ « très problématique sur le plan des #droits_humains » : il pourrait provoquer une « pression supplémentaire sur les réfugiés syriens » présents au Liban, et participe au narratif faisant des Syriens les responsables de tous les maux que peut connaître le pays. « Il y a pourtant une classe politique corrompue qui a volé l’argent des Libanais, mais au lieu de poursuivre en justice les responsables de tout ça, on met tout sur le dos des réfugiés syriens », déplore Wadih Al-Asmar.

    Dans l’esprit du pacte migratoire européen

    L’effet d’annonce derrière ce nouvel accord vise aussi à conforter Chypre dans ses prises de position plus ou moins explicites contre les réfugiés syriens qui tentent de rejoindre l’île par la mer.

    Depuis quelques mois, Chypre « viole le droit européen » en refusant le débarquement de ces réfugiés. « Ursula von der Leyen donne donc une couverture politique au président chypriote en concluant cet accord », estime Wadih Al-Asmar.

    L’eurodéputé Damien Carême abonde : « On a l’impression que c’est pour calmer Chypre, qui ne veut plus accueillir de réfugiés syriens et va jusqu’à les refouler. On note d’ailleurs le mutisme de la Commission européenne sur ces agissements. »

    Ce nouvel accord s’inscrit, relève l’eurodéputé, dans la droite ligne du pacte migratoire européen, adopté le 10 avril dernier par le Parlement européen. « Il s’agit d’externaliser la gestion des frontières et de renvoyer le plus de personnes possible », explicite l’écologiste, qui a très vite marqué son désaccord avec ce pacte.

    Après la Mauritanie, la Tunisie, l’Égypte ou encore la Libye, « l’UE s’enferme dans des solutions qui ont déjà montré toute leur inefficacité ». Signer des accords avec des pays tiers dits « sûrs » est désormais devenu une « obsession », tacle l’eurodéputé, qui prend soin de relativiser la notion de pays « sûr ».

    « On ne sait pas bien ce qu’il y a derrière cette notion, puisque la Tunisie est par exemple considérée comme un pays sûr, et la Libye aussi, malgré tout ce qu’il s’y passe. » Impossible de ne pas relever les incohérences s’agissant du cas précis de la Syrie, où la commission européenne encourage le retour volontaire des réfugiés syriens, tout en considérant que le pays n’est pas « sûr ». « C’est dramatique et très inquiétant », alerte celui qui pointe là un « cynisme maximal ».

    Massivement présents sur le territoire libanais (un million et demi de réfugiés, soit près de 30 % de la population), mais victimes de discours populistes allant jusqu’à la théorie raciste du « grand remplacement », rejetés par Chypre et soumise à des marchandages financiers orchestrés par l’UE, prête à débourser un milliard d’euros pour ne pas les voir débarquer sur son sol… voilà le « marché de dupes » auxquels sont soumis les réfugiés syriens, dénonce Wadih Al-Asmar, qui résume la visite d’Ursula von der Leyen à un « échec ».

    Cette dernière veut « transformer le Liban en poste frontière avancé de l’UE », comme d’autres pays par le passé. Mais selon lui, le nombre de traversées par la mer vers Chypre ne baissera pas, et le business des passeurs, que l’accord UE-Liban est censé mettre à mal, continuera de fleurir de son côté, avec l’assentiment de la population libanaise, « contente de voir qu’ils font partir les réfugiés syriens ».

    Au final, conclut-il, « l’UE ne fait pas baisser la pression sur les réfugiés syriens, n’apporte pas de garanties réelles pour améliorer leur condition au Liban, et offre une image dégradée de l’Europe qui ne cherche qu’à contenir les migrations dans un pays tiers ».

    https://www.mediapart.fr/journal/international/030524/avec-le-liban-l-ue-compte-de-nouveau-sur-un-pays-tiers-pour-controler-les-

    #externalisation #migrations #réfugiés #frontières #contrôles_frontaliers #aide_financières #réfugiés_syriens #renvois #expulsions #retour_volontaire #retour_digne #pays-tiers_sûrs

    ping @_kg_

    • EU unveils €1-billion aid package for Lebanon in bid to curb refugee flows

      The European Union will provide €1 billion in financial aid to Lebanon over three years to prop up the country’s economy and help prevent a surge in refugees leaving for Europe.

      European Commission President Ursula von der Leyen announced the move on Thursday morning following a meeting with Lebanese caretaker Prime Minister Najib Mikati and Cypriot President Nikos Christodoulides in Lebanon’s capital, Beirut.

      The financial envelope, made up entirely of grants and to be dispersed by 2027, will help Lebanon strengthen basic services such as education, social protection and health, and spur economic reforms in the crisis-stricken country, von der Leyen said.

      But some three quarters of the cash - a total of €736 million - will be specifically dedicated to helping Lebanon grapple with the challenges it faces in welcoming Syrian refugees.

      “We understand the challenges that Lebanon faces with hosting Syrian refugees and other displaced persons. It is vital to ensure the well-being of host communities and Syrian refugees,” von der Leyen said.

      The Commission chief also vowed to “look at how to make the EU’s assistance more effective,” including facilitating a “more structured approach to voluntary returns” of displaced Syrians in cooperation with the UN refugee agency (UNHCR).

      It comes after EU leaders backed deeper engagement with Beirut last month to help safeguard it from the repercussions of the conflict in the Middle East, and after Cyprus raised the alarm over a sharp peak in the number of Syrian refugees arriving from Lebanon.

      It also follows a string of agreements signed over the last year between Brussels and African countries in a bid to stem migration into Europe.

      A deepening economic crisis and fragile government make Lebanon particularly vulnerable to the instability gripping the region in the wake of the Israel-Hamas war.

      The country is home to some 210,000 Palestinian and 1.5 million Syrian refugees, prompting fears regional instability could unleash a wave of migrants towards Europe via the island of Cyprus.
      Cash to stem refugee flows

      In early April, Cyprus announced it would temporarily halt the processing of asylum applications due to a surge in arrivals of Syrian refugees transiting through Lebanon and attempting to reach the island, which lies just 260 km off the Lebanese coast in the Mediterranean Sea.

      Over 1,000 people arrived in Cyprus by boats from Lebanon during the first two weeks of April, leaving refugee and reception centres on the island overloaded.

      “The problems seen on the Cypriot border is only one example of what could happen if this problem is not addressed,” Lebanese caretaker Prime Minister Najib Mikati acknowledged on Thursday, thanking Cyprus’ President Christodoulides for brokering the agreement.

      Hailing the announcement as “historic”, Christodoulides said that the financial envelope would address a situation that is “not sustainable” for either Lebanon, Cyprus or the European Union.

      “While we commend the Lebanese government for hosting a large number of Syrian refugees for more than 12 years, we are also fully cognisant of the enormous pressure that this creates to your economy and to your society,” Christodoulides said.

      He backed von der Leyen’s proposal of intensifying work with partners such as UNHCR on voluntary returns, where refugees who want to return to their home countries - even if the UN agency considers it unsafe for them - are supported to do so.

      Christodoulides also went further by calling for the status of some regions of Syria to be “re-examined” as safe areas to facilitate the return of migrants and refugees, a proposal he tabled at last month’s summit meeting of EU leaders.

      Syria, which has been under the authoritarian regime of Bashar al-Assad for more than two decades, has been designated an unsafe country since the civil war erupted in 2011. But refugee host countries such as Turkey and Lebanon have been pushing for the mass return of Syrian refugees to the country.

      A European Commission spokesperson confirmed that the EU has followed the lead of the UNHCR in their approach to safe zones in Syria, and that Brussels is “embarking now on discussions to see how to approach this issue in the upcoming period.”

      Von der Leyen also floated a working arrangement between Lebanon and the EU’s border agency, Frontex, “particularly on information exchange and situational awareness.” The agency currently has such arrangements in place with 19 partner countries.
      Security of Lebanon ’at stake’

      Both Christodoulides and von der Leyen also acknowledged the threat posed by the war between Israel and Hamas to Lebanon’s security.

      The Iranian-backed militant group Hezbollah is present in the country and has continuously exchanged fire across Lebanon’s southern border with Israel since the outbreak of the war last October.

      Hezbollah also took part in Tehran’s unprecedented aerial attack on Israel last month.

      “We are deeply concerned about the volatile situation in South Lebanon. What is at stake is the security of both Lebanon and Israel. The two cannot be disassociated,” von der Leyen said.

      Von der Leyen asked for a UN resolution calling on Israel to withdraw its troops from the Blue Line, the border demarcation between Lebanon and Israel, to be respected.

      https://www.euronews.com/my-europe/2024/05/02/eu-unveils-1-billion-aid-package-for-lebanon-in-bid-to-curb-refugee-flows

    • #Abou_Nader: Lebanese people reject European aid as a bribe to contain refugees

      #Fouad_Abou_Nader announced that Lebanese people have significant doubts regarding the EU’s financial package for Lebanon, estimated at a value of one billion euros over four years.

      He said: “If it is a veiled bribe intended to task the government with containing Syrian refugees and keeping them in Lebanon, then this assistance is to be returned to the givers with thanks.”

      He added: “The assistance that Lebanon was expecting from Europe is the regular repatriation of refugees to their country by giving them direct incentives in Syria. They can start by repatriating about 200,000 refugees who freely move between Lebanon and their country and have participated in the recent elections, which means there are no problems between them and the regime.”

      He asked: “Lebanese people were promised the transfer of Syrian prisoners to their country to complete their sentences there, so where is this promise now?”

      https://www.lbcgroup.tv/news/lebanon-news/770041/abou-nader-lebanese-people-reject-european-aid-as-a-bribe-to-contain-r/en

      #refus

  • Belgique: La Chambre adopte la loi «Frontex»

    La Chambre a adopté jeudi en séance plénière un projet de loi permettant à du personnel de l’agence européenne Frontex d’effectuer des contrôles aux frontières belges et d’escorter des #retours_forcés d’étrangers.

    Porté par la ministre de l’Intérieur #Annelies_Verlinden (CD&V), ce projet de loi donnera l’occasion à ces agents d’effectuer ces contrôles frontaliers dans les #aéroports, les #ports, la #gare de #Bruxelles-Midi ainsi que dans son terminal #Eurostar, soit aux #frontières_extérieures de l’espace Schengen.

    Le texte a été adapté à la suite de l’avis du Conseil d’État. Ainsi, l’intervention de Frontex ne pourra avoir lieu qu’en présence et sous l’autorité de policiers belges. Le nombre d’agents Frontex actifs sur le territoire belge sera limité à cent. Ces actions seront aussi menées sous le contrôle du Comité P. Dans la majorité, Ecolo-Groen, le PS, mais aussi la ministre ont rappelé ces balises lors de la discussion générale.

    Le texte a été largement critiqué par plusieurs organisations ces derniers jours, dont le Ciré (Coordination et Initiatives pour Réfugiés et Étrangers).

    Annelies Verlinden a déploré une « désinformation qui n’aide pas au débat équilibré qu’on a connu en commission », tout en disant « comprendre » les inquiétudes exprimées.

    Il a été adopté par la majorité, moins les abstentions de Simon Moutquin (Ecolo), Khalil Aouasti (PS) et Hervé Rigot (PS). Le PTB, DéFI ainsi que Vanessa Matz (Les Engagés) ont pour leur part voté contre.

    https://www.rtl.be/actu/belgique/politique/la-chambre-adopte-la-loi-frontex/2024-05-03/article/665018

    #Belgique #loi_Frontex #Frontex #contrôles_migratoires #frontières #migrations #réfugiés

  • 🚨InfoMigrants à Sfax, Tunisie🚨

    1/Des milliers de migrants chassés hors de villes tunisiennes survivent dans la région de Sfax, sans aide, dans des champs d’oliviers, loin de tout.

    Ils se regroupent dans des dizaines de camps (appelés km18, km25 ou encore km30)

    2/🎙️« On a faim, chaque jour que Dieu fait, la police est là, on n’a pas d’eau, on n’arrive pas à manger », explique Aziz un burkinabé qui vit au km19 depuis un an ⬇️

    3/ 🗣️Les explications et le contexte de la situation par notre journaliste @C_Oberti
    sur place. « La situation s’envenime depuis des mois »

    4/ Pour comprendre un peu mieux où on est ⬇️ voici en rouge, la zone où se constituent la majorité des campements de migrants, dans des champs d’oliviers.

    Ils seraient environ 20 000, selon une source sécuritaire tunisiennes rencontrée par InfoMigrants

    5/Les conditions de vie de ces milliers d’Ivoiriens, Guineens, Gambiens, Sierra-Leonais, Nigerians… sont dramatiques. Ils manquent de tout. Les abris sont des draps tenus par des bâtons. L’eau potable manque.

    La peur d’être arrêtés par les policiers est omniprésente.

    6/ Aziz, le burkinabé, rappelle qu’aucune ONG ne vient dans la zone.

    Trouver de l’eau potable, du bois pour se chauffer, de la nourriture pour les enfants est un combat

    7/ et forcément les tensions sont de plus en plus fortes avec la population locale.

    Les précisions de notre journaliste ⬇️

    8/Cette tunisienne, non loin d’El Amra, se plaint de vols.

    Les migrants ne lui volent pas ses moutons, reconnaît-elle, mais prennent son bois 🪵(pour allumer des feux et cuisiner).

    « Ils détruisent tout ».

    9/ 🎙️réponse d’un exilé gambien aux accusations de vol.

    « Je ne suis pas un voleur mais parfois je ne mange pas, je ne bois pas d’eau… Alors oui, je vole parfois, mais pour survivre, je ne suis pas un criminel »

    10/ En représailles, et pour calmer la colère des habitants, la Garde nationale tunisienne envoie actuellement des soldats pour détruire les campements dans la zone.

    Nous en avions parlé dans ce papier

    https://www.infomigrants.net/fr/post/56683/en-tunisie-les-migrants-terrifies-face-aux-dernieres-interventions-de-

    11/L’écrasante majorité des migrants de Sfax ne veulent pas rester en Tunisie mais rejoindre les côtés européennes via l’île italienne de Lampedusa (à 200 km environ).

    Problème : les garde-côtes tunisiens arrêtent les embarcations au large de Sfax qui tentent la traversée 🌊

    https://twitter.com/InfoMigrants_fr/status/1786035010325066118

    #Tunisie #Sfax #violence #encampement #migrations #réfugiés #violences_policières #El_Amra #destruction

    En lien avec la #toponymie_migrante :

    Ils se regroupent dans des dizaines de camps (appelés km18, km25 ou encore km30)

  • More than 50,000 unaccompanied child migrants went missing in Europe : Survey

    Highest number in Italy with nearly 23,000, notes Lost in Europe project

    More than 50,000 unaccompanied child migrants went missing after arriving in Europe, a survey by a European journalism project revealed Tuesday.

    “Italy has the highest number of registered missing unaccompanied minors, with 22,899, followed by Austria (20,077), Belgium (2,241), Germany (2,005), and Switzerland (1,226),” according to the Lost in Europe project, which gathered data from 13 European countries from 2021 - 2023.

    It said the number of missing children may be even higher because data is often unreliable and incomplete, and many European countries do not collect data on missing unaccompanied minors.

    “These shocking findings underscore the seriousness of the issue, with thousands of children missing and their whereabouts unknown,” it said.

    Aagje Ieven, head of Missing Children Europe, said, “The increased number of reports on missing unaccompanied minors serves as a sharp reminder of the giant iceberg that looms beneath the surface.”

    https://www.aa.com.tr/en/europe/more-than-50-000-unaccompanied-child-migrants-went-missing-in-europe-survey/3206605

    #disparitions #MNA #mineurs_non_accompagnés #enfants #enfance #migrations #asile #réfugiés #Italie #Autriche #Belgique #Allemagne #Suisse

    –-

    A mettre en lien avec les statistiques et chiffres des « enfants réfugiés disparus en Europe » —> l’exemple d’Ancona montre les raisons des départs de #MNA des centres d’accueil en Italie :
    https://seenthis.net/messages/714320

  • Deadly human smuggling through Mexico thrives in ‘perfect cycle of impunity’

    A new collaboration from ICIJ and media partners in Latin America, Europe and the United States documents nearly 19,000 migrants’ journeys to the U.S. border under dangerous conditions.

    Six days before Rafelín Martínez Castillo was sent flying from a trailer truck transporting him and 168 other migrants across Mexico, he was sanding wood in his cousin’s modest workshop in the Dominican Republic. The 31-year-old craftsman, his brother and cousin were working tirelessly to fulfill a large order of pilones, the popular mortar and pestle sets sold in souvenir stores and on roadsides in the Caribbean nation.

    “When I touched his hands the day we said goodbye, they were full of calluses and cuts from all the hours he spent sanding wood,” Martínez Castillo’s mother, Kenia Castillo, recalled during an interview in April 2023 at her house in Boqueron, a small, hilly region in the southern province of Azua. “I pleaded with him not to leave. I said we could get by eating rice and eggs if we had to. But he told me that just making pilones, we would never have anything.”

    The family used money from their pilones sales to pay part of the $26,000 to smugglers who had agreed to get Martínez Castillo to the United States. The trip would take him on a plane to Panama, then Guatemala, and from there he would cross the border into Chiapas, Mexico’s southernmost state.

    In recent years, tens of thousands of Dominicans have followed similar routes to reach the U.S. in an exodus that has become so ubiquitous it has turned into a popular culture reference, with the phrase “la vuelta es México” (“Mexico is the way”) showing up in rap and merengue songs and comedy sketches on national television. Generally, Dominicans have been flying to South and Central American countries with relaxed or no visa requirements. In 2022 and 2023, more than 3,000 people per month left the island on such flights, according to U.S. Customs and Border Protection data. The travel becomes much harder from there as they then make their way across several countries to arrive in Mexico; from Mexico they walk to the U.S.

    Martínez Castillo’s journey was supposed to culminate with him crossing into the United States. Instead, 25 days after leaving home, he returned in a casket.

    On Dec. 9, 2021, the 18-wheeler that had Martínez Castillo and his fellow migrants packed in like commodities overturned while speeding on a Chiapas highway. Fifty-six people died and 113 were wounded. The images of the bodies scattered across the highway surrounded by horrified onlookers spread around the globe.

    Following the trail of this and similar accidents involving migrants and trucks, a cross-border team of journalists found that the illegal use of these cargo vehicles to move migrants across Mexico has increased in the past several years as cartels have taken over the smuggling business, which has historically been controlled by a loose network of smugglers called coyotes or polleros. All of this has unfolded as the Mexican government, pressured by the United States, has toughened its policies to limit the record number of people crossing its territory in recent years, pushing migrants to find dangerous and often deadly ways to travel. As they make use of the cargo industry, which is supposed to be tightly regulated by government agencies, organized crime groups seem to operate with impunity. Today, the smuggling business is estimated to generate billions of dollars a year for the cartels.

    It also “has an enormous logistics apparatus and, of course, all the necessary complicities behind it,” said Tonatiuh Guillén López, who was appointed Mexico’s immigration chief in December 2018 and resigned six months later over disagreement with the shifting immigration policies of president Andres Manuel López Obrador. “Otherwise, how do … dozens of trucks travel undetected through the country?”

    Neither Mexico’s National Institute of Migration, its attorney general, the Secretariat of Defense, the National Guard and the National Chamber of Cargo Transportation, which represents the trucking industry, would comment or consent to interviews for this story.

    The team of reporters interviewed survivors, experts, migrants’ rights advocates and current and former Mexican officials, and reviewed thousands of pages of documents for this story. The reporters also created a database listing more than 170 trucks that carried migrants and were inspected, detained, involved in accidents or abandoned from 2018 to 2023. Due to the varying quality of the information, and because Mexican authorities have tracked cases only since 2022, after the Chiapas accident, the data reveals only a tiny portion of this human smuggling. But what it does show is that nearly 19,000 people — including more than 3,200 minors — were traveling in the trucks the reporters identified.

    The data also shows that at least 111 migrants traveling in trailers through Mexico in those six years died because of exposure to heat or lack of oxygen, or as a result of traffic accidents. On March 7, 2019, a trailer carrying about 80 migrants drove off the road and overturned in Chiapas, causing the deaths of 23 people, among them a 2-year-old and a 7-year-old. Three years later, 64 people were rescued from a trailer abandoned on the side of the road in the northern state of Coahuila. They had been traveling without water or ventilation and endured temperatures of 104 degrees Fahrenheit inside the trailer, authorities said. Fourteen people were hospitalized, and a Nicaraguan woman died and had a stillbirth.

    On Sept. 28, 2023, two migrants died and 27 were injured after the driver of a truck carrying 52 people lost control and the truck overturned on a highway in Mezcalapa, Chiapas. Three days later, nine Cuban women and a girl died and 17 other Cubans were injured after the truck carrying them crashed on a highway about 100 miles from the Guatemalan border.

    Given the volume of people passing through Mexico — U.S. Customs and Border Protection data shows that more than 4.8 million foreign nationals were encountered at the southern border in the last two years alone — the number of migrants in trucks is undoubtedly higher than the reporters’ data analysis shows, according to experts and advocates for migrants’ rights.

    Guillén, the former immigration chief, said that while many migrants are misled by smugglers about the mode of transportation, others do understand the dangers of being locked for hours in a rolling steel container.

    “The situation of displaced people is so grave that they take all these risks,” Guillén said. He has a phrase to describe the despair and lack of options faced by migrants in Mexico and around the world. He calls it “the magnitude of hopelessness.”
    A ‘humane’ immigration policy?

    Large numbers of Central Americans have been passing through Mexico to reach the U.S. since at least the 1980s, fleeing civil wars or attracted by American companies’ demand for cheap labor. That migration continued in the late 1990s, when thousands left their countries after the devastation caused by Hurricane Mitch in 1998. Other waves followed, driven by economic crises, climate change, violence and political upheaval. Around 2010 a new trend emerged: Thousands of Asian and African migrants arrived in the south of Mexico after traversing the Americas en route to the U.S.

    To contain the flow, the U.S. and Mexico have beefed up the presence of law enforcement at their borders. With funding from the U.S., Mexico increased deportations, sending hundreds of thousands of people back to their countries and even deporting more than the United States has in particular years.

    Mexico became what experts call “a vertical border,” explained Gretchen Kuhner, director of the Institute for Women in Migration, a nonprofit advocacy group. This means that immigration inspections aren’t happening only at entry points at borders, airports and seaports, Kuhner said. Instead, stops and searches can happen anywhere. Soldiers and immigration agents began stopping people in parks and other public areas as far back as nearly 10 years ago, boarding buses and pulling over vehicles to catch undocumented migrants. (In 2022 the Mexican Supreme Court declared this practice unconstitutional after three Indigenous siblings who were racially profiled sued, but that hasn’t stopped the practice.)

    “This way of doing immigration control is, from our perspective, one of the factors that pushes people to travel in a clandestine way and what allows organized crime groups that traffic people to flourish,” Kuhner said, because they offer a way to dodge the random stops and searches.

    Poor migrants who can’t pay smugglers or hire fixers to bribe authorities for expedited documents to move legally across Mexico have traditionally attempted the journey walking or hitchhiking. Many more risk injury or death by climbing atop the moving freight train nicknamed “The Beast” and the “Death Train,” part of a railway network that runs the length of Mexico. Seeking safety in numbers, thousands of people a year travel together on foot for hundreds of miles in so-called migrant caravans. Others, like Martínez Castillo, the Dominican woodworker, and the nearly 19,000 identified in the data analysis, end up crammed in the trailer trucks.

    For a brief period at the beginning of his presidency in 2018, Andrés Manuel López Obrador, a center-left liberal, followed his campaign promises to forge a more “humane” immigration policy than the one he had inherited. His administration granted thousands of humanitarian visas to allow migrants safe passage or work visas to stay in Mexico. During that period, a caravan was able to cross the country largely unimpeded. But he soon reversed course under pressure from the Trump administration that threatened to increase tariffs on Mexican imports.

    In the summer of 2019, López Obrador deployed nearly 21,000 agents from the National Guard, a security force he created, to Mexico’s borders with Guatemala and the U.S. to contain migrants. Later, Mexico also largely stopped issuing safe-passage documents to migrants. Notably, the government prohibited transportation companies from selling bus tickets to anyone who couldn’t show a valid immigration document allowing them to be in the country. Advocates point to that policy — which prevents people from traveling in a safer way — as one of the chief reasons that pushed migrants to seek dangerous alternatives to traverse Mexico. In October, a Mexican federal court declared the practice of asking for immigration documents illegal and discriminatory.

    ‘Children, babies and entire families’

    In Mexico — an export-oriented economy that has overtaken China as the United States’ top supplier — cargo trucks play a key role in keeping businesses running. The number of cargo trucks traveling annually on Mexican roads surpassed 600,000 in 2021.

    A reporter from En un 2×3 Tamaulipas who contributed to this story spent more than six weeks approaching companies and individuals who work in the trucking industry in the hopes of finding drivers who had carried migrants in trucks. Only one driver agreed to talk – on the condition that his identity be protected out of fear of retribution. The man, who has driven trucks loaded with migrants, said that drivers don’t necessarily seek out this kind of work. Instead, they are recruited at freight stations by those who work for cartels. Refusing the job can mean death, he said.

    “They arrive and tell you: ‘I need you to take this trip for me,’” he said. “Everything is already arranged.”

    He said migrants who manage to reach Mexico City, in the center of the country, from the south are approached at bus terminals by coyotes who offer them safe transportation to the U.S.-Mexico border. Migrants who find a way to get to Michoacan, a few hours west of Mexico City, pay to board the trailer trucks. From there, they are driven hundreds of miles to towns near the border with Texas, such as Reynosa or Matamoros.

    The driver, who has been transporting produce from Michoacan to other parts of the country since 2013, said he has driven up to 100 people at a time in trailers, in trips that last 15 hours — carrying “children, babies and entire families.” Drivers are prohibited from stopping along the way to check on migrants’ conditions, he said.

    In 2022, he said, he was approached by a man who told him that he was going to drive a group of Central American migrants to northern Mexico. He was going to be paid for it, but he also understood it wasn’t an offer he could turn down. “They threaten your family,” the driver said. “I can’t even imagine how big their reach is, but when they come and offer you the gig they tell you, ‘Look, if you refuse or if you betray me, we know that your family lives in such and such area.’”

    He said he’s given a phone to receive instructions during the trip. He is stopped at checkpoints by either the Army or the National Guard. He’s usually instructed to explain to the soldiers that he is carrying people. Then he is supposed to hand over the phone. “They communicate with each other, arrange their transactions, and that’s it,” the driver said. “Then [the soldiers] tell you, ‘You can go through.’”

    The Mexican Secretariat of Defense also declined to comment on the testimony of the driver, claiming it has no jurisdiction in immigration matters. Drivers may be offered between $4,800 and $6,000 (80,000 to 100,000 Mexican pesos) for each trip or “package delivered,” the driver said, but they usually get less than half the payment in the end. “It is not negotiable,” he said.

    However harrowing it is to be recruited to drive migrants in a truck, the experience can’t begin to compare to what it’s like being a passenger. In January 2019, Yanira Chávez traveled for four days inside a trailer truck with her young son and daughter and about 170 others.

    Four days into the new year, Chávez, now 36, and her children left their small town in northern Honduras. She had paid the first $5,000 to a local coyote who for $10,000 promised to take them to the United States, where Chávez’s husband was waiting for them. The coyote told them that once in Mexico, they were going to travel to the northern region by plane and instructed them to buy “luggage with wheels” to appear as tourists, not migrants.

    Chávez and her children traveled by bus from Honduras to northern Guatemala, and from there they crossed a river by boat into Mexico. “I’m a little bit closer to you,” she texted her husband at that point.

    In Mexico, Chávez soon realized they would not be catching any plane. The smugglers took away her phone and the phones of the migrants she was traveling with, threw away their suitcases and forced them to get inside a huge trailer, she said. Chávez and others initially refused to get in. “But at that point, it no longer depends on whether you want to or not,” said Chávez. “You have to do it because if you don’t, the threat is that they will hand you over to the cartel.”

    Inside the truck the heat was stifling, Chávez recalled. Men were sitting lined up one behind the other in the center. Women squatted against the walls, holding the children between their legs. Soon after the truck started moving, a boy, about 2 years old, began crying. “Either you keep him quiet or I keep him quiet,” one of the armed coyotes riding inside the trailer told the child’s mother, according to Chávez.

    There were plastic buckets at each end of the trailer in which to urinate. The stench flooded the space, she said. “People were fainting.”

    The migrants were taken out of the trailer three times during the 900 miles from Villahermosa to Reynosa, she said, in the state of Tamaulipas, near Texas. One of those times, Chávez said, they walked through the backwoods for several hours until nightfall to evade a police checkpoint.

    https://www.youtube.com/watch?v=Ur19QsWddlg

    The ordeal didn’t end once the trailer truck dropped them off. In Reynosa, Chávez and her children were held hostage, first in a motel and then in a house for more than a week, until her husband managed to wire a total of $14,000 in small transactions to have them released, she said. Kidnappings are commonplace for migrants in Mexico when smugglers know they have relatives in the U.S. awaiting them.

    Nearly a month after she left Honduras, Chávez and her children crossed the Rio Grande and surrendered to the U.S. Border Patrol in McAllen, Texas, where they asked for asylum. Chávez says the case was recently closed, adding uncertainty to the family’s future, but for now they’re living a quiet life in Long Island, N.Y., where she works for a wood molding company. The bitter memories and guilt about what the children had to go through overwhelm her sometimes. It’s particularly hard, she said, when a trailer truck approaches her workplace to deliver materials.
    ‘A perfect cycle of impunity’

    Neither the victims of the smuggling business nor their surviving relatives often see justice, the reporting shows. From 2016 to 2023 there have been only 35 convictions for human trafficking in Mexican district courts, according to information obtained through a public records request to the Mexican Justice Department. Reporters compared the information from the Justice Department with the database created for this story. The analysis showed that some of the Mexican states where trucks smuggling migrants are most frequently detected — and where the most deaths are recorded annually — also have the fewest investigations into human trafficking open. In the state of Veracruz, the nation’s Attorney General’s Office only opened three cases from 2016 to October 2023, while there are no such open cases in either Chiapas or Nuevo León.

    Experts and human rights advocates say that in a country like Mexico, which often ranks poorly in reports about corruption, crimes against migrants are bound to go unpunished. “It is a perfect cycle of impunity,” said Mónica Oehler, a researcher in Mexico for Amnesty International.

    She said migrants rarely report crimes out of fear of being deported. They also risk retribution from smugglers. “It doesn’t even cross their mind when you ask them: ‘Have you reported this?’” Oehler said.

    For Kenia Castillo, the Dominican mother who lost her son in the December 2021 Chiapas accident, filing a crime report at the time was hardly foremost on her mind. “Our main worry was bringing his body home,” she said.

    Rafelín Martínez Castillo left a 4-year-old daughter whom Castillo is now raising and trying to legally adopt. There is also a mountain of debt from loans taken to pay for her son’s efforts to get to the U.S. As she grapples with those pressing realities, Castillo said, “Sometimes I think about how so many people have gone before and after him, and they made it.” She shrugged her shoulders, resigned to her son’s fate.

    The accident could have been a turning point in curtailing migrant smuggling but has instead become yet another tragic example of systemic failures. During a press conference the day after the accident, Mexico’s then-Foreign Affairs Secretary Marcelo Ebrard, along with officials from the Dominican Republic, Ecuador, Guatemala, Honduras and the United States, announced the creation of a Grupo de Acción Inmediata, or Immediate Action Group, to investigate what happened to Martínez Castillo and his fellow travelers. The officials blamed the accident on “international human trafficking networks” and vowed to stop them. The Ministry of Foreign Affairs said it would present the “actions, progress and results” of the group’s work in a public report.

    Reporters found that the group met only once in January 2022 after its inaugural session the month before, and the report promised by the ministry has never been released. The Ministry of Foreign Affairs in Mexico did not respond to requests for comments about the Immediate Action Group’s work. The U.S. Department of Homeland Security didn’t answer specific questions about the group, but a spokesperson wrote in an email that Homeland Security Investigations works with Mexico’s Transnational Criminal Investigative Unit to combat human smuggling and prosecute individuals involved in criminal activity “often resulting in disruptions of criminal enterprises.”

    Although arrests for the Chiapas accident were made in the Dominican Republic and Mexico, reporters have yet to find any evidence that, nearly 2½ years later, anyone, in any country, has been convicted.

    https://www.icij.org/inside-icij/2024/04/deadly-human-smuggling-through-mexico-thrives-in-perfect-cycle-of-impunity

    #impunité #mourir_aux_frontières #morts_aux_frontières #migrations #réfugiés #frontières #camions #cargo_truck #République_dominicaine #Chiapas #contrôles_frontaliers #The_Beast #The_Death_Train #train
    via @fil

  • L’étau se resserre autour des exilés ukrainiens en âge de combattre
    https://www.lemonde.fr/international/article/2024/04/29/l-etau-se-resserre-autour-des-exiles-ukrainiens-en-age-de-combattre_6230650_

    L’étau se resserre autour des exilés ukrainiens en âge de combattre
    Une décision « juste ». C’est ainsi que le ministre ukrainien des affaires étrangères, Dmytro Kuleba, a justifié l’ordre qu’il a donné, mardi 23 avril, de suspendre temporairement toutes les activités consulaires concernant les Ukrainiens en âge de servir dans l’armée. Le pays, qui manque cruellement de soldats pour aller combattre, ne délivrera plus de passeport aux hommes de 18 à 60 ans exilés à l’étranger, sauf exception. Seules les « cartes d’identité pour rentrer en Ukraine » sont maintenues. « Cette décision est purement politique », fulmine Vlodymyr Dovhan, un informaticien rencontré devant le consulat d’Ukraine à Varsovie.
    Arrivé en Pologne avec sa femme et sa fille le 23 février 2022, à la veille de l’invasion russe, cet Ukrainien estime que « ce n’est pas ça qui va faire revenir les Ukrainiens résidant en Pologne. Ma fille parle déjà polonais et se sent très bien ici. Quant à moi, j’[y] ai monté mon autoentreprise. »Les restrictions annoncées, dont les modalités sont encore peu claires, visent à empêcher les Ukrainiens de « se soustraire à l’obligation de résoudre la question de l’enregistrement militaire », selon Kiev. Une façon de faire pression sur les dizaines de milliers d’hommes qui ont fui le pays après l’attaque russe afin de les inciter à revenir et à participer à l’effort de guerre. « Dans le contexte de l’agression à grande échelle de la Russie, la priorité absolue est de protéger notre patrie de la destruction, a justifié Dmytro Kuleba. Voilà à quoi cela ressemble aujourd’hui : un homme en âge de combattre est parti à l’étranger, a montré à son Etat qu’il ne se souciait pas de sa survie, puis il vient et veut recevoir les services de cet Etat. Cela ne marche pas comme ça. Notre pays est en guerre (…) Vivre à l’étranger ne dispense pas un citoyen de ses devoirs envers la patrie. »
    L’interdiction est censée se poursuivre jusqu’à la clarification des dispositions de la loi sur le renforcement de la mobilisation, qui entrera en vigueur le samedi 18 mai. Celle-ci vise à durcir les punitions pour les récalcitrants, et abaisse l’âge de la mobilisation de 27 à 25 ans. La suspension des services consulaires ne s’applique pas aux personnes déjà autorisées à franchir la frontière en vertu de certaines exceptions, comme un handicap ou l’accompagnement d’orphelins.
    Cette mesure suscite une vague d’inquiétude et de colère. En Pologne, des centaines d’Ukrainiens se sont aussitôt pressés devant le consulat. Un incident technique survenu le jour même a ajouté à la panique. « Le ministère ukrainien des affaires étrangères a précisé que les services consulaires seraient à nouveau disponibles à ceux qui auront mis à jour leurs informations militaires, souligne au Monde Oksana Pestrykova, coordinatrice du centre de soutien de La Maison ukrainienne à Varsovie, une ONG venant en aide aux Ukrainiens de la diaspora. Mais les Ukrainiens de Pologne redoutent qu’une fois ces informations transmises, ils reçoivent des documents les obligeant à rejoindre l’armée. »
    La Pologne compte plus de 952 000 réfugiés ukrainiens enregistrés, dont 16 % d’hommes en âge de servir dans l’armée, soit plus de 152 600, selon les chiffres des Nations unies pour les réfugiés. Oksana Pestrykova ne se dit pas surprise par la suspension des services consulaires, car « l’Ukraine est en guerre et l’opinion publique ne voit pas d’un bon œil les hommes en âge de se battre qui se trouvent à l’étranger ». La majorité des Ukrainiens vivant en Pologne sont encore domiciliés en Ukraine. Or « la conscription est un devoir, et tout citoyen qui ne se présente pas à une convocation dans les temps enfreint la loi, ajoute-t-elle. Ce qui est problématique, en revanche, c’est que les Ukrainiens qui se trouvaient en Pologne avant 2022, qui travaillent légalement et ont une famille dans le pays, soient perçus comme des personnes qui violent la loi ».(...) La Pologne et la Lituanie se sont déclarées prêtes à aider Kiev à faire revenir les hommes expatriés en âge de combattre. « Cela ne m’étonne nullement que les autorités ukrainiennes fassent tout pour envoyer des soldats sur le front », a déclaré le ministre polonais de la défense, Wladyslaw Kosiniak-Kamysz. Interrogé pour savoir si son pays répondrait positivement à une éventuelle demande de Kiev de renvoyer ces hommes mobilisables en Ukraine, il a répondu que « tout [était] possible ». La Lituanie est disposée à suivre les pas de la Pologne. « L’Ukraine manque cruellement de réserves mobilisables (…). Ce n’est pas juste pour les citoyens qui se battent pour leur pays », a indiqué le ministre de la défense, Laurynas Kasciunas.
    En Allemagne, refuge privilégié des Ukrainiens en Europe, les exilés s’attendaient depuis longtemps à une telle mesure. Quelque 1,1 million d’entre eux vivent actuellement dans le pays, dont la plupart sont arrivés après l’invasion russe, selon les chiffres d’avril de l’Office allemand des statistiques.
    (...)« Il ne faut pas que nos compatriotes s’inquiètent », tente de rassurer une source diplomatique ukrainienne, consciente que le sujet est « sensible ». « Nos consuls attendent des clarifications concernant les dispositions de la loi. On voit que c’est la panique sur les réseaux sociaux, mais la protection des droits des Ukrainiens reste la priorité pour nos consuls. » Après l’entrée en vigueur de la loi sur la mobilisation, en mai, « le processus d’acceptation et d’examen des demandes d’actions consulaires se poursuivra en tenant compte des nouvelles exigences découlant des dispositions de la loi », a indiqué le ministère ukrainien des affaires étrangères, sans autre précision. Et sans parvenir à rassurer les intéressés, qui voient l’étau se resserrer sur eux.

    #Covid-19#migrant#migration#ukraine#allemagne#pologne#lituanie#refugie#conscription#sante#guerre

  • A bord du « Belem », Zabih, réfugié afghan de 25 ans, prend conscience que la mer n’est pas que « le lieu où l’on peut mourir »
    https://www.lemonde.fr/sport/article/2024/05/02/a-bord-du-belem-zabih-refugie-afghan-de-25-ans-prend-conscience-que-la-mer-n

    A bord du « Belem », Zabih, réfugié afghan de 25 ans, prend conscience que la mer n’est pas que « le lieu où l’on peut mourir »
    Par Patricia Oudit
    « Vous avez vu, à chaque fois que je siffle, ils sautent ! » Dimanche 28 avril, penché au-dessus du garde-corps du gaillard d’avant, Zabih Yaqubee, éternel sourire fiché aux lèvres, a vu pour la première fois de sa vie des dauphins, des dizaines d’entre eux jouant avec l’étrave. « C’est merveilleux. Le canal de Corinthe cet après-midi, puis ça… Quand je suis à la barre, sous la lune, j’ai l’impression d’être Jack Sparrow dans Pirates des Caraïbes, un de mes films préférés ! » L’Afghan de 25 ans fait partie des seize éclaireurs de 17 à 25 ans chargés d’escorter la flamme olympique d’Athènes à Marseille sur le Belem, du 27 avril au 8 mai, en vue des Jeux de Paris de l’été.
    A bord, bien que ce programme d’insertion laisse la part belle au voyage et à la découverte, ce n’est pas La croisière s’amuse. A chaque jour sa corvée sous les ordres de l’équipage, dirigé d’une gouaille de fer par le commandant, Aymeric Gibet : il faut récurer le pont, astiquer les cuivres, assurer les services aux repas, participer aux quarts de nuit et aux manœuvres physiques. Avec ses 1 200 mètres carrés de voile et ses 800 tonnes, le vieux gréement à la coque acier ne se bouge pas aisément. Quelques heures avant le bal des dauphins qui a tant ému Zabih, dimanche, le trois-mâts avait été autorisé à passer par le mythique canal de Corinthe, ses eaux turquoise serties entre de hautes falaises blanches, ouvert spécialement pour lui.
    Plus tard, mercredi 1er mai, au sortir de son quart de nuit, entre 4 heures et 8 heures du matin, le jeune homme a vu le soleil se lever sur une mer calme d’un étonnant bleu roi, alors que le Belem approchait du détroit de Messine, presque à mi-parcours. D’ici quelques minutes, il embarquera pour une visite guidée à bord de la Seine, le bateau suiveur de la marine nationale qui assure la sécurité du Belem, puis enchaînera avec les autres activités rythmant le quotidien.
    Zabih, conscient de sa différence avec les autres jeunes présents à bord, dont le parcours, si chaotique soit-il, n’est pas comparable à ce qu’il a vécu, ne retient que le bonheur d’être là. La cadence soutenue lui donne de l’énergie, l’horizon infini lui nettoie le cerveau. Envolées les mauvaises pensées. La fatigue ? Rien au regard de ce qu’il a traversé pour être ici aujourd’hui. Sur le pont principal du bateau, après un atelier de matelotage, l’Afghan fait le récit d’un autre périple, âpre et désespéré, aux antipodes de cette traversée clémente de douze jours sur la Méditerranée.
    Son père tué par les talibans alors qu’il n’a que 5 ans, sa mère qui se remarie et disparaît subitement du paysage, son départ de l’Afghanistan à 12 ans, après une succession de petits boulots : vendeur de bonbons, employé de restaurant ou d’hôtel, à dormir à même la table. « J’ai fait ensuite plusieurs allers-retours en Iran, d’où je me faisais chasser régulièrement, raconte-t-il. Pour rejoindre ce pays, il fallait marcher des jours à pied dans les montagnes, puis on me faisait passer dans le coffre d’une voiture ou m’accrochait sous son châssis sans bouger pendant des heures. »
    Parmi les cauchemars qui auront du mal à s’effacer, ce jour de 2015 où, alors qu’il traverse le Pakistan, passage obligé pour se rendre en Iran, il est mis en joue par des militaires qui simulent une exécution : « J’ai vécu des choses affreuses, mais ce jour-là j’ai eu la peur de ma vie. Ils nous ont tout volé. Heureusement, j’avais roulé quelques billets très serrés dans du plastique et les avais cachés dans mon dentifrice. »
    La première vision qu’a Zabih de la mer, c’est celle d’un canot non motorisé où il s’entasse, en 2015, au départ de la Turquie, en compagnie d’une trentaine d’autres migrants. Direction la Grèce, alors que la tempête fait rage. « Pour moi, avant de découvrir ce bateau [le Belem], la mer, c’était un lieu où on peut mourir », dit-il. Après avoir traversé l’Autriche, l’Allemagne et le Danemark, le jeune homme réussit à s’installer en Suède, où il est scolarisé, mais en est expulsé quatre ans plus tard, en pleine formation d’aide-soignant.
    « Le jour où j’ai ouvert la lettre m’informant que je devais partir, je me suis senti mourir, se remémore-t-il. Aussi, je trouvais tellement bête d’avoir dépensé autant d’argent pour moi pour finir par me mettre dehors ! » En 2020, le jeune réfugié débarque en France, où il rejoint d’autres Afghans, porte de la Chapelle, à Paris, « avec ces tentes où les rats passent au-dessus des têtes », avant d’être envoyé plusieurs mois dans le Sud. Son périple s’arrêtera finalement à La Rochelle. « Là, j’ai été aidé par l’association d’insertion AI17 [Association pour l’insertion en Charente-Maritime]. Et, après une formation de paysagiste, j’ai décroché un emploi dans les espaces verts de l’île de Ré [dans le même département]. »
    Le ciel qui s’est éclairci s’ouvre alors davantage. Il y a un an, en 2023, Zabih montait à bord du Belem pour un stage d’une journée. Repéré par la Caisse d’épargne Aquitaine-Poitou-Charentes pour, pense-t-il, « ma capacité à affronter des situations difficiles et mon enthousiasme ». A l’époque, le relais de la flamme ne fait pas encore partie du programme d’insertion. Quand il apprend finalement qu’il escortera le feu olympique d’Athènes à Marseille, la surprise est totale. « J’ai pleuré… Ça montre qu’il faut toujours y croire. Et représenter la France, qui m’a tant donné, c’est une chance incroyable ! » Pour Zabih, comme pour ses quinze camarades sélectionnés parmi 350 jeunes venus de toute la France ayant navigué sur le navire, ce voyage est une aubaine. « Grâce à cette traversée, ces jeunes ont accès à une aventure hors-norme qui les valorise. Au fil de la navigation, on constate l’effet Belem : ils se révèlent, apprennent à se dépasser, à respecter les règles, à vivre en communauté, confirme Christelle de Larauze, déléguée générale de la Fondation Belem, qui a initié ce programme en partenariat avec les Caisses d’épargne régionales. Ces stages d’insertion seront pérennisés après les Jeux olympiques, jusqu’en 2027, avec un suivi de tous ces jeunes. »
    Sur le pont du Belem, devenu inséparable de son ami Steven Etcheverry, 19 ans, serveur dans un restaurant semi-gastronomique à Auch et qui rêve de devenir chef de rang, le jeune homme se sent libre, fier, rempli de courage et de confiance. Après avoir vu la lave jaillir du Stromboli, il attend avec impatience la montée au mât, grand moment de ce voyage-ci, qu’il a choisi, pas subi. Zabih veut devenir dentiste, « puisque chez vous, il en manque ». Quand il regarde la lanterne de la flamme dans le grand roof, il lui trouve une ressemblance avec celle qu’on utilisait dans son village de Daikondi : « Chez moi, cela voulait dire qu’on était dans l’obscurité. Celle-ci, c’est la lumière, qui m’ouvre les yeux, m’aide à voir le bon côté des choses, moi qui, pendant toute ma jeunesse, n’ai vu que les mauvais. »

    #Covid-19#migrant#migration#france#mer#afghanistan#refugie#sante#insertion

  • #Tunisie : la #morgue de #Sfax débordée par les corps de migrants

    D’une capacité de 35 places, la morgue de l’#hôpital de Sfax, dans le centre de la Tunisie, est actuellement à saturation : une centaine de corps de migrants sont en attente d’inhumation. La région concentre les départs d’embarcations chargées d’exilés vers l’Europe.

    Il n’y a pas assez de place pour les cadavres. D’après un responsable de la santé basé à Sfax, la morgue de l’hôpital, d’une capacité de 35 places, est à saturation : une centaine de corps de migrants sont en attente d’#inhumation.

    Face à la multiplication des décès en mer, les autorités tunisiennes locales souffrent d’un manque de capacités logistiques pour conserver ces corps, le temps que des tests ADN soient effectués pour identification et que des tombes soient réservées, explique Middle East Monitor.

    Ce n’est pas la première fois que la morgue de l’hôpital se retrouve dans cette situation. En mars 2023, les autorités avaient tiré la sonnette d’alarme, alors que 70 corps avaient été pris en charge.

    Pour répondre à l’urgence, le directeur régional de la santé avait lancé un appel « aux organisations de migration », en particulier l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), « pour soutenir les efforts du système de santé local en fournissant des conteneurs réfrigérés et un camion réfrigéré pour transporter les corps à l’hôpital ».

    En mai 2022 aussi, l’établissement avait reçu 92 corps de migrants morts en mer, tous originaires d’Afrique subsaharienne. Faute de place, une quarantaine d’entre eux étaient « entassés sur le sol », avait déploré le porte-parole du tribunal de Sfax, Mourad Turki.
    Des naufrages en chaîne

    Cette région du centre de la Tunisie est le principal point de départ des embarcations d’exilés en partance pour l’Europe. Et les naufrages sont très nombreux. Mercredi 10 avril, deux embarcations parties de Tunisie ont chaviré en mer. L’un au large de Lampedusa : neuf personnes, dont une fillette, sont décédés, et 15 sont portées disparues. Le second naufrage s’est produit au large des côtes tunisiennes, sans que l’on ne retrouve les 45 passagers du bateau.

    Parfois, il faut attendre des jours voire des semaines après un naufrage avant que la mer ne recrache des corps sur les différentes plages du pays.

    Début avril, les autorités tunisiennes avaient aussi récupéré 13 corps de migrants au large du pays. Le 25 mars aussi, cinq corps de migrants ont été retrouvés par les garde-côtes tunisiens, sur le littoral centre.
    « Le racisme ici a tout chamboulé »

    Au cours du premier trimestre 2024, plus de 21 000 personnes parties des côtes tunisiennes ont atteint l’Italie, a déclaré à la radio Mosaïque FM le porte-parole de de la Garde nationale tunisienne, Houssam Eddine Jebabli.

    Les exilés embarquent dans de frêles bateaux en fer complètement inadaptés aux traversées en mer, poussés par des conditions de vie très difficiles dans le pays. Le racisme anti-Noirs, attisé par des propos du président Kaïs Saïed, est légion dans la région de Sfax notamment. Forcés de quitter la ville, des centaines de migrants survivent depuis plusieurs mois dans des camps délabrés, le long d’une route, sous des oliviers.

    Pour ces exilés qui survivent dans le dénuement le plus total, la seule solution reste un départ pour l’Europe. « Quand je suis arrivé en Tunisie, c’était pour y rester et construire ma vie : obtenir l’asile, continuer mes études dans l’informatique, et travailler un peu en parallèle, a raconté à InfoMigrants Miguel, un migrant camerounais installé dans un des camps près d’Al-Amra. Mais le racisme qu’il y a ici a tout chamboulé. Ça a cassé tous mes rêves ».

    Désormais le jeune homme n’aspire qu’à une chose : prendre la mer direction l’Italie. Malgré la dangerosité de la traversée. En 2023, 1 313 personnes parties des côtes tunisiennes ont disparu ou sont mortes en #mer_Méditerranée, selon les chiffres du Forum tunisien des droits économiques et sociaux (FTDES). Un nombre jamais atteint jusqu’ici.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/56547/tunisie--la-morgue-de-sfax-debordee-par-les-corps-de-migrants
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