• Raniero Panzieri, Mario Tronti, Gaspare De Caro, Toni Negri (Turin, 1962)

      Conférence de Potere operaio à l’Université de Bologne en 1970.

      Manifestation de Potere operaio à Milan en 1972.

      Negri lors de son procès après la rafle du 7 avril 1979

      #Toni_Negri
      https://fr.wikipedia.org/wiki/Toni_Negri

      Lénine au-delà de Lénine, Toni Negri (extrait de 33 Leçons sur Lénine), 1972-1973
      http://revueperiode.net/lenine-au-dela-de-lenine

      Domination et sabotage - Sur la méthode marxiste de transformation sociale, Antonio Negri (pdf), 1977
      https://entremonde.net/IMG/pdf/a6-03dominationsabotage-0-livre-high.pdf

      L’Anomalie sauvage d’Antonio Negri, Alexandre Matheron, 1983
      https://books.openedition.org/enseditions/29155?lang=fr

      Sur Mille Plateaux, Toni Negri, Revue Chimères n° 17, 1992
      https://www.persee.fr/doc/chime_0986-6035_1992_num_17_1_1846

      Les coordinations : une proposition de communisme, Toni Negri, 1994
      https://www.multitudes.net/les-coordinations-une-proposition

      Le contre-empire attaque, entretien avec Toni Negri, 2000
      https://vacarme.org/article28.html

      [#travail #multitude_de_singularités à 18mn] : Toni Negri, 2014
      https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/les-chemins-de-la-philosophie/actualite-philosophique-toni-negri-5100168

      à l’occasion de la parution du Hors-Série de Philosophie Magazine sur le thème, les philosophes et le #communisme.

      Socialisme = soviets + électricité, Toni Negri, 2017
      http://revueperiode.net/les-mots-dordre-de-lenine

      L’appropriation du capital fixe : une métaphore ?
      Antonio Negri, Multitudes 2018/1 (n° 70)
      https://www.cairn.info/revue-multitudes-2018-1-page-92.htm

      Domination et sabotage - Entretien avec Antonio Negri, 2019
      https://vacarme.org/article3253.html

    • Les nécros de Ration et de L’imMonde ont par convention une tonalité vaguement élogieuse mais elles sont parfaitement vides. Celle de l’Huma parait plus documentée mais elle est sous paywall...

      edit L’Huma c’est encore et toujours la vilaine bêtise stalinienne :

      Figure de prou de "l’opéraïsme" dans les années 1960, arrêté durant les années de plomb en Italie, penseur de la "multitude" dans les années 2000, le théoricien politique, spécialiste de la philosophie du droit et de Hegel, est mort à Paris à l’âge de 90 ans.
      Pierre Chaillan

      (...) Figure intellectuelle et politique, il a traversé tous les soubresauts de l’histoire de l’Italie moderne et restera une grande énigme au sein du mouvement communiste et ouvrier international . Né le 1er août 1933 dans l’Italie mussolinienne, d’un père communiste disparu à la suite de violences infligées par une brigade fasciste, Antonio Negri est d’abord militant de l’Action catholique avant d’adhérer en 1956 au Parti socialiste italien, qu’il quittera rapidement.

      Le théoricien, animateurs de “l’opéraïsme”

    • Un journaliste du Monde « Gauchologue et fafologue / Enseigne @sciencespo » diffuse sur X des extraits de l’abject "Camarade P38" du para-policier Fabrizio Calvi en prétendant que cette bouse « résume les critiques ».
      Mieux vaut se référer à EMPIRE ET SES PIÈGES - Toni Negri et la déconcertante trajectoire de l’opéraïsme italien, de Claudio Albertani https://infokiosques.net/spip.php?article541

    • #opéraïsme

      http://www.zones-subversives.com/l-op%C3%A9ra%C3%AFsme-dans-l-italie-des-ann%C3%A9es-1960

      Avant l’effervescence de l’Autonomie italienne, l’opéraïsme tente de renouveler la pensée marxiste pour réfléchir sur les luttes ouvrières. Ce mouvement politique et intellectuel se développe en Italie dans les années 1960. Il débouche vers une radicalisation du conflit social en 1968, et surtout en 1969 avec une grève ouvrière sauvage. Si le post-opéraïsme semble relativement connu en France, à travers la figure de Toni Negri et la revue Multitudes, l’opéraïsme historique demeure largement méconnu.

      Mario Tronti revient sur l’aventure de l’opéraïsme, à laquelle il a activement participé. Son livre articule exigence théorique et témoignage vivant. Il décrit ce mouvement comme une « expérience de pensée - d’un cercle de personnes liées entre elles indissolublement par un lien particulier d’amitié politique ». La conflictualité sociale et la radicalisation des luttes ouvrières doit alors permettre d’abattre le capitalisme.

    • IL SECOLO BREVE DI TONI NEGRI, Ago 17, 2023,
      di ROBERTO CICCARELLI.

      http://www.euronomade.info/?p=15660

      Toni Negri hai compiuto novant’anni. Come vivi oggi il tuo tempo?

      Mi ricordo Gilles Deleuze che soffriva di un malanno simile al mio. Allora non c’erano l’assistenza e la tecnologia di cui possiamo godere noi oggi. L’ultima volta che l’ho visto girava con un carrellino con le bombole di ossigeno. Era veramente dura. Lo è anche per me oggi. Penso che ogni giorno che passa a questa età sia un giorno di meno. Non hai la forza di farlo diventare un giorno magico. È come quando mangi un buon frutto e ti lascia in bocca un gusto meraviglioso. Questo frutto è la vita, probabilmente. È una delle sue grandi virtù.

      Novant’anni sono un secolo breve.

      Di secoli brevi ce ne possono essere diversi. C’è il classico periodo definito da Hobsbawm che va dal 1917 al 1989. C’è stato il secolo americano che però è stato molto più breve. È durato dagli accordi monetari e dalla definizione di una governance mondiale a Bretton Woods, agli attentati alle Torri Gemelle nel settembre 2001. Per quanto mi riguarda il mio lungo secolo è iniziato con la vittoria bolscevica, poco prima che nascessi, ed è continuato con le lotte operaie, e con tutti i conflitti politici e sociali ai quali ho partecipato.

      Questo secolo breve è terminato con una sconfitta colossale.

      È vero. Ma hanno pensato che fosse finita la storia e fosse iniziata l’epoca di una globalizzazione pacificata. Nulla di più falso, come vediamo ogni giorno da più di trent’anni. Siamo in un’età di transizione, ma in realtà lo siamo sempre stati. Anche se sottotraccia, ci troviamo in un nuovo tempo segnato da una ripresa globale delle lotte contro le quali c’è una risposta dura. Le lotte operaie hanno iniziato a intersecarsi sempre di più con quelle femministe, antirazziste, a difesa dei migranti e per la libertà di movimento, o ecologiste.

      Filosofo, arrivi giovanissimo in cattedra a Padova. Partecipi a Quaderni Rossi, la rivista dell’operaismo italiano. Fai inchiesta, fai un lavoro di base nelle fabbriche, a cominciare dal Petrolchimico di Marghera. Fai parte di Potere Operaio prima, di Autonomia Operaia poi. Vivi il lungo Sessantotto italiano, a cominciare dall’impetuoso Sessantanove operaio a Corso Traiano a Torino. Qual è stato il momento politico culminante di questa storia?

      Gli anni Settanta, quando il capitalismo ha anticipato con forza una strategia per il suo futuro. Attraverso la globalizzazione, ha precarizzato il lavoro industriale insieme all’intero processo di accumulazione del valore. In questa transizione, sono stati accesi nuovi poli produttivi: il lavoro intellettuale, quello affettivo, il lavoro sociale che costruisce la cooperazione. Alla base della nuova accumulazione del valore, ci sono ovviamente anche l’aria, l’acqua, il vivente e tutti i beni comuni che il capitale ha continuato a sfruttare per contrastare l’abbassamento del tasso di profitto che aveva conosciuto a partire dagli anni Sessanta.

      Perché, dalla metà degli anni Settanta, la strategia capitalista ha vinto?

      Perché è mancata una risposta di sinistra. Anzi, per un tempo lungo, c’è stata una totale ignoranza di questi processi. A partire dalla fine degli anni Settanta, c’è stata la soppressione di ogni potenza intellettuale o politica, puntuale o di movimento, che tentasse di mostrare l’importanza di questa trasformazione, e che puntasse alla riorganizzazione del movimento operaio attorno a nuove forme di socializzazione e di organizzazione politica e culturale. È stata una tragedia. Qui che appare la continuità del secolo breve nel tempo che stiamo vivendo ora. C’è stata una volontà della sinistra di bloccare il quadro politico su quello che possedeva.

      E che cosa possedeva quella sinistra?

      Un’immagine potente ma già allora inadeguata. Ha mitizzato la figura dell’operaio industriale senza comprendere che egli desiderava ben altro. Non voleva accomodarsi nella fabbrica di Agnelli, ma distruggere la sua organizzazione; voleva costruire automobili per offrirle agli altri senza schiavizzare nessuno. A Marghera non avrebbe voluto morire di cancro né distruggere il pianeta. In fondo è quello che ha scritto Marx nella Critica del programma di Gotha: contro l’emancipazione attraverso il lavoro mercificato della socialdemocrazia e per la liberazione della forza lavoro dal lavoro mercificato. Sono convinto che la direzione presa dall’Internazionale comunista – in maniera evidente e tragica con lo stalinismo, e poi in maniera sempre più contraddittoria e irruente -, abbia distrutto il desiderio che aveva mobilitato masse gigantesche. Per tutta la storia del movimento comunista è stata quella la battaglia.

      Cosa si scontrava su quel campo di battaglia?

      Da un lato, c’era l’idea della liberazione. In Italia è stata illuminata dalla resistenza contro il nazi-fascismo. L’idea di liberazione si è proiettata nella stessa Costituzione così come noi ragazzi la interpretammo allora. E in questa vicenda non sottovaluterei l’evoluzione sociale della Chiesa Cattolica che culminò con il Secondo Concilio Vaticano. Dall’altra parte, c’era il realismo ereditato dal partito comunista italiano dalla socialdemocrazia, quello degli Amendola e dei togliattiani di varia origine. Tutto è iniziato a precipitare negli anni Settanta, mentre invece c’era la possibilità di inventare una nuova forma di vita, un nuovo modo di essere comunisti.

      Continui a definirti un comunista. Cosa significa oggi?

      Quello che per me ha significato da giovane: conoscere un futuro nel quale avremmo conquistato il potere di essere liberi, di lavorare meno, di volerci bene. Eravamo convinti che concetti della borghesia quali libertà, uguaglianza e fraternità avrebbero potuto realizzarsi nelle parole d’ordine della cooperazione, della solidarietà, della democrazia radicale e dell’amore. Lo pensavamo e lo abbiamo agito, ed era quello che pensava la maggioranza che votava la sinistra e la faceva esistere. Ma il mondo era ed è insopportabile, ha un rapporto contraddittorio con le virtù essenziali del vivere insieme. Eppure queste virtù non si perdono, si acquisiscono con la pratica collettiva e sono accompagnate dalla trasformazione dell’idea di produttività che non significa produrre più merci in meno tempo, né fare guerre sempre più devastanti. Al contrario serve a dare da mangiare a tutti, modernizzare, rendere felici. Comunismo è una passione collettiva gioiosa, etica e politica che combatte contro la trinità della proprietà, dei confini e del capitale.

      L’arresto avvenuto il 7 aprile 1979, primo momento della repressione del movimento dell’autonomia operaia, è stato uno spartiacque. Per ragioni diverse, a mio avviso, lo è stato anche per la storia del «manifesto» grazie a una vibrante campagna garantista durata anni, un caso giornalistico unico condotto con i militanti dei movimenti, un gruppo di coraggiosi intellettuali, il partito radicale. Otto anni dopo, il 9 giugno 1987, quando fu demolito il castello di accuse cangianti, e infondate, Rossana Rossanda scrisse che fu una «tardiva, parziale riparazione di molto irreparabile». Cosa significa oggi per te tutto questo?

      È stato innanzitutto il segno di un’amicizia mai smentita. Rossana per noi è stata una persona di una generosità incredibile. Anche se, a un certo punto, si è fermata anche lei: non riusciva a imputare al Pci quello che il Pci era diventato.

      Che cosa era diventato?

      Un oppressore. Ha massacrato quelli che denunciavano il pasticcio in cui si era andato a ficcare. In quegli anni siamo stati in molti a dirglielo. Esisteva un’altra strada, che passava dall’ascolto della classe operaia, del movimento studentesco, delle donne, di tutte le nuove forme nelle quali le passioni sociali, politiche e democratiche si stavano organizzando. Noi abbiamo proposto un’alternativa in maniera onesta, pulita e di massa. Facevamo parte di un enorme movimento che investiva le grandi fabbriche, le scuole, le generazioni. La chiusura da parte del Pci ha determinato la nascita di estremizzazioni terroristiche: questo è fuori dubbio. Noi abbiamo pagato tutto e pesantemente. Solo io ho fatto complessivamente quattordici anni di esilio e undici e mezzo di prigione. Il Manifesto ha sempre difeso la nostra innocenza. Era completamente idiota che io o altri dell’Autonomia fossimo considerati i rapitori di Aldo Moro o gli uccisori di compagni. Tuttavia, nella campagna innocentista che è stata coraggiosa e importante è stato però lasciato sul fondo un aspetto sostanziale.

      Quale?
      Eravamo politicamente responsabili di un movimento molto più ampio contro il compromesso storico tra il Pci e la Dc. Contro di noi c’è stata una risposta poliziesca della destra, e questo si capisce. Quello che non si vuol capire è stata invece la copertura che il Pci ha dato a questa risposta. In fondo, avevano paura che cambiasse l’orizzonte politico di classe. Se non si comprende questo nodo storico, come ci si può lamentare dell’inesistenza di una sinistra oggi in Italia?

      Il sette aprile, e il cosiddetto «teorema Calogero», sono stati considerati un passo verso la conversione di una parte non piccola della sinistra al giustizialismo e alla delega politica alla magistratura. Come è stato possibile lasciarsi incastrare in una simile trappola?

      Quando il Pci sostituì la centralità della lotta morale a quella economica e politica, e lo fece attraverso giudici che gravitavano attorno alla sua area, ha finito il suo percorso. Questi davvero credevano di usare il giustizialismo per costruire il socialismo? Il giustizialismo è una delle cose più care alla borghesia. È un’illusione devastante e tragica che impedisce di vedere l’uso di classe del diritto, del carcere o della polizia contro i subalterni. In quegli anni cambiarono anche i giovani magistrati. Prima erano molto diversi. Li chiamavano «pretori di assalto». Ricordo i primi numeri della rivista Democrazia e Diritto ai quali ho lavorato anch’io. Mi riempivano di gioia perché parlavamo di giustizia di massa. Poi l’idea di giustizia è stata declinata molto diversamente, riportata ai concetti di legalità e di legittimità. E nella magistratura non c’è più stata una presa di parola politica, ma solo schieramenti tra correnti. Oggi, poi abbiamo una Costituzione ridotta a un pacchetto di norme che non corrispondono neanche più alla realtà del paese.

      In carcere avete continuato la battaglia politica. Nel 1983 scriveste un documento in carcere, pubblicato da Il Manifesto, intitolato «Do You remember revolution». Si parlava dell’originalità del 68 italiano, dei movimenti degli anni Settanta non riducibili agli «anni di piombo». Come hai vissuto quegli anni?

      Quel documento diceva cose importanti con qualche timidezza. Credo dica più o meno le cose che ho appena ricordato. Era un periodo duro. Noi eravamo dentro, dovevamo uscire in qualche maniera. Ti confesso che in quell’immane sofferenza per me era meglio studiare Spinoza che pensare all’assurda cupezza in cui eravamo stati rinchiusi. Ho scritto su Spinoza un grosso libro ed è stato una specie di atto eroico. Non potevo avere più di cinque libri in cella. E cambiavo carcere speciale in continuazione: Rebibbia, Palmi, Trani, Fossombrone, Rovigo. Ogni volta in una cella nuova con gente nuova. Aspettare giorni e ricominciare. L’unico libro che portavo con me era l’Etica di Spinoza. La fortuna è stata finire il mio testo prima della rivolta a Trani nel 1981 quando i corpi speciali hanno distrutto tutto. Sono felice che abbia prodotto uno scossone nella storia della filosofia.

      Nel 1983 sei stato eletto in parlamento e uscisti per qualche mese dal carcere. Cosa pensi del momento in cui votarono per farti tornare in carcere e tu decidesti di andare in esilio in Francia?

      Ne soffro ancora molto. Se devo dare un giudizio storico e distaccato penso di avere fatto bene ad andarmene. In Francia sono stato utile per stabilire rapporti tra generazioni e ho studiato. Ho avuto la possibilità di lavorare con Félix Guattari e sono riuscito a inserirmi nel dibattito del tempo. Mi ha aiutato moltissimo a comprendere la vita dei Sans Papiers. Lo sono stato anch’io, ho insegnato pur non avendo una carta di identità. Mi hanno aiutato i compagni dell’università di Parigi 8. Ma per altri versi mi dico che ho sbagliato. Mi scuote profondamente il fatto di avere lasciato i compagni in carcere, quelli con cui ho vissuto i migliori anni della mia vita e le rivolte in quattro anni di carcerazione preventiva. Averli lasciati mi fa ancora male. Quella galera ha devastato la vita di compagni carissimi, e spesso delle loro famiglie. Ho novant’anni e mi sono salvato. Non mi rende più sereno di fronte a quel dramma.

      Anche Rossanda ti criticò…

      Sì, mi ha chiesto di comportarmi come Socrate. Io le risposi che rischiavo proprio di finire come il filosofo. Per i rapporti che c’erano in galera avrei potuto morire. Pannella mi ha materialmente portato fuori dalla galera e poi mi ha rovesciato tutte le colpe del mondo perché non volevo tornarci. Sono stati in molti a imbrogliarmi. Rossana mi aveva messo in guardia già allora, e forse aveva ragione.

      C’è stata un’altra volta che lo ha fatto?

      Sì, quando mi disse di non rientrare da Parigi in Italia nel 1997 dopo 14 anni di esilio. La vidi l’ultima volta prima di partire in un café dalle parti del Museo di Cluny, il museo nazionale del Medioevo. Mi disse che avrebbe voluto legami con una catena per impedirmi di prendere quell’aereo.

      Perché allora hai deciso di tornare in Italia?

      Ero convinto di fare una battaglia sull’amnistia per tutti i compagni degli anni Settanta. Allora c’era la Bicamerale, sembrava possibile. Mi sono fatto sei anni di galera fino al 2003. Forse Rossana aveva ragione.

      Che ricordo oggi hai di lei?

      Ricordo l’ultima volta che l’ho vista a Parigi. Una dolcissima amica, che si preoccupava dei miei viaggi in Cina, temeva che mi facessi male. È stata una persona meravigliosa, allora e sempre.

      Anna Negri, tua figlia, ha scritto «Con un piede impigliato nella storia» (DeriveApprodi) che racconta questa storia dal punto di vista dei vostri affetti, e di un’altra generazione.

      Ho tre figli splendidi Anna, Francesco e Nina che hanno sofferto in maniera indicibile quello che è successo. Ho guardato la serie di Bellocchio su Moro e continuo ad essere stupefatto di essere stato accusato di quella incredibile tragedia. Penso ai miei due primi figli, che andavano a scuola. Qualcuno li vedeva come i figli di un mostro. Questi ragazzi, in una maniera o nell’altra, hanno sopportato eventi enormi. Sono andati via dall’Italia e ci sono tornati, hanno attraversato quel lungo inverno in primissima persona. Il minimo che possono avere è una certa collera nei confronti dei genitori che li hanno messi in questa situazione. E io ho una certa responsabilità in questa storia. Siamo tornati ad essere amici. Questo per me è un regalo di una immensa bellezza.

      Alla fine degli anni Novanta, in coincidenza con i nuovi movimenti globali, e poi contro la guerra, hai acquisito una forte posizione di riconoscibilità insieme a Michael Hardt a cominciare da «Impero». Come definiresti oggi, in un momento di ritorno allo specialismo e di idee reazionarie e elitarie, il rapporto tra filosofia e militanza?

      È difficile per me rispondere a questa domanda. Quando mi dicono che ho fatto un’opera, io rispondo: Lirica? Ma ti rendi conto? Mi scappa da ridere. Perché sono più un militante che un filosofo. Farà ridere qualcuno, ma io mi ci vedo, come Papageno…

      Non c’è dubbio però che tu abbia scritto molti libri…

      Ho avuto la fortuna di trovarmi a metà strada tra la filosofia e la militanza. Nei migliori periodi della mia vita sono passato in permanenza dall’una all’altra. Ciò mi ha permesso di coltivare un rapporto critico con la teoria capitalista del potere. Facendo perno su Marx, sono andato da Hobbes a Habermas, passando da Kant, Rousseau e Hegel. Gente abbastanza seria da dovere essere combattuta. Di contro la linea Machiavelli-Spinoza-Marx è stata un’alternativa vera. Ribadisco: la storia della filosofia per me non è una specie di testo sacro che ha impastato tutto il sapere occidentale, da Platone ad Heidegger, con la civiltà borghese e ha tramandato con ciò concetti funzionali al potere. La filosofia fa parte della nostra cultura, ma va usata per quello che serve, cioè a trasformare il mondo e farlo diventare più giusto. Deleuze parlava di Spinoza e riprendeva l’iconografia che lo rappresentava nei panni di Masaniello. Vorrei che fosse vero per me. Anche adesso che ho novant’anni continuo ad avere questo rapporto con la filosofia. Vivere la militanza è meno facile, eppure riesco a scrivere e ad ascoltare, in una situazione di esule.

      Esule, ancora, oggi?

      Un po’, sì. È un esilio diverso però. Dipende dal fatto che i due mondi in cui vivo, l’Italia e la Francia, hanno dinamiche di movimento molto diverse. In Francia, l’operaismo non ha avuto un seguito largo, anche se oggi viene riscoperto. La sinistra di movimento in Francia è sempre stata guidata dal trotzkismo o dall’anarchismo. Negli anni Novanta, con la rivista Futur antérieur, con l’amico e compagno Jean-Marie Vincent, avevamo trovato una mediazione tra gauchisme e operaismo: ha funzionato per una decina d’anni. Ma lo abbiamo fatto con molta prudenza. il giudizio sulla politica francese lo lasciavamo ai compagni francesi. L’unico editoriale importante scritto dagli italiani sulla rivista è stato quello sul grande sciopero dei ferrovieri del ’95, che assomigliava tanto alle lotte italiane.

      Perché l’operaismo conosce oggi una risonanza a livello globale?

      Perché risponde all’esigenza di una resistenza e di una ripresa delle lotte, come in altre culture critiche con le quali dialoga: il femminismo, l’ecologia politica, la critica postcoloniale ad esempio. E poi perché non è la costola di niente e di nessuno. Non lo è stato mai, e neanche è stato un capitolo della storia del Pci, come qualcuno s’illude. È invece un’idea precisa della lotta di classe e una critica della sovranità che coagula il potere attorno al polo padronale, proprietario e capitalista. Ma il potere è sempre scisso, ed è sempre aperto, anche quando non sembra esserci alternativa. Tutta la teoria del potere come estensione del dominio e dell’autorità fatta dalla Scuola di Francoforte e dalle sue recenti evoluzioni è falsa, anche se purtroppo rimane egemone. L’operaismo fa saltare questa lettura brutale. È uno stile di lavoro e di pensiero. Riprende la storia dal basso fatta da grandi masse che si muovono, cerca la singolarità in una dialettica aperta e produttiva.

      I tuoi costanti riferimenti a Francesco d’Assisi mi hanno sempre colpito. Da dove nasce questo interesse per il santo e perché lo hai preso ad esempio della tua gioia di essere comunista?

      Da quando ero giovane mi hanno deriso perché usavo la parola amore. Mi prendevano per un poeta o per un illuso. Di contro, ho sempre pensato che l’amore era una passione fondamentale che tiene in piedi il genere umano. Può diventare un’arma per vivere. Vengo da una famiglia che è stata miserabile durante la guerra e mi ha insegnato un affetto che mi fa vivere ancora oggi. Francesco è in fondo un borghese che vive in un periodo in cui coglie la possibilità di trasformare la borghesia stessa, e di fare un mondo in cui la gente si ama e ama il vivente. Il richiamo a lui, per me, è come il richiamo ai Ciompi di Machiavelli. Francesco è l’amore contro la proprietà: esattamente quello che avremmo potuto fare negli anni Settanta, rovesciando quello sviluppo e creando un nuovo modo di produrre. Non è mai stato ripreso a sufficienza Francesco, né è stato presa in debito conto l’importanza che ha avuto il francescanesimo nella storia italiana. Lo cito perché voglio che parole come amore e gioia entrino nel linguaggio politico.

      *

      Dall’infanzia negli anni della guerra all’apprendistato filosofico alla militanza comunista, dal ’68 alla strage di piazza Fontana, da Potere Operaio all’autonomia e al ’77, l’arresto, l’esilio. E di nuovo la galera per tornare libero. Toni Negri lo ha raccontato con Girolamo De Michele in tre volumi autobiografici Storia di un comunista, Galera e esilio, Da Genova a Domani (Ponte alle Grazie). Con Mi chael Hardt, professore di letteratura alla Duke University negli Stati Uniti, ha scritto, tra l’altro, opere discusse e di larga diffusione: Impero, Moltitudine, Comune (Rizzoli) e Assemblea (Ponte alle Grazie). Per l’editore anglo-americano Polity Books ha pubblicato, tra l’altro, sei volumi di scritti tra i quali The Common, Marx in Movement, Marx and Foucault.

      In Italia DeriveApprodi ha ripubblicato il classico «Spinoza». Per la stessa casa editrice: I libri del rogo, Pipe Line, Arte e multitudo (a cura di N. Martino), Settanta (con Raffaella Battaglini). Con Mimesis la nuova edizione di Lenta ginestra. Saggio sull’ontologia di Giacomo Leopardi. Con Ombre Corte, tra l’altro, Dall’operaio massa all’operaio sociale (a cura di P. Pozzi-R. Tomassini), Dentro/contro il diritto sovrano (con G. Allegri), Il lavoro nella costituzione (con A. Zanini).

      A partire dal prossimo ottobre Manifestolibri ripubblicherà i titoli in catalogo con una nuova prefazione: L’inchiesta metropolitana e altri scritti sociologici, a cura di Alberto De Nicola e Paolo Do; Marx oltre Marx (prefazione di Sandro Mezzadra); Trentatré Lezioni su Lenin (Giso Amendola); Potere Costituente (Tania Rispoli); Descartes politico (Marco Assennato); Kairos, Alma Venus, moltitudo (Judith Revel); Il lavoro di Dioniso, con Michael Hardt (Francesco Raparelli)

      #autonomie #prison #exil

    • Le philosophe italien Toni Negri est mort

      Inspirant les luttes politiques en Italie dans les années 1960 et 1970, son travail a également influencé le mouvement altermondialiste du début du XXIe siècle.


      Toni Negri, à Rome (Italie), en septembre 2010. STEFANO MONTESI - CORBIS / VIA GETTY IMAGES

      Il était né dans l’Italie fasciste. Il disparaît alors que l’extrême droite gouverne à nouveau son pays. Le philosophe Toni Negri, acteur et penseur majeur de plus d’un demi-siècle de luttes d’extrême gauche, est mort dans la nuit du 15 au 16 décembre à Paris, à l’âge de 90 ans, a annoncé son épouse, la philosophe française Judith Revel.

      « C’était un mauvais maître », a tout de suite réagi, selon le quotidien La Repubblica, le ministre de la culture italien, Gennaro Sangiuliano. « Tu resteras à jamais dans mon cœur et dans mon esprit, cher Maître, Père, Prophète », a écrit quant à lui, sur Facebook, l’activiste Luca Casarini, l’un des leaders du mouvement altermondialiste italien. Peut-être aurait-il vu dans la violence de ce contraste un hommage à la puissance de ses engagements, dont la radicalité ne s’est jamais affadie.

      Né le 1er août 1933 à Padoue, Antonio Negri, que tout le monde appelle Toni, et qui signera ainsi ses livres, commence très tôt une brillante carrière universitaire – il enseigne à l’université de Padoue dès ses 25 ans –, tout en voyageant, en particulier au Maghreb et au Moyen-Orient. C’est en partageant la vie d’un kibboutz israélien que le jeune homme, d’abord engagé au parti socialiste, dira être devenu communiste. Encore fallait-il savoir ce que ce mot pouvait recouvrir.

      Cette recherche d’une nouvelle formulation d’un idéal ancien, qu’il s’agissait de replacer au centre des mutations du monde, parcourt son œuvre philosophique, de Marx au-delà de Marx (Bourgois, 1979) à l’un de ses derniers livres, Inventer le commun des hommes (Bayard, 2010). Elle devient aussi l’axe de son engagement militant, qui va bientôt se confondre avec sa vie.

      Marxismes hétérodoxes

      L’Italie est alors, justement, le laboratoire des marxismes dits hétérodoxes, en rupture de ban avec le parti communiste, en particulier l’« opéraïsme » (de l’italien « operaio », « ouvrier »). Toni Negri le rejoint à la fin des années 1960, et s’en fait l’un des penseurs et activistes les plus emblématiques, toujours présent sur le terrain, dans les manifestations et surtout dans les usines, auprès des ouvriers. « Il s’agissait d’impliquer les ouvriers dans la construction du discours théorique sur l’exploitation », expliquera-t-il dans un entretien, en 2018, résumant la doctrine opéraïste, particulièrement celle des mouvements auxquels il appartient, Potere Operaio, puis Autonomia Operaia.

      Des armes circulent. Le terrorisme d’extrême droite et d’extrême gauche ravage le pays. Bien qu’il s’oppose à la violence contre les personnes, le philosophe est arrêté en 1979, soupçonné d’avoir participé à l’assassinat de l’homme politique Aldo Moro, accusation dont il est rapidement blanchi. Mais d’autres pèsent sur lui – « association subversive », et complicité « morale » dans un cambriolage – et il est condamné à douze ans de prison.
      Elu député du Parti radical en 1983, alors qu’il est encore prisonnier, il est libéré au titre de son immunité parlementaire. Quand celle-ci est levée [par un vote que le parti Radical a permis de rendre majoritaire, ndc], il s’exile en France. Rentré en Italie en 1997, il est incarcéré pendant deux ans, avant de bénéficier d’une mesure de semi-liberté. Il est définitivement libéré en 2003.

      Occupy Wall Street et les Indignés

      Il enseigne, durant son exil français, à l’Ecole normale supérieure, à l’université Paris-VIII ou encore au Collège international de philosophie. Ce sont aussi des années d’intense production intellectuelle, et, s’il porte témoignage en publiant son journal de l’année 1983 (Italie rouge et noire, Hachette, 1985), il développe surtout une pensée philosophique exigeante, novatrice, au croisement de l’ontologie et de la pensée politique. On peut citer, entre beaucoup d’autres, Les Nouveaux Espaces de liberté, écrit avec Félix Guattari (Dominique Bedou, 1985), Spinoza subversif. Variations (in)actuelles (Kimé, 1994), Le Pouvoir constituant. Essai sur les alternatives de la modernité (PUF, 1997) ou Kairos, Alma Venus, multitude. Neuf leçons en forme d’exercices (Calmann-Lévy, 2000).
      Ce sont cependant les livres qu’il coécrit avec l’Américain Michael Hardt qui le font connaître dans le monde entier, et d’abord Empire (Exils, 2000), où les deux philosophes s’efforcent de poser les fondements d’une nouvelle pensée de l’émancipation dans le contexte créé par la mondialisation. Celle-ci, « transition capitale dans l’histoire contemporaine », fait émerger selon les auteurs un capitalisme « supranational, mondial, total », sans autres appartenances que celles issues des rapports de domination économique. Cette somme, comme la suivante, Multitude. Guerre et démocratie à l’époque de l’Empire (La Découverte, 2004), sera une des principales sources d’inspiration du mouvement altermondialiste, d’Occupy Wall Street au mouvement des Indignés, en Espagne.

      C’est ainsi que Toni Negri, de l’ébullition italienne qui a marqué sa jeunesse et décidé de sa vie aux embrasements et aux espoirs du début du XXIe siècle, a traversé son temps : en ne lâchant jamais le fil d’une action qui était, pour lui, une forme de pensée, et d’une pensée qui tentait d’agir au cœur même du monde.
      Florent Georgesco
      https://www.lemonde.fr/disparitions/article/2023/12/16/le-philosophe-italien-toni-negri-est-mort_6206182_3382.html

      (article corrigé trois fois en 9 heures, un bel effort ! il faut continuer !)

    • Pouvoir ouvrier, l’équivalent italien de la Gauche prolétarienne

      Chapeau le Diplo, voilà qui est informé !
      En 1998, le journal avait titré sur un mode médiatico-policier (« Ce que furent les “années de plomb” en Italie »). La réédition dans un Manière de voir de 2021 (long purgatoire) permis un choix plus digne qui annonçait correctement cet article fort utile : Entre « compromis historique » et terrorisme. Retour sur l’Italie des années 1970.
      Diplo encore, l’iconographie choisit d’ouvrir l’oeil... sur le rétroviseur. J’identifie pas le leader PCI (ou CGIL) qui est à la tribune mais c’est évidement le Mouvement ouvrier institué et son rôle (historiquement compromis) d’encadrement de la classe ouvrière qui est mis en avant.

      #média #gauche #Italie #Histoire #Potere_operaio #PCI #lutte_armée #compromis_historique #terrorisme

      edit

      [Rome] Luciano Lama, gli scontri alla Sapienza e il movimento del ’77
      https://www.corriere.it/foto-gallery/cultura/17_febbraio_16/scontri-sapienza-lama-foto-6ad864d0-f428-11e6-a5e5-e33402030d6b.shtml

      «Il segretario della Cgil Luciano Lama si è salvato a stento dall’assalto degli autonomi, mentre tentava di parlare agli studenti che da parecchi giorni occupano la città universitaria. Il camion, trasformato in palco, dal quale il sindacalista ha preso la parola, è stato letteralmente sfasciato e l’autista è uscito dagli incidenti con la testa spaccata e varie ferite». E’ la cronaca degli scontri alla Sapienza riportata da Corriere il 18 febbraio del 1977, un giorno dopo la “cacciata” del leader della CGIL Luciano Lama dall’ateneo dove stava tenendo un comizio. Una giornata di violenza che diventerà il simbolo della rottura tra la sinistra istituzionale, rappresentata dal Pci e dal sindacato, e la sinistra dei movimenti studenteschi. Nella foto il camion utilizzato come palco da Luciano Lama preso d’assalto dai contestatori alla Sapienza (Ansa)

    • ENTRE ENGAGEMENT RÉVOLUTIONNAIRE ET PHILOSOPHIE
      Toni Negri (1933-2023), histoire d’un communiste
      https://www.revolutionpermanente.fr/Toni-Negri-1933-2023-histoire-d-un-communiste

      Sans doute est-il compliqué de s’imaginer, pour les plus jeunes, ce qu’a pu représenter Toni Negri pour différentes générations de militant.es. Ce qu’il a pu symboliser, des deux côtés des Alpes et au-delà, à différents moments de l’histoire turbulente du dernier tiers du XXème siècle, marqué par la dernière poussée révolutionnaire contemporaine – ce « long mois de mai » qui aura duré plus de dix ans, en Italie – suivie d’un reflux face auquel, loin de déposer les armes, Negri a choisi de résister en tentant de penser un arsenal conceptuel correspondant aux défis posés par le capitalisme contemporain. Tout en restant, jusqu’au bout, communiste. C’est ainsi qu’il se définissait.

    • À Toni Negri, camarade et militant infatigable
      https://blogs.mediapart.fr/les-invites-de-mediapart/blog/181223/toni-negri-camarade-et-militant-infatigable

      Toni Negri nous a quittés. Pour certains d’entre nous, c’était un ami cher mais pour nous tous, il était le camarade qui s’était engagé dans le grand cycle des luttes politiques des années soixante et dans les mouvements révolutionnaires des années soixante-dix en Italie. Il fut l’un des fondateurs de l’opéraïsme et le penseur qui a donné une cohérence théorique aux luttes ouvrières et prolétariennes dans l’Occident capitaliste et aux transformations du Capital qui en ont résulté. C’est Toni qui a décrit la multitude comme une forme de subjectivité politique qui reflète la complexité et la diversité des nouvelles formes de travail et de résistance apparues dans la société post-industrielle. Sans la contribution théorique de Toni et de quelques autres théoriciens marxistes, aucune pratique n’aurait été adéquate pour le conflit de classes.
      Un Maître, ni bon ni mauvais : c’était notre tâche et notre privilège d’interpréter ou de réfuter ses analyses. C’était avant tout notre tâche, et nous l’avons assumée, de mettre en pratique la lutte dans notre sphère sociale, notre action dans le contexte politique de ces années-là. Nous n’étions ni ses disciples ni ses partisans et Toni n’aurait jamais voulu que nous le soyons. Nous étions des sujets politiques libres, qui décidaient de leur engagement politique, qui choisissaient leur voie militante et qui utilisaient également les outils critiques et théoriques fournis par Toni dans leur parcours.

    • Toni Negri, l’au-delà de Marx à l’épreuve de la politique, Yann Moulier Boutang
      https://www.liberation.fr/idees-et-debats/tribunes/toni-negri-lau-dela-de-marx-a-lepreuve-de-la-politique-20231217_Z5QALRLO7

      Il n’est guère de concepts hérités du marxisme qu’il n’ait renouvelés de fond en comble. Contentons-nous ici de quelques notions clés. La clé de l’évolution du capitalisme, ne se lit correctement que dans celle de la composition du travail productif structuré dans la classe ouvrière et son mouvement, puis dans les diverses formes de salariat. Le Marx le plus intéressant pour nous est celui des Grundrisse (cette esquisse du Capital). C’est le refus du travail dans les usines, qui pousse sans cesse le capitalisme, par l’introduction du progrès technique, puis par la mondialisation, à contourner la « forteresse ouvrière ». Composition de classe, décomposition, recomposition permettent de déterminer le sens des luttes sociales. Negri ajoute à ce fond commun à tous les operaïstes deux innovations : la méthode de la réalisation de la tendance, qui suppose que l’évolution à peine perceptible est déjà pleinement déployée, pour mieux saisir à l’avance les moments et les points où la faire bifurquer. Deuxième innovation : après l’ouvrier qualifié communiste, et l’ouvrier-masse (l’OS du taylorisme), le capitalisme des années 1975-1990 (celui de la délocalisation à l’échelle mondiale de la chaîne de la valeur) produit et affronte l’ouvrier-social.

      C’est sur ce passage obligé que l’idée révolutionnaire se renouvelle. L’enquête ouvrière doit se déplacer sur ce terrain de la production sociale. La question de l’organisation, de la dispersion et de l’éclatement remplace la figure de la classe ouvrière et de ses allié.e.s. L’ouvrier social des années 1975 devient la multitude. Cela paraît un diagramme abstrait. Pourtant les formes de lutte comme les objectifs retenus, les collectifs des travailleuses du soin, de chômeurs ou d’intérimaires, les grèves des Ubereat témoignent de l’actualité de cette perspective. Mais aussi de ses limites, rencontrées au moment de s’incarner politiquement. (1)

      https://justpaste.it/3t9h9

      edit « optimisme de la raison, pessimisme de la volonté », T.N.
      Ration indique des notes qui ne sont pas publiées...

      Balibar offre une toute autre lecture des apports de T.N. que celle du très recentré YMB
      https://seenthis.net/messages/1032920

      #marxisme #mouvements_sociaux #théorie #compostion_de_classe #refus_du_travail #luttes_sociales #analyse_de_la tendance #ouvrier_masse #ouvrier_social #enquête_ouvrière #production_sociale #multitude #puissance #pouvoir

    • Décider en Essaim, Toni Negri , 2004
      https://www.youtube.com/watch?app=desktop&v=pqBZJD5oFJY

      Toni Negri : pour la multitude, Michael Löwy
      https://www.en-attendant-nadeau.fr/2023/12/18/toni-negri

      Avec la disparition d’Antonio Negri – Toni pour les amis – la cause communiste perd un grand penseur et un combattant infatigable. Persécuté pour ses idées révolutionnaires, incarcéré en Italie pendant de longues années, Toni est devenu célèbre grâce à ses ouvrages qui se proposent, par une approche philosophique inspirée de #Spinoza et de #Marx, de contribuer à l’émancipation de la multitude

      .

    • Un congedo silenzioso, Paolo Virno
      https://ilmanifesto.it/un-congedo-silenzioso


      Toni Negri - Tano D’Amico /Archivio Manifesto

      Due anni fa, credo, telefona Toni. Sarebbe passato per Roma, mi chiede di vederci. Un’ora insieme, con Judith, in una casa vuota nei pressi di Campo de’ Fiori (un covo abbandonato, avrebbe pensato una canaglia dell’antico Pci). Non parliamo di niente o quasi, soltanto frasi che offrono un pretesto per tacere di nuovo, senza disagio.

      Ebbe luogo, in quella casa romana, un congedo puro e semplice, non dissimulato da nenie cerimoniose. Dopo anni di insulti pantagruelici e di fervorose congratulazioni per ogni tentativo di trovare la porta stretta attraverso cui potesse irrompere la lotta contro il lavoro salariato nell’epoca di un capitalismo finalmente maturo, un po’ di silenzio sbigottito non guastava. Anzi, affratellava.

      Ricordo Toni, ospite della cella 7 del reparto di massima sicurezza del carcere di Rebibbia, che piange senza ritegno perché le guardie stanno portando via in piena notte, con un «trasferimento a strappo», i suoi compagni di degnissima sventura. E lo ricordo ironico e spinoziano nel cortile del penitenziario di Palmi, durante la requisitoria cui lo sottopose un capo brigatista da operetta, che minacciava di farlo accoppare da futuri «collaboratori di giustizia» allora ancora bellicosi e intransigenti.

      Toni era un carcerato goffo, ingenuo, ignaro dei trucchi (e del cinismo) che il ruolo richiede. Fu calunniato e detestato come pochi altri nel Novecento italiano. Calunniato e detestato, in quanto marxista e comunista, dalla sinistra tutta, da riformatori e progressisti di ogni sottospecie.

      Eletto in parlamento nel 1983, chiese ai suoi colleghi deputati, in un discorso toccante, di autorizzare la prosecuzione del processo contro di lui: non voleva sottrarsi, ma confutare le accuse che gli erano state mosse dai giudici berlingueriani. Chiese anche, però, di continuare il processo a piede libero, giacché iniqua e scandalosa era diventata la carcerazione preventiva con le leggi speciali adottate negli anni precedenti.

      Inutile dire che il parlamento, aizzato dalla sinistra riformatrice, votò per il ritorno in carcere dell’imputato Negri. C’è ancora qualcuno che ha voglia di rifondare quella sinistra?

      Toni non ha mai avuto paura di strafare. Né quando intraprese un corpo a corpo con la filosofia materialista, includendo in essa più cose di quelle che sembrano stare tra cielo e terra, dal condizionale controfattuale («se tu volessi fare questo, allora le cose andrebbero altrimenti») alla segreta alleanza tra gioia e malinconia. Né quando (a metà degli anni Settanta) ritenne che l’area dell’autonomia dovesse sbrigarsi a organizzare il lavoro postfordista, imperniato sul sapere e il linguaggio, caparbiamente intermittente e flessibile.

      Il mio amico matto che voleva cambiare il mondo
      Toni non è mai stato oculato né morigerato. È stato spesso stonato, questo sì: come capita a chi accelera all’impazzata il ritmo della canzone che ha intonato, ibridandolo per giunta con il ritmo di molte altre canzoni appena orecchiate. Il suo luogo abituale sembrava a molti, anche ai più vicini, fuori luogo; per lui, il «momento giusto» (il kairòs degli antichi greci), se non aveva qualcosa di imprevedibile e di sorprendente, non era mai davvero giusto.

      Non si creda, però, che Negri fosse un bohèmien delle idee, un improvvisatore di azioni e pensieri. Rigore e metodo campeggiano nelle sue opere e nei suoi giorni. Ma in questione è il rigore con cui va soppesata l’eccezione; in questione è il metodo che si addice a tutto quel che è ma potrebbe non essere, e viceversa, a tutto quello che non è ma potrebbe essere.

      Insopportabile Toni, amico caro, non ho condiviso granché del tuo cammino. Ma non riesco a concepire l’epoca nostra, la sua ontologia o essenza direbbe Foucault, senza quel cammino, senza le deviazioni e le retromarce che l’hanno scandito. Ora un po’ di silenzio benefico, esente da qualsiasi imbarazzo, come in quella casa romana in cui andò in scena un sobrio congedo.

  • La fragilité du souci des autres - Adorno et le care, Estelle Ferrarese
    https://books.openedition.org/enseditions/8805

    Ce livre renouvelle et acère la théorie critique par le féminisme. Il interroge la philosophie sociale de Theodor W. Adorno et propose de penser, au moyen des théories du care, la question de la fragilité sociale du souci des autres. Comment le geste moral émerge-t-il dans notre forme de vie capitaliste sous-tendue par une indifférence généralisée ? Quelles en sont les conditions sociales ? Son hypothèse est que le #capitalisme compartimente l’attention à autrui, limite son possible développement en l’assignant aux #femmes, dans des domaines et pour des tâches toujours spécifiques. Comment appréhender le contenu moral du care effectivement mis en actes, dès lors qu’il se révèle être le produit d’ une distribution genrée des dispositions morales, celle-ci étant une condition de possibilité du marché ?

    si @rezo diffusait aux plagistes et aux autres, ce serait bath

    #livre #libre_accès #soin #care #théorie #féminisme

  • Suffragettes et suffragistes
    https://laviedesidees.fr/Suffragettes-et-suffragistes.html

    Il y a cent dix ans, les suffragistes britanniques organisaient l’un des événements les plus emblématiques de leur combat pour le #vote : le boycott du recensement de 1911. C’est l’occasion de revenir sur la genèse et la postérité d’un texte fondateur de l’histoire du vote féminin.

    #Histoire #féminisme #femmes #Royaume-Uni
    https://laviedesidees.fr/IMG/docx/20211224_suffragistes.docx
    https://laviedesidees.fr/IMG/pdf/20211224_suffragistes.pdf

    • Le poids et le choix des mots
      https://books.openedition.org/enseditions/8033?lang=fr

      La langue française emploie le terme de suffragettes afin de désigner les femmes1 qui militaient pour obtenir le droit de vote. Les anglophones opèrent la distinction entre suffragist et suffragette. Ces deux termes ne sont pas interchangeables en contexte. Au Royaume-Uni, suffragist a historiquement désigné les personnes qui se sont engagées en faveur du droit de vote des femmes en menant une campagne modérée ; on les appelait parfois les constitutionnalistes. Elles étaient partisanes de méthodes pacifiques et croyaient avant tout en la force de l’argumentation et la collaboration avec les hommes politiques. Aux États-Unis, le terme suffragist désignait toute personne soutenant le droit de vote des femmes. Apparu pour la première fois au Royaume-Uni en 1906 dans The Daily Mail, le terme suffragette a été utilisé par la presse pour railler les femmes et dénigrer leur engagement : le suffixe -ette à valeur de diminutif visait à minorer tant les femmes que leur engagement. Les suffragettes décidèrent de s’approprier et de revendiquer le terme. Le terme suffragette a alors désigné toutes celles qui se sont engagées dans un combat aux méthodes plus radicales. Ces femmes estimaient que seules des tactiques plus musclées ou des actions plus violentes pouvaient produire un résultat. Aux États-Unis, ce même mot a également revêtu une connotation péjorative et il fut souvent utilisé par les opposants au droit de vote des femmes pour se moquer des femmes engagées dans la lutte et les discréditer, en insinuant notamment que les Américaines suivaient les égarements violents des Britanniques2, tandis que le terme suffragist ne semblait pas porter de jugement de valeur. Certaines militantes se réapproprièrent cette appellation, telle l’organisation new yorkaise des suffragettes américaines (American Suffragettes) qui s’inspira des méthodes britanniques et organisa les premiers défilés et réunions en plein air dès 19073. Dans nos traductions, nous conservons également cette distinction terminologique afin de rendre compte de la position des différents énonciateurs et énonciatrices.

      4 L. Ford, Iron-Jawed Angels : The Suffrage Militancy of the National Woman’s Party, 1912-1920, Lanh (...)

      2Pour désigner celles qui se sont engagées dans le combat de façon plus radicale et parfois violente, la langue anglaise utilise le terme de militant. En français, l’acception du terme « militant » est différente. Si l’on s’attache au sens strict du mot militant, les suffragistes étaient toutes militantes : elles étaient toutes engagées dans un combat. On peut aussi estimer qu’elles étaient toutes radicales dans la mesure où le droit de vote était une cause radicale à l’époque et parce qu’elles entendaient aller au bout de leurs convictions. Le terme militant (et son dérivé militancy) renvoie à un phénomène historique complexe. Au Royaume-Uni, le terme désigne les personnes engagées dans une lutte dite extrémiste et violente en réaction à l’immobilisme du gouvernement, à la violence croissante de la répression policière contre elles, ainsi qu’à ce qu’elles estimaient être l’inefficacité des méthodes pacifiques. La notion d’extrémisme est bien évidemment sujette à interprétation : les pratiques consistant à l’interruption systématique d’un orateur politique ou au harcèlement d’un ministre dans la rue, qui étaient plutôt communes pour les militantes les plus radicales, pouvaient être jugées extrêmes par certaines suffragistes. Nous utiliserons le terme de suffragettes pour désigner ces femmes, en prenant soin toutefois de tenir compte de la complexité du contexte et des points de vue pour traduire militant et militancy. Pour l’opinion publique américaine au début des années 1910, le terme revêtait une connotation péjorative car il était associé à la violence des suffragettes britanniques. Il était utilisé par la presse pour discréditer le mouvement, de sorte que les partisanes du droit de vote aux États-Unis furent souvent amenées à désavouer ce terme publiquement et à condamner les méthodes des Britanniques. Pourtant, comme au Royaume-Uni, certaines suffragistes américaines s’approprièrent le mot et le revendiquèrent pour décrire de nouvelles tactiques : c’est le cas de l’Union parlementaire (Congressional Union, ou CU), qui affirma en 1914 dans sa déclaration de principes que sa stratégie était effectivement « militant », car elle souhaitait adopter une ligne politique forte et vigoureuse4. Pour ces suffragistes, l’action radicale prit plusieurs formes, dont l’opposition systématique aux candidats du parti démocrate lors des élections de 1914 et 1916, l’organisation d’un piquet de grève devant la Maison-Blanche en 1917 et la critique du gouvernement en place pendant la Grande Guerre. Ces femmes revendiquaient une différence de rapport à l’action collective et aux structures de pouvoir par opposition aux autres suffragistes qu’elles percevaient comme complaisantes ou conciliantes. Il est également important de noter que le mot militant était employé pour décrire des actions ou des stratégies différentes des deux côtés de l’Atlantique, et que les suffragistes américaines n’eurent pas vraiment recours à la violence, à la différence de certaines de leurs homologues britanniques. Ainsi, les termes militant et militancy donnent lieu à des traductions différentes en contexte. Lorsque cela nous a semblé nécessaire, les termes sont indiqués en anglais entre parenthèses.

      #suffragettes #suffragistes

  • Reprise des écoles : A #Grenoble, message d’une enseignante de maternelle à une amie...
    07.05.2020

    Bonjour,

    Nous sommes en train d’organiser le retour en #classe prévu le 25 mai.
    Les conditions de #reprise vont être très contraignantes pour nous comme pour les enfants et il est important que vous soyez au courant de certains #impératifs.

    En effet, vos enfants ne vont pas être regroupés par classe, donc pas forcément avec leur enseignante respective et leurs camarades. Les enfants des soignants et du personnel de gestion de la crise seront accueillis de droit tous les jours. En raison des limitations des #effectifs, les autres enfants se verront ou pas (nous espérons pouvoir répondre à toutes les demandes) proposer 1 ou 2 jours d’accueil par semaine.

    La répartition se fera en fonction de critères bien précis afin de répondre au #protocole_sanitaire imposé par le Gouvernement.

    Les activités des enfants vont être individuelles, sans #aucun_contact les uns avec les autres, les adultes compris. Il leur sera interdit de circuler dans la classe et de #toucher au matériel qui ne leur est pas attribué. Aucun adulte, ni aucun enfant n’a le droit de toucher le matériel des autres ou d’utiliser un #matériel_collectif (pas de correction, pas de #jeux de ballons, pas de jeux de société, etc).

    Les groupes ne se rencontreront pas dans l’école (les entrées et sorties différentes, les #récréations_décalées, les #repas dans les classes, ni les #siestes).
    Afin que le matériel reste individuel, nous allons créer des #barquettes au nom de votre enfant. Les adultes eux-mêmes, n’auront pas le droit d’y toucher après les avoir mises en place et laisser plusieurs jours sans y toucher.
    Tous les #jouets des classes seront supprimés.

    Votre rôle pour les enfants qui pourront revenir en classe (pour le
    moment nous n’avons pas suffisamment d’informations pour vous dire si votre enfant pourra revenir en classe) :
    – Expliquer à vos enfants les conditions d’ouverture de l’école (ils ne doivent pas s’approcher de leurs camarades et des adultes) ;
    – Respecter les #gestes_barrières ;
    – Ne pas toucher le matériel qui n’est pas dans sa #barquette_individuelle ;
    – Prendre tous les matins la #température de votre enfant et le garder à la maison en cas de symptôme (toux, éternuement, essoufflement, mal de gorge, fatigue, troubles digestifs, sensation de fièvre, etc) .
    – Interdiction d’envoyer son enfant à l’école si l’élève ou un membre de sa famille présente les mêmes #symptômes cités ci-dessus.

    En toute transparence, nous nous devons de vous informer de ces conditions de reprise très particulières.

    L’#enseignement_à_distance sera le même que celui dispensé en classe.

    Bien cordialement,

    L’équipe enseignante

    #déconfinement #le_monde_d'après #école #réouverture_des_écoles #organisation

    L’école de demain, cette #prison pour #enfants...

    • Petite géographie de l’#espace_carcéral... euh je veux dire de l’#espace_scolaire.

      Alors que nous allons réouvrir les établissements scolaires, je m’interroge, en « bonne » géographe que je suis, sur l’espace scolaire tel qu’il va être donné à pratiquer par les élèves ces prochains jours.

      J’ai lu, relu, lu une dizaine de fois le protocole sanitaire. #Rubalise. Je n’avais jamais lu autant de fois en si peu de pages un mot que je n’avais jamais employé jusque-là.

      Mise à l’écart du mobilier scolaire + rubalise. Nous ne pourrons plus accéder aux #manuels, nous ne pouvons faire de #photocopies, les #salles_informatiques et les #tablettes sont interdites. Pour faire cours dans les disciplines où les élèves n’ont pas leur propre #manuel_scolaire, nous allons nous amuser.

      Pas grave, j’ai de l’imagination. On va utiliser les #jeux_de_société que j’ai et qui portent sur l’histoire. Ces derniers jours, j’avais repris les règles de « Bruges », parfait pour réviser la ville au Moyen Âge. Ah non, je n’ai pas le droit de prêter du matériel. Faire un plateau fabriqué à coup de photocopies ? Ah non, pas de photocopies. Bon, je range Bruges, Carcassonne, Notre Dame, Agricola, et les Mystères de l’Abbaye. 5 idées sympas pour réviser le Moyen Âge. Rubalise.

      Pas grave, j’ai de l’imagination. Si j’utilisais Plickers, c’est top ça, un quizz projeté au tableau, les élèves n’ont qu’à lever le code dans le sens de leur réponse, je photographie de loin leurs réponses, et... ah non, pas de prêt de matériel, mes codes plastifiés ne pourront servir. Rubalise.

      Pas grave, j’ai de l’imagination. Oui, mais voilà, pas d’îlot, chaque élève doit disposer de 4 m2 mais ne peut être positionné face à un autre élève. En langues vivantes, ils doivent pourtant leur faire travailler « la #coopération ». Les nouveaux #protocoles_pédagogiques prévoient aussi qu’en français, les élèves doivent maîtriser la tape sur un clavier. Sans clavier. Sans ordinateur. Sans... tout, sauf des rubans autour d’eux. Rubalise.

      Bon, passons, regardons plus loin, on réfléchira aux « activités » plus tard. C’est la consigne de l’établissement. On ne fait plus cours, on ne fait plus de séquences qui prennent du sens en tant qu’apprentissages, on devra « plus tard » prévoir des « #activités ». L’école est bien moins qu’un centre de loisirs, les activités sont seules maîtres, certes, mais elles seront prévues en dernier. On va les occuper dans leurs 4 m2 entourés de rubans. Rubalise.

      Mais bon, admettons, il y a des circonstances. L’important est certainement de permettre aux élèves de retrouver un lien avec l’école, avec le lieu même qu’est l’école. C’est tout à fait justifié. Mais quel #lien ? Qu’est devenu ce #lieu ?

      Aménagement de la salle de classe :
      mise à l’écart du #mobilier + rubalise
      4 m2 par élève, pas de #face_à_face, pas d’#îlot.
      #sens_de_circulation dans la salle indiqué au moyen de #scotch_au_sol
      interdire la #circulation dans la classe

      Aménagement des couloirs et escaliers :
      rubalise, #marques_au_sol pour #distanciation
      un sens pour l’entrée, un sens pour la sortie
      pas d’accès au #gymnase, pas d’accès aux #vestiaires

      Récréation :
      pas de descente dans la #cour
      #pause en classe (où les élèves n’ont pas le droit de bouger de leur table)
      pas d’#objets, pas de #livres, pas de jeux, rien dans les mains
      rubalise sur les bancs pour en interdire l’accès le matin
      #WC : entrée un à un, sur les 6 points WC de l’établissement, pour un effectif de 1065 élèves
      rubalise dans les #toilettes + affichages consignes de #lavage_des_mains
      pas le droit au repas

      Qu’est-ce donc que ce lieu où tout est mis sous ruban, où il existe des sens circulatoires marqués au sol, où les heures de promenade dans la cour sont limitées dans le temps et dans l’espace, où ces heures doivent se faire sans contact avec les autres prisonniers, euh, je veux dire élèves ?

      Qu’est-ce donc que ce lieu où quelques minutes par jour sont consacrés à un « enseignement » qui n’a que pour but de faire croire aux enfermés qu’ils ont quelques minutes loin de leur routine dans l’espace punitif les privant de leurs mobilités ?

      Rubalise.

      Chaque ligne de plus du protocole m’a glacée. J’ai eu l’impression de relire les travaux d’Olivier Milhaud lorsque, jeunes géographes, nous travaillions et échangions sur nos thèses. Les travaux sur... la #prison.

      « #Surveiller_et_punir », écrivait Michel Foucault.
      « #Séparer_pour_punir », ont écrit les géographes.

      « La prison est une peine géographique : elle punit par l’#espace. Elle tient des populations détenues à distance de leurs proches et les confine dans des #lieux_clos. »

      L’école est en train de devenir une #peine_géographique. On n’y enseignera pas, on y contrôlera des élèves qui, heureux de revenir à l’école pour y retrouver un lieu de savoirs et de #socialisation, vont faire l’expérience brutale de cet #enfermement_par_l'espace. Rubalise.

      #SansMoi

      PS : Je vous recommande fortement la lecture de :
      Olivier Milhaud, 2017, Séparer et punir. Une géographie des prisons françaises, CNRS Editions.
      Marie Morelle, 2019, Yaoundé carcérale : géographie d’une ville et de sa prison, ENS Éditions, disponible en ligne : https://books.openedition.org/enseditions/11445

      https://www.facebook.com/benedicte.tratnjek/posts/10156922338365059

      Texte de #Bénédicte_Tratnjek (@ville_en)

    • Alors, j’essaie de comprendre, pour la reprise...

      Injonction du ministère : finir le programme en retirant un chapitre ou deux
      Injonction du rectorat depuis le 16 mars : interdiction de voir de nouvelles connaissances et notions, ne faire que des approfondissements de ce qui a été vu avant fermeture
      => Donc, on finit le programme sans faire de nouveaux chapitres... 🤔

      Injonction du ministère : faire les compétences de type « pratiquer différents langages » avec des croquis de synthèse à produire en géographie
      Injonction de l’établissement : interdiction des manuels, interdiction des photocopies, interdiction de toucher les cahiers pour les corriger, interdiction d’aller en salle informatique ou d’utiliser les tablettes, interdiction d’utiliser les téléphones personnels, interdiction de fournir le moindre fond de cartes en gros
      => Donc, on fait des croquis de synthèse sans documents, sans fonds de cartes, tout en faisant des connaissances déjà vues en réussissant à finir le programme sans avoir le droit de le faire... 🤔

      Je veux bien plein de choses, mais là je ne suis pas sûre de comprendre ce qu’on attend de moi...

      https://www.facebook.com/benedicte.tratnjek.2/posts/261127465252876

      Toujours @ville_en

  • L’arpenteur vagabond de David Thoreau - ENS Éditions
    https://books.openedition.org/enseditions/11632


    Pas une seule image visible, c’est dommage

    Depuis les #cartes anciennes qu’il a consultées et copiées jusqu’aux nombreux plans de géomètre qu’il a dessinés en tant qu’arpenteur professionnel, les cartes abondent dans les archives et la #documentation de Thoreau. L’arpenteur vagabond s’intéresse à ces documents longtemps négligés par la critique et au rôle que cette familiarité avec le #geste_cartographique a joué dans le travail de l’écrivain. Ce parcours de l’ensemble de son œuvre montre que Thoreau, tout en mesurant parfaitement les limites et le biais idéologique de l’entreprise cartographique, y voyait aussi un outil irremplaçable de clarification et de mise au jour de phénomènes (humains et non humains) habituellement invisibles. Dans ses textes sur la nature comme dans ses essais plus explicitement politiques, la langue vagabonde et « extravagante » de #Thoreau trouve ainsi dans les cartes un allié inattendu qui permet une redistribution polémique des #spatialités et la mise en place d’un nouveau régime de visibilité.

    #cartographie @visionscarto

  • [Ré-édition]
    Pour une géographie du pouvoir de Claude Raffestin
    Anne-Laure Amilhat Szary et Yann Calbérac (éd.)

    "Rééditer Pour une géographie du pouvoir près de quarante ans après sa publication initiale en 1980 constitue une forme de manifeste, tant la réception de ce livre a été contrastée : décrié par ses pairs au moment de sa sortie, reconnu aujourd’hui par Claude Raffestin lui-même comme « hétérodoxe », il s’agit d’un ouvrage qui continue de marquer durablement ses lecteurs. S’il reste d’une actualité si vive aujourd’hui, c’est parce qu’il aurait pu s’intituler Pour une géographie du territoire, notion centrale dans la géographie contemporaine. Il définit en effet la territorialité comme..."

    Lire la suite :
    Open access : https://books.openedition.org/enseditions/7627

    ht : @yann_c

    #geographie #pouvoir #politique #territoire #concepts #Raffestin

  • Je viens de recevoir ce message via la mailing-list geotamtam

    l’édition intégrale en ligne de #L'homme_et_la_Terre d’Elisée Reclus, dans la « Bibliothèque idéale des sciences sociales » (collection dirigée par Pierre Mercklé) (ENS Editions).

    L’ouvrage - publié l’origine en six tomes - est composé de quatre livres. Cette édition électronique reprend ce découpage en quatre livres.

    Les livres 1 et 2 viennent de paraître :
    – Livre 1 « Les ancêtres » : https://books.openedition.org/enseditions/228
    – Livre 2 « Histoire ancienne » : https://books.openedition.org/enseditions/571
    Ils sont gratuitement et intégralement disponibles en ligne.

    Cette édition bénéficie d’une préface de #Philippe_Pelletier et #Federico_Ferretti intitulée « L’homme et la Terre, l’aboutissement d’une trilogie » : https://books.openedition.org/enseditions/5166

    Le livre 3 paraîtra d’ici la fin 2016. Le livre 4 suivra.

    Vous pouvez retrouver l’ensemble des titres réédités dans la « Bibliothèque des sciences sociales » sur le site de la collection : https://books.openedition.org/enseditions/177

    #géographie #Elisée_Reclus #open_source #livre

  • #Bibliothèque idéale des #sciences_sociales

    La Bibliothèque idéale des sciences sociales publie des #rééditions électroniques et imprimées d’#ouvrages_de_référence des sciences sociales : des rééditions de grands #classiques accompagnées de nouvelles préfaces, et des ouvrages importants mais plus récents, et devenus introuvables ou difficilement accessibles. Tous les ouvrages sont consultables en #accès_libre et #gratuit sur le site de la collection, et peuvent également être acquis en formats #PDF et #ePub, ainsi qu’en version imprimée pour certains titres.

    http://books.openedition.org/enseditions/177

    #free #open_access #livres