• Il ministero dell’Interno condannato a risarcire un respinto a catena in Bosnia

    Il Tribunale di Roma ha accertato l’illegittimità delle “riammissioni” al confine orientale, ricostruendo il “nesso causale” tra respingimenti e trattamenti inumani. Il Viminale deve farsi carico del danno inflitto a un cittadino pakistano richiedente asilo. Decisivo il lavoro di rete tra attivisti, Ong e avvocati. Una decisione attualissima

    Il ministero dell’Interno è stato condannato dal Tribunale di Roma a pagare 18.200 euro a titolo di risarcimento nei confronti di A., cittadino originario del Pakistan in fuga dal Paese, per averlo prima fermato a Trieste e poi respinto in Slovenia e a catena verso la Croazia e la Bosnia ed Erzegovina. Nonostante avesse manifestato la volontà di domandare protezione internazionale. Cento euro per ogni giorno trascorso tra la “riammissione” in Slovenia avvenuta a metà ottobre 2020 e il rientro in Italia nell’aprile 2021, come prevede la giurisprudenza comunitaria e nazionale su casi assimilabili.

    La decisione della giudice Damiana Colla del 9 maggio è estremamente rilevante non soltanto perché “accerta e dichiara l’illegittimità” delle riammissioni informali attive da parte italiana ma soprattutto perché inchioda l’”evidente nesso di causalità” tra l’operato della polizia italiana e il “danno subito” da A.. “La lesione del diritto d’asilo e i trattamenti inumani -scrive infatti la giudice- sono stati la diretta conseguenza della riammissione informale del ricorrente in Slovenia da parte delle autorità di frontiera di Trieste”.

    La decisione ottenuta dalle avvocate Caterina Bove e Anna Brambilla dell’Asgi, commenta la stessa Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, “è stata il frutto di un lavoro di rete che ha visto coinvolti diversi soggetti attivi nel contrasto alle violenze verso le persone in movimento attivi lungo la rotta balcanica, tra i quali la rete RiVolti ai Balcani (in particolare Gianfranco Schiavone e Agostino Zanotti), la giornalista Elisa Oddone, la Ong ‘Lungo la rotta balcanica’, l’associazione Pravni center za varstvo človekovih pravic in okolja – Legal Centre for the Protection of Human Rights and the Environment (Pic, in particolare Ursa Regvar), il progetto Medea dell’Asgi, Ics Ufficio Rifugiati, Linea d’ombra, il Centro per la Pace di Zagabria, Anela Dedic e tutti gli attivisti e attiviste che agiscono per la tutela per i diritti umani in Bosnia ed Erzegovina e lungo le rotte percorse dalla persone in transito”.

    Nuove ombre si allungano su una prassi che i governi europei intendono invece elevare sempre più a norma “guida” della brutale gestione delle frontiere, come dimostra l’accordo al Consiglio europeo Giustizia e Affari interni dello scorso 8 giugno sui regolamenti in tema di gestione dell’asilo e della migrazione e delle procedure.

    Non si tratta di un’ordinanza che guarda a un passato ormai superato o a una pagina triste nel frattempo voltata: se è vero infatti che l’Italia ha condotto i respingimenti verso la Slovenia per tutto il 2020 e li ha sospesi nel 2021, è noto che da fine 2022 il nuovo governo abbia annunciato di volerli riprendere (con “risultati” incerti di cui abbiamo già scritto). Il tutto nonostante il precedente dell’ordinanza cautelare del Tribunale di Roma a firma della giudice Silvia Albano, emessa nel gennaio 2021 a fronte del ricorso promosso sempre dalle avvocate e socie Asgi Caterina Bove e Anna Brambilla (la vicenda è ben raccontata nel film “Trieste è bella di notte” dei registi Andrea Segre, Stefano Collizzolli e Matteo Calore).

    La storia di A. ricostruita nella decisione di Roma è tanto forte quanto emblematica. La sua fuga dal Pakistan inizia nel 2018, quand’è ferito in un attacco del gruppo terroristico Tehrik-i-Taliban Pakistan. Sopravvissuto, e temendo ritorsioni da ambo le parti (estremisti ed esercito cui apparteneva), decide di scappare. Resta per un anno in Turchia e per tre volte prova a entrare in Grecia, nell’Unione europea. Al terzo tentativo riesce, attraversando poi la Macedonia del Nord, la Serbia e arrivando nell’estate 2019 in Bosnia ed Erzegovina.

    Per nove volte è respinto dalle polizie croate e per tre da quelle slovene. Il primo ottobre 2020, a “riammissioni informali attive” ormai a pieno regime da parte italiana, gli riesce il “game” che lo porterà a Trieste nella mattinata del 17 ottobre. Qui però alcuni militari lo fermano quasi subito insieme ad altre quattro persone. Finiscono tutti in una stazione di polizia dove sono visitati e gli vengono fatti firmare fogli non tradotti dal contenuto oscuro. A. riferisce però agli agenti di voler chiedere asilo ma questi lo “affidano” alla polizia slovena. Non ha niente in mano: “informale” vuol dire infatti respinto senza lo straccio di un provvedimento scritto, motivato, impugnabile, cioè senza convalida dell’autorità giudiziaria, senza diritto a un ricorso effettivo. A riprova di quanto sia basso e surreale il dibattito sul garantismo in Italia.

    È così che A., con l’etichetta fasulla di “cittadino extraeuropeo entrato irregolarmente” e non invece di richiedente asilo, si fa una notte in una stazione di polizia slovena e il giorno dopo si vede “consegnato alle autorità croate e da queste respinto in Bosnia con metodi violenti, comprese percosse”, sempre per citare il giudice di Roma.

    Alla fine della catena lo attende la Bosnia ed Erzegovina. Nel caso di A. è l’insediamento informale di Vedro Polje, poco distante da Bihać, nel Nord-Ovest del Paese. Per via delle “degradanti condizioni di vita al campo”, come si legge nell’ordinanza che ha condannato il Viminale, A. decide di riprovarci. Lì non può rimanere. Ce la fa, di nuovo, perché “frontiere chiuse” è uno slogan vuoto, e ad aprile del 2021 torna nell’Italia che lo aveva illegalmente respinto. Tre mesi prima, come detto, la giudice Albano del Tribunale di Roma aveva già sanzionato il ministero dell’Interno per le stesse riammissioni (caso specifico diverso, naturalmente). A., memore del precedente respingimento, abbandona in fretta Trieste e raggiunge Brescia. Il 10 maggio fa quella domanda d’asilo che gli era stata negata dalla polizia italiana qualche mese prima e a tre giorni da Natale si vede riconoscere lo status di rifugiato. Ma non gli suona come un lieto fine quanto lo sprone a chieder giustizia per quel respingimento illegale subìto.

    Il 31 dicembre 2021 fa perciò ricorso. Il ministero dell’Interno si costituisce in giudizio il 27 settembre 2022 sostenendo che no, non si sarebbe trattato di un’espulsione collettiva vietata dal diritto internazionale ed europeo, che l’intera procedura si sarebbe svolta nel rispetto dei diritti umani fondamentali delle persone coinvolte, che la pratica sarebbe stata pienamente legittima e che il danno subito dal ricorrente (cioè A.) non sarebbe stato dimostrato.

    Il Tribunale di Roma dà però torto a Roma e ragione ad A. e alle avvocate Bove e Brambilla, facendo così squagliare la tesi difensiva del Viminale come il sole fa con la neve. “Il trattamento che il ricorrente ha descritto di aver subito da parte delle autorità di frontiera italiane al momento del suo primo ingresso a Trieste […] è stato pienamente provato in giudizio”, scrive la giudice Colla. Dalla manifestazione della volontà di chiedere protezione alla presa in consegna da parte delle autorità slovene. È documentata anche la catena: la detenzione in Slovenia al Centro per stranieri di Veliki Otok, nella Postumia (Carniola interna), e la successiva riammissione in Croazia. Fino alla Bosnia. Nessun alibi quindi per il Viminale, che della mancata prova dell’arrivo in Italia dei respinti ne ha fatto fino a oggi un leitmotiv. Questa volta non gli è riuscito nascondere la mano.

    Nella “jungle” di Vedro Polje, dove si trova a inizio 2021, A. ha per fortuna incontrato la giornalista Elisa Oddone e l’operatore sociale Diego Saccora dell’associazione “Lungo la rotta balcanica” (e tra le anime della rete RiVolti ai Balcani). Oddone, che stava curando un reportage per Al Jazeera ed NPR, raccoglie la testimonianza di A. e fa da primo contatto-ponte con le avvocate Bove e Brambilla. Anche Saccora confermerà in Tribunale più incontri con A.. A Vedro Polje infatti l’operatore sociale e ricercatore sul campo portava assistenza e beni di prima necessità. Non solo: lo accompagna di persona presso uno studio notarile di Bihać “per conferire mandato agli attuali difensori al fine di esperire ricorso avverso la riammissione in Slovenia”. A dimostrazione che il supporto incisivo alle persone in transito calpestate dai governi europei alle frontiere può assumere le forme più svariate, e che l’aiuto più distante dalla solidarietà istituzionalizzata può passare persino dalla ceralacca di un notaio. Quante pagine gravi e paradossali faranno scrivere ancora le politiche europee?

    Oddone e Saccora raccontano per filo e per segno al giudice le condizioni proibitive in cui si trovava all’epoca A. insieme ad altri. Riparati nei boschi, con la temperatura fino a venti gradi sotto zero di un inverno bosniaco, senz’acqua, senza accoglienza per via della chiusura dei due campi locali più grandi, praticamente senza cibo, stretti tra “ronde” di cittadini locali ostili e “possibili furti da parte di altri gruppi di richiedenti asilo, alla ricerca di quanto necessario alla sopravvivenza”.

    Secondo il Tribunale di Roma la riammissione “informale” di A. da parte dell’Italia avrebbe “contraddetto” le “norme di rango primario, costituzionale e sovranazionale, le quali, evidentemente, non possono essere derogate da un accordo bilaterale intergovernativo (del 1996, ndr) non ratificato con legge”.

    “La Direttiva 2008/115/CE non legittima affatto, anzi contrasta con la descritta pratica di riammissione informale posta in essere dal governo italiano -chiarisce la giudice Colla-. Infatti, sebbene tale direttiva (al suo art. 6, par. 3) consenta agli Stati membri di riammettere nello Stato confinante di provenienza senza una specifica decisione di rimpatrio, qualora sussistano accordi bilaterali tra gli Stati interessati già vigenti alla data di entrata in vigore della direttiva stessa (essendo tali accordi invece non più consentiti nella vigenza della stessa), tuttavia, nell’esecuzione dell’accordo, lo Stato italiano è comunque vincolato dalla normativa interna anche costituzionale (art 13 Cost.), nonché dal diritto sovranazionale, alla stregua del quale lo Stato ha il dovere di accertare la situazione concreta nella quale la persona riammessa verrà a trovarsi, con particolare riferimento all’eventualità di una violazione dei suoi diritti fondamentali (che si prospettava nel caso di specie secondo le informazioni largamente disponibili). Soprattutto poi, la riammissione informale non può mai essere applicata nei confronti di una persona che manifesti l’intenzione di chiedere asilo, come nella specie accaduto”.

    Oltre al regolamento 604/2013 (Dublino III), l’Italia, nella foga di respingere, avrebbe persino violato lo stesso accordo bilaterale con la Slovenia. L’articolo due prevede infatti che ciascuna parte, su richiesta dell’altra, “si impegna a riammettere sul proprio territorio il cittadino di uno Stato terzo che non soddisfa le condizioni di ingresso o di soggiorno nel territorio dello Stato richiedente, non potendosi evidentemente considerare in tale situazione chi abbia espresso la volontà di chiedere protezione”. Proprio come A..

    A titolo di aggravante per le autorità italiane, segnala poi il Tribunale elencando corposa bibliografia, c’è anche il fatto che queste erano “perfettamente” a conoscenza -“o almeno trovandosi nella condizione di avere perfetta conoscenza”- “delle violazioni cui i respinti sarebbero stati esposti in Slovenia”, così come in Croazia, per non parlare delle condizioni orribili in Bosnia ed Erzegovina, denunciate anche dalla commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa Dunja Mijatović.

    A maggior ragione dopo le tredici pagine dell’ordinanza del Tribunale di Roma nessuno potrà dire “non sapevo”. Nel buio spicca il “lavoro di rete per contrastare le violazioni”, come lo chiamano le avvocate Bove e Brambilla. “La decisione è un importante risultato non solo perché ribadisce l’illegittimità della condotta posta in essere dalle autorità italiane -concludono- ma perché valorizza, anche attraverso l’assunzione della testimonianza diretta di Saccora e Oddone, l’impegno di tante persone che si impegnano a denunciare e contrastare le violazioni dei diritti delle persone in transito”.

    https://altreconomia.it/il-ministero-dellinterno-condannato-a-risarcire-un-respinto-a-catena-in

    #justice #Italie #frontière_sud-alpine #Slovénie #frontières #migrations #asile #réfugiés #condamnation #refoulements #refoulements_en_chaîne #push-backs #tribunal #réadmissions #Trieste #réadmissions_informelles_actives #Bihać #Bihac #Vedro_Polje #Veliki_Otok #Croatie #Bosnie #Bosnie-Herzégovine #forêt #hostile_environment #environnement_hostile #accord_bilatéral

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    ajouté à la #Métaliste sur les #refoulements_en_chaîne sur la #route_des_Balkans:
    https://seenthis.net/messages/1009117

  • Signature d’un #accord entre la Suisse et Chypre en vue la mise en œuvre de l’#accord-cadre migration

    La conseillère fédérale Karin Keller-Sutter et le ministre chypriote de l’intérieur Nicos Nouris signent un accord bilatéral de mise en œuvre du #crédit-cadre migration. Ce crédit-cadre fait partie de la deuxième contribution de la Suisse en faveur de certains États membres de l’Union européenne

    #Chypre #Suisse #accord_bilatéral #migrations #asile #réfugiés #externalisation

  • Bosnia ed Erzegovina: il Paese-trappola dove i rifugiati non trovano protezione

    Il Paese balcanico continua a essere sprovvisto di un vero sistema d’asilo, ma con l’avvio dell’accordo di riammissione con il Pakistan cerca di non essere più nemmeno luogo di transito. Esponendo i richiedenti asilo alla violazione sistematica dei loro diritti. Il commento di Gianfranco Schiavone

    Colpisce vedere avviato, nell’agosto 2022, seppure con numeri simbolici, l’accordo di riammissione tra Bosnia ed Erzegovina e Pakistan del luglio 2021, dal momento che nel Paese balcanico il numero di migranti e richiedenti asilo continua a essere irrilevante. Come evidenziato dai dati dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), a giugno 2022 sono arrivati poco più di duemila migranti. Nonostante il 95% abbia espresso intenzione di chiedere asilo e il secondo gruppo più numeroso sia costituito da cittadini afghani (la cui necessità di protezione è evidente) tale intenzione non si concretizza per quasi nessuno di loro tanto che sono pendenti 141 domande di protezione, tra cui dieci relative a cittadini pakistani. Il diritto d’asilo in Bosnia ed Erzegovina, a metà 2022, continua dunque a essere all’anno zero, ovvero allo stesso punto in cui si trovava al momento della pubblicazione, a luglio 2021 del rapporto di Rivolti ai Balcani “ Bosnia Erzegovina. La mancata accoglienza”.

    A un anno di distanza ritengo importante riprendere le parole contenute in quel rapporto laddove si ricordava come esiste “un quadro ben più complesso della facile spiegazione che riconduce l’assenza dei rifugiati nei Balcani alla sola ragione legata alla loro scelta di andare altrove. Tale spinta, che senza alcun dubbio esiste, è prodotta anche dal fatto che provare a rimanere è impossibile: le condizioni di assoluto e inaccettabile degrado nei campi di ‘accoglienza’, la mancanza di ogni forma di accoglienza ordinaria alternativa alla logica dei campi, la radicale assenza di qualsiasi percorso di integrazione sociale, anche per i pochi titolari di protezione internazionale, l’applicazione di criteri rigidi e i tempi d’attesa lunghissimi per l’esame delle domande (prossimi a due anni, nonostante i pochissimi richiedenti), la mancanza, nei diversi ordinamenti, di una forma di protezione aggiuntiva a quella internazionale, compongono un paradigma espulsivo durissimo”.

    Inseguendo una strategia alquanto ardita, la Bosnia ed Erzegovina, con il supporto dell’Unione europea, non solo vuole rimanere uno Stato senza un vero sistema di asilo ma, con l’avvio dell’accordo di riammissione con il Pakistan, cerca di non essere più nemmeno un Paese di transito. Sembra bensì aspirare a divenire un Paese-trappola dove i rifugiati non possono godere di alcuna protezione e nello stesso tempo sono esposti al rischio di respingimento verso lo Stato d’origine. Come fa ben notare la ricercatrice Gorana Mlinarevic la natura giuridicamente ambigua dei campi di confinamento sorti in Bosnia negli ultimi anni e del Temporary reception centre di Lipa in particolare (oggetto del rapporto di RiVolti ai Balcani “Lipa. Il campo dove fallisce l’Europa”) si presta benissimo a trasformare tali luoghi in centri di detenzione, anche de facto, da cui effettuare le espulsioni. Uno scenario che è stato ipotizzato anche in occasione del convegno internazionale “I campi di confinamento nell’Europa del XXI secolo”, organizzato da Rivolti ai Balcani e dal Centro Balducci nel maggio 2022.

    La strategia criminosa del Paese-trappola è uno scenario concreto. Favorito, come di nuovo fa ben notare la Mlinarevic, dall’assenza, in Bosnia ed Erzegovina, di una rete di organizzazioni indipendenti che abbiano la capacità di monitorare il rispetto della legalità nei campi di confinamento e sul territorio. Si tratta però anche di una strategia molto difficile da realizzare, persino in Paese come la Bosnia dal momento che, pur nel quadro di sostanziale disprezzo per i diritti dei migranti -trattati come non-persone- non potrà essere impedito l’esercizio del diritto d’asilo, ai cittadini pakistani come ad afghani, iraniani e a cittadini di altre nazionalità. Un diritto che fino ad ora non veniva esercitato da chi ne aveva titolo, per usufruire di una sorta di informale “diritto di transito”. Scenario che potrebbe cambiare bruscamente trasformando questo piccolo Paese in una destinazione, almeno temporanea, di rifugiati.

    Rimangono quindi inalterate nella loro validità le raccomandazioni di RiVolti ai Balcani contenute nel rapporto “Rotta balcanica. Migranti senza diritti nel cuore dell’Europa” dove si sottolineava la assoluta necessità di “supportare la Bosnia ed Erzegovina e gli altri Paesi non-Ue dell’area balcanica nella progressiva costruzione di sistemi di asilo realmente sostenibili alle loro possibilità e condizioni evitando in ogni caso la realizzazione di campi di confinamento” e, in parallelo, si chiedeva l’istituzione di “un sistema di relocation europeo dai Paesi non appartenenti all’Unione dell’area balcanica”.

    https://altreconomia.it/bosnia-ed-erzegovina-il-paese-trappola-dove-i-rifugiati-non-trovano-pro

    #Bosnie-Herzégovine #asile #migrations #réfugiés #Balkans #route_des_Balkans #Bosnie #Pakistan #réfugiés_pakistanais #renvois #accord_de_réadmission #accord_bilatéral

  • Nigeria-UK Migration Agreement : Smugglers, illegal migrants to face maximum sentence, deportation

    THE United Kingdom government has signed a new migration agreement with Nigeria that will deter illegal migration, the Home Office announced Friday.

    Under the agreement, both countries will issue emergency travel certificates or temporary passports within five days in order to speed up removal of people with no right to be in the UK.“Our new landmark agreement with Nigeria will increase the deportation of dangerous foreign criminals to make our streets and country safer.

    “The deal will mean that operational teams in both countries will share their expertise to take the fight to criminal people smugglers who are responsible for a wider range of criminality and put profit before people while undermining the security of our two countries,” Home Secretary and member of the UK Parliament for Witham Priti Patel said.

    On Thursday, 21 people (13 Nigerians and eight Ghanaians) with no right to be in the country, including those with combined sentences of more than 64 years, for crimes such as rape and sexual offences against children, were deported.

    The UK is also working closely with the governments of Belgium, France and Rwanda to do everything possible to stop illegal migrants before they reach the UK.

    While thousands of illegal migrants are ferried into the UK by small boats from bordering countries, some people who enter the UK on regular routes can still become irregular migrants.

    According to the UK government, illegal migrants include persons who entered the UK without authority, entered with false documents and individuals who have overstayed their visas.

    It also includes people who work or study on a tourist visa or non-immigrant visa waiver, enter into forced or fraudulent marriages or had their marriages terminated or annulled.

    The agreement will compliment UK’s newly approved Borders Act which prescribes increased maximum sentence for illegally entering the UK or overstaying a visa and a maximum sentence of life imprisonment for people smugglers and small boat pilots.

    In addition, the act puts into law that those who could have claimed asylum in another safe country but arrive illegally in the UK, can be considered as ‘inadmissible’ to the UK asylum system.

    UK Guardian reported that the deal with Rwanda, which will reportedly cost an initial £120 million, follows three years of promises by Patel to outsource asylum processing to third countries and failures to strike deals with Albania and Ghana.

    Under the arrangement which has faced heavy criticism, migrants will have their asylum claims processed in the East African country and be encouraged to settle there.

    “We will now work tirelessly to deliver these reforms to ensure we have an immigration system that protects those in genuine need while cracking down on abuse of the system and evil people-smuggling gangs,” Patel assured.

    In 2021, French and UK authorities prevented more than 23,000 attempts to travel illegally to the UK.

    Over 6,000 crossings have been prevented so far in 2022, more than twice as many as at this point last year.

    https://www.icirnigeria.org/nigeria-uk-migration-agreement-smugglers-illegal-migrants-to-face-maxim

    #UK #Angleterre #Nigeria #accord #accord_bilatéral #accords_bilatéraux #asile #migrations #renvois #expulsions #déboutés #passeport_temporaire #certificat_de_voyage_d'urgence #sans-papiers #criminels #criminels_étrangers #passeurs #mariage_blanc #Borders_Act

    ping @isskein @karine4

  • L’#Espagne et le #Maroc renouvellent leur #coopération en matière de #sécurité en liant #crime_organisé et immigration « irrégulière »

    L’accord de coopération en matière de sécurité et de lutte contre la criminalité, élaboré entre les deux pays en février 2019, entrera en vigueur le 30 avril 2022

    Nouvelle étape dans les relations bilatérales maroco-espagnoles sur le dos des exilé.e.s

    Cet accord, basé sur le #Traité_d’amitié, de #bon_voisinage et de coopération entre le Royaume d’Espagne et le Royaume du Maroc, signé à Rabat le 4 juillet 1991, représente une nouvelle étape dans les relations bilatérales entre les deux pays.

    Après des mois de brouille sur fond de crise diplomatique, [1] les deux pays renouent en renforçant leurs politiques de #sécurisation_des_frontières, dans la lignée des politiques migratoires européennes, qui criminalisent chaque fois davantage le processus migratoire. L’Espagne quant à elle continue d’externaliser sa frontière Sud en étroite collaboration avec son voisin marocain, consolidant ainsi un espace de violation des droits.

    Ce n’est pas la première fois que l’immigration dite irrégulière est associée à la criminalité organisée. L’effet d’aubaine des attentats dans le monde de ces dernières années (2001, 2015, 2016) a permis de légitimer le renforcement de la #lutte_contre_le_terrorisme et la criminalité transfrontalière, et de l’associer aux contrôles aux frontières extérieures de l’UE.

    Un accord à la formulation ambigüe et peu précise

    L’article 1.2 est particulièrement inquiétant, car il assimile les "#actions_criminelles" (point f) à la "traite des êtres humains et à l’#immigration_irrégulière", sans préciser que le séjour irrégulier ne peut valoir, dans les pays européens, une sanction pénale [2].

    De plus, à la différence de la traite des êtres humains [3], la migration ne constitue pas un crime et ces deux notions ne devraient pas être associées dans le texte. Par ailleurs, le fait que le rôle des trafiquants ou de groupes organisés qui tirent profit de la migration « irrégulière » ou qui la favorisent ne soit pas clarifié ouvre la voie à différentes interprétations biaisées, ne permettant pas de garantir le respect des droits humains aux frontières.
    Tout aussi préoccupant est l’article 2 (point a) en ce qu’il intègre l’identification et la recherche des personnes disparues dans un processus de lutte contre la criminalité, alors même que ces dernières ne devraient être mentionnées que dans des conventions de sauvetage.

    Migreurop et Euromed Droits dénoncent le contenu de l’accord entre l’Espagne et le Maroc sur la coopération en matière de sécurité et de lutte contre la criminalité qui ancre les migrations dans une logique sécuritaire, ne pouvant qu’engendrer d’énièmes violations des droits aux frontières.

    https://migreurop.org/article3099.html?lang_article=fr

    #migrations #asile #réfugiés #frontières #contrôles_frontaliers #accord #accord_bilatéral #externalisation_des_frontières

  • Greece to Hire 4,000 Bangladeshis Yearly

    Greece and Bangladesh signed a deal on Wednesday for Greece to employ 4,000 Bangladeshi workers annually.

    Bangladesh Expatriates’ Welfare and Overseas Employment Minister Imran Ahmad and Greek Migration Minister Notis Mitarakis signed the deal together in Dhaka.

    “Bangladeshi workers will be provided a 5-year temporary work permit,” Bangladesh’s expatriate ministry explained. “Under the agreement, seasonal workers will be hired in the agricultural sector.”

    The two countries have decided to expand the agreement as needed, potentially adding sectors and workers to the deal. Workers will have to leave Greece after the five-year period ends.

    Greece plans to present the deal for approval. This is Bangladesh’s first such employment contract in Europe.

    “Bangladeshi workers will be able to safely go to Greece to work legally now. They will be able to travel there with the employers bearing the expenses after the recruiting process is complete in Bangladesh,” Mitarakis remarked.

    Workers from this East Asian nation have confronted problems with human trafficking and rights violations in the past. This deal aims to facilitate a safe process for workers to come to Greece without infringing on their rights.

    Applicants are required to submit their own work contracts, travel documents, and proof of health insurance, as well as pay any expenses independently.

    Greece’s Migration Minister Notis Mitarakis signs deal with Bangladesh after Turkey clash

    This deal comes on the heels of Mitarakis’s back and forth with the Turkish government over accusations of migrant pushbacks on the Greek-Turkey border.

    Turkey’s interior minister, Suleyman Solyu, said that Greek guards were responsible for pushing the refugees away from the border into Turkey, where they died. The dead were part of a group of 22 people.

    Greece’s migration minister, Notis Mitarachi, denied Solyu’s allegations that Greek frontier units forcibly expelled the migrants.

    “The death of 12 migrants at the Turkish border near Ipsala is a tragedy. But the truth behind this incident bears no resemblance to the false propaganda pushed out by my counterpart,” he said in a statement.

    “These specific migrants never made it to the border. Any suggestion they did, or indeed were pushed back into Turkey, is utter nonsense.”

    Mitarakis insisted that Turkey should work on preventing such “dangerous journeys,” instead of wasting time with “baseless claims.” Mitarakis referenced a deal the EU made with Turkey to stop such migrant flows. “Turkey should assume its responsibilities if we want to prevent such tragedies from occurring again,” he added.

    Tensions between Turkey and Greece have deepened since 2020 when Turkey’s President Recep Tayyip Erdogan told asylum seekers to make their way to Europe through Greece.

    It is illegal under domestic, EU, and international law to deny migrants seeking asylum at the border. Despite this, numerous organizations have assembled proof that expulsions are a regular occurrence at the border.

    https://greekreporter.com/2022/02/10/greece-hires-bangladesh-workers
    #accord #accord_bilatéral #migrations #Bangladesh #Grèce #travailleurs #travailleurs_saisonniers #saisonniers #agriculture #migrants_bangladais

    ping @isskein @karine4

    • Same memorandum of shame signed with Pakistan

      Greece to give Pakistanis 5 years work visa

      Greece to give Pakistanis 5 years work visa from next year. The visa is based on seasonal employment which will allow total stay in Greece for five years. According to the news media sources, Notis Mitarakis, Minister of Immigration and Asylum, held talks this week in Pakistan with the country’s political leadership.
      he new visa will allow Pakistanis skilled and nonskilled workers to stay 9 months a year in Greece and 3 months in Pakistan. Greece and Pakistan have signed a memorandum of cooperation to stop the flow of illegal immigrants from Pakistan and provide Greece with human resources through legal immigration channels and tough immigration policies.
      Immigration and Asylum Minister Notis Mitarakis met with Pakistani Prime Minister Imran Khan as part of his official visit to Islamabad. According to the Greek Foreign Ministry, Mr. Mitarakis had talks with the Minister of Foreign Affairs and Human Resources Development, Mohammad Ayub Afridi, and the two Ministers exchanged views on ways to strengthen cooperation between Greece and Pakistan. immigration, but also the fight against irregularities in Greece.
      Notis Mitarakis, with his visit to Pakistan, seeks to support the legal immigration for the needs of the Greek economy, with the aim of combating the illegal arrivals of immigrants in Greece and on the other hand to return to Pakistan those who arrive in Greece. without having the right to stay in the country.
      He said:
      “We propose seasonal work of up to nine months a year versus long-term settlement,” Notis Mitarakis wrote in person about his talks in Pakistan.
      During the talks, Notis Mitarakis also noted:
      “We know very well why people move illegally from one country to another and become immigrants because in the past the history of Greece is similar to the history of Pakistan. Unfortunately, there was no strong close connection between Pakistan and Greece, which is why Pakistanis living in Greece face difficulties. Pakistan and the Hellenic Republic maintain friendly relations. A strong Pakistani diaspora of over 60,000 is an important economic and cultural bridge between the two countries. The visit will further strengthen the cooperation ties between Pakistan and Greece.”
      According to the press release of the Pakistani government, however:
      “The aim of the new policy will be to provide a visa for 5 years (seasonal immigrants). Every year the immigrant can stay in Greece for 9 months and spend the rest in his homeland. The three major policy objectives are:
      – the issuance of new visas through legal channels.
      – legalization of illegal immigrants
      – elimination of smuggling and illegal immigration
      On the other hand, the Greek side states that “the government’s goal is to support legal immigration to meet the needs of the Greek economy while combating illegal arrivals and the return of those who do not have the right to stay.
      Mr. Mitarakis and Mr. Afridi agreed on the need to promote legal migration routes at the expense of smuggling networks that endanger human lives. In this context, they co-signed a Declaration of Intent for the establishment of technical talks between the two ministries, as well as for the conclusion of a memorandum of cooperation in the near future, which will cover legal immigration issues and facilitate the return of irregular migrants.
      Mr. Mitarakis invited Mr. Afridi to visit Greece in the coming months, in order to continue their talks. The two ministers presented the results of their talks to the Pakistani prime minister, pledging to seek effective solutions to immigration issues. According to the Greek ministry, the Pakistani prime minister welcomed the Greek approach, congratulating the two ministries on their desire to strengthen cooperation on issues of legal immigration and the fight against irregularities.

      https://visa-guru.com/greece-to-give-pakistanis-5-years-work-visa

      #Pakistan #migrants_pakistanais

  • Rückführung illegaler MigrantenNGOs üben scharfe Kritik an Nehammers Balkan-Plänen

    Österreich hat mit Bosnien die Rückführung illegaler Migranten vereinbart, Nehammer sagte Unterstützung zu. Laut NGOs mache sich Österreich damit „zum Komplizen eines Völkerrechtsbruches“.

    Innenminister #Karl_Nehammer (ÖVP) hat am Mittwoch seine Westbalkanreise fortgesetzt und mit Bosnien einen Rückführungsplan für irreguläre Migranten vereinbart. Mit dem Sicherheitsminister von Bosnien und Herzegowina, #Selmo_Cikotić, unterzeichnete er eine Absichtserklärung. Scharfe Kritik äußerten mehrere Initiativen in Österreich. Außerdem kündigte Nehammer an, dass Österreich für das abgebrannte Camp #Lipa 500.000 Euro bereitstellt, damit dieses winterfest gemacht wird.

    Die Arbeiten dazu haben laut dem Innenministerium bereits begonnen, mit dem Geld sollen ein Wasser- und Abwassernetz sowie Stromanschlüsse errichtet werden. Im Dezember war die Lage in Bihać eskaliert, nachdem das Camp Lipa im Nordwesten des Landes kurz vor Weihnachten von der Internationalen Organisation für Migration (IOM) geräumt worden war – mit der Begründung, dass es die bosnischen Behörden nicht winterfest gemacht hätten. Kurz darauf brannten die Zelte aus, den damaligen Berichten zufolge hatten Bewohner das Feuer selbst gelegt. Beobachter gehen davon aus, dass auch die Einheimischen das Feuer aus Wut auf die Flüchtenden gelegt haben könnten.

    Charterflüge für Migranten ohne Bleibechancen

    Zentrales Ziel der Balkanreise von Innenminister Nehammer ist die Erarbeitung von Rückführungsplänen mit den besuchten Ländern. Migranten ohne Bleibewahrscheinlichkeit, die laut Nehammer auch ein Sicherheitsproblem sind, sollen bereits von den Balkanländern in die Herkunftsländer zurückgebracht werden. Mit Bosnien wurde bereits ein Charterflug vereinbart. Damit zeige man den Menschen, dass es nicht sinnvoll sei, Tausende Euro in die Hände von Schleppern zu legen, ohne die Aussicht auf eine Bleibeberechtigung in der EU zu haben, betonte Nehammer.

    Die geplanten Rückführungen sollen über die im vergangenen Sommer bei der Ministerkonferenz in Wien angekündigte „Plattform gegen illegale Migration“ operativ organisiert werden. In die Koordinierungsplattform für Migrationspolitik mehrerer EU-Länder – darunter Deutschland – sowie der Westbalkanstaaten wird auch die EU-Kommission miteinbezogen.
    Beamte sollen im „Eskortentraining“ geschult werden

    Bosnien hat bereits auch konkrete Anliegen für Unterstützung vorgebracht. So sollen 50 sogenannte „Rückführungsspezialisten“ in Österreich trainiert werden. Diese sind bei Abschiebungen und freiwilligen Ausreisen für die Sicherheit in den Flugzeugen zuständig. Bei diesem sogenannten Eskortentraining werden die bosnischen Beamten theoretisch und praktisch geschult, in Absprache mit Frontex und unter Miteinbeziehung der Cobra, berichtete Berndt Körner, stellvertretender Exekutivdirektor von Frontex.

    „Wir helfen bei der Ausbildung, vermitteln Standards, das ändert aber nichts an der Verantwortlichkeit, die bleibt in den jeweiligen Ländern“, sagte er im Gespräch mit der APA. Es gehe darum, dass „alle internationalen Standards eingehalten werden“, betonte der österreichische Spitzenbeamte.
    NGOs sehen „falsches Zeichen“

    Scharfe Kritik an dem von Nehammer geplanten „Rückführungsplan“ übten unterdessen zahlreiche Initiativen aus der Zivilgesellschaft. „Wenn Österreich den Westbalkanländern helfen will, dann soll es diese Länder beim Aufbau von rechtsstaatlichen Asylverfahren unterstützen. Wenn allerdings Menschen, die in diesen Ländern keine fairen Verfahren erwarten können, einfach abgeschoben werden sollen und Österreich dabei hilft, macht es sich zum Komplizen eines Völkerrechtsbruches“, kritisierte etwa Maria Katharina Moser, Direktorin der Diakonie Österreich, in einer Aussendung.

    „Die Vertiefung der Zusammenarbeit mit der EU-Agentur Frontex ist ein falsches Zeichen“, erklärte Lukas Gahleitner-Gertz, Sprecher der NGO Asylkoordination Österreich. „Die Vorwürfe gegen Frontex umfassen inzwischen unterschiedlichste Bereiche von unterlassener Hilfeleistung über Beteiligung an illegalen Push-backs bis zur Verschwendung von Steuergeldern bei ausufernden Betriebsfeiern. Statt auf die strikte Einhaltung der völker- und menschenrechtlichen Verpflichtungen zu pochen, stärkt Österreich der umstrittenen Grenztruppe den Rücken.“

    „Im Flüchtlingsschutz müssen wir immer die Menschen im Auge haben, die Schutz suchen. Ich habe bei meiner Reise nach Bosnien selbst gesehen, unter welchen Bedingungen Geflüchtete leben müssen. Für mich ist klar: Diejenigen, die Schutz vor Verfolgung brauchen, müssen durch faire Asylverfahren zu ihrem Recht kommen“, sagte Erich Fenninger, Direktor der Volkshilfe Österreich und Sprecher der Plattform für eine menschliche Asylpolitik.

    https://www.kleinezeitung.at/politik/innenpolitik/5972469/Rueckfuehrung-illegaler-Migranten_NGOs-ueben-scharfe-Kritik-an

    #Autriche #Bosnie #accord #accord_bilatéral #asile #migrations #réfugiés #Balkans #renvois #route_des_Balkans #expulsions #Nehammer #Selmo_Cikotic #externalisation #camp_de_réfugiés #encampement #IOM #OIM #vols #charter #dissuasion #Plattform_gegen_illegale_Migration #machine_à_expulsion #Rückführungsspezialisten #spécialistes_du_renvoi (tentative de traduction de „Rückführungsspezialisten“) #avions #Eskortentraining #Frontex #Cobra #Berndt_Körner

  • Francia devolvió a España casi 16.000 migrantes en solo cinco meses

    Los números se han disparado coincidiendo con una mayor presión migratoria desde Canarias y con el blindaje que los franceses mantienen en los pasos compartidos.

    Los controles que ha impuesto Francia en sus puestos fronterizos con España como respuesta a la amenaza terrorista y a la covid están teniendo consecuencias en materia migratoria. Entre noviembre y marzo, las autoridades galas devolvieron a España 15.757 inmigrantes en situación irregular, más de 3.000 al mes, según datos de la policía francesa de fronteras divulgados por el diario francés Le Figaro (https://www.lefigaro.fr/actualite-france/clandestins-les-frontieres-ont-ete-verrouillees-avec-l-italie-et-l-espagne-) y confirmados a El PAÍS. Los números se han disparado respecto al mismo periodo del año anterior coincidiendo con una mayor presión migratoria desde Canarias, pero también con el blindaje que los franceses mantienen unilateralmente en los pasos compartidos.

    La inmensa mayoría de los inmigrantes, 12.288 personas, fueron devueltos cuando intentaban entrar en territorio francés. La cifra triplica la registrada entre noviembre de 2019 y marzo de 2020. Las restantes 3.469 personas fueron interceptadas en departamentos vecinos, en particular de los Pirineos Orientales, que hacen frontera con Cataluña. En este caso se trata de un aumento del 25%. En esos controles las autoridades francesas han detenido a 108 personas por facilitar el cruce de los migrantes por la frontera. “Pueden ser camioneros o compatriotas, no son necesariamente parte de una organización estructurada”, declaró a Le Figaro el portavoz adjunto de la policía francesa, Christian Lajarrige.

    España y Francia forman parte del espacio Schengen y, en teoría, no hay frontera entre los dos países. Pero, desde los ataques terroristas de 2015, París ha establecido controles fronterizos amparándose en un artículo del tratado europeo que le permite realizarlos por razones de “seguridad nacional”. El pasado mes de noviembre, tras los últimos atentados en Francia, su presidente, Emmanuel Macron, dobló el número de efectivos en las fronteras (https://elpais.com/internacional/2020-11-05/macron-refuerza-los-controles-en-la-frontera-con-espana-e-italia-ante-el-ter) y desplegó 4.800 policías, gendarmes y militares para establecer controles 24 horas al día. Macron, que teme el ascenso de la extrema derecha de Marine Le Pen en las elecciones presidenciales del año que viene, cerró además 19 puestos fronterizos con España.

    El refuerzo de los controles también ha repercutido en la frontera alpina entre Francia e Italia. Entre noviembre y marzo, Francia impidió la entrada a 23.537 personas, el doble que en el mismo periodo un año antes, según las cifras citadas. A ellos se añaden, 2.502 migrantes detenidos en territorio francés, un aumento del 39%.

    Para expulsar a los inmigrantes que entran irregularmente a su territorio, Francia y España se valen de un acuerdo bilateral de 2002 (https://elpais.com/politica/2018/11/02/actualidad/1541179682_837419.html) que les permite la devolución en las cuatro horas siguientes al paso de la frontera. El acuerdo contempla una serie de garantías, como que los inmigrantes sean entregados a la policía española o que se formalice por escrito su devolución. Los datos de la policía francesa no especifican cuántos inmigrantes han sido devueltos sobre la base de este acuerdo bilateral, pero fuentes policiales y los propios inmigrantes han señalado que la mayor parte se realiza sin que medie un solo trámite.

    Las abultadas cifras no significan, en cualquier caso, que todas las personas devueltas se queden en España. Los gendarmes controlan con celo puentes, estaciones, autobuses, coches y trenes, pero la mayoría de los migrantes lo vuelve a intentar tres, cuatro y hasta cinco veces hasta que finalmente consiguen cruzar. Entre marzo y abril EL PAÍS ha estado en contacto con 14 migrantes, la mayoría malienses, que tenían como objetivo llegar a París y a otras ciudades francesas. Todos, antes o después y tras varios intentos, lo lograron.

    Buena parte de los migrantes que estos meses se han dirigido a la frontera francesa proceden de Canarias. Tras meses bloqueados en las islas han conseguido llegar a la Península por sus propios medios o, en el caso de los más vulnerables, ha sido la Secretaría de Estado de Migraciones la que los ha derivado a centros de acogida en otras provincias. No se conoce cuántos de ellos deciden quedarse en España, pero siempre hay un porcentaje importante que se marcha a Francia y a otros países europeos para encontrarse con parientes y amigos.

    Estos flujos migratorios, los llamados movimientos secundarios, son una obsesión para París y Berlín que presionan a Madrid para que evite que los migrantes se muevan por el continente. Francia, de hecho, ya ha puesto sobre la mesa una reforma del tratado Schengen para revisar las normas que rigen el espacio de libre circulación en Europa y reforzar el control de fronteras interiores.

    https://elpais.com/espana/2021-04-24/francia-devolvio-a-espana-casi-16000-migrantes-en-solo-cinco-meses.html?ssm=

    #France #Espagne #renvois #expulsions #frontières #asile #migrations #réfugiés #chiffres #statistiques
    #accord_bilatéral #accord_de_réadmission #accords_de_réadmission

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    voir la liste des accords de réadmissions signés par des pays européens et utilisés pour renvoyer (directement sans leur donner la possibilité de déposer une demande d’asile) des personnes à la recherche d’un refuge :
    https://seenthis.net/messages/736091

  • Rapporti di monitoraggio

    Sin dal 2016 il progetto ha pubblicato report di approfondimento giuridico sulle situazioni di violazione riscontrate presso le diverse frontiere oggetto delle attività di monitoraggio. Ciascun report affronta questioni ed aspetti contingenti e particolarmente interessanti al fine di sviluppare azioni di contenzioso strategico.

    Elenco dei rapporti pubblicati in ordine cronologico:

    “Le riammissioni di cittadini stranieri a Ventimiglia (giugno 2015): profili di illegittimità“

    Il report è stato redatto nel giugno del 2015 è costituisce una prima analisi delle principali criticità riscontrabili alla frontiera italo-francese verosimilmente sulla base dell’Accordo bilaterale fra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica francese sulla cooperazione transfrontaliera in materia di polizia e dogana (Accordo di Chambery)
    #Vintimille #Ventimiglia #frontière_sud-alpine #Alpes #Menton #accord_bilatéral #Accord_de_Chambéry #réadmissions

    Ajouté à la #métaliste de liens autour d’#accords_de_réadmission entre pays européens...
    https://seenthis.net/messages/736091
    Et plus précisément ici:
    https://seenthis.net/messages/736091#message887941

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    “Le riammissioni di cittadini stranieri alla frontiera di Chiasso: profili di illegittimità”

    Il report è stato redatto nell’estate del 2016 per evidenziare la situazione critica che si era venuta a creare in seguito al massiccio afflusso di cittadini stranieri in Italia attraverso la rotta balcanica scatenata dalla crisi siriana. La frontiera italo-svizzera è stata particolarmente interessata da numerosi tentativi di attraversamento del confine nei pressi di Como e il presente documento fornisce una analisi giuridica delle criticità riscontrate.

    Ajouté à la #métaliste de liens autour d’#accords_de_réadmission entre pays européens...
    https://seenthis.net/messages/736091
    Et plus précisément ici:
    https://seenthis.net/messages/736091#message887940

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    “Lungo la rotta del Brennero”

    Il report, redatto con la collaborazione della associazione Antenne Migranti e il contributo della fondazione Alex Langer nel 2017, analizza le dinamiche della frontiera altoatesina e sviluppa una parte di approfondimento sulle violazioni relative al diritto all’accoglienza per richiedenti asilo e minori, alle violazioni all’accesso alla procedura di asilo e ad una analisi delle modalità di attuazione delle riammissioni alla frontiera.

    #Brenner #Autriche

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    “Attività di monitoraggio ai confini interni italiani – Periodo giugno 2018 – giugno 2019”

    Report analitico che riporta i dati raccolti e le prassi di interesse alle frontiere italo-francesi, italo-svizzere, italo-austriache e italo slovene. Contiene inoltre un approfondimento sui trasferimenti di cittadini di paesi terzi dalle zone di frontiera indicate all’#hotspot di #Taranto e centri di accoglienza del sud Italia.

    #Italie_du_Sud

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    “Report interno sopralluogo Bosnia 27-31 ottobre 2019”

    Report descrittivo a seguito del sopralluogo effettuato da soci coinvolti nel progetto Medea dal 27 al 31 ottobre sulla condizione delle persone in transito in Bosnia. Il rapporto si concentra sulla descrizione delle strutture di accoglienza presenti nel paese, sull’accesso alla procedura di protezione internazionale e sulle strategie di intervento future.

    #Bosnie #Bosnie-Herzégovine

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    “Report attività frontiere interne terrestri, porti adriatici e Bosnia”

    Rapporto di analisi dettagliata sulle progettualità sviluppate nel corso del periodo luglio 2019 – luglio 2020 sulle diverse frontiere coinvolte (in particolare la frontiera italo-francese, italo-slovena, la frontiera adriatica e le frontiere coinvolte nella rotta balcanica). Le novità progettuali più interessanti riguardano proprio l’espansione delle progettualità rivolte ai paesi della rotta balcanica e alla Grecia coinvolta nelle riammissioni dall’Italia. Nel periodo ad oggetto del rapporto il lavoro ha avuto un focus principale legato ad iniziative di monitoraggio, costituzione della rete ed azioni di advocacy.

    #Slovénie #mer_Adriatique #Adriatique

    https://medea.asgi.it/rapporti

    #rapport #monitoring #medea #ASGI
    #asile #migrations #réfugiés #frontières
    #frontières_internes #frontières_intérieures #Balkans #route_des_balkans

    ping @isskein @karine4

  • Portugal and Morocco discuss greater cooperation

    The Minister of Internal Administration, Eduardo Cabrita, and the Minister of the Interior of Morocco, Abdelouafi Laftit, met today, by videoconference, within the scope of cooperation between the two countries in their areas of competence.

    Ministers addressed the situation verified in recent months, with the arrival of migrants from Morocco to the #Algarve, stressing the need to maintain and intensify cooperation in the field of preventing and combating irregular migration and human trafficking, both bilaterally – through a reinforced articulation between the Foreigners and Borders Service and its Moroccan counterpart – as in the framework of relations between Morocco and the European Union.

    In this sense, the importance and mutual interest in the conclusion of the negotiations that are taking place for a legal migration agreement between Portugal and Morocco were also discussed.

    Other topics discussed at the meeting was the ongoing update of the Civil Protection agreement between the two countries, an instrument that has proved to be of the utmost importance, particularly in the field of mutual assistance in emergency situations, including the fight against rural fires and training of operational staff.

    The two ministers also shared their experiences in the scope of measures to combat Covid-19 and expressed their desire to resume, as soon as possible, direct air connections between Portugal and Morocco.

    https://border-security-report.com/portugal-and-morocco-discuss-greater-cooperation
    #Portugal #Maroc #accord_bilatéral #accords_bilatéraux #migrations #asile #réfugiés

    ping @isskein

  • Pubblicato il dossier di RiVolti ai Balcani

    L’obiettivo: rompere il silenzio sulla rotta balcanica, denunciando quanto sta avvenendo in quei luoghi e lanciando chiaro il messaggio che i soggetti vulnerabili del #game” non sono più soli.

    Il report “Rotta Balcanica: i migranti senza diritti nel cuore dell’Europa” della neonata rete “RiVolti ai Balcani” è composta da oltre 36 realtà e singoli impegnati nella difesa dei diritti delle persone e dei principi fondamentali sui quali si basano la Costituzione italiana e le norme europee e internazionali.

    Il report è la prima selezione e analisi ragionata delle principali fonti internazionali sulle violenze nei Balcani che viene pubblicata in Italia. Un capitolo esamina la gravissima situazione dei respingimenti alla frontiera italo-slovena.

    http://www.icsufficiorifugiati.org/la-rotta-balcanica-i-migranti-senza-diritti-nel-cuore-delleurop

    #rapport #rivolti_ai_balcani #ICS #Trieste #Italie #frontière_sud-alpine #Slovénie #push-backs #refoulement #refoulements #réfugiés #asile #migrations #Balkans #route_des_balkans #the_game

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    Fil de discussion commencé en 2018 sur les réadmissions entre Italie et Slovénie :
    https://seenthis.net/messages/733273

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    ajouté à la métaliste sur les #refoulements_en_chaîne sur la #route_des_Balkans :
    https://seenthis.net/messages/1009117

    • Riammissioni tra Italia e Slovenia : 32 migranti rimandati di nuovo sulla Rotta

      „Tante sono le persone che il Dipartimento di polizia di #Capodistria ha ricevuto da parte delle autorità italiane. Nel giro di qualche settimana tenteranno nuovamente di passare“

      Continua il fenomeno delle riammissioni di migranti che le autorità italiane riconsegnano alla polizia slovena in base agli accordi firmati tra Roma e Lubiana nel 1996. Nelle ultime 24 ore sono 32 le persone rimandate nel territorio della vicina repubblica. Nel dettaglio, sono 31 cittadini di origine pakistana e una persona proveniente invece dal Marocco. La Rotta balcanica alle spalle di Trieste ha ripreso vigore nelle ultime settimane, con la conferma che arriva dai dati diffusi dal Dipartimento di polizia di Capodistria negli ultimi 10 giorni e dal corposo rintraccio avvenuto due giorni fa nella zona della #val_Rosandra, in comune di #San_Dorligo_della_Valle/Dolina.

      I dati dell’ultimo periodo

      Ai circa 150 migranti rintriaccati dalle autorità slovene negli ultimi giorni, vanno agigunti altri 13 cittadini afghani e quattro nepalesi. Dai campi profughi della Bosnia è iniziata la fase che vede i migranti tentare di passare i confini prima dell’arrivo delle rigide temperature che caratterizzano l’inverno sulla frontiera con la Croazia. Riuscire a farcela prima che cominicino le forti nevicate signfiica non dover aspettare fino a primavera. Nel frattempo, gli addetti ai lavori sono convinti che non passeranno troppe settimane prima che gli stessi migranti riammessi in Slovenia vengano nuovamente rintracciati in territorio italiano.

      https://www.triesteprima.it/cronaca/rotta-balcanica-migranti-slovenia-italia-riammissioni.html

      #accord_de_réadmission #accord_bilatéral #frontières #expulsions #renvois #refoulement #migrations #asile #réfugiés #réadmission

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      ajouté à cette liste sur les accords de réadmission entre pays européens :
      https://seenthis.net/messages/736091

    • "Le riammissioni dei migranti in Slovenia sono illegali", il Tribunale di Roma condanna il Viminale

      Per la prima volta un giudice si pronuncia sulla prassi di riportare indietro i richiedenti asilo in base a un vecchio accordo bilaterale. «Stanno violando la Costituzione e la Carta europea dei diritti fondamentali». L’ordinanza nasce dal ricorso di un 27 enne pakistano

      «La prassi adottata dal ministero dell’Interno in attuazione dell’accordo bilaterale con la Slovenia è illlegittima sotto molteplici profili». Non sono le parole di un’associazione che tutela i diritti dei migranti o di una delle tante ong che denuncia da mesi violenze e soprusi sulla rotta balcanica. Questa volta a dirlo, o meglio, a scriverlo in un’ordinanza a suo modo storica e che farà giurisprudenza, è una giudice della Repubblica. E’ il primo pronunciamento di questo tipo. Un durissimo atto d’accusa che porta l’intestazione del «Tribunale ordinario di Roma - Sezione diritti della persona e immigrazione» e la data del 18 gennaio 2021. Con le riammissioni informali sul confine italo-sloveno, che si tramutano - come documentato di recente anche da Repubblica - in un respingimento a catena fino alla Bosnia, il governo italiano sta violando contemporaneamente la legge italiana, la Costituzione, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e persino lo stesso accordo bilaterale.

      La storia di Mahmood

      L’ordinanza emessa dalla giudice Silvia Albano è l’esito di un procedimento cautelare d’urgenza. Il pakistano Mahmood contro il ministero dell’Interno. Nel ricorso presentato ad ottobre dagli avvocati dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) si chiedeva al Tribunale «di accertare il diritto del signor Mahmood a presentare domanda di protezione internazionale in Italia». La storia di questo 27 enne non è diversa da quella di migliaia di migranti che partecipano al Game, come nei campi profughi della Bosnia è stata beffardamente ribattezzata la pericolosa traversata dei boschi croati e sloveni. A metà del luglio scorso Mahmood raggiunge la frontiera di Trieste dopo il viaggio lungo rotta balcanica durante il quale ha subito violenze e trattamenti inumani, provati da una serie di fotografie che ha messo a disposizione del magistrato. E’ fuggito dal Pakistan «per le persecuzioni a causa del mio orientamento sessuale». Giunto in Italia insieme a un gruppo di connazionali, è rintracciato dagli agenti di frontiera e portato in una stazione di polizia italiana.

      «Minacciato coi bastoni dalla polizia italiana»

      Nel suo ricorso Mahmood sostiene di aver chiesto esplicitamente ai poliziotti l’intenzione di presentare la domanda di protezione internazionale. Richiesta del tutto ignorata. La sua testimonianza, evidentemente ritenuta attendibile dalla giudice Albano, prosegue col racconto di quanto accaduto all’interno e nelle vicinanze della stazione di frontiera. Si legge nell’ordinanza: «Gli erano stati fatti firmare alcuni documenti in italiano, gli erano stati sequestrati i telefoni ed erano stati ammanettati. Poi sono stati caricati su un furgone e portati in una zona collinare e intimati, sotto la minaccia di bastoni, di correre dritti davanti a loro, dando il tempo della conta fino a 5. Dopo circa un chilometro erano stati fermati dagli spari della polizia slovena che li aveva arrestati e caricati su un furgone». Da lì in poi il suo destino del pakistano è segnato: riportato nell’affollato campo bosniaco di Lipa, ha dormito alcune notti in campagna, infine ha trovato rifugio in un rudere a Sarajevo.

      Il Viminale non poteva non sapere

      Secondo il Tribunale di Roma ci sono tre solide ragioni per ritenere illegali le riammissioni in Slovenia. La prima. Avvengono senza che sia rilasciato alcun pezzo di carta legalmente valido. «Il riaccompagnamento forzato - scrive Albano - incide sulla sfera giuridica degli interessati quindi deve essere disposto con un provvedimento amministrativo motivato impugnabile innanzi all’autorità giudiziaria». La seconda attiene al rispetto della Carta dei diritti fondamentali, che impone la necessità di esame individuale delle singole posizioni e vieta espulsioni collettive. E’ uno dei passaggi più significativi dell’ordinanza. «Lo Stato italiano non avrebbe dovuto dare corso ai respingimenti informali. Il ministero era in condizioni di sapere, alla luce dei report delle Ong, delle risoluzioni dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati e delle inchieste dei più importanti organi di stampa internazioanale, che la riammissione in Slovenia avrebbe comportato a sua volta il respingimento in Bosnia nonché che i migranti sarebbero stati soggetti a trattamenti inumani».

      Infine la terza ragione, che sbriciola la posizione ufficiale del Viminale, rappresentata al Parlamento dal sottosegretario Achille Variati durante un question time in cui è stato affermato che le riammissioni si applicano a tutti, anche a chi vuol presentare domanda di asilo. Scrive invece la giudice: «Non si può mai applicare nei confronti di un richiedente asilo senza nemmeno provvedere a raccogliere la sua domanda, con una prassi che viola la normativa interna e sovranazionale e lo stesso contenuto dell’Accordo bilaterale con la Slovenia».

      La condanna

      Per queste tre ragioni, il Viminale è condannato a prendere in esame la domanda di asilo di Mahmood, consentendogli l’immediato ingresso nel territorio italiano, e a pagare le spese legali. E’ la vittoria di Gianfranco Schiavone, componente del direttivo Asgi e presidente del Consorzio italiano di Solidarietà, che da mesi denuncia quanto sta accadendo sul confine italo-sloveno. Nel 2020 le riammissioni informali sono state circa 1.300. E’ la vittoria soprattutto delle due legali che hanno presentato il ricorso e sostenuto la causa, Anna Brambilla e Caterina Bove. «Siamo molto soddisfatte della pronuncia», commenta Brambilla. «Alla luce di questa ordinanza si devono interrompere subito le riammissioni informali in Slovenia perché sia garantito l’accesso al diritto di asilo».

      https://www.repubblica.it/cronaca/2021/01/21/news/viminale_condannato_riammissioni_illegali_respingimenti_slovenia_migranti

      #condamnation #justice

    • I respingimenti italiani in Slovenia sono illegittimi. Condannato il ministero dell’Interno

      Per il Tribunale di Roma le “riammissioni” del Viminale a danno dei migranti hanno esposto consapevolmente le persone, tra cui richiedenti asilo, a “trattamenti inumani e degradanti” lungo la rotta balcanica e a “torture” in Croazia. Il caso di un cittadino pachistano respinto a catena in Bosnia. L’avvocata Caterina Bove, co-autrice del ricorso, ricostruisce la vicenda e spiega perché l’ordinanza è importantissima

      I respingimenti voluti dal ministero dell’Interno italiano e praticati con sempre maggior intensità dalla primavera 2020 al confine con la Slovenia sono “illegittimi”, violano obblighi costituzionali e del diritto internazionale, e hanno esposto consapevolmente i migranti in transito lungo la “rotta balcanica”, inclusi i richiedenti asilo, a “trattamenti inumani e degradanti” oltreché a “vere e proprie torture inflitte dalla polizia croata”.

      A cristallizzarlo, demolendo la prassi governativa delle “riammissioni informali” alla frontiera orientale, è il Tribunale ordinario di Roma (Sezione diritti della persona e immigrazione) con un’ordinanza datata 18 gennaio 2021 e giunta a seguito di un ricorso presentato dalle avvocate Caterina Bove e Anna Brambilla (foro di Trieste e Milano, socie Asgi) nell’interesse di un richiedente asilo originario del Pakistan respinto dall’Italia nell’estate 2020 una volta giunto a Trieste e ritrovatosi a Sarajevo a vivere di stenti.

      Le 13 pagine firmate dalla giudice designata Silvia Albano tolgono ogni alibi al Viminale, che nemmeno si era costituito in giudizio, e riconoscono in capo alle “riammissioni informali” attuate in forza di un accordo bilaterale Italia-Slovenia del 1996 la palese violazione, tra le altre fonti, della Costituzione, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. E non solo quando colpiscono i richiedenti asilo ma tutte le persone giunte al confine italiano.

      Abbiamo chiesto all’avvocata Caterina Bove, co-autrice del ricorso insieme a Brambilla, di spiegarci perché questa ordinanza segna un punto di svolta.

      Avvocata, facciamo un passo indietro e torniamo al luglio 2020. Che cosa è successo a Trieste?
      CB Dopo aver attraversato la “rotta balcanica” con grande sofferenza e aver tentato almeno dieci volte di oltrepassare il confine croato, il nostro assistito, originario del Pakistan, Paese dal quale era fuggito a seguito delle persecuzioni subite a causa del proprio orientamento sessuale e dell’essersi professato ateo, ha raggiunto Trieste nell’estate 2020. Lì, è stato intercettato dalla polizia italiana che lo ha accompagnato in un luogo gestito dalle autorità di frontiera.

      E poi?
      CB Presso quella che noi ipotizziamo si trattasse di una caserma (probabilmente la Fernetti, ndr) il ricorrente ha espresso più volte la volontà di accedere alla procedura di asilo. Invece di indirizzarlo presso le autorità competenti a ricevere la domanda di asilo, è stato fotosegnalato, trattenuto insieme ad altri in maniera informale e senza alcun provvedimento dell’autorità giudiziaria. Gli hanno fatto solo firmare dei documenti scritti in italiano e sequestrato il telefono. Dopodiché lo hanno ammanettato, caricato bruscamente su una camionetta e poi rilasciato su una zona collinare al confine con la Slovenia.

      In Slovenia, scrivete nel ricorso, hanno trascorso una notte senza possibilità di avere accesso ai servizi igienici, cibo o acqua. Quando chiedevano di usare il bagno “gli agenti ridevano e li ignoravano”.
      CB Confermo. Veniamo ora al respingimento a catena in Croazia. Il ricorrente e i suoi compagni vengono scaricati dalla polizia al confine e “accolti” da agenti croati che indossavano magliette blu scuro con pantaloni e stivali neri. I profughi vengono fatti sdraiare a terra e ammanettati dietro la schiena con delle fascette. Vengono presi a calci sulla schiena, colpiti con manganelli avvolti con filo spinato, spruzzati con spray al peperoncino, fatti rincorrere dai cani dopo un conto alla rovescia cadenzato da spari in aria.

      Queste circostanze sono ritenute provate dal Tribunale. In meno di 48 ore dalla riammissione a Trieste il vostro assistito si ritrova in Bosnia.
      CB Il ricorrente ha raggiunto il campo di Lipa, a pochi chilometri da Bihać, che però era saturo. Così ha raggiunto Sarajevo, dove vive attualmente spostandosi tra edifici abbandonati della città. La polizia bosniaca lo sgombera di continuo.

      Come avete fatto a entrare in contatto con lui?
      CB La sua testimonianza è stata prima raccolta dal Border Violence Monitoring Network e poi dal giornalista danese Martin Gottzske per il periodico Informatiòn.

      “La prassi adottata dal ministero dell’Interno in attuazione dell’accordo bilaterale con la Slovenia e anche in danno dell’odierno ricorrente è illegittima sotto molteplici profili”, si legge nell’ordinanza. Possiamo esaminarne alcuni?
      CB Il punto di partenza del giudice è che l’accordo bilaterale firmato nel settembre 1996 non è mai stato ratificato dal Parlamento italiano e ciò comporta che non può prevedere modifiche o derogare alle leggi vigenti in Italia o alle norme dell’Unione europea o derivanti da fonti di diritto internazionale.

      “Sono invece numerose le norme di legge che vengono violate dall’autorità italiana con la prassi dei cosiddetti ‘respingimenti informali in Slovenia’”, continua il Tribunale.
      CB Infatti. La riammissione avviene senza che venga emesso alcun provvedimento amministrativo. Le persone respinte non vengono informate di cosa sta avvenendo nei loro confronti, non ricevono alcun provvedimento amministrativo scritto e motivato e dunque non hanno possibilità di contestare le ragioni della procedura che subiscono, tantomeno di provarla direttamente. Questo viola il loro diritto di difesa e a un ricorso effettivo, diritti tutelati dall’articolo 24 della Costituzione, dall’art. 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

      Dunque è una violazione che non dipende dalla condizione di richiedente asilo.
      CB Esatto, anche qui sta l’importanza del provvedimento e la sua ampia portata. Poi c’è la questione della libertà personale: la persona sottoposta a riammissione si vede ristretta la propria libertà personale senza alcun provvedimento dell’autorità giudiziaria, come invece previsto dall’art. 13 della nostra Costituzione.

      Arriviamo al cuore della decisione. La giudice scrive che “Lo Stato italiano non avrebbe dovuto dare corso ai respingimenti informali in mancanza di garanzie sull’effettivo trattamento che gli stranieri avrebbero ricevuto [in Croazia, ndr] in ordine al rispetto dei loro diritti fondamentali, primi fra tutti il diritto a non subire trattamenti inumani e degradanti e quello di proporre domanda di protezione internazionale”. E aggiunge che il ministero “era in condizioni di sapere” delle “vere e proprie torture inflitte dalla polizia croata”.
      CB È accolta la nostra tesi, fondata su numerosi report, inchieste giornalistiche, denunce circostanziate di autorevoli organizzazioni per i diritti umani.
      La riammissione, anche a prescindere dalla richiesta di asilo, viola l’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che reca il divieto di trattamenti inumani e degradanti e l’obbligo di non respingimento in caso lo straniero possa correre il rischio di subire tali trattamenti. Ogni Stato è cioè responsabile anche se non impedisce che questi trattamenti avvengano nel luogo dove la persona è stata allontanata.
      In questo senso è un passaggio molto importante perché allarga la portata della decisione a tutte le persone che arrivano in Italia e che vengono rimandate indietro secondo la procedura descritta.
      È noto il meccanismo di riammissione a catena ed è nota la situazione in Croazia.

      La ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, il 13 gennaio 2021, ha ribadito però che Slovenia e Croazia sarebbero “Paesi sicuri”.
      CB Il Tribunale descrive una situazione diversa e ribadisce che la riammissione non può mai essere applicata nei confronti dei richiedenti asilo e di coloro che rischiano di essere sottoposti a trattamenti inumani e degradanti.

      Che cosa succede ora?
      CB Considerato il comportamento illecito delle autorità italiane, il Tribunale fa diretta applicazione dell’art. 10 comma 3 della Costituzione consentendo l’ingresso sul territorio nazionale al ricorrente al fine di presentare la domanda di protezione internazionale, possibilità negatagli al suo arrivo. Non c’è un diritto di accedere al territorio italiano per chiedere asilo “da fuori” però, in base a questa norma come declinata dalla Corte di Cassazione, esiste tale diritto di ingresso se il diritto d’asilo sul territorio è stato negato per un comportamento illecito dell’autorità.
      Quindi il ricorrente dovrà poter fare ingresso il prima possibile per fare domanda di asilo. Spero che possa essergli rilasciato al più presto un visto d’ingresso.

      E per chi è stato respinto in questi mesi? Penso anche ai richiedenti asilo respinti, pratica confermata dal Viminale nell’estate 2020 e recentemente, a parole, “rivista”.
      CB Purtroppo per il passato non sarà facilissimo tutelare le persone respinte attraverso simili ricorsi perché le persone subiscono lungo la rotta la sistematica distruzione dei loro documenti di identità, dei telefonini e delle foto e, anche tenuto conto di come vivono poi in Bosnia, diventa per loro difficile provare quanto subito ma anche provare la propria identità. Per il futuro questa decisione chiarisce l’illegalità delle procedure di riammissione sia nei confronti dei richiedenti asilo sia dei non richiedenti protezione. Deve essere assicurato l’esame individuale delle singole posizioni.

      https://altreconomia.it/i-respingimenti-italiani-in-slovenia-sono-illegittimi-condannato-il-min

    • Tratto dal rapporto “#Doors_Wide_Shut – Quarterly report on push-backs on the Western Balkan Route” (Juin 2021):

      Pushbacks from Italy to Slovenia have been virtually suspended, following the visibility and advocacy pursued by national civil society actors on chain pushbacks and potentially reinforced by the January Court of Rome ruling. However, at least two reports on chain pushbacks from Italy through Slovenia and Croatia to BiH have been recorded in May 2021, by the Border Violence Monitoring Network (BVMN). As irregular movements continue, the question remains whether Italy will ensure access to individual formal procedures for those entering its territory from Slovenia and seeking asylum.

      https://helsinki.hu/en/doors-wide-shut-quarterly-report-on-push-backs-on-the-western-balkan-route
      https://seenthis.net/messages/927293

    • Italian Court Ruling on Chain Pushback

      A new ruling from the Court of Rome has been released, finding in favour of an applicant who was subject to an illegal chain pushback from Italy, via Slovenia and Croatia, to Bosnia-Herzegovina. This important development was brought to the court by Italian legal association ASGI, and supported by the Border Violence Monitoring Network (BVMN), who provided a first hand testimony from the applicant. The court found unequivocal evidence of violations of international law, and acknowledged the applicant’s right to enter Italy immediately, and to full and proper access to the asylum system.

      The pushback, which was recorded by BVMN member Fresh Response in Sarajevo, involved violations from all three EU member states who combined to eject the transit group into Bosnia-Herzegovina. In particular, the court found Italian authorities, who initiated the pushback, to have breached:

      - Access to asylum
      - Obligations on Non-refoulement
      - Application of detention
      - Right to effective remedies

      You can read more about the ruling in the press release below:
      https://www.borderviolence.eu/wp-content/uploads/Decisione-del-Tribunale.pdf

      https://www.borderviolence.eu/italian-court-ruling-on-chain-pushback

    • Version française, que j’ai découverte après, ici :
      https://twitter.com/VictorPereir1/status/1245355065046687744

      Aproveito o confinamento para rever milhares de fotografias tiradas em vários arquivos franceses e portugueses.
      Vou fazendo uns threads sobre a história da imigração portuguesa em França no século 20.
      Começo pelo início : a Primeira Guerra mundial

      Tudo começa em #1916.
      No século 19 e início do século 20, os Portugueses emigravam muito mas iam principalemente para o Brasil.

      Quase não havia trabalhadores portugueses em França antes de 1916. No fim do século 19, até os censos franceses deixaram de contar Portugueses.

      Porque é que isto muda em 1916 ?
      A França está em guerra e precisa de braços : os homens estão, na maioria, a combater e é necessário aumentar a produção de armas.
      Procura-se mão-de-obra em toda a parte. Recrutam-se trabalhadores nas colónias francesas e até na China.

      Em 1916 começa-se a pensar na hipótese de fazer vir Portugueses. Porquê ?
      O governo de Lisboa – com #Afonso_Costa e #Norton_de_Matos – pretende entrar na guerra europeia (por vários motivos que não posso explicar aqui) e oferece os seus préstimos militares à Inglaterra e à França

      A França aproveita a oportunidade e pede trabalhadores (o que não era a ideia do governo português que queria apenas mandar soldados)
      Mas para conseguir o seu objetivo principa, o governo português cede.

      Em 28 de outubro de 1916, depois de várias semanas de negociações (e de desentendimentos) é assinado um acordo que permite a vinda detrabalhadores portugueses em França.

      Os trabalhadores – que devem ter mais de 32 anos ou estarem livres das obrigações militares – podem obter um contrato de trabalho válido 6 meses

      O governo francês envia a Portugal #Georges_Le_Gentil – especialista de literatura espanhola que mais tarde será um dos precursos do ensino do português e da língua portuguesa em França – para recrutar a mão-de-obra.

      Não se sabe nada, nesta altura, sobre os trabalhadores portugueses porque não existia uma corrente migratória prévia.
      Vários estereótipos nascem neste período. Privilegia-se o recrutamento no norte de Portugal para evitar os lisboetas e alentejanos considerados mais politizados

      Le Gentil instala uma missão francesa de recrutamento da mão-de-obra no Porto. Nas cartas que envia para Paris Le Gentil fala dum Portugal que sofre com as consequências da guerra e com a fome

      Entre 15 000 e 2000 homens chegam em França (por barco ou por comboio). Instala-se um depósito de trabalhadores em Bayonne, no Sul da França, para receber os trabalhadores e envia-los onde foram contratados.

      Os trabalhadores são dispersos em várias áreas, trabalhando em fábricas de guerra em Montluçon, em Givors, perto de Lyon, em Rouen.
      Alguns trabalham nas florestas como lenhadores.
      (aqui nota-se já a presença de emigrantes vindos de Tomar, Pombal e Vila Nova de Ourém)

      O objetivo das autoridades é tirar uma produtividade máxima dos trabalhadores coloniais e estrangeiros.
      É feito um esforço para oferecer comida adatada aos trabalhados. Um dos conselhos dado para agradar os portugueses é propor bacalhau

      Durante a guerra, as autoridades francesas tentam controlar as deslocações dos trabalhadores estrangeiros. Teme-se os espiões. Asim, é em 1917, que aparecem os primeiros bilhetes de identidade que devem ter os estrangeiros.

      Teme-se também que os trabalhadores mudem de patrão para ter melhores salários (originando uma subida dos salários). Outro motivo para vigiar de perto os Portugueses como aqui em Montluçon.

      Como a imensa maioria dos trabalhadores portugueses nunca foram à escola, temos muito poucos documentos escritos por eles.
      Como viviam a vida na fábrica ? como viviam em barracas ? como é que viviam sem saber falar francês num país onde quase ninguém falava português?

      Aqui temos um dos raros documentos escrito por um operário português numa fábrica de #Givors.
      Nota-se a escrita insegura

      No fim da guerra, a maioria dos trabalhadores volta para Portugal. Mas alguns ficam em França, renovando o contranto ou mudando de fábrica.
      Veremos noutro thread o que se passa nos anos 1920 !

      #WWI #première_guerre_mondiale #travailleurs_étrangers #effort_de_guerre #accord #accord_bilatéral

    • Segundo thread sobre a história da imigração portuguesa em França.
      Desta vez, vou falar dos anos 1920. Nesta década a França é o principal país de imigração no mundo.
      Pelo menos 75 000 Portugueses vão emigrar em França nestes anos


      Depois da Primeira Guerra mundial, a França precisa de mão-de-obra estrangeira (já era o caso antes e durante a Guerra).
      A Grande Guerra provocou a morte de quase 1,4 milhão de pessoas, centenas de milhares de pessoas ficaram inválidas (os famosos gueules cassées)

      O norte e o leste do país foram destruídos pelos bombardeamentos e os combates.
      Algumas cidades foram quase completamente destruídas como aqui Arras, no Pas-de-Calais

      As autoridades francesas pretendem atrair imigrantes mas querem escolhê-los.
      A ideia é que é preciso atrair trabalhadores europeus – Portugueses incluídos – porque são considerados assimiláveis.
      Os trabalhadores que vinham das colónias e da China são mandados embora

      Em 1919-1920, a França assina acordos de mão-de-obra com a Itália, a Polónia e a Checoslováquia.
      Uma proposta é feita ao governo português mas é recusada. Já nesta época, a vontade é de guardar a mão-de-obra (para manter os baixos salários) e enviar colonos em Africa

      Assim, nos anos 1920, milhares de Polacos (500 000), de Italianos (alguns fugindo o fascismo), de Espanhois e de Russos chegam em França

      Em 1931, a França é o país que conta a % mais forte de estrangeiros (mais que os USA que limitaram fortemente as entradas em 1920 e 1924 com quotas)
      Apesar da ausência de acordo, uma imigração portuguesa desenvolve-se.
      Um depósito para acolher os trabalhadores portugueses é criado perto da estação de comboio de Hendaye, junto à fronteira espanhola

      O depósito abre em 1 de Junho de 1919.
      Este criação não agradou muito as autoridades municipais : teme-se que os trabalhadores portugueses possam introduzir doenças (como a gripe espanhola – que não era espanhola)

      O papel do depósito é de receber os trabalhadores, vacina-los, verificar os documentos e contrato de trabalho (não caso de o trabalhador ter tal contrato), dar contratos de trabalho aos que não tinham contatos prévios

      Tira-se fotografias dos trabalhadores que, muitas vezes, viajaram bem vestidos. Mas muitos deles não assinam o salvo-conduto que lhes é dado para prosseguir viagem, não sabendo ler e escrever

      Esta imigração serve perfeitamente os objetivos das autoridades francesas que conseguem diversificar a mão-de-obra estrangeira.
      Em período de desemprego, fecha-se o depósito e a fronteira e os imigrantes ficam bloqueados em Irun, do #lado espanhol.

      Entre 1920 e 1930, 71 472 Portugueses passam pelo depósito

      Quem são e onde é que vão trabalhar os Portugueses?

      Em primeiro lugar, 85% são homens que pensam ficar apenas alguns meses

      Muitos vão nas regiões ditas libertadas, no norte e no leste.
      Algumas cidades como Reims foram quase completamente destruídas.
      Em 1924, vivem 3500 Portugueses em #Reims

      O fato dos estrangeiros irem reconstruir cidades destruídas não impede discursos racistas.
      nesta notícia de 1920 é dito que os estrangeiros – incluído os Portugueses - são perigosos e podem introduzir doenças (não se pensa no covid-19 mas na gripe espanhola)

      Depois desta notícia um inquérito é feito junto dos trabalhadores portugueses que tinham chegado recentemente (alguns estavam doentes)

      Encontra-se também portugueses no #Pas-de-Calais e na Somme, zonas onde combateu o Corpo Expedicionário Português em 1917-1918

      Alguns soldados ficaram (alguns depois de terem encontrado noivas francesas). Outros, depois duma estadia em Portugal, regressaram na terra que conheciam e onde a mão-de-obra estrangeira era necessária para a reconstrução

      Em 1924 é criado uma sociedade portuguesa de assistência mutual em Arras.
      Esta sociedade junta trabalhadores portugueses e antigos soldados que todos os anos comemoram a batalha de La Lys (9 de abril de 1918)

      No resto do país, trabalhadores portugueses trabalham nas obras e na construção civil. Por exemplo, várias empresas do país basco francês empregam portugueses.
      São trahalhadores pouco qualificados, a maioria é analfabeta

      Também encontram-se trabalhadores portugueses em fábricas – perto de Rouen – ou nas minas – perto de #Saint-Etienne

      Vivem muitas vezes à parte da sociedade francesa, em barracas, em cantinas, junto das obras (como aqui numa cantina junto duma barragem em construção)


      Muitos deles mudam muito frequentemente de patrão e de lugar (para tentar ganhar mais dinheiro e voltar depois para Portugal)

      Sinal que é uma migração temporária, apenas há 15% de mulheres.
      Algumas delas não se limitam a acompanhar o marido : trabalham em fábricas como no caso das indústrias de conservas de peixe do país basco

      No fim dos anos 1920, algumas algarvias – o Algarve tinha uma importante indústria de conservas de peixe mas que entra em crise nos fim dos anos 1920 – vão trabalhar no país basco

      A região parisiense já atrai muitos portugueses que se encontram nos arredores (pobres) de Paris como em Saint-Ouen
      Em 1931, 26% dos Portugueses vivem na região parisiense

      Sinal duma certa estabilização de parte dos Portugueses um Portugal football Club à Paris é criado em Saint-Ouen em 1930

      Estes Portugueses têm muito bom gosto como se pode ver no documento

      Não se sabe muito sobre este clube mais em 1930 ele participa num torneio internacional anti-fascista
      Como veremos o Partido Comunista Francês tenta politizar os Portugueses dos arredores parisienses, nomeadamente em Saint-Ouen

      Além da imigração regular que passava por Hendaye, já existia uma imigração irregular com falsos documentos e travessias clandestinas dos Pirineus com passadores

      Na imprensa da altura, já se critica os passadores e os falsificadores de documentos.
      Um exemplo de 1927

      Mas como os trabalhadores eram na maioria analfabetos, quase não existem documentos escritos por eles e que nos permitem conhecer melhor como (sobre)viviam num país estrangeiro, onde não dominavam a língua

      O próximo thread será sobre um período mais difícil para os Portugueses (e os estrangeiros em geral) : os anos 1930 onde milhares de Portugueses tiveram que sair de França

      Para mais informações sobre os anos 1920 e o depósito de Hendaye, podem dar uma olhadela aqui (mas é em francês)

      https://www.academia.edu/37726596/Trier_et_inspecter_les_travailleurs_%C3%A9trangers_les_d%C3%A9p%C3%B4ts_de

      #sauf-conduit #frontières

    • 3e thread sur l’histoire de l’immigration portugaise en France.
      On arrive aux terribles années 1930 : crise économique, #xénophobie et #expulsions.
      Les Portugais sont loin d’être épargnés et des milliers d’entre eux sont contraints au départ

      On revient d’abord un peu en arrière.
      En 1929 et 1930, 30 000 Portugais arrivent en France.
      En 1930, autant de Portugais partent en France qu’au Brésil, principale destination de l’émigration portugaise jusqu’alors.
      Le Brésil est durement touché la crise économique dès 1930

      En 1931, le recensement français compte 49 000 Portugais (loin des 250 000 Belges, 350 000 Espagnols, 500 000 Polonais, 800 000 Italiens
      La France est alors le premier pays d’immigration au monde

      Les effets du krach de Wall Street touchent la France en 1931.
      Une des conséquences est la réduction des entrées d’immigrés (sauf pour les travailleurs agricoles)
      En août 1932, une loi impose des quotas d’étrangers par profession ou branche de l’industrie ou du commerce

      Le dépôt des travailleurs portugais ferme ses portes au milieu des années 1930.
      Il n’est plus question de faire venir de nouveaux travailleurs.
      Dans les années 30 la France rechigne aussi à accueillir des milliers de réfugiés qui fuient le nazisme et les persécutions franquistes

      En seulement 5 ans, la population portugaise se réduit de 42%.
      Il n’y a plus que 28 000 Portugais selon le recensement de 1936.
      Face aux expulsions, les Portugais n’ont pas un traitement de faveur car ils sont peu nombreux ou prétendument bien "intégrés". Au contraire.

      Les Portugais sont souvent les derniers arrivés – le pic des arrivées est en 1929-1930.
      Derniers arrivés, premiers à être virés par leurs employeurs.
      Ils sont souvent seuls, sans leurs épouses, vivant en marge (dans des garnis, des baraquements). Ils sont désormais inutiles

      La plupart sont en France que depuis quelques mois : ils parlent peu ou mal le français, ils n’ont pas de qualifications particulières, sont peu connus de leurs employeurs ou des maires. Ils sont donc souvent les premiers à être renvoyés.

      Pas d’accord de main-d’oeuvre entre le Portugal et la France. Donc les Portugais ne touchent pas de nombreuses aides sociales dont le chômage (l’allocation est versée par les municipalités et réservée aux Français et aux nationaux d’un pays qui a signé un accord de réciprocité).

      Sans emploi, sans revenus, beaucoup partent donc au Portugal d’eux-mêmes.

      Dans certains cas, ils n’ont pas l’argent pour payer le voyage. Ils obtiennent d’être rapatriés par un consulat portugais (les consulats essaient évidemment de réduire cette dépense)

      Pour réduire ces retours (et la prise en charge financière de ces rapatriements et l’arrivée d’une population sans emploi et potentiellement subversive), les diplomates portugais essaient de défendre leurs ressortissants en France

      Les diplomates demandant qu’on donne des papiers et des allocations chômage aux anciens combattants de la Grande guerre, à ceux étant en France depuis plus de 10 ans, aux mariés avec des Françaises, ou ayant des enfants légitimés de mères françaises.
      Mais c’est du cas par cas

      En 1935, le gouvernement Flandin (droite) finance le #rapatriement des travailleurs étrangers au #chômage. Il s’agit de faire partir le plus possible d’étrangers (communiqué du ministère du travail reproduit dans l’Humanité en mai 1935)

      Dans les années 30, les Portugais ont des difficultés pour rester légalement en France : on ne leur renouvelle pas toujours leur carte d’identité de travailleur, document qu’ils doivent posséder pour rester légalement en France. Sans ce document, ils reçoivent des refus de séjour

      Ne pas avoir d’emploi, travailler dans un secteur où des travailleurs français sont au chômage, autant de motifs pour ne pas renouveler les cartes d’identité.

      On refuse le séjour de Joaquim Alves alors qu’il vit en France depuis 1916. Mais il est sans ressources, ni logement...

      De nombreux Portugais sont donc ainsi refoulés car ils n’ont plus de documents en cours de validité

      Et un des moyens pour les autorités françaises de réduire les étrangers « en trop » (on dit parfois indésirables), c’est de les expulser.
      On expulse alors à tour de bras : après un délit (parfois même mineur comme un vol) les arrêtés d’expulsions tombent

      On expulse aussi ceux dont on considère qu’ils font de la politique (ce qu’un étranger ne doit pas faire). Ainsi, avoir participé à une manifestation ou à une grève, avoir exprimé une opinion politique dans un café, un propos défaitiste en 1939-1940 amène souvent à l’expulsion

      Les Portugais - et les étrangers en général - vivent donc toujours avec cette épée de Damoclès : ils risquent l’expulsion au moindre écart, s’ils osent participer à des mouvements sociaux. L’expulsion permet de brider les revendications de ces travailleurs

      Les motivations fournies par les services de police sont souvent moralistes et reposent parfois sur de simples "mauvaises réputations". Un tel boit, un tel est querelleur.
      Je vous laisse apprécier la prose ci-dessous

      Face à ces pratiques d’éloignement, les Portugais sont souvent démunis : ils sont analphabètes, isolés, ne parlent pas le français, n’ont pas de capital social.
      Beaucoup ne font appel ni à leur consul, ni à leur employeur, ni au maire ou à un député

      Beaucoup disent ainsi accepter de se conformer à l’arrêté d’expulsion qui leur est notifié par les gendarmes ou la police et prétendent rentrer au Portugal (mais certains restent parfois en France dans l’illégalité)

      Il y a toutefois des exceptions. Certains demandent de l’aide : à des amis et/ou à des personnalités politiques.
      Ici un travailleur d’Ivry qui est appuyé par Maurice Thorez, le fils du peuple

      Certains font écrire des lettres par des connaissances françaises.
      Ils plaident leur cause, donnant l’image de l’immigré parfait aux yeux des autorités : un bon travailleur, qui ne fait pas de politique, s’occupe de sa famille et aspire à devenir Français

    • 4e thread sur l’histoire de l’immigration portugaise en France au 20e siècle.
      Cette fois, j’évoque l’exil et les mobilisations politiques entre 1927 et 1939
      Cela parle de révoltes, de grèves, de bombes, d’Espagne et de... Sénégal

      Le 28 mai 1926, des militaires – dont d’anciens officiers ayant participé à la Première guerre mondiale – organisent un coup d’état à Braga, ville plutôt conservatrice du nord du pays
      Les insurgés descendent ensuite vers Lisbonne et prennent le pouvoir, sans trop de résistances

      Ces militaires prétendent « sauver » le Portugal du chaos et mettre fin la domination du Parti Démocratique qui est le plus souvent au pouvoir. La situation financière du pays est mauvaise, notamment à cause des effets de la participation du pays à la Première Guerre mondiale

      C’est la fin de la Première République (1910-1926). Mais tout le monde n’en a pas conscience à l’époque.
      Car cette République a été très instable : 45 gouvernements en 16 ans, des coups d’état, une guerre civile, deux dictatures.

      Beaucoup pensent donc qu’au bout de qqs mois, la situation va revenir à la normale.
      Les militaires du 28 mai 1926 ont d’ailleurs des objectifs différents, certains veulent instaurer une république conservatrice, d’autres une dictature à la Primo de Rivera ou à la Mussolini

      D’ailleurs les militaires sont divisés et le pouvoir reste fort instable.
      Ces divisions permettront à un peu connu professeur de l’Université de Coimbra - António de Oliveira Salazar - de prendre progressivement le pouvoir après son arrivée au ministère des Finances en 1928

      Les dirigeants républicains - qui pour la plupart son restés au Portugal - pensent qu’ils vont pouvoir reprendre le pouvoir et organisent une insurrection avec des militaires fidèles à la république en février 1927 à Lisbonne et à Porto.
      Mais c’est un échec

      Plusieurs dirigeants s’exilent en France et notamment Bernardino Machado, deux fois président de la République (et deux fois chassé par une révolution). A Paris réside déjà Afonso Costa – leader historique républicain - qui n’est pas rentré au Portugal après la PGM

      Au fil des révolutions, la France a accueilli de nombreux exilés portugais : libéraux à la fin des années 1820, républicains chassés par Sidonio Pais en 1917-1918, etc
      Par ex, un des chefs monarchistes - Paiva Couceiro - a vécu dans le pays basque avant la PGM

      En 1927 les exilés républicains fondent la ligue de défense de la République, (la ligue de Paris). Leur objectif est notamment d’éviter que la dictature obtienne une reconnaissance internationale officielle.

      La ligue organise une campagne pour que la SDN ne cautionne pas un emprunt sollicité par le gouvernement portugais pour équilibrer ses comptes fortement déficitaires

      Les exilés essaient aussi de faire tomber la dictature par la force. On appelle cela le reviralho, la volonté de revenir en arrière, à la République. Jusqu’en 1931, plusieurs coups d’état sont planifiés

      Certains sont déjoués par la dictature qui se dote de polices politiques. D’autres explosent comme la révolte à Madère, en Guinée Bissau et aux Açores en avril 1931.
      Mais à chaque fois la dictature militaire résiste. Les insurgés sont emprisonnés et certains d’entre eux envoyés dans les colonies

      Certains déportés dans les colonies – où ils sont laissés en liberté – ne renoncent pas et essaient de reprendre le combat.
      C’est notamment le cas de Silvino Augusto Ferreira, un des plus tenaces opposants à la dictature

      Silvino est né en 1899. Ouvrier à l’arsenal de Lisbonne, un des bastions du mouvement ouvrier portugais, il participe aux organisations du syndicalisme révolutionnaire de tendance anarchiste.

      Dans les années 1920, il est l’un des principaux dirigeants du Parti Communiste Portugais, parti crée en 1921, d’une scission au sein du mouvement anarchiste.
      Il est déporté en Guinée-Bissau en 1928 avec d’autres insurgés à cause de sa participation aux tentatives d’insurrection

      Avec des camarades, il traverse la Guinée-Bissau pour se rendre au Sénégal. A Dakar, il réussit à prendre un bateau qui va à Marseille. Une fois en France, il rejoint la ligue de Paris pour continuer son combat contre la dictature

      Il reste quelques mois en France puis repart clandestinement au Portugal en 1932 pour continuer ses activités politiques et syndicales

      Cependant, après l’échec de la grève générale révolutionnaire lancée le 18 janvier 1934 par les anarchistes et quelques communistes, il s’exile en Espagne.
      Il n’arrête cependant pas le combat.

      Il revient encore au Portugal et participe à la tentative d’assassinat de #Salazar qui a lieu le 4 juillet 1937

      Salazar, Premier ministre depuis 1932, va tous les dimanches à la messe. Des opposants mettent une bombe dans les égouts, devant l’église où il se rend. Mais la bombe est mal placée et Salazar en sort indemne (en 1973, Carrero Blanco lui n’aura pas cette chance)

      Silvino Augusto Ferreira est arrêté en 1940 et reste 19 ans en prison. Il s’exilera de nouveau en France en 1960, fortement malade et diminué physiquement par son incarcération

      Après l’échec de 1931, le reviralho s’essoufle. Les exilés se déchirent souvent entre eux, de multiples tensions opposent certaines personnalités qui continuent de ruminer les échecs de la république et des différentes insurrections.

      De plus, en 1931, plusieurs exilés quittent la France pour aller en Espagne où s’est implantée la République le 14 avril 1931

  • https://www.defenseurdesdroits.fr/fr/communique-de-presse/2018/12/le-defenseur-des-droits-publie-son-rapport-exiles-et-droits

    Le Défenseur des droits publie son rapport « Exilés et droits fondamentaux, trois ans après le rapport Calais »

    À défaut d’une politique nationale assurant un véritable accueil des primo-arrivants, les collectivités locales et les associations caritatives sont contraintes d’agir seules, dans un contexte où se maintient une pénalisation de certains actes de solidarité. Le Défenseur des droits recommande donc d’élargir l’immunité pénale à tous les actes apportés dans un but humanitaire.

    Outre les effets de la politique migratoire de l’Union européenne qui contribuent à réduire de manière drastique les voies légales d’immigration en Europe, l’’externalisation de la frontière britannique en France demeure l’une des principales causes de la reconstitution des campements de fortune à Calais, Grande-Synthe ou Ouistreham, puisqu’elle empêche les exilés qui le souhaitent d’atteindre la Grande-Bretagne. Le Défenseur des droits recommande donc au gouvernement de dénoncer les accords conclus avec la Grande-Bretagne.

    #police #dublin #touquet #noborder #calais #état #raciste

    • Migrants : le Défenseur des droits dénonce une « dégradation » dans les campements depuis 2015

      Le Défenseur des droits Jacques Toubon a dénoncé mercredi une « dégradation » de la situation sanitaire et sociale des migrants vivant sur des campements en France depuis trois ans, avec « des atteintes sans précédents aux droits fondamentaux ».

      Face à une politique « non-accueil », les migrants « se retrouvent dans un état de dénuement extrême, dépourvus de tout abri et ayant comme première préoccupation celle de subvenir à leurs besoins vitaux : boire, se nourrir, se laver », déplore Toubon dans un rapport sur les campements de Calais, Paris, Grande-Synthe (Nord) et Ouistreham (Calvados). « Les difficultés à trouver des solutions durables aggravent le phénomène », estime-il, en déplorant des « stratégies de dissuasion et d’invisibilisation sur le territoire national menées par les pouvoirs publics ».

      En 2015 déjà, Toubon avait dénoncé dans un rapport sévère la situation des migrants dans le bidonville de la « Jungle » à Calais, qui comptait alors plus de 4 000 personnes, et a été démantelé depuis, de même que les grands campements parisiens.

      Mais « la situation s’est en réalité nettement dégradée », note le Défenseur, qui pointe les opérations d’évacuation régulièrement menées par les pouvoirs publics. « Loin d’être conformes aux exigences du droit à un hébergement inconditionnel », ces mises à l’abri « contribuent à la constitution de nouveaux campements » par leur caractère « non durable », assure-t-il dans ce document reprenant divers avis rendus depuis 2015.

      Toubon déplore aussi, pour ces mises à l’abri, le recours à des centres pour étrangers fonctionnant « comme des centres de transit » avec « des critères de tri ». « En lieu et place d’une véritable politique d’accueil, les pouvoirs publics ont préféré mettre en œuvre une politique essentiellement fondée sur la police des étrangers, reflétant une forme de +criminalisation des migrations », assure-t-il dans ce rapport publié au lendemain

      Il s’inquiète particulièrement des méthodes policières, avec des évacuations « pour empêcher tout nouveau point de fixation » et des contrôles d’identité « pour contrôler le droit au séjour ». « Pour servir ces opérations, différentes pratiques ont pu être observées telles que l’usage de gaz lacrymogène », assure-t-il dans ce rapport publié au lendemain de la journée internationale des migrants.

      Faisant état d’« une détérioration sans précédent de la santé des exilés », avec un « développement inquiétant des troubles psychiques », il s’inquiète particulièrement pour les mineurs, « laissés à leur sort » en raison du caractère « largement inadapté et sous-dimensionné des dispositifs » existants.

      Dans ce contexte Toubon souligne le rôle des collectivités locales « contraintes d’agir », et celui des associations qui « se substituent de plus en plus fréquemment aux pouvoirs publics » mais « sont de plus en plus empêchées d’agir ». Le Défenseur déplore enfin des « entraves persistantes à l’entrée dans la procédure d’asile » qui « viennent grossir les rangs des exilés contraints de vivre dans la clandestinité ».

      Mettant en garde contre une « logique d’externalisation de la gestion des flux migratoires », il formule plusieurs propositions, dont la suspension du règlement de Dublin confiant au pays d’enregistrement l’examen de la demande d’asile.

      https://www.liberation.fr/france/2018/12/19/migrants-le-defenseur-des-droits-denonce-une-degradation-dans-les-campeme

    • France: Police harassing, intimidating and even using violence against people helping refugees

      French authorities have harassed, intimidated and even violently assaulted people offering humanitarian aid and other support to migrants, asylum seekers and refugees in northern France in a deliberate attempt to curtail acts of solidarity, a new report by Amnesty International has found.

      Targeting solidarity: Criminalization and harassment of people defending migrant and refugee rights in northern France reveals how people helping refugees and migrants in #Calais and #Grand-Synthe are targeted by the police and the court system.

      “Providing food to the hungry and warmth to the homeless have become increasingly risky activities in northern France, as the authorities regularly target people offering help to migrants and refugees,” said Lisa Maracani, Amnesty International’s Human Rights Defenders Researcher.

      “Migrants and refugees did not simply disappear with the demolition of the ‘Jungle’ camp in 2016 and more than a thousand men, women and children are still living precarious lives in the area. The role of human rights defenders who offer them support is crucial.”

      Two-and-a-half years after the destruction of the so-called ‘Jungle’ camp, more than 1,200 refugees and migrants, including unaccompanied children, are living in tents and informal camps around Calais and Grande-Synthe. They have no regular access to food, water, sanitation, shelter or legal assistance and are subject to evictions, harassment, and violence at the hands of the police.

      One Afghan man told Amnesty International that he was beaten on his back with a baton by police during a forced eviction, and another described how a police officer had urinated on his tent. An Iranian man told Amnesty International: “I left my country looking for safety, but here I face police abuse…The police come every day to take my tent and clothes.”

      The number of camps and tents destroyed in Calais and Grande-Synthe increased last year, with 391 evictions carried out in the first five months of 2019 alone. Once evicted, migrants and refugees are at increased risk of violence and abuse. One local woman who provides migrants with help, told Amnesty International that she witnessed police spray migrants with teargas in the face while they were sleeping in her garden.

      Verbal and physical abuse part of daily routine

      The increased number of evictions is a consequence of France’s “no attachment points” policy, which attempts to deter people from staying in the area by ensuring that camps are not set up. While authorities have put in place an outreach service to enable refugees and migrants access reception centres and asylum offices in France, these centres are a long way from Calais and Grande-Synthe and sometimes there is not enough capacity to accommodate them. In order to alleviate their suffering, human rights defenders have attempted to fill the gap and provide the essential support and services that the French state is failing to offer.

      Instead of recognizing the importance of their work, authorities have obstructed, intimidated, harassed and in some cases started baseless prosecutions and even used violence.

      Several human rights defenders told Amnesty International that acts of intimidation, threats of arrest and abuse have become “part and parcel of their daily work.” One humanitarian worker told Amnesty International that she was violently pushed to the ground and choked by police in June 2018 after she had filmed four officers chasing a foreign national in Calais.

      A report last year by four organisations found that there had been 646 instances of police harassment and abuse against volunteers between November 2017 and June 2018. There have been 72 recorded instances this year, but the real figure is likely to be much higher.

      Eleonore Vigny who took part in the Human Rights Observers project in Calais said that intimidation of volunteers had spiked last summer, with police employing new harassment techniques. “In April and May 2018 there were several body searches, especially of female volunteers, sometimes done by male officers. There was also an escalation in insults, and people have been pushed, sometimes to the ground…Recently we received more threats of legal suits, and threats of arrests.”

      When reporting mistreatment of refugees, migrants, and human rights defenders, complainants say that they are not taken seriously. Charlotte Head, a volunteer who made several complaints about police behaviour to the police’s internal investigatory body, was warned that her complaints were “defamatory in character” and could constitute a “crime”.

      One local human rights organization, Cabane Juridique, filed more than 60 complaints to different authorities and bodies between January 2016 and April 2019. In May 2019, the French Ministry of Justice told Amnesty International that regional courts had received just 11 complaints since 2016, and only one was being investigated by prosecutors.

      Stress, anxiety and the fear of prosecution

      Human rights defenders told Amnesty International that they feel the pressure on them is increasing and having a negative impact on all aspects of their lives. Some have experienced insomnia, stress and anxiety whilst others describe the impact of prosecutions as debilitating.

      Loan Torondel who had been working in Calais told Amnesty International: “I feel that I am caught between the acute needs of people I am trying to help and the intimidation of French authorities who are trying to hamper humanitarian activities and label our activities as crimes. This is not a sustainable working environment for us, and it is the people we help who pay the consequences."

      One human rights defender told Amnesty International: “For the volunteers it’s very difficult. They are scared. We brief them on security and the context and they get scared. We struggle to recruit new volunteers.”

      But despite the harassment, many of those interviewed by Amnesty International are determined to carry on with their vital work. One local volunteer told Amnesty International that she is thankful for the presence of the migrants and refugees: “They have made us more human, they have enriched our lives.”

      “Rather than attempting to make the lives of migrants and refugees as difficult as possible, French authorities should take concrete measures to alleviate their suffering and provide shelter and support to all those living on the streets,” said Lisa Maracani.

      “It is also time to defend the defenders. Rather than treating human rights defenders as the enemy, the authorities should see them as a vital ally, and celebrate acts of solidarity and compassion rather than criminalizing them.”

      BACKGROUND

      Human rights violations faced by human rights defenders must be viewed within the context of the treatment of the people whose rights they defend. It is essential that the rights of refugees and migrants are respected. This means improving the asylum and reception system in France, providing safe and legal routes to the UK and reforming the European asylum system to remove the requirement laid down in the Dublin rules that asylum-seekers seek protection in their first country of entry.

      https://www.amnesty.org/en/latest/news/2019/06/france-police-harassing-intimidating-and-even-using-violence-against-people
      #France

      Le #rapport:
      https://www.amnesty.org/download/Documents/EUR2103562019FRENCH.PDF

  • ECRE Policy Paper : Bilateral Agreements : Implementing or Bypassing the Dublin Regulation ?

    ECRE has published a Policy Paper analysing the recent bilateral arrangements between EU Member States on responsibility for asylum seekers and urging against attempts to disregard and undermine the standards set out in the Common European Asylum System (CEAS).

    The “administrative arrangements” on asylum seekers have emerged as a German initiative in the course of 2018, predominantly driven by internal tensions within the ruling coalition on how to handle migration in the run-up to the June 2018 European Council meeting. They have been presented by Germany as an interim response to the political deadlock preventing the adoption of the CEAS reform.

    While some agreements such as the German-Portuguese arrangement adhere to and operate within the EU legal framework, others, namely the German-Greek and German-Spanish arrangements, bypass the rules set out in the Dublin system with the aim of quickly carrying out transfers. The effect of the latter arrangements is the neutralisation of crucial safeguards contained in the Dublin Regulation such as the right to a personal interview, the right to appeal, and the prevention of transfers when human rights risks arise.

    From a policy perspective, what both types of arrangements represent is a vision of the CEAS and of the CEAS reform strongly supported in Germany and certain other Member States whereby prevention and punishment of secondary movement is of prime importance, while tackling the underlying reasons for secondary movement receives less attention.

    However, ECRE argues that bypassing legal obligations through opaque informal arrangements with the pretext of a forthcoming political agreement on the reform of the CEAS not only undermines the credibility of the current and any prospective asylum package but also endangers the rule of law. Instead, compliance with the Dublin Regulation in line with fundamental rights should be pursued to ensure that individuals benefit from crucial procedural safeguards and that states allocate responsibility transparently and remain accountable.

    https://www.ecre.org/wp-content/uploads/2018/12/Policy-Papers-05.pdf
    #Dublin #règlement_dublin #asile #migrations #réfugiés

    On parle notamment de l’#accord_bilatéral entre la #Grèce et l’#Allemagne
    #accords_bilatéraux

  • The Administrative Arrangement between Greece and Germany

    The Administrative Arrangement between Ministry of migration Policy of the Hellenic Republic and the Federal Ministry of Interior of the Republic of Germany has been implemented already to four known cases. It has been the product of bilateral negotiations that occurred after German Chancellor Merkel faced another political crisis at home regarding the handling of the refugee issue.

    The document which has been the product of undisclosed negotiations and has not been made public upon its conclusion is a brief description of the cooperation of Greek and German authorities in cases of refusal of entry to persons seeking protection in the context of temporary checks at the internal German-Austrian border, as defined in its title. It essentially is a fast track implementation of return procedures in cases for which Dublin Regulation already lays down specific rules and procedures. The procedures provided in the ‘Arrangement’ skip all legal safeguards and guarantees of European Legislation.

    RSA and PRO ASYL have decided to publicize the document of the Arrangement for the purpose of serving public interest and transparency. The considerable secrecy that the two member states kept on a document of such importance is a scandal itself. There are two first underlying observations which incur/ result from studying the document. First, the Arrangement has the same institutional (or by institutional) features with the EU-Turkey deal, it is the product of negotiations which intend to regulate EU policy procedures without having been the product of an EU level institutional procedure. It circumvents European law (the Dublin regulation) in order to serve the interests of a group of particular member states. As a result its status within the legal apparatus of the EU and international law is obscure.

    Secondly, the ‘Arrangement’ introduces a grey zone (intentionally if not geographically) where a bilateral deal between two countries gains supremacy over European (Dublin regulation) and international legislation (Geneva convention). It is therefore an important document that should be critically and at length studied by all scholars and experts active in the field of refugee protection as it deprives asylum seekers of their rights and is a clear violation of EU law.

    Last but not least as Article 15-ii of the ‘Arrangement’ notes “This Administrative Arrangement will also discontinue upon entry into force of the revised Common European Asylum System”. Still as everyone in Brussels already admits the CEAS reform has been declared dead. So if nothing occurs to reconstitute the defunct CEAS policy and the arrangement remains as the only channel/form of cooperation between Greece and Germany in order to establish responsibility for asylum seekers arriving in Germany after coming through Greece, then could Greece and Germany, in their irregular bilateral efforts to circumvent the European process, have actually produced one of the first post EU legal arrangements?

    https://rsaegean.org/en/the-administrative-arrangement-between-greece-and-germany

    #accord #Allemagne #Grèce #asile #migrations #réfugiés #Dublin #Règlement_Dublin #renvois #expulsions #accord_bilatéral #regroupement_familial #liaison_officers #officiers_de_liaison #Eurodac #refus_d'entrée #renvois #expulsions #frontières #contrôles_frontaliers #Autriche #réadmission #avion #vol

    ping @isskein

    • Germany – Magdeburg Court suspends return of beneficiary of international protection to Greece

      On 13 November 2018, the Administrative Court of Magdeburg granted an interim measure ordering the suspensive effect of the appeal against a deportation order of an international protection beneficiary to Greece.

      The case concerned a Syrian national who applied for international protection in Germany. The Federal Office of Migration and Refugees (BAMF) rejected the application based on the fact that the applicant had already been granted international protection in Greece and ordered his deportation there.

      The Administrative Court held that there were serious doubts regarding the conformity of the BAMF’s conclusion that there were no obstacles to the deportation of the applicant to Greece with national law, which provides that a foreign national cannot be deported if such deportation would be in violation of the European Convention on Human Rights (ECHR). The Court found that there are substantial grounds to believe that the applicant would face a real risk of inhuman and degrading treatment within the meaning of Article 3 ECHR if returned to Greece.

      The Court based this conclusion, inter alia, on the recent reports highlighting that international protection beneficiaries in Greece had no practical access to accommodation, food distribution and sanitary facilities for extended periods of time after arrival. The Court further observed that access of international protection beneficiaries to education, health care, employment, accommodation and social benefits under the same conditions as Greek nationals is provided in domestic law but is not enforced. Consequently, the ensuing living conditions could not be considered adequate for the purposes of Article 3 ECHR.

      Finally, the Court found that the risk of destitution after return could be excluded in cases where individual assurances are given by the receiving authorities, clarifying, however, that any such guarantees should be specific to the individual concerned. In this respect, guarantees given by the Greek authorities that generally refer to the transposition of the Qualification Directive into Greek law, as a proof that recognised refugees enjoy the respective rights, could not be considered sufficient.

      https://mailchi.mp/ecre/elena-weekly-legal-update-08-february-2019#8

    • Germany Rejects 75% of Greek Requests for Family Reunification

      In 2019, the German Federal Office for Asylum and Migration (BAMF) rejected three quarters of requests for family reunification under the Dublin III regulation from Greece. The high rejection rate draws criticism from NGOs and MPs who say the BAMF imposes exceedingly harsh requirements.

      The government’s response to a parliamentary question by the German left party, Die Linke, revealed that from January until May 2019 the BAMF rejected 472 of 626 requests from Greece. Under the Dublin III Regulation, an EU Member State can file a “take-charge request” to ask another EU member state to process an asylum application, if the person concerned has family there. Data from the Greek Asylum Service shows that in 2018 less than 40% of “take-charge requests” were accepted, a stark proportional decrease from 2017, when over 90% of requests were accepted. The German government did not provide any reasons for the high rejection rate.

      Gökay Akbulut, an MP from Die Linke, noted that often family reunification failed because the BAMF imposes exceedingly strict requirements that have no basis in the regulation. At the same time people affected have limited access to legal advice needed to appeal illegitimate rejections of their requests. For people enduring inhuman conditions on Greek Islands family reunifications were often the last resort from misery, Akbulut commented.

      In 2018, 70% of all Dublin requests from Greece to other EU Member states related to family reunification cases. Germany has been the major country of destination for these request. An estimate of over 15,000 live in refugee camps on Greek islands with a capacity of 9000.

      https://www.ecre.org/germany-rejects-75-of-greek-requests-for-family-reunification

    • 3 articles (en anglais et en espagnol) sur le projet en cours de négociation entre les USA et le Mexique visant à faire en sorte que les demandeurs d’asile restent au Mexique durant leur demande d’asile, à moins qu’ils ne démontrent des risques qu’ils encourent à rester sur le territoire mexicain. Cela s’inscrit dans la droit ligne du projet d’accord dit de « pays tiers sûr » dont les négociations n’ont pas abouti avant la fin du mandat du président sortant. On ignore pour l’instant ce qui est proposé en échange

      Trump plan would force asylum seekers to wait in Mexico as cases are processed, a major break with current policy

      Migrants line up to cross into the United States from Tijuana, Mexico, at the San Ysidro port of entry Monday. (Gregory Bull/AP)

      Central Americans who arrive at U.S. border crossings seeking asylum in the United States will have to wait in Mexico while their claims are processed under sweeping new measures the Trump administration is preparing to implement, according to internal planning documents and three Department of Homeland Security officials familiar with the initiative.

      According to DHS memos obtained by The Washington Post on Wednesday, Central American asylum seekers who cannot establish a “reasonable fear” of persecution in Mexico will not be allowed to enter the United States and would be turned around at the border.

      The plan, called “Remain in Mexico,” amounts to a major break with current screening procedures, which generally allow those who establish a fear of return to their home countries to avoid immediate deportation and remain in the United States until they can get a hearing with an immigration judge. Trump despises this system, which he calls “catch and release,” and has vowed to end it.

      Among the thousands of Central American migrants traveling by caravan across Mexico, many hope to apply for asylum due to threats of gang violence or other persecution in their home countries. They had expected to be able to stay in the United States while their claims move through immigration court. The new rules would disrupt those plans, and the hopes of other Central Americans who seek asylum in the United States each year.

      [Trump lashes out at judge after order to allow illegal border crossers to seek asylum]
      Trump remains furious about the caravan and the legal setbacks his administration has suffered in federal court, demanding hard-line policy ideas from aides. Senior adviser Stephen Miller has pushed to implement the Remain in Mexico plan immediately, though other senior officials have expressed concern about implementing it amid sensitive negotiations with the Mexican government, according to two DHS officials and a White House adviser with knowledge of the plan, which was discussed at the White House on Tuesday, people familiar with the matter said.
      The White House did not immediately respond to a request for comment.

      According to the administration’s new plan, if a migrant does not specifically fear persecution in Mexico, that is where they will stay. U.S. Citizenship and Immigration Services is sending teams of asylum officers from field offices in San Francisco, Washington, and Los Angeles to the ports of entry in the San Diego area to implement the new screening procedures, according to a USCIS official.

      To cross into the United States, asylum seekers would have to meet a relatively higher bar in the screening procedure to establish that their fears of being in Mexico are enough to require immediate admission, the documents say.

      “If you are determined to have a reasonable fear of remaining in Mexico, you will be permitted to remain in the United States while you await your hearing before an immigration judge,” the asylum officers will now tell those who arrive seeking humanitarian refuge, according to the DHS memos. “If you are not determined to have a reasonable fear of remaining in Mexico, you will remain in Mexico.”

      Mexican border cities are among the most violent in the country, as drug cartels battle over access to smuggling routes into the United States. In the state of Baja California, which includes Tijuana, the State Department warns that “criminal activity and violence, including homicide, remain a primary concern throughout the state.”

      The new rules will take effect as soon as Friday, according to two DHS officials familiar with the plans.

      Katie Waldman, a spokeswoman for DHS, issued a statement late Wednesday saying there are no immediate plans to implement these new measures.

      “The President has made clear — every single legal option is on the table to secure our nation and to deal with the flood of illegal immigrants at our borders,” the statement says. “DHS is not implementing such a new enforcement program this week. Reporting on policies that do not exist creates uncertainty and confusion along our borders and has a negative real world impact. We will ensure — as always — that any new program or policy will comply with humanitarian obligations, uphold our national security and sovereignty, and is implemented with notice to the public and well coordinated with partners.”

      A Mexican official, speaking on the condition of anonymity, said that current Mexican immigration law does not allow those seeking asylum in another country to stay in Mexico.

      On Dec. 1, a new Mexican president, Andrés Manuel López Obrador, will be sworn in, and it’s also unclear whether his transition team was consulted on the new asylum screening procedures.

      The possibility that thousands of U.S.-bound asylum seekers would have to wait in Mexico for months, even years, could produce a significant financial burden for the government there, especially if the migrants remain in camps and shelters on a long-term basis.

      [At the U.S. border, migrant caravan will slow to a crawl]
      There are currently 6,000 migrants in the Tijuana area, many of them camped at a baseball field along the border, seeking to enter the United States. Several thousand more are en route to the city as part of caravan groups, according to Homeland Security estimates.

      U.S. border officials have allowed about 60 to 100 asylum seekers to approach the San Ysidro port of entry each day for processing.
      Last week, BuzzFeed News reported that U.S. and Mexican officials were discussing such a plan.

      Mexico also appears to be taking a less-permissive attitude toward the new migrant caravans now entering the country.

      Authorities detained more than 200 people, or nearly all of the latest caravan, who recently crossed Mexico’s southern border on their way to the United States. This is at least the fourth large group of migrants to cross into Mexico and attempt to walk to the U.S. border. They were picked up not long after crossing. The vast majority of the migrants were from El Salvador, according to Mexico’s National Immigration Institute.

      After the first caravan this fall entered Mexico, President Enrique Peña Nieto’s administration offered migrants the chance to live and work in Mexico as long as they stayed in the southern states of Chiapas and Oaxaca. Most chose not to accept this deal, because they wanted to travel to the United States.

      https://www.washingtonpost.com/world/national-security/trump-plan-would-force-asylum-seekers-to-wait-in-mexico-as-cases-are-processed-a-major-break-with-current-policy/2018/11/21/5ad47e82-ede8-11e8-9236-bb94154151d2_story.html
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      Plan “#Quédate_en_México” sería aceptado por López Obrador

      WASHINGTON (apro) – El gobierno del próximo presidente mexicano, Andrés Manuel López Obrador, estaría aceptando el plan “Quédate en México”, diseñado por el mandatario estadunidense Donald Trump, para que los centroamericanos solicitantes de asilo en Estados Unidos se queden en territorio mexicano mientras está en procedimiento su caso, reveló a Apro una fuente gubernamental.
      “Va a pasar… el gobierno de Trump lo está negociando con el equipo del presidente electo”, indicó el funcionario que habló con el reportero sobre el plan Quédate en México, dado a conocer este jueves por el diario estadunidense The Washington Post.
      De acuerdo con la fuente que dio a conocer detalles del asunto y de las negociaciones bajo la estricta condición de que se mantuviera en reserva su nombre y puesto en el gobierno mexicano, las negociaciones del plan “Quédate en México” están siendo directamente revisadas y orquestadas por Mike Pompeo, secretario de Estado en el gobierno de Trump, y por Marcelo Ebrard, próximo secretario de Relaciones Exteriores en el de López Obrador.
      “Lo que está por definirse son los parámetros del plan, los tiempos (de estancia en México de los centroamericanos), los costos y financiamiento de su deportación en caso de que no se acepte su solicitud en los Estados Unidos y otros aspectos en ese sentido”, apuntó el funcionario en entrevista telefónica.
      De acuerdo con la información obtenida por Apro, Ebrard y Pompeo se reunieron la semana pasada en Houston, Texas, para darle seguimiento a las negociaciones del plan “Quédate en México”.
      La nueva medida migratoria de Trump tiene como objetivo evitar que los miles de migrantes centroamericanos integrantes de la caravana que está en Tijuana, y las otras que están en tránsito hacia el norte por el territorio mexicano, no puedan ingresar a Estados Unidos.
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      Trump quiere que solicitantes de asilo se queden en México durante el trámite: TWP
      “Quédate en México” es un plan alternativo del gobierno de Trump al cumplimiento de las leyes de asilo de los Estados Unidos.
      Por medio del mecanismo que estaría aceptando el próximo presidente de México, los centroamericanos a quienes las autoridades migratorias estadunidenses les acepte analizar su caso de petición de asilo, deberían quedarse en el territorio mexicano hasta que las cortes de inmigración de Estados Unidos emitan un fallo.
      Con la adopción del plan por parte del gobierno de López Obrador, los centroamericanos solicitantes de asilo a quienes el gobierno de Estados Unidos les reciba su caso, podrían permanecer en México meses o hasta años; es decir el tiempo que tome a un juez migratorio estadunidense determinar si es válida o inválida la petición.
      El pasado 8 de noviembre, Trump firmó una proclama con la cual cambio las leyes de asilo en su país. La decisión de Trump establecía que, se aceptarían peticiones de asilo de centroamericanos, sólo si estos entraban por los puestos de inmigración en la frontera con México y tuvieran una causa probable en su petición.
      La media definía que contrario a lo que dictan las leyes de asilo, no se aceptarían peticiones de extranjeros que ingresaran como inmigrantes indocumentados a los Estados Unidos.
      Otro aspecto de la proclama de Trump es que a los peticionarios que entraran “legalmente” a pedir asilo, no se les liberaría en Estados Unidos como dictan las leyes; sino que se les enviaría a un albergue temporal donde estarían encerrados el tiempo que durase el procedimiento en las cortes de su caso. Este martes, la Corte Federal de Apelaciones del Noveno Distrito en San Francisco, California, emitió la orden de anular la implementación de la proclama firmada por Trump.

      https://www.proceso.com.mx/560664/plan-quedate-en-mexico-seria-aceptado-por-lopez-obrador
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      Trump quiere que solicitantes de asilo se queden en México durante el trámite: TWP

      WASHINGTON (apro) – El presidente Donald Trump, pretende implementar un plan al que llamarán “Quédate en México”, bajo el cual los migrantes centroamericanos que soliciten asilo en Estados Unidos deberían permanecer en territorio mexicano y no en el estadunidense, mientras se procesa su caso y se determina la validez de su petición.
      De acuerdo con el periódico estadunidense The Washington Post, que reveló el nuevo proyecto de Trump para contener al flujo de migrantes centroamericanos que llegaron a Tijuana como parte de las caravanas que viajan por el territorio mexicano, el nuevo plan de la Casa Blanca podría iniciar a implementarse este viernes 23.
      “De acuerdo con memorandos del Departamento de Seguridad Interior”, que obtuvo el Washington Post, “los centroamericanos que no puedan demostrar una causa razonable de miedo o persecución en México no se les permitirá entrar a los Estados Unidos y se serán regresados a la frontera”, destaca el despacho del diario capitalino y uno de los más importantes e influyentes de Estados Unidos.
      El nuevo proyecto de Trump, es otra de las estrategias que pretende implementar su gobierno luego del revés que sufrió tras la orden de la Corte Federal de Apelaciones del Noveno Circuito en San Francisco, California, que anuló la instrumentación de la proclama que firmó el mandatario el pasado 8 de noviembre y que congelaba la aceptación de peticiones de asilo de parte de los migrantes centroamericanos.
      “El plan llamado ‘Quédate en México’ representa un quiebre mayor con los actuales procedimientos de escrutinio que, generalmente permiten a todos aquellos que establecen una causa creíble de miedo para regresar a sus países de origen; eviten la deportación inmediata y permanecer en los Estados Unidos”, matiza el Washington Post.
      Desde que Trump ha magnificado la situación y realidad da la peregrinación de caravanas centroamericanas que viajan a la frontera sur de Estados Unidos por México, el mandatario ha buscado métodos de contención y disuasión a través de acciones anticonstitucionales y militares, como la proclama con la que buscaba anular los procesos de solicitudes de asilo y el despliegue de unos cinco mil 800 elementos del Pentágono en la zona limítrofe.
      El Washington Post, que además consiguió documentos internos del Departamento de Seguridad Interior sobre el plan “Quédate en México” y habló con funcionarios familiarizados con el tema, apuntó que no se sabe si la Casa Blanca ha consultado con el próximo presidente mexicano, Andrés Manuel López Obrador, o su equipo, la intención de mantener en el territorio mexicano a los peticionarios de asilo.
      Bajo las leyes estadunidenses de asilo, todo peticionario tendría que quedarse en Estados Unidos mientras su analiza y determina su caso.
      La proclama que firmó Trump el pasado 8 de noviembre definía que, sólo aceptarían solicitudes de asilo de peticionarios que ingresaran “legalmente” a los Estados Unidos por los puertos de ingreso migratorios en la frontera con México y que estos se quedarían en centros de detención y no serían liberados todo el tiempo que tomará el procedimiento de su caso ante las cortes de inmigración.
      La proclama determinaba que serían deportados a México todos los solicitantes de asilo que ingresaran como inmigrantes indocumentados a Estados Unidos, sin embargo, la intervención de la Corte Federal de San Francisco congeló la orden ejecutiva de Trump.
      El rotativo capitalino apunta en su despacho publicado en la primera plana de su edición impresa de este jueves que es Stephen Miller, el principal asesor de Trump, el patrocinador del plan “Quédate en México”.
      La nota de primera plana acota que hay cierto desasosiego en la Casa Blanca, debido a la problemática para implementar el proyecto por la sensibilidad de las negociaciones con el gobierno mexicano.
      El gobierno de Trump no ha cesado en insistir en concretar con México un acuerdo para delegar en las autoridades mexicanas el proceso de peticionarios centroamericanos de asilo en Estados Unidos y su deportación.
      En un principio Trump quería concretar con el gobierno saliente de Enrique Peña Nieto, el acuerdo de convertir a México en un Tercer País Seguro.
      Bajo este compromiso, rechazado por la intervención directa de Marcelo Ebrard, próximo canciller mexicano en el gobierno de López Obrador, Trump pretendía que todos los centroamericanos o ciudadanos de otros países que pidieran asilo e Estados Unidos, primero lo hicieran en México y que, bajo la determinación tomada en ese país de su caso, posteriormente se canalizara a Estados Unidos.
      Sobre la deportación de los migrantes centroamericanos a quienes se les rechazará la aceptación de su petición o el asilo, el gobierno de Trump asignó 20 millones de dólares a la llamada Iniciativa Mérida, para que el gobierno mexicano cubriera con ello el costo del regreso a sus países de origen de las personas rechazadas por el sistema de inmigración de los Estados Unidos, sin embargo, nuevamente por la intervención de López Obrador y su equipo, se rechazó la medida unilateral.
      Katie Waldman, la vocera del Departamento de Seguridad Interior, y luego de que se diera a conocer el despacho del Washington Post, emitió la noche del miércoles un comunicado de prensa para indicar que no hay planes inmediatos para instrumentar el proyecto “Quédate en México”.
      “El Departamento de Seguridad Interior no implementará esta semana dicho programa”, indica el comunicado de prensa de Waldman.

      https://www.proceso.com.mx/560666/trump-quiere-que-solicitantes-de-asilo-se-queden-en-mexico-durante-el-tr

  • Liste de liens autour d’#accords_de_réadmission entre pays européens...

    Mini liste sur la question des accords de réadmission signés entre différents pays européens afin de pouvoir expulser les migrants...

    #accord_de_réadmission #accord_bilatéral #frontières #expulsions #renvois #refoulement #migrations #asile #réfugiés #réadmission #frontière_sud-alpine #push-backs #refoulements #accords_bilatéraux #réadmission #Alpes #montagne
    ping @isskein

    • Entre la #France et l’#Italie :
      https://seenthis.net/messages/730361

      Il s’agit de l’#accord_de_Chambéry. Décret n° 2000-923 du 18 septembre 2000 portant publication de l’accord entre le Gouvernement de la République française et le Gouvernement de la République italienne relatif à la #coopération_transfrontalière en matière policière et douanière, signé à Chambéry le 3 octobre #1997
      https://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000000766303

      voir aussi le rapport ASGI :
      https://medea.asgi.it/wp-content/uploads/2020/12/all-4-scheda-DM-5-agosto_def.pdf
      signalé ici :
      https://seenthis.net/messages/892443

    • Entre l’#Espagne et la #France:
      –-> #accord_de_Malaga signé le 26 novembre 2002 entre la France et l’Espagne.

      https://seenthis.net/messages/901308

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      Un accord signé entre la France et l’Espagne prévoit de renvoyer tout migrant se trouvant sur le territoire français depuis moins de quatre heures.

      http://www.infomigrants.net/fr/post/13368/france-19-migrants-interpelles-dans-un-bus-en-provenance-de-bayonne-et

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      Concernant l’accord entre l’Espagne et la France, voici un complément, reçu via la mailing-list Migreurop:

      C’est un accord de réadmission bilatéral signé entre la France et l’Espagne (comme tas d’autres) qui prévoit la réadmission des nationaux ou de ressortissants de pays tiers ayant transité par le territoire de l’un de ces pays.

      L’article 7 de cet accord prévoit :
      Les autorités responsables des contrôles aux frontières des deux Parties contractantes réadmettent immédiatement sur leur territoire les étrangers, ressortissants d’Etats tiers, qui sont présentés par les autorités des frontières de l’autre Partie, dans les quatre heures suivant le passage illégal de la frontière commune.

      Il a été signé le 26 novembre 2002, et concernant la France, publié par le décret n° 2004-226 du 9 mars 2004.

      Vous trouverez sur le site de Migreurop, d’autres accords signés par la France (et aussi par d’autres pays de l’UE),

      http://www.migreurop.org/article1931.html

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      Francia devolvió a España casi 16.000 migrantes en solo cinco meses (2021)

      Para expulsar a los inmigrantes que entran irregularmente a su territorio, Francia y España se valen de un acuerdo bilateral de 2002 (https://elpais.com/politica/2018/11/02/actualidad/1541179682_837419.html) que les permite la devolución en las cuatro horas siguientes al paso de la frontera. El acuerdo contempla una serie de garantías, como que los inmigrantes sean entregados a la policía española o que se formalice por escrito su devolución. Los datos de la policía francesa no especifican cuántos inmigrantes han sido devueltos sobre la base de este acuerdo bilateral, pero fuentes policiales y los propios inmigrantes han señalado que la mayor parte se realiza sin que medie un solo trámite.

      https://seenthis.net/messages/912645

    • Press Release: Court find Slovenian state guilty of chain pushback to Bosnia-Herzegovina

      Civil initiative Info Kolpa, a key member of the Border Violence Monitoring Network, are sharing here the landmark judgement issued on 16th July 2020 by the Slovenian Administrative Court. The findings prove that the national police force carried out an illegal collective expulsion of a member of a persecuted English-speaking minority from Cameroon who wanted to apply for asylum in Slovenia.

      The court heard the experience of the applicant, J.D., who was held in a Slovenian police station for two days and denied access to asylum, despite making three verbal requests. After this procedural gatekeeping, the applicant was readmitted to Croatia – under an agreement described by the Slovenian Ombudswoman as “against the European legal order”. From Croatia, J.D. was chain refouled to Bosnia-Herzegovina, a pattern analysed in a feature length report by InfoKolpa published in May 2019.

      The Administrative Court found that the Republic of Slovenia violated the applicant’s right to asylum (Article 18 of the EU Charter of Fundamental Rights), the prohibition of collective expulsions (Article 19 § 1) and the principle of non-refoulement (Article 19 § 2):

      “that no one shall be removed, expelled or extradited to a State in which he or she is in serious danger of being subjected to the death penalty, torture or other inhuman or degrading treatment or punishment”.

      The court ruled that the police had not informed J.D. of his asylum rights, as mandated to do so, in clear breach of domestic and EU law. The pushback also breached the prohibition of collective expulsion because the applicant was not issued a removal order, nor given translation and legal aid prior to his readmission to Croatia. In regards to the chain refoulement, the judgement found “sufficiently reliable reports on possible risks from the point of view of Article 3 of the ECHR” in both Croatia where the applicant was initially removed, and also in Bosnia-Herzegovina where he was subsequently pushed back. This is inline with evidence provided by BVMN in 2019 showing that 80% of recorded pushback cases from Croatia breached law on torture or inhumane and degrading treatment.

      In a groundbreaking step, once the judgment becomes final, it will oblige the Republic of Slovenia to allow the applicant to enter the country and file an application for international protection without delay, as well as provide €5,000 in compensation. Commenting on the outcome, the applicant stated:

      “I know and believe that the judgement will help those that come after me. It may not have a direct solution for me, but I know that we are creating awareness and you give more trust to the law of the country.” — J. D., Bosnia, 17th July 2020

      While the Ministry of Internal Affairs have stated they will appeal the judgement, the lawyer representing J.D. stated the case is a landmark because it not only proves the human rights violations suffered by the applicant, but establishes that chain pushbacks to Bosnia-Herzegovina are “systematic and routine”.

      https://www.borderviolence.eu/press-release-court-find-slovenian-state-guilty-of-chain-pushback-to-

      #Slovénie #Bosnie

    • Court confirms systematic human rights violations by Austrian police

      Regional Administrative Court of Styria confirmed the practice of chain puchbacks and found the Austrian police guilty of violating the right to human dignity and the right of documentation

      On 28th of September 2020 eight people were pushed back after being chased and humiliated by Austrian police. Their repeated verbal demand for asylum had been ignored, and no interpreter was involved, as our friends from the initiative „Push Back Alarm Austria“ documented, as we reported earlier on, and later pressed charges in the one case of Ayoub N.

      Now, the court confirmed the methodical practice of chain pushbacks and for the first time the existence of a chain pushback route from Austria or Italy crossing Slovenia and Croatia to Bosnia, including the collaboration of the police in different countries.

      The actions of the police officers who intervened were purposefully aimed at the rejection of the complainant and there is no room for any other interpretation

      In synopsis of the entire official act, the court concludes that there was an obvious bias of the officers against the complainant, since the physical search was disproportionate, no food was provided, and the involvement of an interpreter was omitted despite obvious language difficulties and the use of the word “asylum”, the verdict states (asyl.at/de/info/presseaussendungen/push-back-routevonoesterreichbisbosnien/?s=pushbacks).

      The joint press release of Push-Alarm Austria & Asylkoordination notes that, despite a court finding that his rights were disregarded, due to a legal loophole, the complainant Ayoub N. will not be allowed to enter the country. “I was confident that we would win the case. After returning to Bosnia, I felt like shattered glass. At the moment, I am trying to sort out my life and move forward,” he said.

      “We are talking about systematic human rights violations, inhumane treatment and ignoring the principles of the rule of law by police in Austria. It is completely unimaginable that this is happening without the knowledge and against the expressed will of the Minister of the Interior and his officials. If someone questions the Geneva Refugee Convention, one of the greatest lessons of the Shoah, and at the same time does not take consistent action against systematic human rights violations by the police, the only thing left to do is to resign!”

      Lawyer Clemens Lahner sees the finding as a clear warning to the Ministry of the Interior to put an end to the systematic disregard for the rule of law as soon as possible: “Not everyone who applies for asylum in Austria automatically will receive a substantive asylum procedure or be granted protection. But these questions are to be examined and decided by the competent authorities or courts,” the lawyer clarifies. “If the police presume to decide who will get an asylum procedure at all, this is clearly illegal. The Ministry of the Interior has now been put on written notice, in the name of the Republic.”

      Klaudia Wieser of Push-Back Alarm Austria said. “This case shows the necessity of our initiative to prevent systematic breaches of the law at Austrian borders. Austrian push-backs frequently constitute the first step of chain push-backs beyond the EU’s external borders. Sebastian Kurz is the spiritus rector of systematic human rights violations along the push-back route to Bosnia.”

      The finding from Graz also puts the Slovenian government which has just taken over the EU Presidency under considerable pressure. For the first time, it is possible to prove in a court case what human rights organisations such as ours and particularly everyone within the Border Violence Monitoring Network have been documenting since 2016: a continuous pushback route via Austria or Italy via Slovenia and Croatia to Bosnia.

      “If someone questions the Geneva Refugee Convention, one of the greatest lessons of the Shoah, and at the same time does not take consistent action against systematic human rights violations by the police, the only thing left to do is to resign!” — University Professor Dr. Benedek of the Institute of International Law and International Relations from the University of Graz said.

      However, as in other such cases in countries along the so called Balkan Route, no higher responsibility has so far been established by a court or other instance deemed valid by the states, so we expect to see more tacit acceptance of the anti-people and anti-human rights commands by those on the top.

      https://medium.com/are-you-syrious/ays-daily-digest-5-7-21-court-confirmed-the-systemic-chain-pushbacks-b8e0749

      #Autriche

  • #Trieste, valico con la Slovenia. Le «riammissioni» dei migranti. Dopo settimane di marcia nei boschi rimandati indietro anche se arrivati su territorio italiano.

    La Questura di Trieste: sono riammissioni previste dalle norme Ue. Ma è giallo sui respingimenti a catena.

    «Nessun respingimento irregolare alla frontiera con la Slovenia», giura il questore di Trieste. «Tutto viene fatto secondo le regole». È comprensibile infatti lo smarrimento del povero disgraziato che dopo settimane di marcia nei boschi di Slovenia e Croazia, si butta tra le braccia di un poliziotto italiano pensando di avercela fatta. Ma non è così perché c’è l’impersonale, algido, fors’anche crudele accordo di #Schengen che stabilisce la sua sorte.

    Ebbene, Schengen dice che se un irregolare è individuato in una «fascia frontaliera» e nella presunta «immediatezza» dell’ingresso, può essere riaccompagnato oltre frontiera e affidato alla polizia dell’altra parte. È una procedura che si chiama «riammissione» e sostituisce il vecchio «respingimento» di quando esistevano le frontiere. Abolite appunto grazie a Schengen.

    È quanto accade quotidianamente al confine con la Slovenia, come anche con l’Austria e la Francia. A regolare queste «riammissioni» ci sono alcune circolari della Ue che fissano lo spazio e il tempo: per fascia frontaliera s’intende un corridoio di 150 metri da una parte e dell’altra della linea di confine, per fascia temporale s’intende un massimo di 2 ore.

    C’è poi un accordo bilaterale italo-sloveno firmato a Roma il 3 settembre 1996, entrato in vigore dal 1° settembre 1997, più estensivo quanto a territorio e orari. Secondo quest’accordo, può essere «riammesso» (e succede ormai massicciamente da quando si sono intensificati gli arrivi dalla rotta balcanica e ci sono molte più pattuglie a controllare il confine, comprese la guardie forestali mobilitate dal governatore Massimiliano Fedriga) chi non ha richiesto l’asilo politico.

    Il database nazionale
    In ogni caso, dato che la polizia slovena non è felice di riprendersi i clandestini, l’intera procedura viene documentata (e secondo la questura ciò avviene alla presenza di interpreti, ma chissà se questo avviene davvero a ogni ora del giorno e della notte) per essere poi condivisa con i colleghi d’oltre frontiera. Agli stranieri vengono prese le impronte digitali, che si confrontano con il database nazionale e quello cosiddetto Eurodac per verificare se la persona non sia stata già fotosegnalata in Slovenia, Croazia o Grecia. Nel secondo caso, la procedura è più lunga e complessa. E se mai nessun poliziotto di altri Paesi li ha identificati, paradossalmente la procedura è più spiccia. I minori stranieri non vengono riammessi, ma affidati ad apposite strutture di accoglienza italiane, e così le persone particolarmente malate.

    Diverso ancora è il caso di chi è sbarcato in uno hotspot in Grecia. Oppure di chi ha presentato domanda di asilo politico in un Paese della Ue e poi si presenta alla nostra frontiera: una selva di situazioni giuridiche diverse che agli occhi del migrante, proveniente da Paesi immensamente lontani, rappresenta un’incomprensibile roulette russa.

    E che magari interpreta come il capriccio del poliziotto che ha davanti. Tocca comunque agli sloveni accettarli. Perciò gli italiani devono documentare con scontrini, biglietti di treno, qualsiasi prova, l’immediatezza dell’ingresso in Italia. Quindi, se arriva il via libera, rigorosamente entro le ore 16 perché dopo gli sloveni non ci stanno, gli stranieri vengono consegnati «esclusivamente con mezzi con i colori d’istituto della Polizia di Stato» presso la stazione di polizia Krvavi Potoc (Pesek).

    Le accuse contro Zagabria
    Quel che accade da quel momento, lo sanno solo gli sloveni ma è immaginabile che abbiano accordi diretti con la polizia croata. E nessuno dubita che sia un circuito infernale per il disgraziato che vi finisce dentro. Pochissimi sono i diritti riconosciuti ai migranti, specie da parte croata.

    L’ultimo Rapporto di Amnesty International ci ricorda che «la Croazia ha continuato a rimandare in Serbia rifugiati e migranti entrati nel Paese irregolarmente, senza garantire loro l’accesso a un’effettiva procedura per la determinazione del diritto d’asilo. Durante i respingimenti, talvolta anche dall’interno del territorio croato, la polizia è ricorsa regolarmente a coercizione, intimidazione, confisca o distruzione di oggetti personali di valore e uso sproporzionato della forza».

    https://www.diritti-umani.org/2018/11/trieste-valico-con-la-slovenia-le.html
    #Italie #Slovénie #réadmissions #migrations #asile #réfugiés #frontières #push-back #renvois #expulsions #refoulement #frontière_sud-alpine #Croatie #accord_bilatéral #accords_bilatéraux

    • “Caricati a forza nei furgoni”. Così la polizia italiana riporta i migranti nei Balcani

      Il racconto di due pakistani: «A Trieste ci hanno illuso sulla richiesta d’asilo ma ci hanno rimandati in Slovenia». Poi una nuova odissea fino alla Bosnia. «Le autorità croate ci hanno picchiato e lasciato nei boschi al confine»

      https://www.lastampa.it/2018/11/02/italia/caricati-a-forza-nei-furgoni-cos-la-polizia-italiana-riporta-i-migranti-nei-balcani-K775KFcYpdofE4r0eNJTFI/premium.html

    • Il caso dei migranti riportati in Slovenia. La polizia: “Agiamo seguendo le regole”

      La Questura di Trieste: sono riammissioni previste dalle norme Ue. Ma è giallo sui respingimenti a catena.

      «Nessun respingimento irregolare alla frontiera con la Slovenia», giura il questore di Trieste. «Tutto viene fatto secondo le regole». È comprensibile infatti lo smarrimento del povero disgraziato che dopo settimane di marcia nei boschi di Slovenia e Croazia, si butta tra le braccia di un poliziotto italiano pensando di avercela fatta. Ma non è così perché c’è l’impersonale, algido, fors’anche crudele accordo di Schengen che stabilisce la sua sorte.

      Ebbene, Schengen dice che se un irregolare è individuato in una «fascia frontaliera» e nella presunta «immediatezza» dell’ingresso, può essere riaccompagnato oltre frontiera e affidato alla polizia dell’altra parte. È una procedura che si chiama «riammissione» e sostituisce il vecchio «respingimento» di quando esistevano le frontiere. Abolite appunto grazie a Schengen.

      È quanto accade quotidianamente al confine con la Slovenia, come anche con l’Austria e la Francia. A regolare queste «riammissioni» ci sono alcune circolari della Ue che fissano lo spazio e il tempo: per fascia frontaliera s’intende un corridoio di 150 metri da una parte e dell’altra della linea di confine, per fascia temporale s’intende un massimo di 2 ore. C’è poi un accordo bilaterale italo-sloveno firmato a Roma il 3 settembre 1996, entrato in vigore dal 1° settembre 1997, più estensivo quanto a territorio e orari. Secondo quest’accordo, può essere «riammesso» (e succede ormai massicciamente da quando si sono intensificati gli arrivi dalla rotta balcanica e ci sono molte più pattuglie a controllare il confine, comprese la guardie forestali mobilitate dal governatore Massimiliano Fedriga) chi non ha richiesto l’asilo politico.

      Il database nazionale

      In ogni caso, dato che la polizia slovena non è felice di riprendersi i clandestini, l’intera procedura viene documentata (e secondo la questura ciò avviene alla presenza di interpreti, ma chissà se questo avviene davvero a ogni ora del giorno e della notte) per essere poi condivisa con i colleghi d’oltre frontiera. Agli stranieri vengono prese le impronte digitali, che si confrontano con il database nazionale e quello cosiddetto Eurodac per verificare se la persona non sia stata già fotosegnalata in Slovenia, Croazia o Grecia. Nel secondo caso, la procedura è più lunga e complessa. E se mai nessun poliziotto di altri Paesi li ha identificati, paradossalmente la procedura è più spiccia. I minori stranieri non vengono riammessi, ma affidati ad apposite strutture di accoglienza italiane, e così le persone particolarmente malate.

      Diverso ancora è il caso di chi è sbarcato in uno hotspot in Grecia. Oppure di chi ha presentato domanda di asilo politico in un Paese della Ue e poi si presenta alla nostra frontiera: una selva di situazioni giuridiche diverse che agli occhi del migrante, proveniente da Paesi immensamente lontani, rappresenta un’incomprensibile roulette russa. E che magari interpreta come il capriccio del poliziotto che ha davanti. Tocca comunque agli sloveni accettarli. Perciò gli italiani devono documentare con scontrini, biglietti di treno, qualsiasi prova, l’immediatezza dell’ingresso in Italia. Quindi, se arriva il via libera, rigorosamente entro le ore 16 perché dopo gli sloveni non ci stanno, gli stranieri vengono consegnati «esclusivamente con mezzi con i colori d’istituto della Polizia di Stato» presso la stazione di polizia Krvavi Potoc (Pesek).
      Le accuse contro Zagabria

      Quel che accade da quel momento, lo sanno solo gli sloveni ma è immaginabile che abbiano accordi diretti con la polizia croata. E nessuno dubita che sia un circuito infernale per il disgraziato che vi finisce dentro. Pochissimi sono i diritti riconosciuti ai migranti, specie da parte croata. L’ultimo Rapporto di Amnesty International ci ricorda che «la Croazia ha continuato a rimandare in Serbia rifugiati e migranti entrati nel Paese irregolarmente, senza garantire loro l’accesso a un’effettiva procedura per la determinazione del diritto d’asilo. Durante i respingimenti, talvolta anche dall’interno del territorio croato, la polizia è ricorsa regolarmente a coercizione, intimidazione, confisca o distruzione di oggetti personali di valore e uso sproporzionato della forza».

      https://www.lastampa.it/2018/11/03/italia/il-caso-dei-migranti-riportati-in-slovenia-la-polizia-agiamo-seguendo-le-regole-KLb7LoSe5l5uv8XggFl7FN/pagina.html

    • Fingersi minore per sfuggire ai respingimenti italiani “a catena” in Bosnia non è reato

      Il Tribunale di Trieste ha assolto un giovane del Pakistan che a fine 2020 aveva dichiarato il falso alla polizia per tentare di scampare a una situazione di “franco e innegabile pericolo” e di salvarsi dal male ingiusto delle “riammissioni”. “È una sentenza di estrema importanza, un monito per il governo”, spiega l’avvocata Bove.

      Dichiarare falsamente di essere minorenne per tentare di sfuggire ai respingimenti italiani “a catena” verso la Bosnia ed Erzegovina non è reato. Lo ha riconosciuto il Tribunale ordinario di Trieste a fine novembre 2022 -la sentenza (del giudice Massimo Tomassini) è stata depositata a metà febbraio di quest’anno-, assolvendo un giovane originario del Pakistan per “evidente” stato di necessità. Aveva solamente cercato di scampare a una situazione di “franco e innegabile pericolo personale”, al male ingiusto delle riammissioni.

      Le motivazioni del giudice penale, che hanno confermato in pieno la linea difensiva dell’avvocata Caterina Bove (socia Asgi) e accolto la richiesta di assoluzione della Procura, rappresentano un altro duro colpo del diritto alla pratica illegittima delle cosiddette “riammissioni informali”, riattivate dal nostro Paese al confine italo-sloveno tra metà 2020 e inizio 2021 sulla pelle di 1.300 persone. Procedure che il Governo Meloni ha annunciato di voler ripristinare a fine novembre 2022, proprio nei giorni in cui il Tribunale di Trieste, come già aveva fatto quello di Roma nel gennaio 2021, ne demoliva un’altra volta l’impianto.

      Veniamo ai fatti. Il 20 novembre 2020, a riammissioni ancora in vigore, il giovane K. viene fermato da una pattuglia della polizia italiana a Trieste. Identificano lui e le altre due persone con cui si trova. Non hanno i documenti e sono formalmente “irregolari”. È allora che K. dichiara di essere nato nell’agosto 2005 e di aver raggiunto l’Italia dalla Bosnia ed Erzegovina dopo aver attraversato Croazia e Slovenia. Ha già patito più volte la pratica dei respingimenti violenti lungo la rotta balcanica. Racconta il falso in merito all’età perché vuole evitare di essere “riammesso” e picchiato di nuovo, contando sulla “inespellibilità” del minore anche se “irregolare”. Addosso quel giorno gli viene trovato però un documento serbo nel quale è riportato che sarebbe nato nel 1995. Di anni ne avrebbe quindi 25 e non 15 (siamo nel 2020). La polizia italiana non ci pensa due volte e lo respinge in Slovenia: “Alle successive ore 16 -recita il verbale della pattuglia- i tre stranieri venivano quindi riammessi in territorio sloveno come previsto dagli accordi bilaterali esistenti (del 1996, ndr)”. Senza un pezzo di carta in mano, K. passa così dalla Slovenia alla Croazia nel giro di pochissime ore, viene nuovamente “picchiato” e poi finisce in Bosnia ed Erzegovina. Solo mesi dopo riuscirà a tornare in Italia e a presentare la domanda di asilo.

      K. aveva tutte le ragioni per “spacciarsi per minore”, scrive il Tribunale, e quindi sfuggire ai “trattamenti di dubbia umanità e di altrettanto dubbio rispetto di diritti umani minimi”. Non era mosso da “bieca intenzione di trarre in inganno le autorità” e nemmeno voleva porre le basi per “ulteriori condotte criminose”, voleva “solo ed esclusivamente evitare, di fatto, guai molto peggiori qualora ‘rimandato’ al di fuori dell’Italia, e dunque potenzialmente esposto a maltrattamenti al fine di essere nuovamente portato extra Unione europea”.

      Per dar conto della “gravissima” situazione ai confini, dove di fatto “la Croazia è divenuta lo scudo europeo contro la rotta balcanica”, il giudice cita la vasta documentazione portata dall’avvocata Bove e accumulata in questi anni: i report del Comitato per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti del Consiglio d’Europa, del network Protecting rights at borders (Prab), di Human Rights Watch, Amnesty International e Oxfam, del Border violence monitoring network, e anche il lavoro di inchiesta di Altreconomia. Per non parlare del precedente giurisprudenziale che è l’ordinanza del Tribunale di Roma del gennaio 2021, che già aveva messo in fila i punti di contrasto tra i respingimenti informali e la normativa europea, interna e costituzionale (circostanza ben rievocata nel film “Trieste è bella di notte” di Andrea Segre, Stefano Collizzoli e Matteo Calore, realizzato anche con la preziosa collaborazione della rete RiVolti ai Balcani).

      Il giudice di Trieste passa quindi in rassegna le pratiche volte a “rintracciare” e “stanare” i migranti con “droni, termocamere, scanner”: strumenti “impiegati come armi contro persone in movimento”. Il tutto mentre viene “soppressa la tecnologia adoperata dalle persone migranti”, con il “sequestro e distruzione di telefoni cellulari e batterie”. È quindi “indiscutibile che il respingimento informale avrebbe portato K. a dover affrontare una situazione di questo tipo, e cioè una situazione di franco ed innegabile pericolo personale”.

      Le motivazioni si concludono su quello che il Tribunale chiama il “vero punto della questione”, e cioè la strumentalizzazione del Regolamento di Dublino. Anche a parere del giudice, infatti, se anche -ma non lo si può dire con certezza- fosse stata la Croazia il Paese europeo competente all’esame della domanda di asilo di K., di certo il “modo” delle riammissioni informali è incompatibile con le garanzie della cosiddetta “procedura Dublino” per il trasferimento. Inoltre la “vera ed unica destinazione dell’imputato era la Bosnia, non già la Croazia -conclude la sentenza-, ed è tale convinzione che […] dimostra come egli, al momento della dichiarazione attestante le proprie generalità, si trovasse nella necessità, penalmente rilevante quale scriminante, di evitare a sé stesso un grave pericolo, e cioè quello, appunto, di essere respinto in Slovenia, e da lì a catena in Bosnia, nelle maniere dinanzi descritte, pericolo che avrebbe potuto evitare solo ‘spacciandosi’ quale minorenne”.

      Per l’avvocata Caterina Bove questa sentenza è “di estrema importanza perché chiarisce come le pratiche di riammissione e successivo respingimento a catena con esposizione dell’interessato a gravi trattamenti inumani e degradanti, in questo caso a opera delle autorità croate, le cui modalità di azione costituiscono ormai fatto notorio, rappresentano un pericolo concreto di grave danno alla persona, tale da giustificare il comportamento di informare falsamente circa la propria età”. Nel caso di specie, ricorda Bove, K. “aveva chiesto asilo e poi avuto il riconoscimento dello status di rifugiato quando, dopo aver patito nuovamente la violenza della rotta balcanica, è riuscito con le proprie forze a tornare”.
      La portata della sentenza secondo l’avvocata è ampia “perché si estende a tutti coloro i quali, trovandosi in frontiera, rischiano un simile trattamento inumano, con negata consegna di provvedimenti scritti, negata convalida giudiziaria dell’agire delle forze di sicurezza ed esposizione a elevato pericolo per l’incolumità personale. Il giudice penale di Trieste ha evidenziato come la ricostruzione giuridica operata dal Tribunale di Roma circa l’illegittimità di tale pratiche sia del tutto valida, nulla potendo incidere il successivo annullamento di quella ordinanza del 18 gennaio 2021 sulla fondatezza delle argomentazioni giuridiche”.

      È un “chiaro monito” dunque per il ministero dell’Interno e in generale per il governo che ha annunciato, nonostante tutto, la ripresa delle procedure di riammissione al confine orientale. “E più in generale -conclude Bove- è un monito per l’esecuzione di queste procedure di riammissione e respingimento, dirette e indirette, anche alle altre frontiere italiane”.

      https://altreconomia.it/fingersi-minore-per-sfuggire-ai-respingimenti-italiani-a-catena-in-bosn

    • Accordo tra Italia e Slovenia sulla riammissione delle persone alla frontiera

      Contesto

      Procedura, basi giuridiche e obiettivi

      Contenuto

      Casi e diritto derivato (applicazione)

      Questioni critiche
      Contesto

      La vicinanza geografica tra Italia e Slovenia ha sicuramente condizionato l’organizzazione delle relazioni diplomatiche tra i due paesi. Tuttavia, la storia delle relazioni tra i due paesi può essere rintracciata negli ultimi anni con la Dichiarazione congiunta sullo stabilimento delle relazioni diplomatiche, conclusa a Lubiana il 17/10/1992 ed entrata in vigore lo stesso anno. Da quel momento in poi, le relazioni tra i due stati si sono potute normalizzare con atti come l’accordo bilaterale del 1996 e l’accordo sulla cooperazione transfrontaliera e di polizia del 2011, che mirano a contrastare la criminalità organizzata e i flussi di immigrazione clandestina.

      Questi accordi e, in generale, la storia delle relazioni tra questi due paesi devono essere visti nell’ampio contesto della «rotta balcanica», da anni espressione di una vera e propria tragedia umanitaria con migliaia di migranti che vivono in condizioni precarie, persecuzioni e violenze. Questa rotta rappresenta il viaggio che i migranti devono affrontare, fuggendo dalla guerra o dal regime totalitario in Medio Oriente. Secondo i dati Eurostat, pubblicati dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, tra le richieste di asilo in Europa il biennio 2018/2019, il 32,72% proviene dall’Afghanistan, il 25,91% dal Pakistan, l’8,03% dalla Siria, il 6,56% dall’Iraq e infine il 4,61% dall’Iran.

      Dopo un estenuante viaggio, i richiedenti asilo vengono respinti dalle autorità pubbliche italiane presenti alla frontiera di Trieste verso la Slovenia, da dove vengono rimandati in Croazia e successivamente in Bosnia. In particolare, i principali luoghi strategici del traffico migratorio sono Tuzla e Sarajevo, che rappresentano due punti di transito per chi arriva da Serbia e Montenegro. Bihać e Velika Kladuša, invece, sono diventati due hotspot per le persone che aspettano di attraversare il territorio dell’Unione Europea. Infatti, molte testimonianze nel merito sono state raccolte soprattutto da ONG internazionali che descrivono la brutalità e le atrocità fisico-psicologiche a cui sono sottoposti i migranti al confine tra Croazia e Bosnia. In particolare, Amnesty International, in un Rapporto del 2019, denuncia la negazione del diritto d’asilo e il mancato rispetto delle garanzie procedurali relative alle espulsioni collettive, nonostante l’esistenza di riscontri pubblici di violenza questi territori. L’UNHCR ha anche pubblicato diversi rapporti che denunciano i comportamenti della polizia alle frontiere dei paesi interessati, spesso consistenti in trattamenti inumani e degradanti come la tortura, la distruzione di proprietà e le percosse. Queste condotte sono state tenute al fine di danneggiare i migranti e spesso persone vulnerabili come i minori, le donne incinte e le persone con disabilità.
      Procedura, basi giuridiche e obiettivi

      L’accordo venne concluso in forma semplificata fra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica slovena. Venne firmato a Roma il 3 settembre 1996, senza fare riferimento ad alcun accordo precedente. L’accordo è ’auto-legittimato’.

      L’obiettivo è combattare l’immigrazione illegale e il traffico di esseri umani, controllare i confini italo-sloveni, regolamentare la riammissione di richiedenti asilo nei rispettivi territori, attraverso disposizioni volte al supporto della riammissione in tutto il territorio dei due Stati dei cittadini di una delle due Parti o provenienti da Stati terzi.
      Contenuto

      Articolo 1: L’Italia e la Slovenia prevedono la riammissione nel proprio territorio - su richiesta dell’altra Parte - di tutte le persone che non soddisfano, o non soddisfano più, gli obblighi relativi alle condizioni di ingresso o soggiorno nel territorio della Parte contraente richiedente sulla verifica del possesso della cittadinanza della Parte (obbligatoria). Il secondo paragrafo specifica che questa verifica può essere basata su più documenti (carta d’identità, passaporto), anche se sono irregolarmente rilasciati o scaduti (non più di 10 anni fa). Nel terzo paragrafo, la Parte contraente richiedente accetta di nuovo la persona se è provato che la mancanza di possesso della cittadinanza della Parte contraente richiesta una volta fuori dal territorio della Parte contraente richiedente.

      Articolo 2: L’Italia e la Slovenia riammettono sul loro territorio, su richiesta dell’altra parte, i cittadini di un Paese terzo che non hanno, o non hanno più, i requisiti di ingresso o di soggiorno avviati sul territorio della Parte contraente richiedente, una volta accertato che questi cittadini hanno soggiornato o sono transitati sul territorio della Parte richiesta e sono successivamente entrati sul territorio della Parte (contraente) richiedente. Allo stesso modo, l’Italia e la Slovenia riammettono i cittadini del paragrafo precedente sul loro territorio, quando hanno un permesso di soggiorno valido rilasciato dalla parte contraente richiesta.

      Articolo 3: L’obbligo di riammissione previsto dall’articolo precedente non si applica in 5 casi: (a) cittadini di paesi terzi che confinano con la Parte contraente richiedente; (b) cittadini di Stati terzi ai quali la Parte contraente richiedente ha rilasciato un permesso di soggiorno o un visto; (c) cittadini di paesi terzi che rimangono nel territorio della Parte richiedente per più di 6 mesi; (d) i cittadini di Stati terzi ai quali la Parte richiedente ha riconosciuto sia lo status di rifugiato (Convenzione di Ginevra 1951) che quello di apolide (Convenzione di New York 1954); (e) i cittadini di Stati terzi espulsi per motivi di ordine pubblico e di sicurezza nazionale dalla Parte contraente richiedente verso il loro paese di origine o verso un paese terzo.

      Articolo 4: La Parte richiedente accetta sul suo territorio i cittadini di paesi terzi che non soddisfano le condizioni - in base al controllo effettuato dall’altra Parte - richieste dagli articoli 2 e 3 in occasione dell’uscita dal territorio della Parte contraente richiedente.

      Articolo 5: Il Ministero degli Affari Interni dei due Stati contraenti si occuperà delle domande di riammissione. La domanda di riammissione deve includere l’identità della persona e i dati personali del cittadino del terzo Stato, del suo soggiorno nel territorio della parte richiesta e delle circostanze del suo ingresso illegale nel territorio della parte richiedente. La parte richiesta deve comunicare la sua decisione per iscritto alla parte richiedente entro otto giorni. L’autorizzazione dopo la ratifica è valida per un mese dalla data della sua notifica.

      Articolo 6: Le autorità di frontiera dello Stato richiesto riammettono senza formalità, su richiesta dello Stato richiedente, i cittadini irregolari di Stati terzi consegnati entro 26 ore dal passaggio o se controllati e trovati irregolari entro dieci chilometri dalla frontiera comune.

      Articolo 7: La parte richiedente deve sostenere le spese di trasporto alla frontiera della parte richiesta delle persone di cui si chiede la riammissione. Se necessario, la parte richiedente si fa carico delle spese di ritorno.

      Articolo 8: Le parti contraenti, previa autorizzazione reciproca, possono permettere il movimento dei cittadini stranieri contro i quali è applicato un ordine di espulsione. I paragrafi seguenti stabiliscono inoltre che la parte richiedente è responsabile del viaggio della persona in questione, di riprenderla in caso di superamento dell’inapplicabilità dell’ordine di allontanamento e di garantire il possesso di un documento di viaggio adeguato da parte dello straniero.

      Articolo 9: La parte contraente che emette il provvedimento di espulsione deve notificare alla parte contraente richiesta la necessità, durante il transito, di fornire una scorta alla persona espulsa attraverso il personale dello Stato richiesto o in collaborazione tra i due paesi.

      Articolo 10: La richiesta di transito, che contiene le informazioni essenziali relative allo straniero e al suo movimento, nonché la garanzia di ammissione nel paese di destinazione, è inviata direttamente dai Ministeri dell’Interno delle parti contraenti.

      Articolo 11: Legittimo il rifiuto del transito per l’allontanamento, che può avvenire: (a) per i rischi di persecuzione presenti e attuali a cui lo straniero sarebbe sottoposto nel paese di destinazione; (b) per i rischi di accuse o condanne penali nel paese di destinazione; (c) per l’inammissibilità dello straniero o per essere sottoposto a procedimenti penali nello Stato richiesto.

      Article 12: Le spese di trasporto alle frontiere dello Stato di destinazione sono a carico del paese firmatario.

      Articolo 13: Persistenza degli obblighi delle parti contraenti che derivano dall’applicazione di altri accordi internazionali.

      Articolo 14: Responsabilità del Ministero degli Affari Interni delle Parti contraenti per la decisione sui luoghi di frontiera in cui sarà concessa la riammissione e il transito delle persone straniere. Responsabilità delle stesse istituzioni anche per quanto riguarda la lista degli aeroporti dove sarà concesso il transito di queste persone.

      Articolo 15: Risoluzione delle possibili controversie generate da questo accordo attraverso i canali diplomatici.

      Disposizioni finali – Article 16: 1. Il presente accordo entra in vigore il primo giorno del secondo mese successivo alla notifica reciproca del completamento di ogni procedura nazionale di approvazione. 2. Può essere denunciato mediante notifiche inviate per via diplomatica, che hanno effetto per novanta giorni dopo la sua entrata in vigore.
      Casi diritto derivato (applicazione)

      Primo precedente giuridico in materia di casi di illegittima espulsione collettiva è il caso Sharifi e altri c. Italia e Grecia (sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 21 ottobre 2014 - ricorso n. 16643/09), in seguito al quale l’Italia è stata condannata - in virtù dell’accordo bilaterale firmato nel 1999 - dalla CEDU per la riammissione non registrata e non discriminata di individui stranieri verso il territorio ellenico.

      Per quanto riguarda il divieto dei cosiddetti respingimenti a catena, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo consiste in diversi casi: Ilias e Ahmed c. Ungheria, 14 marzo 2017; Sharifi e altri c. Italia e Grecia, 21 ottobre 2014 e Tarakhel c. Svizzera, 4 novembre 2014, casi che hanno portato gli organi legislativi dell’Unione Europea alla decisione di modificare il preesistente Regolamento n. 604/2013 (attuale Regolamento Dublino 3).

      Infine, è da tenere in considerazione l’Ordinanza n. 56420/2020 firmata dal Tribunale di Roma.
      Questioni critiche

      Per quanto riguarda le criticità presenti nel testo dell’accordo bilaterale concluso tra Italia e Slovenia, di cui al testo dell’ordinanza 56420/2020 del Tribunale di Roma, sono rilevanti sia le fonti sovranazionali che quelle di diritto interno. Riguardo a queste ultime, vi è un’incongruenza con l’art. 10 comma 2 della Costituzione italiana, che stabilisce la conformità delle fonti sulla condizione giuridica dello straniero alle norme e ai trattati di diritto internazionale, che alcuni aspetti dell’accordo stentano a raggiungere.

      In secondo luogo, vi è un’ulteriore discrepanza con l’obbligo di preventiva convalida da parte dell’autorità giudiziaria in merito ai provvedimenti di libertà personale in sede di respingimento ed espulsione dello straniero, obbligo delineato dal secondo comma dell’articolo 13 della Costituzione italiana.

      Altra questione costituzionale rilevante è la dubbia legittimità di accordi, come quello in questione, che non siano stati ratificati dalle Camere - nei casi previsti dall’articolo 80 - e dal Presidente della Repubblica ai sensi dell’articolo 87. Data la natura politica di questo accordo concluso in forma semplificata, in questo senso vi è anche una minore centralità del dibattito parlamentare da cui deriva l’assenza di informazione pubblica sull’argomento.

      È necessario ricordare come gli accordi conclusi tra l’Italia e un paese terzo siano espressione della sovranità statale, che tuttavia non deve pregiudicare la garanzia dei diritti fondamentali dei richiedenti asilo. Da questo punto di vista, emerge una prima criticità relativa alla tutela dell’effettivo diritto di ricorso, in quanto il respingimento non viene notificato ai diretti interessati, privandoli della possibilità di difendersi in contrasto con la tutela prevista dall’articolo 13 della CEDU e dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sul diritto di difesa.

      In secondo luogo, la prassi stabilita dall’art. 2 dell’accordo bilaterale è in contrasto con il diritto fondamentale del richiedente di accedere alla procedura di riconoscimento della protezione internazionale (prevista dalla direttiva 2013/31 UE); articolo in base al quale «ciascuna parte contraente si impegna a riammettere nel proprio territorio il cittadino di un paese terzo che non soddisfa le condizioni di ingresso e soggiorno». L’incongruenza deriva in particolare dal fatto che, come riportato nella citata ordinanza, «il richiedente asilo la cui domanda di protezione internazionale può essere espressa oralmente non può mai essere considerato irregolare sul territorio».

      Un altro aspetto da tenere in considerazione è quello relativo alla compatibilità dell’accordo con la tutela del diritto d’asilo. In particolare, secondo quanto dettato dal testo della Convenzione di Ginevra del 1951 e dal disposto dell’articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, gli Stati membri dovranno verificare individualmente la domanda compilata dal richiedente asilo e informare i soggetti coinvolti dell’esistenza di questa procedura. Sulla stessa nota, il Ministero dell’Interno ha dichiarato che in presenza di una richiesta di riammissione non è necessario inviare alla questura questa formalizzazione della richiesta di asilo. Questa particolare situazione determina la riammissione sul territorio dell’altra parte dei richiedenti asilo e giustifica anche la qualificazione di questi soggetti come immigrati irregolari.

      Conseguenza di questa procedura è una lesione del diritto all’asilo dell’individuo che, come ulteriore effetto, determina una violazione del principio di non refoulement (art. 33 della Convenzione di Ginevra). Quegli stessi doveri di protezione sussidiaria sono sanciti dall’art. 78 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea: si può quindi sostenere l’inadempimento dell’Italia - in quanto Stato membro dell’Unione europea - ai doveri imposti dall’istituzione di una politica comune in materia di richiesta d’asilo. Dal mancato esame individuale delle domande d’asilo ha origine un respingimento a catena verso la cosiddetta «rotta balcanica», che conduce gli immigrati verso Paesi in cui sono sottoposti a trattamenti inumani e degradanti, in violazione degli articoli 2 e 3 CEDU e dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Per quanto riguarda il diritto nazionale, il decreto legislativo n. 286/1988 vieta chiaramente, al suo articolo 19, il trasferimento di soggetti stranieri verso Paesi in cui persiste il rischio di essere sottoposti a torture, persecuzioni o trattamenti inumani e degradanti

      Un’ultima considerazione riguarda la sussistenza di una situazione di responsabilità condivisa tra le parti dell’accordo, dovuta alla sistematica mancanza di tutela dei diritti e principi fondamentali considerati. Questa stessa mancanza di protezione avrebbe potuto essere evitata per mezzo di un più attento e impegnato rispetto della difesa internazionale.

      https://www.migrationtreaties.unito.it/slovenia/accordo-tra-italia-e-slovenia-sulla-riammissione-delle-perso

    • Brambilla (Asgi): “L’accordo con la Slovenia sulle riammissioni dei migranti ha profili di illegittimità”

      L’avvocata ha seguito i ricorsi dei richiedenti asilo rimandati indietro dal confine orientale: «Manca la ratifica del parlamento in violazione dell’articolo 80 della Costituzione e comunque le riammissioni non possono avvenire a livello informale»

      Anna Brambilla è avvocata dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) e ha seguito i ricorsi di richiedenti asilo contro le riammissioni in Slovenia.

      Per il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi le riammissioni «sono uno strumento pienamente legittimo». In ogni caso?

      No, non possono essere riammessi richiedenti asilo o minori. Più in generale riteniamo che non possano essere effettuate riammissioni informali, cioè quelle che avvengono solo tramite scambio di informazioni tra le autorità di polizia di due Stati membri senza che alla persona riammessa sia notificato il provvedimento, impedendole di difendersi. Succede qualcosa di simile nei porti dell’Adriatico dove le persone sono riconsegnate senza alcuna notifica ai comandanti della nave su cui si erano nascoste per riammetterle in Grecia.

      Nell’accordo bilaterale italo-sloveno del 1996, però, le «riammissioni informali» sono esplicitamente previste.

      Sì, l’accordo permette le riammissioni informali di chi è entrato prima di 26 ore o è trovato entro 10 chilometri dalla frontiera. Ma l’accordo non può essere letto senza considerare le disposizioni di diritto interno e quelle Ue. Perciò le riammissioni informali, numericamente prevalenti, sono illegittime: violano il diritto di difesa che si concretizza attraverso i ricorsi.

      Quindi contestate l’accordo con la Slovenia.

      Ha dei profili di illegittimità perché non è stato sottoposto al controllo del parlamento, ma concluso in forma semplificata senza la ratifica ai sensi dell’articolo 80 della Costituzione.

      Tecnicamente cosa cambia tra riammissioni ed espulsioni.

      La riammissione può avvenire tra due Stati membri, in questo caso Italia e Slovenia, oppure ci possono essere accordi tra un paese membro o la Ue con uno Stato terzo. Tra due paesi membri la riammissione è da considerarsi funzionale all’espulsione. In pratica l’Italia trova un cittadino irregolarmente soggiornante e invece di adottare direttamente un provvedimento di espulsione lo riammette in Slovenia che poi dovrà espellerlo.

      Piantedosi si è confrontato con le riammissioni in Slovenia anche quando era capo di gabinetto di Salvini. Cosa è emerso, rispetto a quel periodo, dai procedimenti giudiziari che avete avviato?

      Nonostante il Viminale affermasse che le riammissioni potevano essere legittimamente effettuate anche per chi aveva manifestato intenzione di chiedere protezione internazionale il tribunale di Roma, nel caso presentato con un ricorso di urgenza, ha riconosciuto l’illegittimità della riammissione. Perché l’accordo non è stato sottoposto a legge di ratifica e, nel caso specifico, perché la persona aveva manifestato intenzione di fare domanda di asilo.

      A livello Ue qual è l’approccio?

      La Commissione ha sempre cercato di spingere gli Stati membri a rafforzare la cooperazione di polizia, necessaria per le riammissioni, invece di reintrodurre controlli ai confini interni. Come fa la Francia al confine con l’Italia o l’Austria alla frontiera con la Slovenia. Adesso nella proposta di riforma del codice frontiere Schengen si parla di trasferimento tra Stati membri, cioè una procedura simile a quella prevista dagli accordi bilaterali di riammissione. Per quanto noi siamo contrari a questa procedura, essa è comunque di tipo formale e prevede la possibilità di fare ricorso. Il problema è che se l’informativa sulla protezione internazionale non è realizzata correttamente le persone non sono in condizione di fare domanda e vengono considerate migranti irregolari. Le procedure sono formalmente corrette ma nella sostanza violano il diritto d’asilo.

      https://ilmanifesto.it/brambilla-asgi-laccordo-con-la-slovenia-sulle-riammissioni-dei-migranti-

  • Pays basque, la nouvelle route de l’exil

    De plus en plus de migrants entrent en Europe par l’Espagne et franchissent la frontière dans le Sud-Ouest. Reportage.

    Le car est à peine garé le long du trottoir que, déjà, ils se pressent à ses portes. Ils regardent avec anxiété la batterie de leur téléphone, elle est presque à plat, il faut qu’elle tienne quelques minutes encore, le temps de présenter le billet. Quatre jeunes filles s’inquiètent, leur ticket affiche un prénom masculin, le chauffeur les laissera-t-il passer ? Ou vont-elles perdre les 100, 200 ou 300 euros qu’elles ont déboursés à des « frères » peu scrupuleux - la valeur officielle est de 35 euros - pour acquérir ce précieux sésame vers Paris ? Chaque soir depuis quelques semaines, le même scénario se répète au terminus des « bus Macron » sur la place des Basques, à #Bayonne. Une centaine de jeunes, pour la plupart originaires d’Afrique francophone, plus rarement du Maghreb, monte par petits groupes dans les cars en partance pour Bordeaux ou Paris, dernière étape d’un périple entamé depuis des mois. Ils ont débarqué la veille d’Irun, en Espagne, à 40 kilomètres plus au sud, après un bref passage par la ville frontalière d’Hendaye.

    De #Gibraltar, ils remontent vers le nord de l’Espagne

    Les arrivées ont commencé au compte-gouttes au printemps, elles se sont accélérées au cours de l’été. Depuis que l’Italie se montre intraitable, l’Espagne est devenue le principal point d’entrée en Europe, avec 48 000 nouveaux exilés depuis le début de l’année. Croisés à Irun ou à Hendaye, qu’ils viennent de Guinée-Conakry, de Côte d’Ivoire ou du Mali, ils racontent la même histoire. Thierno est guinéen, il a 18 ans. Il a tenté la traversée par la Libye, sans succès, il a poursuivi par l’Algérie et le Maroc, puis fini par franchir le détroit de Gibraltar en bateau après deux échecs. Tous évoquent la difficulté à travailler et à se faire payer au Maroc, les violences, parfois, aussi. Puis ils parlent de l’Espagne, d’Algesiras, Cadix ou Malaga, en experts de la géographie andalouse. Parfois, la Croix-Rouge espagnole, débordée au Sud, les a envoyés en bus vers ses centres de Madrid ou Bilbao, leur assurant une partie de leur voyage. Aboubacar, 26 ans, est, lui, remonté en voiture, avec des « frères ».

    Personne n’en parle, les réseaux sont pourtant bien là, à prospérer sur ces flux si lucratifs. On estime à 1500 euros le prix de la traversée à Gibraltar, 100 ou 200 euros le passage de la frontière française depuis #Irun. Tous n’ont qu’un objectif, rejoindre la #France, comme cette femme, sénégalaise, qui demande qu’on l’emmène en voiture et suggère, si on se fait contrôler, de dire qu’elle est notre bonne. La quasi-totalité veut quitter l’Espagne. Parce qu’ils n’en parlent pas la langue et qu’ils ont souvent en France sinon de la famille, au moins des connaissances. Parce qu’il est plus difficile de travailler dans la péninsule ibérique, où le taux de chômage reste de 15 %. Parce qu’enfin ceux qui envisagent de demander l’asile ont intérêt à effectuer les démarches en France, où 40 575 protections ont été accordées en 2017, plutôt qu’en Espagne (4 700 statuts délivrés).

    Alors, ils essaient, une fois, deux fois, trois fois, dans un absurde jeu du chat et de la souris avec les policiers français. Les 150 agents de la #police_aux_frontières (#PAF) en poste à #Hendaye tentent, avec l’aide d’une compagnie de #CRS, de contrôler tant bien que mal les cinq points de passage. Depuis le début de 2018, 5600 réadmissions ont été effectuées vers l’Espagne, contre 3520 en 2017, mais, de l’aveu même d’un officiel, « ça passe et ça passe bien, même ». Si l’autoroute est gardée quasiment toute la journée, il reste un créneau de deux heures durant lequel elle ne l’est pas faute d’un effectif suffisant. Chaque nuit, des taxis espagnols en profitent et déposent des gens sur la place des Basques à Bayonne. La surveillance des deux ponts qui enjambent la #Bidassoa et séparent Irun d’Hendaye est aléatoire. A certaines heures, le passage à pied se fait sans difficulté. Il ne reste plus ensuite aux migrants qu’à se cacher jusqu’au prochain passage du bus 816, qui les conduira à Bayonne en un peu plus d’une heure.

    Les agents de la Paf ne cachent pas leur lassitude. Même si la loi antiterroriste de 2017 autorise des contrôles renforcés dans la zone frontière, même si des accords avec l’Espagne datant de 2002 leur permettent de renvoyer sans grande formalité les personnes contrôlées sans papiers dans un délai de quatre heures, ils ont le sentiment d’être inutiles. Parce qu’ils ne peuvent pas tout surveiller. Parce que l’Espagne ne reprend que contrainte et forcée les « réadmis », les laissant libres de franchir la frontière dès qu’ils le souhaiteront. Certains policiers ne prennent même plus la peine de raccompagner les migrants à la frontière. Gare d’Hendaye, un après-midi, le TGV pour Paris est en partance. Des policiers fouillent le train, ils trouvent trois jeunes avec billets mais sans papiers, ils les font descendre, puis les laissent dans la gare. « De toute façon, ça ne sert à rien d’aller jusqu’à la frontière, dans deux heures, ils sont de nouveau là. Ça ne sert qu’à grossir les chiffres pour que nos chefs puissent faire de jolis camemberts », lâche, avec aigreur, l’un des agents.

    La compassion l’emporte sur le rejet

    L’amertume n’a pas encore gagné le reste de la population basque. Au contraire. Dans cette zone où l’on joue volontiers à saute-frontière pour aller acheter des cigarettes à moins de cinq euros ou du gasoil à 1,1 euro, où il est fréquent, le samedi soir, d’aller boire un verre sur le littoral espagnol à San Sebastian ou à Fontarrabie, où près de 5000 Espagnols habitent côté français, où beaucoup sont fils ou petits-fils de réfugiés, la compassion l’emporte sur le rejet. Même le Rassemblement national, qui a diffusé un communiqué mi-août pour dénoncer « une frontière passoire », doit reconnaître que son message peine à mobiliser : « Les gens commencent à se plaindre, mais je n’ai pas entendu parler de débordements, ni rien d’avéré », admet François Verrière, le délégué départemental du parti. Kotte Ecenarro, le maire socialiste d’Hendaye, n’a pas eu d’écho de ses administrés : « Pour l’instant, les habitants ne disent rien, peut-être parce qu’ils ne les voient pas. » Lui, grand joggeur, les aperçoit lorsqu’il va courir tôt le matin et qu’ils attendent le premier bus pour Bayonne, mais aucun ne s’attarde dans la zone frontière, trop risquée.

    Chaque soir, place des Basques à Bayonne, des migrants embarquent dans les bus pour Paris.

    Le car est à peine garé le long du trottoir que, déjà, ils se pressent à ses portes. Ils regardent avec anxiété la batterie de leur téléphone, elle est presque à plat, il faut qu’elle tienne quelques minutes encore, le temps de présenter le billet. Quatre jeunes filles s’inquiètent, leur ticket affiche un prénom masculin, le chauffeur les laissera-t-il passer ? Ou vont-elles perdre les 100, 200 ou 300 euros qu’elles ont déboursés à des « frères » peu scrupuleux - la valeur officielle est de 35 euros - pour acquérir ce précieux sésame vers Paris ? Chaque soir depuis quelques semaines, le même scénario se répète au terminus des « bus Macron » sur la place des Basques, à Bayonne. Une centaine de jeunes, pour la plupart originaires d’Afrique francophone, plus rarement du Maghreb, monte par petits groupes dans les cars en partance pour Bordeaux ou Paris, dernière étape d’un périple entamé depuis des mois. Ils ont débarqué la veille d’Irun, en Espagne, à 40 kilomètres plus au sud, après un bref passage par la ville frontalière d’Hendaye.
    Des dizaines de bénévoles se succèdent pour apporter et servir des repas aux migrants, place des Basques, à Bayonne.

    Des dizaines de bénévoles se succèdent pour apporter et servir des repas aux migrants, place des Basques, à Bayonne.

    Les arrivées ont commencé au compte-gouttes au printemps, elles se sont accélérées au cours de l’été. Depuis que l’Italie se montre intraitable, l’Espagne est devenue le principal point d’entrée en Europe, avec 48 000 nouveaux exilés depuis le début de l’année. Croisés à Irun ou à Hendaye, qu’ils viennent de Guinée-Conakry, de Côte d’Ivoire ou du Mali, ils racontent la même histoire. Thierno est guinéen, il a 18 ans. Il a tenté la traversée par la Libye, sans succès, il a poursuivi par l’Algérie et le Maroc, puis fini par franchir le détroit de Gibraltar en bateau après deux échecs. Tous évoquent la difficulté à travailler et à se faire payer au Maroc, les violences, parfois, aussi. Puis ils parlent de l’Espagne, d’Algesiras, Cadix ou Malaga, en experts de la géographie andalouse. Parfois, la Croix-Rouge espagnole, débordée au Sud, les a envoyés en bus vers ses centres de Madrid ou Bilbao, leur assurant une partie de leur voyage. Aboubacar, 26 ans, est, lui, remonté en voiture, avec des « frères ».

    Personne n’en parle, les réseaux sont pourtant bien là, à prospérer sur ces flux si lucratifs. On estime à 1500 euros le prix de la traversée à Gibraltar, 100 ou 200 euros le passage de la frontière française depuis Irun. Tous n’ont qu’un objectif, rejoindre la France, comme cette femme, sénégalaise, qui demande qu’on l’emmène en voiture et suggère, si on se fait contrôler, de dire qu’elle est notre bonne. La quasi-totalité veut quitter l’Espagne. Parce qu’ils n’en parlent pas la langue et qu’ils ont souvent en France sinon de la famille, au moins des connaissances. Parce qu’il est plus difficile de travailler dans la péninsule ibérique, où le taux de chômage reste de 15 %. Parce qu’enfin ceux qui envisagent de demander l’asile ont intérêt à effectuer les démarches en France, où 40 575 protections ont été accordées en 2017, plutôt qu’en Espagne (4 700 statuts délivrés).

    Un migrant traverse le pont de St Jacques à Irun en direction de la France.

    Alors, ils essaient, une fois, deux fois, trois fois, dans un absurde jeu du chat et de la souris avec les policiers français. Les 150 agents de la police aux frontières (PAF) en poste à Hendaye tentent, avec l’aide d’une compagnie de CRS, de contrôler tant bien que mal les cinq points de passage. Depuis le début de 2018, 5600 réadmissions ont été effectuées vers l’Espagne, contre 3520 en 2017, mais, de l’aveu même d’un officiel, « ça passe et ça passe bien, même ». Si l’autoroute est gardée quasiment toute la journée, il reste un créneau de deux heures durant lequel elle ne l’est pas faute d’un effectif suffisant. Chaque nuit, des taxis espagnols en profitent et déposent des gens sur la place des Basques à Bayonne. La surveillance des deux ponts qui enjambent la Bidassoa et séparent Irun d’Hendaye est aléatoire. A certaines heures, le passage à pied se fait sans difficulté. Il ne reste plus ensuite aux migrants qu’à se cacher jusqu’au prochain passage du bus 816, qui les conduira à Bayonne en un peu plus d’une heure.
    Un groupe des migrants se fait arrêter à Behobie, côté français, après avoir traversé la frontière depuis Irun en Espagne.

    Un groupe des migrants se fait arrêter à #Behobie, côté français, après avoir traversé la frontière depuis Irun en Espagne.

    La compassion l’emporte sur le rejet

    L’amertume n’a pas encore gagné le reste de la population basque. Au contraire. Dans cette zone où l’on joue volontiers à saute-frontière pour aller acheter des cigarettes à moins de cinq euros ou du gasoil à 1,1 euro, où il est fréquent, le samedi soir, d’aller boire un verre sur le littoral espagnol à #San_Sebastian ou à #Fontarrabie, où près de 5000 Espagnols habitent côté français, où beaucoup sont fils ou petits-fils de réfugiés, la compassion l’emporte sur le rejet. Même le Rassemblement national, qui a diffusé un communiqué mi-août pour dénoncer « une frontière passoire », doit reconnaître que son message peine à mobiliser : « Les gens commencent à se plaindre, mais je n’ai pas entendu parler de débordements, ni rien d’avéré », admet François Verrière, le délégué départemental du parti. Kotte Ecenarro, le maire socialiste d’Hendaye, n’a pas eu d’écho de ses administrés : « Pour l’instant, les habitants ne disent rien, peut-être parce qu’ils ne les voient pas. » Lui, grand joggeur, les aperçoit lorsqu’il va courir tôt le matin et qu’ils attendent le premier bus pour Bayonne, mais aucun ne s’attarde dans la zone frontière, trop risquée.

    Des migrants sont accueillis en face de la mairie d’Irun par des associations de bénévoles.

    Le flux ne se tarissant pas, la solidarité s’est organisée des deux côtés de la #Bidassoa. A Irun, un collectif de 200 citoyens a répondu aux premiers besoins durant l’été, les autorités jugeant alors qu’organiser de l’aide était inutile puisque les migrants ne rêvaient que d’aller en France. Elles ont, depuis, changé d’avis. Mi-octobre, un centre de la Croix-Rouge proposait 70 places et un hôpital, 25. « Ils peuvent rester cinq jours dans chaque. Dix jours, en général, ça suffit pour passer », note Ion, un des piliers du collectif. Dans la journée, ils chargent leurs téléphones dans un coin de la gare ou patientent, en doudounes et bonnets, dans un campement installé face à la mairie. Dès qu’ils le peuvent, ils tentent le passage vers la France.

    A Bayonne aussi, l’improvisation a prévalu. Le réseau d’hébergeurs solidaires mis en place depuis 2016 n’était pas adapté à cette situation d’urgence, à ces gens qui n’ont besoin que d’une ou deux nuits à l’abri avant de filer vers Paris. Chaque soir, il a fallu organiser des maraudes avec distribution de repas et de vêtements, il a fallu trouver des bénévoles pour loger les plus vulnérables - des femmes avec de jeunes enfants sont récemment apparues. Sous la pression de plusieurs collectifs, la mairie vient de mandater une association locale, Atherbea, pour organiser l’aide. A proximité du terminal des bus, vont être installés toilettes, douches, lits, repas et prises de téléphone - un équipement indispensable à ces exilés, pour qui le portable est l’ultime lien avec leurs proches. La municipalité a promis des financements, mais jusqu’à quand ?

    Longtemps discret sur la situation, le gouvernement affiche désormais son volontarisme. Depuis quelques semaines, des unités en civil ont été déployées afin d’identifier les filières de passeurs. Dans son premier entretien comme ministre de l’Intérieur au JDD, Christophe Castaner a dit s’inquiéter de la pression exercée dans la zone et promis un « coordonnateur sécurité ». Les policiers espèrent, eux, surtout des renforts. « Il faudrait 30 à 40 agents de la police aux frontières de plus », juge Patrice Peyruqueou, délégué syndical Unité SGP Police. Ils comptent sur la nomination de Laurent Nuñez comme secrétaire d’Etat au ministère de l’Intérieur pour se faire entendre. L’homme n’a-t-il pas été sous-préfet de Bayonne ? N’a-t-il pas consacré son premier déplacement officiel au Pays Basque, le vendredi 19 octobre ? Mais déjà les voies de passage sont en train de bouger. De nouvelles routes se dessinent, à l’intérieur des Pyrénées, via Roncevaux, le tunnel du Somport ou la quatre-voies qui relie Saragosse, Pau et Toulouse, des accès moins surveillés qu’Irun et Hendaye. Le jeu du chat et de la souris ne fait que commencer.

    https://www.lexpress.fr/actualite/societe/pays-basque-la-nouvelle-route-de-l-exil_2044337.html

    #pays_basque #asile #migrations #réfugiés #routes_migratoires #parcours_migratoires #Espagne #frontières #solidarité #contrôles_frontaliers

    via @isskein

    • Entre l’Espagne et la France, la nouvelle route migratoire prend de l’ampleur

      L’Espagne est devenue la principale porte d’entrée en Europe pour des personnes originaires d’Afrique de l’Ouest qui tentent de gagner la France.

      L’Espagne est devenue la principale porte d’entrée en Europe en 2018. La majorité des personnes qui arrivent sont originaires d’Afrique de l’Ouest et tentent de gagner la France.

      Emmitouflé dans un manteau, la tête abritée sous un bonnet, Boris disparaît dans la nuit, sous la pluie. Ce Camerounais de 33 ans, qui parle un français parfait, « traîne » à Irun de puis un mois. Dans cette petite commune du pays basque espagnol, il attend de pouvoir traverser la frontière et rejoindre la France, à quelques mètres de là. L’aventure a trop peu de chances de réussir s’il la tente à pied, et il n’a pas l’argent pour se payer un passage en voiture. Il aimerait rejoindre Paris. Mais il doute : « On me dit que c’est saturé. C’est vrai ? Est-ce qu’il y a des ONG ? Vous connaissez Reims ? »

      Parti depuis un an de son pays, Boris a traversé le Nigeria, le Niger, l’Algérie et le Maroc avant de gagner l’Europe par la mer. Comme de plus en plus de personnes, il a emprunté la route dite de la Méditerranée occidentale, qui passe par le détroit de Gibraltar. Le passage par la Libye, privilégié ces dernières années, est devenu « trop dangereux » et incertain, dit-il.

      En 2018, l’Espagne est devenue la principale porte d’entrée en Europe. Quelque 50 000 personnes migrantes sont arrivées sur les côtes andalouses depuis le début de l’année, en provenance du Maroc, ce qui représente près de la moitié des entrées sur le continent.

      Sous l’effet de la baisse des départs depuis la Libye et des arrivées en Italie, les routes migratoires se redessinent. Et bien que les flux soient sans commune mesure avec le pic de 2015, lorsque 1,8 million d’arrivées en Europe ont été enregistrées, ils prennent de court les autorités et en particulier en France, qui apparaît comme la destination privilégiée par ces nouveaux arrivants originaires majoritairement d’Afrique de l’Ouest et du Maghreb.

      80 à 100 arrivées quotidiennes

      A Irun, Txema Pérez observe le passage en nombre de ces migrants et il le compare à l’exil des réfugiés espagnols lors de la guerre civile en 1939 : « On n’a pas vu ça depuis la Retirada », lâche le président de la Croix-Rouge locale.

      Face à cet afflux, l’organisation humanitaire a ouvert cet été plusieurs centres d’accueil temporaire sur l’itinéraire des migrants, dans plusieurs communes du Pays-Basque mais aussi à Barcelone à l’autre extrémité des Pyrénées, où ils font étape quelques jours avant de tenter de gagner la France.

      Cette semaine, une trentaine de personnes ont dormi dans l’auberge de la Croix-Rouge d’Irun. « Ils reprennent des forces et disparaissent, constate Txema Perez. Ils finissent tous par passer la frontière. 90 % d’entre eux parlent français. Et ils voient Paris comme un paradis. »

      Sur le chemin qui mène ces personnes jusqu’à une destination parfois très incertaine, Bayonne et en particulier la place des Basques dans le centre-ville, s’est transformée dans le courant de l’été en point de convergence. C’est là qu’arrivaient les bus en provenance d’Espagne et en partance pour le nord de la France. Si, au début, une dizaine de personnes seulement transitaient par la ville chaque jour, aujourd’hui la mairie parle de 80 à 100 arrivées quotidiennes. Et autant de départs. « C’est la première fois qu’on constate un tel afflux », reconnaît David Tollis, directeur général adjoint des services à la mairie.

      « Ils sont en majorité originaires de Guinée et il y a notamment beaucoup de gamins qui se disent mineurs. On a l’impression que le pays se vide », confie Alain Larrea, avocat en droit des étrangers à Bayonne. « Les jeunes hommes évoquent la pauvreté qui a explosé mais aussi les risques d’arrestations et d’enfermements arbitraires, ajoute Julie Aufaure, de la Cimade. Les femmes fuient aussi les risques d’excision. »

      « Je ne sais pas encore ce que je vais faire »

      Face à l’augmentation des arrivées et à la dégradation des conditions météorologiques, la municipalité a commencé à s’organiser il y a une dizaine de jours. « Je ne me pose pas la question du régime juridique dont ces personnes relèvent. Simplement, elles sont dans une situation de fragilité et il faut leur venir en aide, justifie Jean-René Etchegaray, le maire UDI de Bayonne. Nous avons dans l’urgence tenté de les mettre à l’abri ». Après avoir mis à disposition un parking puis, le week-end dernier, une école, la municipalité a ouvert, lundi 29 octobre, les locaux désaffectés d’un ancien centre communal d’action sociale. Des douches y ont été installées, des couvertures et des repas y sont fournis. Dans le même temps, la mairie a déplacé les arrêts des bus aux abords de ce lieu, sur les quais qui longent l’Adour.

      Mercredi 31 octobre, plusieurs dizaines de personnes faisaient la queue à l’heure de la distribution du déjeuner. Parmi elles, Lamine, un Guinéen de 19 ans, raconte son voyage vers l’Europe entamé il y a trois ans : « Je suis resté trois mois au Mali, le temps de réunir l’argent pour pouvoir ensuite aller en Algérie. » En Algérie, il travaille encore deux ans sur des chantiers. « On avait entendu qu’il fallait environ 2 000 euros pour passer du Maroc à l’Espagne », poursuit-il.

      A la frontière entre l’Algérie et le Maroc, il dit s’être fait confisquer 1 000 euros par des Touaregs. Arrivé à Rabat, il travaille à nouveau sur un chantier de construction, payé 100 dirhams (environ neuf euros) par jour, pour réunir les 1 000 euros manquants au financement de sa traversée de la Méditerranée. Il y reste presque un an. En octobre, il part pour Nador, une ville côtière au nord-est du pays. « On est resté caché une semaine dans la forêt avant de prendre le bateau, témoigne-t-il. On était 57 à bord. Des Maliens, des Guinées, des Ivoiriens. Un bateau de la Croix Rouge nous a porté secours au bout de quatre heures de navigation ».

      Comme la plupart de ceux qui arrivent sur les côtes espagnoles, Lamine s’est vu remettre un document par les autorités du pays, lui laissant un mois pour régulariser sa situation. Le jeune homme a ensuite rejoint en car, Madrid puis Bilbao et Irun. Il tente une première fois le passage de la frontière en bus mais se fait renvoyer par la police française. La deuxième fois, en échange de 50 euros, il trouve une place dans une voiture et parvient à gagner la France. « Je ne sais pas encore ce que je vais faire, reconnait-il. Je n’ai pas de famille qui finance mon voyage et je ne connais personne ici ».

      10 500 refus d’entrée prononcés en 2018

      Face à l’augmentation des traversées, les autorités françaises ont renforcé les contrôles aux frontières. Depuis le début de l’année 2018, 10 500 refus d’entrée ont été prononcés à la frontière franco-espagnole, soit une augmentation de 20 % par rapport à 2017. « La pression la plus forte est observée dans le département des Pyrénées-Atlantiques, où les non-admissions sont en hausse de 62 % », explique-t-on au ministère de l’intérieur. Dans les Pyrénées-Orientales, l’autre voie d’entrée majeure en France depuis l’Espagne, le nombre de non-admissions est reparti à la hausse depuis l’été, mais dans une moindre mesure.

      « Beaucoup de monde arrive par ici, assure Jacques Ollion, un bénévole de la Cimade basé à Perpignan. Les gares et les trains sont contrôlés parfois jusqu’à Narbonne. Et les cars internationaux aussi, au péage du Boulou (à une dizaine de kilomètres de la frontière). Ça, c’est la pêche miraculeuse. »

      Le nombre de non-admissions reste toutefois très inférieur à celui remonté de la frontière franco-italienne. En Catalogne comme au Pays basque, tout le monde s’accorde à dire que la frontière reste largement poreuse. Mais certains s’inquiètent d’une évolution possible à moyen terme. « Dès qu’il y a une fermeture, cela démultiplie les réseaux de passeurs et les lieux de passage, met en garde Corinne Torre, cheffe de mission France à Médecins sans frontières (MSF). Dans les Pyrénées, il y a énormément de chemins de randonnée ». Des cas d’arrivée par les cols de montagne commencent à être rapportés.

      Dans le même temps, les réseaux de passeurs prospèrent face aux renforcements des contrôles. « Comme les migrants ne peuvent pas traverser à pied, ils se retournent vers les passeurs qui les font traverser en voiture pour 150 à 350 euros », témoigne Mixel Bernadet, un militant de l’association basque Solidarité migrants - Etorkinekin.

      Une fois qu’ils sont parvenus à rejoindre le territoire, à Bayonne, Paris ou ailleurs, ces migrants n’en sont pas moins en situation irrégulière et confrontés à une difficulté de taille : enregistrés en Espagne au moment de leur arrivée en Europe, ils ne peuvent pas demander l’asile ailleurs que dans l’Etat par lequel ils sont entrés, en tout cas pas avant une période allant de six à dix-huit mois. Ils sont donc voués à être renvoyés en Espagne ou, plus vraisemblablement, à errer des mois durant, en France.

      Julia Pascual (Bayonne et Irun – Espagne –, envoyée spéciale)

      Poursuivi pour avoir aidé une migrante sur le point d’accoucher, le parquet retient « l’immunité humanitaire ». Le parquet de Gap a annoncé vendredi 2 novembre avoir abandonné les poursuites engagées contre un homme qui avait porté secours à une réfugiée enceinte, durant l’hiver à la frontière franco-italienne. Le 10 mars, Benoît Ducos, un des bénévoles aidant les migrants arrivant dans la région de Briançon, était tombé sur une famille nigériane, un couple et ses deux jeunes enfants, et deux autres personnes ayant porté la femme, enceinte de huit mois et demi, durant leur marche dans le froid et la neige. Avec un autre maraudeur, il avait alors décidé de conduire la mère en voiture à l’hôpital de Briançon. En chemin, celle-ci avait été prise de contractions et à 500 mètres de la maternité, ils avaient été arrêtés par un contrôle des douanes ayant retardé la prise en charge médicale selon lui, ce que la préfecture avait contesté. Le bébé était né dans la nuit par césarienne, en bonne santé. Une enquête avait ensuite été ouverte pour « aide à l’entrée et à la circulation d’un étranger en situation irrégulière ».

      https://mobile.lemonde.fr/societe/article/2018/11/03/entre-l-espagne-et-la-france-la-nouvelle-route-migratoire-prend-de-l-

    • #SAA, un collectif d’accueil et d’accompagnement des migrants subsahariens aux frontières franco-espagnoles

      Dans ce nouveau numéro de l’émission “Café des libertés”, la web radio du RAJ “Voix de jeunes” a reçu sur son plateau deux activistes du sud de la France plus exactement à Bayonne, il s’agit de Marie cosnay et Vincent Houdin du collectif SAA qui porte le prénom d’un jeun migrant guinéen décédé durant sa traversé de l’Espagne vers la France.
      Nos invités nous ont parlé de la création du collectif SAA, ses objectifs et son travail d’accueil et d’accompagnement des migrants subsahariens qui traversent la frontière franco-espagnole dans l’objectif d’atteindre les pays du Nord telle que l’Allemagne.
      Ils sont revenus également sur les difficultés que posent les politiques migratoires dans la région notamment celle de l’union européenne marquées par une approche purement sécuritaire sans se soucier de la question du respect des droits et la dignité des migrants.
      Ils ont aussi appelé au renforcement des liens de solidarité entre les peuples dans le monde entier.

      https://raj-dz.com/radioraj/2018/11/11/saa-collectif-daccueil-daccompagnement-migrants-subsahariens-aux-frontieres-

    • France : 19 migrants interpellés dans un bus en provenance de Bayonne et assignés à résidence

      Des douaniers français ont interpellé 19 personnes, dont un mineur, en situation irrégulière lundi dans un car au péage de #Bénesse-Maremne, dans les #Landes. L’adolescent de 17 ans a été pris en charge par le département, les autres ont reçu une #obligation_de_quitter_le_territoire (#OQTF) et sont assignés à résidence dans le département.

      Lors d’un contrôle lundi 12 novembre au péage de Bénesse-Maremne, sur l’autoroute A6 (dans les Landes), un car de la compagnie #Flixbus a été intercepté par des douaniers français. Après avoir effectué un contrôle d’identité à l’intérieur du véhicule, les autorités ont interpellé 19 personnes en situation irrégulière, dont une femme et un adolescent de 17 ans.

      Les migrants, originaires d’Afrique de l’ouest, ont été envoyés dans différentes #casernes de gendarmerie de la région (#Castets, #Tarnos, #Tartas, #Lit-et-Mixe) puis libérés quelques heures plus tard. Le mineur a quant à lui été pris en charge par le département.

      En attendant de trouver un #accord_de_réadmission avec l’Espagne, la préfecture des Landes a notifié aux 18 migrants majeurs une obligation de quitter le territoire français (OQTF). Ils sont également assignés à résidence dans le département des Landes et doivent pointer au commissariat trois fois par semaine.

      Un #accord signé entre la France et l’Espagne prévoit de renvoyer tout migrant se trouvant sur le territoire français depuis moins de quatre heures. Mais selon Jeanine de la Cimade à Mont-de-Marsan (à quelques kilomètres de Bayonne), ce n’est pas le cas de ces 18 migrants. « Ils ne peuvent pas être renvoyés en Espagne car ils ont passé quatre jours à Bayonne avant d’être arrêtés au péage », précise-t-elle à InfoMigrants.

      Les migrants sont assistés d’avocats du barreau de Dax, dans les Landes, et un bénévole de la Cimade est aussi à leurs côtés selon France Bleu.

      Cette opération des douanes a été menée le même jour que la visite du ministre français de l’Intérieur à la frontière franco-espagnole. Christophe Castaner s’est alors dit inquiet de « mouvements migratoires forts sur les Pyrénées » et a annoncé une coopération accrue avec l’Espagne.

      http://www.infomigrants.net/fr/post/13368/france-19-migrants-interpelles-dans-un-bus-en-provenance-de-bayonne-et
      #assignation_à_résidence

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      Commentaire :
      On peut lire dans l’article :
      "Un accord signé entre la France et l’Espagne prévoit de renvoyer tout migrant se trouvant sur le territoire français depuis moins de quatre heures. »
      --> c’est quoi cet accord ? Quand est-ce qu’il a été signé ? Quelqu’un a plus d’information ?

      C’est l’équivalent de l’accord bilatéral de réadmission entre la Suisse et l’Italie (signé en 2000 : https://www.admin.ch/opc/fr/classified-compilation/20022507/index.html) et qui a été « repêché » par la Suisse à partir de 2016 ?
      Ou comme celui qui a été apparemment signé entre la France et l’Italie récemment ?
      https://www.agi.it/estero/migranti_francia_salvini_respingimento_concordato-4511176/news/2018-10-20

      #accord_de_réadmission #accord_bilatéral

    • A Bayonne, nouvelle porte d’entrée des migrants, « l’urgence fait exploser les frontières politiques »

      Une fois la frontière franco-espagnole franchie, des migrants affluent par milliers à Bayonne. Là, le maire de centre-droit et des militants de gauche ont bricolé, main dans la main, un hébergement d’urgence sous le nez du préfet. Les exilés s’y reposent des violences subies au Maghreb, avant de sauter dans un bus et de se disperser aux quatre coins de France. Reportage dans les #Pyrénées.

      https://pbs.twimg.com/card_img/1075002126915518464/L_aQEp7o?format=jpg&name=600x314

      https://www.mediapart.fr/journal/france/181218/bayonne-nouvelle-porte-d-entree-des-migrants-l-urgence-fait-exploser-les-f

    • A Bayonne, nouvelle route migratoire, l’impressionnante #solidarité des habitants malgré les carences de l’État

      La route de la Libye et de l’Italie étant coupée, de plus en plus de migrants arrivent en Europe via le Maroc et l’Espagne. Certains passent ensuite par le Pays Basque. En deux mois, 2500 réfugiés ont déjà transité par un centre d’accueil ouvert à Bayonne. La démarche, d’abord spontanée, bénéficie désormais du soutien de la mairie. L’État a quant à lui exercé des pressions sur les chauffeurs de taxi ou les compagnies d’autobus, en exigeant notamment l’identité des voyageurs. Basta ! a passé la nuit du 31 décembre au 1er janvier aux côtés des bénévoles de la « Pausa », et des réfugiés qui appréhendent un avenir incertain.

      A peine investi, il a fallu trouver un nom au lieu. « Ça fait un peu stalag », remarque Joël dans un sourire navré [1]. Planté dans la cour de ce bâtiment désaffecté de la Légion, sous les lumières aveuglantes qui semblent plonger depuis des miradors invisibles, le salarié d’astreinte hésite encore à proposer aux migrants l’entrée d’un édifice tout en grillage et en barreaux. Sur le parvis goudronné, encadré par de hauts murs et surplombé par la citadelle militaire de Bayonne, l’ombre fuyante des lignes ferroviaires prolonge ce décor figé par le froid. Cependant, le panneau « Terrain militaire - défense de pénétrer » est déjà égayé d’une série colorée d’autocollants antifascistes, et de bienvenue aux migrants. A l’intérieur, derrière les vitres polies, la lumière se fait aussi plus chaleureuse.

      Le lieu s’appellera finalement « Pausa », la pause en basque. Comme le premier bâtiment d’accueil, à vingt mètres de là, trop exigu et qu’il a fallu abandonner aux premiers jours de décembre. Mais aussi comme cette authentique pause, au milieu d’un périple exténuant qui dure parfois plusieurs années. Bayonne est devenue en 2018 une nouvelle étape essentielle sur les chemins de l’exil vers la France ou le nord de l’Europe. Une porte d’entrée en terre promise. C’est ici qu’aura lieu, ce soir, le nouvel an des réfugiés. Comme un symbole d’espoir, celui d’une vie dans laquelle il serait enfin possible de se projeter, laissant de côté les embûches de la route déjà accomplie.

      Un répit salutaire de trois jours

      Kébé vient de Guinée, comme beaucoup d’arrivants ces dernières semaines. Au milieu des préparatifs de la fête, il lit, imperturbable dans sa couverture, le récit autobiographique d’un jeune footballeur camerounais qui rêve de gloire sportive mais ne connaît que désillusions. Kébé ne veut pas être footballeur. Ainé d’une famille nombreuse restée à Conakry, il voudrait reprendre l’école et apprendre le métier de coiffeur à Bayonne. Parce que, dit-il, « c’est une ville très jolie et d’importance moyenne ». Il a déjà commencé un dossier pour faire valoir sa minorité et prétendre à une scolarité. Mais le temps lui est compté au centre d’accueil des réfugiés, où l’on s’efforce de ne garder les migrants que trois jours. Le temps d’un répit salutaire pour faire le point, quand le quotidien des migrants n’est fait que de recherche d’argent, de nourriture, de transport, d’hébergement, de passeurs, de policiers, ou bien pire. Initialement en route pour Paris, sans rien connaître de la capitale et sans contact, il a trouvé, juge-t-il, sa destination.

      C’est aussi le cas d’Ibrahim, parti de Sierra Leone il y a deux ans, qui fixe les premiers spots colorés de la soirée, comme une célébration de son arrivée à bon port. « Ici on est bien accueilli », constate-t-il. Lui aussi a 17 ans. Sa vie n’est que succession de petits boulots pour financer des kilomètres vers l’Europe. Il a appris le français en route, et ne souhaitait pas rester en Espagne, « à cause du problème de la langue ». Il continue d’explorer, sur son smartphone, les possibilités sans doute infinies que lui promet sa nouvelle vie, en suivant avec intérêt les préparatifs de la fête.

      Internet, ce fil de vie qui relie les continents

      Les bénévoles ne ménagent pas leur peine pour faire de cette soirée de réveillon une réussite : pâtisserie, riz à la piperade, bisap à gogo, sono, lumières, ballons... seront de la partie. Un « Bonne année 2019 » gonflable barre l’allée centrale du vaste dortoir, et s’achève vers un minuscule renfoncement aménagé en salle de prière. Les affiches de la Légion n’ont pas disparu. Elles indiquent par exemple le lieu où devaient être soigneusement pliées les « chemises arktis sable ». Mais l’ordre militaire a largement été chamboulé. La pièce principale sert à la fois de dortoir, de réfectoire, de cuisine, de magasin de produits d’hygiène, de bureau.

      Une borne wifi assure le flux Internet, précieux fil de vie durant un voyage au long cours. La nouvelle connexion déleste au passage les bénévoles, auparavant contraints de connecter une flopée d’appareils sur leurs propres smartphones, pour improviser des partages de connexion. Les écrans des téléphones sont autant de lueurs qui recréent des foyers dans les recoins les plus sombres de ce camping chauffé. Des gamins jouent au foot dans la cour, et la musique résonne jusque sur le quai de l’Adour. L’avantage, c’est que chacun peut programmer sa musique et la défendre sur le dance floor, avant de retourner tenir salon dans la semi-pénombre ou disparaître sous une couverture. Le temps de quelques sourires, sur des masques d’inquiétude.

      Près de 450 bénévoles, militants aguerris ou nouveaux venus

      Les bénévoles ont trouvé le bon tempo, après avoir essuyé les plâtres des arrivées massives. Aux premiers jours d’ouverture de ce nouveau centre, début décembre, il fallait encore faire le tour complet d’une cuisine chaotique pour servir un seul café aux réfugiés qui arrivaient affamés et par paquets, jusqu’au milieu de la nuit. A Bayonne, on sent le sac et le ressac de la Méditerranée pourtant lointaine, et le tempo des traversées se prolonge au Pausa, au gré de la météo marine du détroit de Gibraltar. Les bénévoles ont intégré le rythme. Ils sont désormais près de 450, regroupés au sein de l’association Diakité, mélange improbable de militants associatifs aguerris et de présences spontanées, gérant l’urgence avec la seule pratique de l’enthousiasme.

      Cet attelage bigarré s’est formé à la fin de l’été 2017. Les premiers bayonnais ont commencé à descendre spontanément des gamelles et des vêtements sur la Place des Basques, de l’autre côté du fleuve. C’est là que se faisait le départ des bus long-courriers, avant que le vaste chantier du Tram’bus ne les déplace sur le quai de Lesseps. Puis l’automne est arrivé et les maraudes ont commencé, pour réchauffer les corps congelés et organiser, dans l’improvisation, un accueil d’urgence, qui prenait la forme d’un fil WhatsApp paniqué. Les bayonnais ont ouvert leurs portes, les dons de vêtements ont afflué, submergeant les bénévoles qui n’en demandaient pas tant.

      Le maire UDI de Bayonne, Jean-René Etchegaray, est entré dans la danse, arrondissant les angles jusqu’à ouvrir, dès le mois de novembre, un premier bâtiment municipal promis à destruction. L’évêque est arrivé bon dernier, et s’est fait éconduire par des bénévoles peu indulgents avec ses positions traditionalistes, notamment sur l’avortement ou les droits LGBT. Dommage pour le parc immobilier du clergé, que les bayonnais présument conséquent. Mais il y avait ce vaste entrepôt de l’armée, dans l’alignement du quai, qui sera bientôt entièrement requalifié. Sa capacité de 300 lits fait régulièrement le plein, et impose aux bénévoles une organisation rigoureuse, notamment pour assurer des présences la nuit et le matin.
      Pressions de l’État sur les compagnies de bus

      L’inquiétude courrait pourtant en cette fin d’année : les bénévoles risquaient la démobilisation et le centre promettait d’être bondé. En période de vacances scolaires, les prix des billets de bus s’envolent, clouant certains migrants à quai. Dans les dernières heures de 2018 en revanche, les tarifs chutent brutalement et les voyageurs fauchés en profitent pour s’éclipser. Cette nuit du 31 décembre, 40 migrants ont repris la route, laissant le centre investi par près de 140 pensionnaires et une tripotée de volontaires soucieux de porter la fête dans ce lieu du marasme et de la convalescence. Vers 23h, les candidats au départ sont regroupés. Le bus est en bas, la troupe n’a que quelques mètres à faire. L’équipe de nuit accompagne les migrants.

      Il y a quelques semaines, la tension est montée d’un cran lorsque les chauffeurs de la compagnie Flixbus ont exigé les identités des voyageurs, après qu’une vingtaine de sans-papiers aient aussi été débarqués d’un autocar par les forces de l’ordre, au premier péage après Bayonne. Le maire de la ville, Jean-René Etchegaray, est monté au créneau, sur place, pour s’insurger contre ces pratiques. Cet avocat de profession a dénoncé une discrimination raciale, constatant un contrôle qui ne concernait que les personnes de couleur. Il a aussi laissé les bénévoles stupéfaits, voyant leur maire de centre-droit ériger une barricade de poubelles pour barrer la route au bus récalcitrant. La direction de la compagnie a dû dénoncer les faits, et le climat s’est apaisé.

      N’en déplaise au préfet des Pyrénées-Atlantiques qui maintient la pression sur les professionnels, notamment les chauffeurs de taxi, en promettant amende, prison et confiscation de véhicule pour qui aide à la circulation des « irréguliers ». Mais les chauffeurs de bus connaissent leurs droits, et même certains bénévoles, à force de passages tous les deux ou trois jours. En cette soirée du nouvel an, les chauffeurs sont espagnols, et semblent assurés que le monde contemporain est suffisamment inquiétant pour qu’eux mêmes ne se mettent en prime à contrôler les identités. Fraternité, salutations, départ. Les migrants, après quelques sourires gratifiants, replongent inquiets dans leurs téléphones. Retour au chaud et à la fête, qui cette fois, bat son plein.
      « Et c’est peut-être cela qui m’empêche de dormir la nuit »

      Le camping a toutefois des allures d’hôpital de campagne, avec sa piste de danse bordée de lits de camps occupés. Les migrants arrivent souvent épuisés, et la présence d’enceintes à quelques mètres de leurs couvertures ne décourage pas certains à s’y enrouler. Les femmes, plus discrètes, regagnent un dortoir séparé qui leur offre une intimité bienvenue. Dans les lumières tournoyantes, bénévoles et migrants se mêlent en musique. Jessica est venue avec sa jeune fille, après plusieurs jours sans avoir pu se libérer pour donner un coup de main. Aziz est avec sa famille, en visiteur du quartier. Saidou, Baldé, Ibrahima, exultent en suivant les convulsions d’une basse ragga.

      Cyril, bénévole de la première heure, est attablé un peu plus loin et se repasse le film des derniers mois dans le répit de la liesse. Peut-être pense t-il à l’enfant récupéré sous un pont de Saint-Jean-de-Luz, dans une nuit glaciale et sous des trombes d’eau, que les bras de sa mère protégeaient avec peine. Aux trois filles prostrées, qui voyageaient ensemble depuis trois ans et dont deux étaient mystérieusement enceintes. Ou aux trois guinéennes stupéfaites, atterrées et terrorisées, qu’il a fallu convaincre longtemps, dans une nuit glacée, pour enrouler une couverture sur leurs épaules. A celle qui a dû abandonner ses enfants en Guinée et finit par « bénévoler » de ses propres ailes dans le centre, rayonnante dans sa responsabilité retrouvée. A celui qui a perdu sa femme, enceinte, dans les eaux noires de la méditerranée « et c’est peut-être cela qui m’empêche de dormir la nuit », dit-il. Et à tous ceux qui se perdent sur cette route sans fin.
      L’appui de la mairie, qui change tout sur le terrain

      Sur la piste de danse, Nathalie rayonne. Elle a débarqué il y a quelques jours de Narbonne, avec une fourgonnette pleine de matériel de première nécessité. Le problème des réfugiés lui tordait le ventre. Elle a organisé une collecte et souhaitait livrer Gap, dans les Hautes-Alpes, avant d’entendre parler de Bayonne et d’avaler 450 km pour sonner au centre, le 25 décembre, avec des couvertures, de la nourriture, des produits d’hygiène. Elle y est devenue bénévole à temps plein, pendant une semaine, avant de regagner ses théâtres où elle est costumière et perruquière. Mais elle note tout et promet un compte rendu complet aux structures militantes de sa région, à l’autre bout des Pyrénées. Notamment du côté de Perpignan où, dit-elle, « un jour ou l’autre ils arriveront et je ne suis pas sûre qu’ils seront accueillis de la même manière ». « Émerveillée par la solidarité des basques », elle relève surtout l’appui de la mairie aux bénévoles, qui change tout sur le terrain. « Vous êtes extraordinaire » a t-elle lancé au maire quelques jours auparavant.

      Jean-René Etchegaray, maire de Bayonne et président de la Communauté d’agglomération Pays Basque, est aussi venu saluer les migrants ce 31 décembre. Il est justement question qu’il tisse des liens avec d’autres maires qui s’investissent dans l’accueil des migrants, tel Mathieu Carême (écologiste) à Grande-Synthe. Un accompagnement politique qui est aussi, du point de vue de certains habitants, un gage de sécurité et de tranquillité publique. Si Jean-René Etchegaray reconnait avoir reçu « quelques lettres anonymes sur un ton plutôt FN », sourit-il, il constate aussi que, depuis que le centre a ouvert, les plaintes des habitants se sont tues. L’accueil organisé des migrants leur fournit un point de chute, aidant à les soustraire aux circuits de passeurs ou aux appétits mafieux, et à assurer leur propre sécurité. Le contraire de cette « jungle de Calais » que les premiers détracteurs de l’accueil brandissaient, un peu vite, comme une menace.
      Un soutien financier de la communauté d’agglomération, en attendant celui de l’État ?

      Au-delà de la solidarité pour « des gens qui arrivent escroqués et épuisés » et « doivent bien s’habiller quelque part », le premier magistrat de la commune et de l’agglomération se tourne aussi vers l’État pour la prise en charge de ces exilés. Il dénonce une forme de « sous-traitance » de la politique migratoire et de « démantèlement de l’autorité de l’État », tant à travers les pressions exercées à l’encontre des professionnels du transport, que dans le manque de moyens utilisés pour faire face à cette crise. La police se contente bien souvent de raccompagner, en douce, les migrants derrière la frontière, à 30 km de là, comme en attestent de multiples témoignages ainsi que des images de la télévision publique basque ETB. La Communauté d’agglomération Pays Basque a voté à l’unanimité une aide de 70 000 euros par mois pour soutenir le centre Pausa, en particulier pour financer l’équipe de sept salariés recrutée parmi les bénévoles, et fournir un repas quotidien. « Mais il faudra bien que l’État nous aide », prévient Jean-René Etchegaray.

      Dans cette attente, l’édile continue ses tournées d’inspection quotidienne du centre Pausa. Il commence par l’accueil, demande le nombre d’arrivées et de départs, s’assure que le petit bureau d’information sur les départs fonctionne, puis se rend dans la pièce principale, scrutant les lits disponibles, l’état des couvertures, s’assurant que tout fonctionne, échangeant avec les bénévoles et les voyageurs, « des gens remarquables » dit-il, et suivant des yeux, amusé, les évolutions d’un petit groupe de migrants qui passe le balais, preuve que « tout se régule », sourit-il. Au-delà des problèmes de logistique, prestement résolus, Jean-René Etchegaray est en première ligne pour réclamer aux grandes enseignes de sa circonscription des vêtements, des couvertures, de la nourriture ou de petites urgences ponctuelles, comme des gants et des bonnets. Et assurer la fluidité de cette solidarité qui s’organise encore, et prend de l’ampleur chaque jour.
      2500 réfugiés ont déjà transité par la Pausa

      Pour l’heure, le temps s’arrête sur un compte à rebours déniché sur Internet. 3 - 2 - 1 - 0 ! Tout le monde s’embrasse dans la salle, au milieu d’autres corps terrés sous une masse de couvertures. Un élan qui mêle réfugiés et bénévoles pour conjurer le mauvais sort, valider le travail abouti, triompher de cette année qui a bouleversé Bayonne, et appréhender un avenir incertain où, d’un côté comme de l’autre, rien n’est gagné. Mais l’étape est belle. 2500 réfugiés ont transité par le centre Pausa en deux mois. La route du Maroc et de l’Espagne a été empruntée par plus de 50 000 personnes en 2018, à mesure que celle de la Libye se ferme sur des milliers de morts et d’exactions, et l’évacuation de 17 000 personnes par l’Office internationale des migrations.

      Le dispositif du Centre d’accueil de Bayonne est prévu jusqu’au mois d’août 2019, mais rien ne dit que le flux humain tarira. Le maire est en train de prévoir l’ouverture d’une annexe dans le bâtiment militaire voisin. Un stalag II, railleront les bénévoles, qui lui redonneront tout de même un nom plus reposant, des couleurs, et tout ce qui peut revigorer les âmes sans tanière sur leur route incertaine.

      https://www.bastamag.net/A-Bayonne-nouvelle-route-migratoire-l-impressionnante-solidarite-des-habit

  • Migranti : La Francia risponde a Salvini dopo il video. « Respingimento concordato con l’Italia »

    La Francia ha replicato alle accuse del ministro dell’Interno italiano, Matteo Salvini, che aveva denunciato un nuovo sconfinamento venerdì mattina nella zona di Claviere, e ha replicato che si trattava di un regolare respingimento.
    Il video diffuso da Salvini, mostra «un respingimento fatto da un mezzo della polizia di frontiera francese di tre migranti esattamente alla demarcazione del confine franco-italiano, come si vede dal cartello», ha precisato la prefettura francese del dipartimento delle Alte Alpi, in risposta alla denuncia del vicepremier italiano.

    https://www.agi.it/estero/migranti_francia_salvini_respingimento_concordato-4511176/news/2018-10-20
    #accord_bilatéral #France #Italie #renvois #expulsions #frontières

    Et... #modèle_suisse, pour @isskein et @i_s_
    car à la frontière entre #Côme et #Chiasso, la même chose a été faite à partir de l’été 2016...
    Ici le texte de l’accord : https://www.admin.ch/opc/fr/classified-compilation/20022507/index.html
    #Suisse

    v. aussi : https://seenthis.net/messages/736091

    • Matteo Salvini envoie la police pour empêcher le renvoi de migrants en Italie par la France

      Le ministre italien de l’Intérieur a dénoncé vendredi le fait que des policiers français aient déposé des migrants à la frontière italienne. Une pratique pourtant habituelle entre les deux pays, fait valoir la préfecture française.

      Le ministre italien de l’Intérieur, Matteo Salvini, a annoncé ce samedi l’envoi de policiers italiens pour patrouiller à la frontière française afin d’empêcher les refoulements de migrants.

      La polémique est née vendredi, lorsque Matteo Salvini a posté sur Twitter une vidéo filmée par un habitant de Clavière, agrémentée d’une musique dramatique, montrant une voiture de la police française déposer les migrants côté italien et repartir vers la France, à une vingtaine de mètres de là.
      « Sans explications rapides, complètes et convaincantes, nous nous trouverons face à une provocation et à un acte hostile », avait-il commenté. En fait d’explications, la préfecture des Hautes-Alpes, du côté français, a fait valoir dans un communiqué qu’il s’agissait d’« une procédure de non-admission à la frontière en tous points conforme à la pratique agréée entre la police française et la police italienne ainsi qu’au droit européen ».

      Selon la préfecture, les trois personnes avaient été refusées faute de documents valables au point de passage de Montgenèvre, 500 mètres plus loin, et le commissariat de Bardonnecchia, le plus proche, avait été informé. Selon Matteo Salvini, le commissariat a bien été informé vendredi matin, mais 20 minutes après le moment où la vidéo a été tournée.
      Pas d’accord entre les deux pays, selon Salvini

      Le ministre italien a par ailleurs contesté l’existence d’un accord entre la France et l’Italie : « Il n’y a pas d’accord bilatéral Italie-France, écrit et officiel, qui permette ce type d’opération. Si Macron parle de "pratique habituelle", c’est le gouvernement qui nous a précédé qui doit en répondre », a dénoncé Matteo Salvini. « Maintenant les temps ont changé et nous n’acceptons pas que des étrangers arrêtés en territoire français soient amenés en Italie sans que nos forces de l’ordre puis vérifier leur identité », a-t-il ajouté.

      Ce samedi, Salvini a posté un nouveau tweet, accompagné de photos montrant des policiers italiens montant la garde à l’endroit même où ont été déposés les trois migrants vendredi matin. « L’énième abus des autorités françaises, qui ont aussi profité de la bonne foi de notre police, aura des conséquences : des voitures de patrouille ont été envoyées à Clavière pour contrôler et garder la frontière », a-t-il écrit.

      Son annonce s’accompagne de photos montrant des policiers italiens montant la garde à l’endroit même où une voiture de police française a déposé trois migrants vendredi matin.

      Chaque année, des milliers de migrants cherchant à passer en France sont interceptés et reconduits à la frontière italienne. Nombre d’entre eux sont déposés directement par la police française devant la gare de Bardonecchia. Ces refoulements sont une procédure distincte des centaines de demandeurs d’asile que la France renvoie chaque année en Italie en application des accords de Dublin, qui obligent à déposer sa demande d’asile dans le premier pays européen traversé.

      https://www.liberation.fr/planete/2018/10/20/matteo-salvini-envoie-la-police-pour-empecher-le-renvoi-de-migrants-en-it
      #militarisation_des_frontières #frontières #police #Briançon #Claviere #Clavière #Bardonecchia #Italie #France

      Les tweet de Salvini :


      https://twitter.com/matteosalvinimi/status/1053328138619510784?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E10


      https://twitter.com/matteosalvinimi/status/1053644234753036288?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E10
      ping @isskein

    • AGGIORNAMENTO SU CLAVIERE, BASTA PRESE IN GIRO! HO INVIATO PATTUGLIE

      La Francia ha comunicato di voler consegnare un gruppo di immigrati alle 9.49 di ieri (quelli del video pubblicato su questa Pagina), peccato li avesse già abbandonati in territorio italiano. Non solo.
      Non c’è alcun accordo bilaterale Italia-Francia, scritto e ufficiale, che consenta questo tipo di operazioni. Se Macron parla di “prassi” ne deve rispondere il governo che ci ha preceduto: ora l’aria è cambiata e non accettiamo che vengano portati in Italia extracomunitari fermati in territorio francese, senza che le nostre forze dell’ordine possano verificarne l’identità.
      L’ennesimo abuso delle autorità francesi, che hanno approfittato anche della buonafede della nostra Polizia, avrà conseguenze: per nostra iniziativa a Claviere sono già state inviate delle auto di pattuglia per controllare e presidiare il confine.
      Dalle parole ai fatti.


      Source : page FB de Salvini
      https://www.facebook.com/salviniofficial/posts/10156144985038155

    • Mobilisation de policiers italiens contre les refoulements de migrants par la France

      Le ministère italien de l’Intérieur, Matteo Salvini, a annoncé samedi l’envoi de policiers italiens pour patrouiller à la frontière française afin d’empêcher les refoulements de migrants par la France. Dans la soirée, les autorités françaises ont proposé de tenir une rencontre « dans les meilleurs délais ».

      Après le dernier refoulement de migrants vers l’Italie, conduit vendredi par la police française, Rome annonce un renforcement policier à la frontière avec la France pour stopper ces renvois considérés comme abusifs. « L’énième abus des autorités françaises, qui ont aussi profité de la bonne foi de notre police, aura des conséquences : des voitures de patrouille ont été envoyées à Clavière pour contrôler et garder la frontière », a écrit le premier ministre Matteo Salvini sur les réseaux sociaux. Son annonce s’accompagne de photos montrant des policiers italiens montant la garde à l’endroit même où une voiture de police française a déposé trois migrants vendredi matin.

      Dans la soirée, les autorités françaises ont proposé de tenir « dans les meilleurs délais » une rencontre « pour améliorer la coopération entre les services » chargés de la surveillance de la frontière franco-italienne. Cette réunion serait organisée au niveau préfectoral, a indiqué la préfecture des Hautes-Alpes dans un communiqué.

      Matteo Salvini (extrême droite) avait diffusé vendredi soir une vidéo filmée par un habitant de Clavière, agrémentée d’une musique dramatique, montrant la voiture de la police française déposer les migrants côté italien et repartir vers la France, à une vingtaine de mètres de là. « Sans explications rapides, complètes et convaincantes, nous nous trouverons face à une provocation et à un acte hostile », avait-il commenté.
      « Instrumentalisation politique »

      La préfecture des Hautes-Alpes, du côté français, avait fait valoir vendredi dans un communiqué qu’il s’agissait d’« une procédure de non-admission à la frontière en tous points conforme à la pratique agréée entre la police française et la police italienne ainsi qu’au droit européen ». Selon la préfecture, les trois personnes avaient été refusées faute de documents valables au point de passage de Montgenèvre, 500 mètres plus loin, et le commissariat de Bardonnecchia, le plus proche, avait été informé.

      Selon Matteo Salvini, le commissariat a bien été informé vendredi matin, mais 20 minutes après le moment où la vidéo a été tournée. « Et ce n’est pas tout. Il n’y a pas d’accord bilatéral Italie-France, écrit et officiel, qui permette ce type d’opération. Si (le président français Emmanuel) Macron parle de ‘pratique habituelle’, c’est le gouvernement qui nous a précédé qui doit en répondre », a dénoncé le ministre italien. « Maintenant les temps ont changé et nous n’acceptons pas que des étrangers arrêtés en territoire français soient amenés en Italie sans que nos forces de l’ordre puis vérifier leur identité », a-t-il ajouté.

      Chaque année, des milliers de migrants cherchant à passer en France sont interceptés et reconduits à la frontière italienne. L’AFP a constaté l’hiver dernier que nombre d’entre eux étaient déposés directement par la police française devant la gare de Bardonecchia.

      Ces refoulements sont une procédure distincte des centaines de demandeurs d’asile que la France renvoie chaque année en Italie en application des accords de Dublin, qui obligent à déposer sa demande d’asile dans le premier pays européen traversé.

      En début de semaine, Matteo Salvini avait déjà dénoncé « une offense sans précédent » après une incursion de la gendarmerie française pour déposer des migrants dans une zone boisée près de Clavière. Dans ce cas, la France avait reconnu « une erreur » en expliquant que ces gendarmes ne connaissaient pas bien la région, mais un porte-parole du président Emmanuel Macron avait aussi dénoncé une « instrumentalisation politique » menée par Matteo Salvini.

      Les relations entre Rome et Paris se sont tendues ces derniers mois. L’Italie accuse ses partenaires européens, à commencer par la France, de l’avoir laissée seule gérer la crise migratoire et les quelque 700.000 migrants arrivés sur ses côtes depuis 2013.

      http://www.lefigaro.fr/international/2018/10/20/01003-20181020ARTFIG00102-mobilisation-de-policiers-italiens-contre-les-ref

    • Migrants refoulés par la France : Salvini envoie des policiers à la frontière

      Le ministre italien de l’Intérieur Matteo Salvini a envoyé samedi des policiers patrouiller à la frontière française afin d’empêcher les refoulements de migrants, au lendemain de la reconduite de trois clandestins, qualifiée de normale par la France.

      « L’énième abus des autorités françaises (...) aura des conséquences : des voitures de patrouille ont été envoyées à Clavière pour contrôler et garder la frontière », a écrit le ministre d’extrême droite sur les réseaux sociaux.

      Son annonce s’accompagne de photos montrant des policiers italiens montant la garde à l’endroit où une voiture de police française a déposé trois migrants vendredi matin, à une vingtaine de mètres à l’intérieur du territoire italien.

      M. Salvini avait diffusé quelques heures plus tard une vidéo de ce refoulement filmée par un habitant de Clavière et agrémentée d’une musique dramatique.

      « Sans explications rapides, complètes et convaincantes, nous nous trouverons face à une provocation et à un acte hostile », avait-il commenté.

      Selon les représentants de l’Etat dans le département français des Hautes-Alpes, il s’agissait d’"une procédure de non-admission à la frontière en tous points conforme à la pratique agréée entre la police française et la police italienne ainsi qu’au droit européen".

      Les trois personnes avaient été refusées, faute de documents valables au point de passage de Montgenèvre, 500 mètres plus loin, et le commissariat de Bardonnecchia, le plus proche, avait été informé.

      Selon M. Salvini, l’information a été transmise 20 minutes après la vidéo, empêchant les forces de l’ordre italiennes de contrôler qui étaient les personnes reconduites sur leur territoire.

      « Et ce n’est pas tout. Il n’y a pas d’accord bilatéral Italie-France, écrit et officiel, qui permette ce type d’opération. Si (le président français Emmanuel) Macron parle de +pratique habituelle+, c’est le gouvernement qui nous a précédés qui doit en répondre », a dénoncé le ministre italien.

      « Maintenant les temps ont changé et nous n’acceptons pas que des étrangers arrêtés en territoire français soient amenés en Italie sans que nos forces de l’ordre puissent vérifier leur identité », a-t-il ajouté.

      Chaque année, des milliers de migrants cherchant à passer en France sont interceptés et reconduits à la frontière italienne. L’AFP a constaté l’hiver dernier que nombre d’entre eux étaient déposés par la police française devant la gare de Bardonecchia.

      Dans un entretien à la revue Politique internationale paru cette semaine, M. Salvini a affirmé que la France avait procédé à 48.000 refoulements depuis janvier à Vintimille, sur la côte, le principal point de passage des migrants.

      Evoquant M. Macron, il avait ajouté : « C’est tout à fait son droit de protéger sa frontière, son droit le plus absolu. Mais qu’il ne vienne pas me donner des leçons et me faire la morale ».

      Ces refoulements sont une procédure distincte du renvoi par la France de centaines de demandeurs d’asile chaque année en Italie en application des accords de Dublin, qui obligent à déposer sa demande d’asile dans le premier pays européen traversé.

      En début de semaine, M. Salvini avait déjà dénoncé « une offense sans précédent » après une incursion de la gendarmerie française pour déposer des migrants dans une zone boisée près de Clavière.

      Dans ce cas, la France avait reconnu « une erreur » en expliquant que ces gendarmes ne connaissaient pas bien la région, mais un porte-parole du président Macron avait aussi dénoncé une « instrumentalisation politique » menée par M. Salvini.

      Pour tenter de désamorcer le conflit, les autorités françaises ont proposé dans la soirée de tenir « dans les meilleurs délais » une rencontre « pour améliorer la coopération entre les services » chargés de la surveillance de la frontière franco-italienne.

      Cette réunion serait organisée au niveau préfectoral, a indiqué la préfecture des Hautes-Alpes dans un communiqué.

      "A la demande du ministre de l’intérieur Christophe Castaner, la préfecture a proposé « qu’une réunion entre les préfets soit organisée sur place, dans les meilleurs délais, avec la participation des responsables nationaux de la police des deux pays pour améliorer la coopération entre les services », a-t-on précisé.

      Les relations entre Rome et Paris se sont tendues ces derniers mois. L’Italie accuse ses partenaires européens, à commencer par la France, de l’avoir laissée seule gérer la crise migratoire et les quelque 700.000 migrants arrivés sur ses côtes depuis 2013.

      https://www.la-croix.com/Monde/Migrants-refoules-France-Salvini-envoie-policiers-frontiere-2018-10-20-130

    • Matteo Salvini invite Christophe Castaner à Rome pour discuter de la crise migratoire

      Matteo Salvini a invité dimanche le nouveau ministre de l’Intérieur français, Christophe Castaner, pour discuter des opérations de refoulement de migrants à la frontière entre la France et l’Italie et améliorer la coopération.

      Le ministre italien de l’Intérieur, Matteo Salvini, a invité dimanche 21 octobre son homologue français, Christophe Castaner, pour améliorer la coopération à la frontière.

      « L’Italie n’est plus lâche et résignée à être le camp de réfugiés de l’Europe, aux ordres de Bruxelles et de Berlin. J’attends mon collègue ministre de l’Intérieur Castaner à Rome, mais en attendant, nous continuerons à patrouiller aux frontières », a annoncé le ministre sur les réseaux sociaux.

      Samedi soir, la France avait proposé une rencontre « dans les meilleurs délais » mais limitée au niveau préfectoral « pour améliorer la coopération » à la frontière.

      « Pas d’accord bilatéral Italie-France »

      Au cours de la semaine, Matteo Salvini s’est emporté à plusieurs reprises contre des opérations de refoulement de migrants au cours desquelles la gendarmerie ou la police française ont pénétré en territoire italien dans le village alpin de Clavière.

      Les autorités françaises ont évoqué une « erreur » de gendarmes connaissant mal la zone pour le premier incident et une « pratique agréée » pour le second, où les Français n’ont pénétré que de quelques mètres en Italie. « Il n’y a pas d’accord bilatéral Italie-France, écrit et officiel, qui permette ce type d’opération », a répliqué samedi Matteo Salvini.

      Depuis samedi, des policiers italiens montent la garde à la frontière française à Clavière, l’un des différents points, sur la côte méditeranéenne ou en montagne, où des milliers de migrants cherchent chaque année à passer en France.

      Plus de 45 000 refoulements de migrants

      Beaucoup sont interceptés et reconduits à la frontière, souvent à plusieurs reprises. Depuis janvier, il y a eu plus de 45 000 refoulements de ce type, selon le ministère français de l’Intérieur.

      Il s’agit d’une procédure distincte du renvoi en Italie par la France de centaines de demandeurs d’asile chaque année, en application des accords de Dublin, qui obligent à déposer sa demande d’asile dans le premier pays européen traversé.

      Dans un entretien au Journal du Dimanche, Christophe Castaner, qui a pris ses fonctions mardi, a promis de « ne pas ajouter de la polémique à la polémique », mais a revendiqué une « politique ferme contre l’immigration irrégulière », assurant que la France n’avait « pas vocation à être une ’instance d’appel’ des déboutés de l’Allemagne ou de l’Italie ».

      Les relations entre Rome et Paris se sont tendues ces derniers mois. L’Italie accuse ses partenaires européens, à commencer par la France, de l’avoir laissée seule gérer la crise migratoire et les quelque 700 000 migrants arrivés sur ses côtes depuis 2013.

      http://www.infomigrants.net/fr/post/12809/matteo-salvini-invite-christophe-castaner-a-rome-pour-discuter-de-la-c

    • Altro che confini. Rifugiati: il vero cuore del problema

      Gli sconfinamenti dei gendarmi francesi che depositano migranti al di là della frontiera italiana sono diventati l’occasione per un nuovo scontro tra Roma e Parigi e per una corrispondente esibizione di orgoglio nazionale ferito. In realtà, intorno all’accoglienza dei richiedenti asilo si consuma non da oggi una sorda e poco onorevole partita.
      Per anni l’Italia come la Grecia ha fatto da ponte per il transito delle persone in cerca di asilo verso l’interno del continente. Gli interessati del resto non chiedevano di meglio. Milano negli anni di picco della cosiddetta “crisi dei rifugiati” funzionava da centro di snodo tra gli arrivi dal Sud Italia e le nuove partenze verso il Centro e Nord dell’Europa. Gli sbarcati venivano informalmente avviati alle stazioni e consigliati di prendere determinati treni a lunga percorrenza.
      Le autorità avvertivano Milano, dove si organizzava la prima accoglienza in stazione. Pochi giorni per i siriani, un po’ di più per gli eritrei. Il tempo di riprendere le forze, di trovare passatori affidabili, eventualmente di raccogliere il denaro necessario. Poi ripartivano. I rifugiati che si fermavano e venivano accolti a Milano erano una modesta frazione di quelli transitati.
      Tra il numero di cittadini stranieri sbarcati in Italia dal mare e richieste ufficiali di asilo si produceva dunque un’ampia forbice. Questa nel tempo si è gradualmente ridotta. La quota dei richiedenti asilo in Italia rispetto agli sbarchi è passata dal 37% del 2014 al 56% del 2015 al 68% nel 2016. Nel 2017 le richieste di asilo hanno addirittura superato gli sbarchi: 130.119 contro 119.310, a causa di arrivi dalle frontiere orientali e respingimenti da altri Paesi verso l’Italia.
      Le ragioni di questo brusco cambiamento sono due: primo, l’accordo raggiunto in sede Ue per l’istituzione dei cosiddetti hotspot nei luoghi di sbarco, con l’identificazione obbligatoria degli sbarcati e il prelievo anche forzoso delle impronte digitali. Secondo, i controlli rigidi attuati alla frontiera alpina dai nostri vicini.
      Il corrispettivo dell’identificazione dei richiedenti asilo in Italia doveva essere la loro redistribuzione nella Ue secondo quote prestabilite. L’accordo prevedeva numeri precisi, pubblicati in un’apposita tabella. Subito dopo, però, i partner hanno cominciato a sfilarsi, gruppo di Visegrad e Regno Unito in testa. In sostanza gli accordi sono stati attuati a rilento, con circospezione e riluttanza.
      Dopo appena 13.000 ricollocamenti, il programma è stato ingloriosamente chiuso, mentre rimangono in vigore le convenzioni di Dublino che gravano sui Paesi di primo ingresso. I governi dei Paesi interni alla Ue finora hanno il diritto dalla loro parte: sono legittimati a rimandare in Italia i profughi che sconfinano. Controllando in modo permanente i valichi di frontiera e i punti di passaggio interpretano invece le norme di Schengen in un modo che a molti giuristi appare illegittimo. Ma proprio dalle intercettazioni alla frontiera nasce la prassi di espulsioni rapide e informali, attuate dalle forze di polizia anche altrove, per esempio sui treni, senza passare attraverso le procedure previste.
      Lo scandalo per lo sconfinamento dei gendarmi francesi non è dunque che l’ultimo anello di un sistema inadeguato di governo del diritto di asilo. Una disinvoltura procedurale nell’attuazione di espulsioni, che i francesi avrebbero comunque il diritto di compiere. Il vero problema sta invece altrove. I richiedenti asilo sono trattati da tutti i governi come rifiuti ingombranti da scaricare sul campo dei vicini, come merce imbarazzante senza nome e senza volto.

      Source : https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/altro-che-confini

    • Tension à la frontière

      Il fait froid ce soir à Clavière. En cette saison automnale, la petite commune, nichée au creux des Alpes et située à une centaine de kilomètres de Turin et à trois kilomètres et demi de la frontière française, semble abandonnée. Dans un mois, avec l’arrivée de la première neige et des touristes qui emprunteront les pistes de ski, tout changera, la commune se repeuplera.

      De l’autre côté de la frontière, dans le petit village français de Montgenèvre, le scénario est identique. Depuis plusieurs mois, ces deux villages servent de toile de fond à la terrible bataille que se livrent la France et l’Italie sur la question migratoire. La guerre des mots est ouverte…
      L’Italie sonne la charge

      Rome accuse Paris de lui renvoyer un peu trop de migrants. Et, plus grave encore, de ne pas respecter les règles en franchissant ponctuellement la ligne de démarcation pour refouler les candidats au rêve français, en s’appuyant sur les accords de Dublin (voir ci-dessous). Des accords qui autorisent un pays membre de l’Union européenne à renvoyer un migrant dans le pays où il a été enregistré à son arrivée en Europe.

      De son côté, Paris s’excuse et promet d’ouvrir une enquête, tandis que la Préfecture des Hautes-Alpes, à Gap, multiplie les communiqués de presse pour assurer que les règles sont respectées et que les gendarmes ne dépasseront plus la ligne de démarcation.

      « L’été dernier, les gendarmes entraient tous les jours dans Clavière et déposaient les migrants dans la cour d’un immeuble, ils les faisaient descendre de leur voiture et leur disaient de ne plus essayer de repasser la frontière, ils n’avertissaient jamais les carabiniers italiens, toute la presse locale en a parlé », confie le restaurateur Alessandro Magliola.

      Pour obliger les douaniers français à ne plus franchir la frontière, Matteo Salvini a renforcé les contrôles à la sortie de Clavière. Depuis début octobre, des renforts sont arrivés et des policiers en civil veillent sur la ligne de démarcation. Tout en accusant la France d’arrogance et en invoquant la souveraineté de son pays en matière de frontières, le patron de la Ligue réclame également une réunion entre les préfets des deux régions pour mettre les choses au point et convenir d’une nouvelle stratégie.
      L’attente des migrants

      Dans la grande avenue de Clavière, un petit groupe de migrants d’origine africaine, deux femmes et trois hommes, discutent entre eux à un arrêt d’autobus. A quelques mètres, deux carabiniers les observent derrière le pare-brise de leur véhicule. Ils n’ont visiblement pas l’intention d’intervenir. Ils attendent. Les migrants aussi attendent. Un passeur doit arriver et les aider à franchir la ligne de démarcation pour passer en France.

      « L’été dernier, les gendarmes rentraient tous les jours dans Clavière. » Alessandro Magliola

      Une jeune Nigérienne rejoint le petit groupe. Il y a quelques heures, ce matin tôt, elle a été expulsée par la gendarmerie française. « C’est la deuxième fois que j’essaye de passer en France. A chaque fois, je me suis fait attraper par les flics français, mais cela ne fait rien, j’y arriverai bien à la fin », soupire Issif.

      Ce soir, lorsque la nuit sera tombée, ce jeune homme âgé de vingt-cinq ans à peine et parti de la Guinée il y a trois ans tentera à nouveau sa chance. Il coupera peut-être par le terrain de golf qui longe Clavière et arrive de l’autre côté de la frontière, à Montgenèvre. Ou bien, il empruntera les sentiers caillouteux de randonnées. S’il ne se fait pas épingler par les douaniers français, Issif rejoindra Briançon, situé à 25 km de la frontière, en bas dans la vallée. Puis, il partira vers la Belgique, où l’attend son père.
      « Il faut se cacher »

      En voiture, 25 km ce n’est pas beaucoup. Mais à pied, cela représente un sacré bout de chemin. « Il faut se cacher pour éviter de se faire prendre et d’être immédiatement ramené en Italie. Dans le meilleur des cas, on met sept à dix heures, dans le pire, jusqu’à trois jours parce qu’il faut marcher dans des sentiers isolés où on se perd facilement » confie Issif. A-t-il peur ? « Bien sur que j’ai peur. On m’a raconté qu’il y a deux jours, trois Africains se sont perdus en essayant de franchir le col du Chaberton. Ils ont appelé les secours et un hélicoptère est venu les récupérer », raconte le jeune homme.

      Le temps passe, le passeur n’est toujours pas là. « Les gens qui doivent nous aider devraient être là depuis longtemps, ils ne viendront probablement pas ce soir, tant pis. Je vais tenter le coup tout seul, avec un peu de chance, les douaniers me laisseront passer », murmure Brian, un gamin d’une vingtaine d’années qui a quitté le Niger il y a six mois pour tenter sa chance en Europe.

      Le laisser passer. Dans la tête de Brian, son avenir se joue sur ces trois mots. Mais il y a peu de chances que les douaniers italiens et français le laissent se glisser entre les mailles des filets installés des deux côtés de la zone de démarcation. « Avant, les douaniers détournaient leur regard, ils laissaient passer des migrants. Aujourd’hui, après les épisodes des gendarmes français qui n’ont pas respecté la ligne de démarcation, tout a changé, plus question de laisser passer qui que ce soit », confie Roberto.
      Réseau de volontaires

      Cet homme au visage buriné par l’air de la montagne fait partie d’un réseau de volontaires qui aident les migrants en transit à Clavière. « On leur donne à manger, on essaye de leur trouver un endroit où dormir en attendant de tenter leur coup et de passer la frontière. On ne peut pas les laisser traîner la nuit dans les rues ; j’en ai fait passer l’an dernier par le terrain de golf et les sentiers perdus, mais aujourd’hui, c’est plus compliqué », soupire Roberto.

      La nuit tombe sur Clavière et Montgenèvre. Les migrants se préparent à partir. En dessous du panneau indiquant la zone italienne, les carabiniers ont l’air nerveux. De l’autre côté, dans leur guérite, les gendarmes observent le bas-côté de la route. Un groupe de soldats discute. La nuit sera longue. LA LIBERTÉ
      Discorde entre Rome et Paris

      Rien ne va plus entre Rome et Paris sur la question des reconductions de migrants à la frontière italienne, et plus particulièrement sur les modalités mises en place par les autorités françaises. Outre le nombre grandissant de migrants refoulés depuis vingt mois, Rome affirme que les douaniers français dépassent ponctuellement la ligne de démarcation entre les deux pays, au détriment des normes en vigueur.

      Les Italiens prétendent aussi que les douaniers français reconduisent des mineurs, un fait démenti par la Préfecture des Hautes-Alpes. Selon les chiffres officiels, les douaniers français ont recensé l’an dernier 1899 cas de non-admission contre 315 en 2016.

      « En 2017, 1240 personnes se déclarant mineures ont été enregistrées au Conseil départemental, contre 65 en 2016. Pour 2018, on dénombre (au 25 octobre) 2920 non-admissions réalisées et 2085 personnes se déclarant mineures enregistrées au Conseil départemental. Tout ceci démontre une forte poussée de la pression migratoire à travers la frontière de Clavière et Montgenèvre », a déclaré le week-end dernier Cécile Bigot-Dekeyzer, préfète des Hautes-Alpes.

      Selon celle-ci, contrairement « à la pratique sur d’autres segments de la frontière franco-italienne, la police italienne n’est pas en capacité de prendre en charge les personnes non admises, de sorte que les forces de sécurité françaises reconduisent ces personnes jusqu’au seul emplacement sécurisé à proximité immédiate de la ligne de démarcation de la frontière franco-italienne. »

      Des explications insuffisantes pour Matteo Salvini, mais aussi pour les magistrats italiens qui ont ouvert deux enquêtes contre la gendarmerie française pour violation de la ligne de démarcation et port d’armes non autorisé.

      Discorde entre Rome et Paris

      Rien ne va plus entre Rome et Paris sur la question des reconductions de migrants à la frontière italienne, et plus particulièrement sur les modalités mises en place par les autorités françaises. Outre le nombre grandissant de migrants refoulés depuis vingt mois, Rome affirme que les douaniers français dépassent ponctuellement la ligne de démarcation entre les deux pays, au détriment des normes en vigueur.

      Les Italiens prétendent aussi que les douaniers français reconduisent des mineurs, un fait démenti par la Préfecture des Hautes-Alpes. Selon les chiffres officiels, les douaniers français ont recensé l’an dernier 1899 cas de non-admission contre 315 en 2016.

      « En 2017, 1240 personnes se déclarant mineures ont été enregistrées au Conseil départemental, contre 65 en 2016. Pour 2018, on dénombre (au 25 octobre) 2920 non-admissions réalisées et 2085 personnes se déclarant mineures enregistrées au Conseil départemental. Tout ceci démontre une forte poussée de la pression migratoire à travers la frontière de Clavière et Montgenèvre », a déclaré le week-end dernier Cécile Bigot-Dekeyzer, préfète des Hautes-Alpes.

      Selon celle-ci, contrairement « à la pratique sur d’autres segments de la frontière franco-italienne, la police italienne n’est pas en capacité de prendre en charge les personnes non admises, de sorte que les forces de sécurité françaises reconduisent ces personnes jusqu’au seul emplacement sécurisé à proximité immédiate de la ligne de démarcation de la frontière franco-italienne. »

      Des explications insuffisantes pour Matteo Salvini, mais aussi pour les magistrats italiens qui ont ouvert deux enquêtes contre la gendarmerie française pour violation de la ligne de démarcation et port d’armes non autorisé.

      https://lecourrier.ch/2018/10/31/tension-a-la-frontiere

      Je pense qu’il y a une erreur :

      Rome accuse Paris de lui renvoyer un peu trop de migrants. Et, plus grave encore, de ne pas respecter les règles en franchissant ponctuellement la ligne de démarcation pour refouler les candidats au rêve français, en s’appuyant sur les accords de Dublin (voir ci-dessous).

      Ce n’est pas Dublin, mais de vieux accords bilatéraux qui ont été « réactivés » si on peut dire ainsi...

      Peut-être ici la réponse ?
      Reconduite d’un étranger vers un autre pays de l’Union européenne
      https://www.demarches.interieur.gouv.fr/particuliers/reconduite-etranger-pays-union-europeenne

    • Migrants refoulés par la France : Salvini envoie des policiers à la frontière

      Le ministre italien de l’Intérieur Matteo Salvini a envoyé samedi des policiers patrouiller à la frontière française afin d’empêcher les refoulements de migrants, au lendemain de la reconduite de trois clandestins, qualifiée de normale par la France.

      « L’énième abus des autorités françaises (...) aura des conséquences : des voitures de patrouille ont été envoyées à Clavière pour contrôler et garder la frontière », a écrit le ministre d’extrême droite sur les réseaux sociaux.

      Son annonce s’accompagne de photos montrant des policiers italiens montant la garde à l’endroit où une voiture de police française a déposé trois migrants vendredi matin, à une vingtaine de mètres à l’intérieur du territoire italien.

      M. Salvini avait diffusé quelques heures plus tard une vidéo de ce refoulement filmée par un habitant de Clavière et agrémentée d’une musique dramatique.

      « Sans explications rapides, complètes et convaincantes, nous nous trouverons face à une provocation et à un acte hostile », avait-il commenté.

      Selon les représentants de l’Etat dans le département français des Hautes-Alpes, il s’agissait d’"une procédure de non-admission à la frontière en tous points conforme à la pratique agréée entre la police française et la police italienne ainsi qu’au droit européen".

      Les trois personnes avaient été refusées, faute de documents valables au point de passage de Montgenèvre, 500 mètres plus loin, et le commissariat de Bardonnecchia, le plus proche, avait été informé.

      Selon M. Salvini, l’information a été transmise 20 minutes après la vidéo, empêchant les forces de l’ordre italiennes de contrôler qui étaient les personnes reconduites sur leur territoire.

      « Et ce n’est pas tout. Il n’y a pas d’accord bilatéral Italie-France, écrit et officiel, qui permette ce type d’opération. Si (le président français Emmanuel) Macron parle de +pratique habituelle+, c’est le gouvernement qui nous a précédés qui doit en répondre », a dénoncé le ministre italien.

      « Maintenant les temps ont changé et nous n’acceptons pas que des étrangers arrêtés en territoire français soient amenés en Italie sans que nos forces de l’ordre puissent vérifier leur identité », a-t-il ajouté.

      Chaque année, des milliers de migrants cherchant à passer en France sont interceptés et reconduits à la frontière italienne. L’AFP a constaté l’hiver dernier que nombre d’entre eux étaient déposés par la police française devant la gare de Bardonecchia.

      Dans un entretien à la revue Politique internationale paru cette semaine, M. Salvini a affirmé que la France avait procédé à 48.000 refoulements depuis janvier à Vintimille, sur la côte, le principal point de passage des migrants.

      Evoquant M. Macron, il avait ajouté : « C’est tout à fait son droit de protéger sa frontière, son droit le plus absolu. Mais qu’il ne vienne pas me donner des leçons et me faire la morale ».

      Ces refoulements sont une procédure distincte du renvoi par la France de centaines de demandeurs d’asile chaque année en Italie en application des accords de Dublin, qui obligent à déposer sa demande d’asile dans le premier pays européen traversé.

      En début de semaine, M. Salvini avait déjà dénoncé « une offense sans précédent » après une incursion de la gendarmerie française pour déposer des migrants dans une zone boisée près de Clavière.

      Dans ce cas, la France avait reconnu « une erreur » en expliquant que ces gendarmes ne connaissaient pas bien la région, mais un porte-parole du président Macron avait aussi dénoncé une « instrumentalisation politique » menée par M. Salvini.

      Pour tenter de désamorcer le conflit, les autorités françaises ont proposé dans la soirée de tenir « dans les meilleurs délais » une rencontre « pour améliorer la coopération entre les services » chargés de la surveillance de la frontière franco-italienne.

      Cette réunion serait organisée au niveau préfectoral, a indiqué la préfecture des Hautes-Alpes dans un communiqué.

      "A la demande du ministre de l’intérieur Christophe Castaner, la préfecture a proposé « qu’une réunion entre les préfets soit organisée sur place, dans les meilleurs délais, avec la participation des responsables nationaux de la police des deux pays pour améliorer la coopération entre les services », a-t-on précisé.

      Les relations entre Rome et Paris se sont tendues ces derniers mois. L’Italie accuse ses partenaires européens, à commencer par la France, de l’avoir laissée seule gérer la crise migratoire et les quelque 700.000 migrants arrivés sur ses côtes depuis 2013.

      https://www.la-croix.com/Monde/Migrants-refoules-France-Salvini-envoie-policiers-frontiere-2018-10-20-130

    • The legal frameworks of migrants’ rejections from France, Switzerland, Austria

      In bilateral agreements between two EU countries, “readmission” is the technical term used to define the procedure applied to those citizens (both EU and non-EU) who don’t meet the conditions to enter and stay in a country. Conversely, in those cases of temporary suspension of the Schengen agreement – as in the French case – the appropriate term is “rejections”.

      In practice, the two procedures (“readmission” and “rejection”) are experienced by irregular migrants as identical experiences, as operations carried out by border police who “reject” the migrant on the other side of the border. However, the juridical term is “readmission” when the operation is carried out by virtue of a bilateral agreement, such as in the Austrian and Swiss case, and “rejection” when the operation is carried out by virtue of a temporary suspension of the Schengen Agreement, such as in the French case.

      Readmissions between Switzerland and Italy are regulated through an Agreement of 1998, entered into force in 2000.

      The management of the Austrian-Italian border is the object of a trilateral agreement between Italy, Austria and Slovenia, stipulated in 2004, and a bilateral agreement between Italy and Austria stipulated in 2014.

      The control of the border between Italy and France is subjected to two agreements, in 1997 (http://www.camera.it/_bicamerali/schengen/docinte/ACCITFR.htm) and 2015 (https://www.osservatoriosullefonti.it/archivi/archivio-rubriche/archivio-rubriche-2016/384-fonti-dellunione-europea-e-internazionali/1641-sulla-cooperazione-tra-italia-e-francia-per-la-realizzaz), for cross-border police cooperation. However, this border is currently regulated by a different legal frame, related to concerns for public security after the attacks of 2014 and 2015. Indeed, France has declared since the end of 2015 to the end of 2017, the emergency state (etat d’urgence), which entails the suspension of the Schengen Agreement, the reestablishment of border controls and the possibility of rejecting people at the borders for reasons of public security (art.25 of the Agreement). Currently, the management of the French border is regulated by the French anti-terror law. Therefore, the formal reason why France is repeatedly extending the suspension of Schengen is not the migration flow, but the national security.

      https://alpineborderconflicts.com/2018/08/26/the-legal-frameworks-of-migrants-rejections-from-france-switz

    • Polizia italiana: «La Francia ci riporta i migranti con i furgoni». Parigi: «Un errore»

      Scoppia un nuovo caso diplomatico tra Roma e Parigi: due agenti della Digos hanno dichiarato di avere visto, venerdì mattina, delle persone di origine africana scendere da un furgone della gendarmeria sulla strada che da Claviere conduce a Cesana, in alta Valle di Susa.

      L’episodio, su cui ha avviato un’inchiesta la procura di Torino, è ancora tutto da chiarire. Ma i suoi contorni sembrano ricordare lo sconfinamento dello scorso marzo, quando una pattuglia di doganieri transalpini fece irruzione a Bardonecchia in una sala in uso a una Ong. Matteo Salvini, pur dicendosi «in attesa di sviluppi», ha già fatto sapere che «se qualcuno pensa davvero di usarci come il campo profughi d’Europa violando leggi, confini e accordi, si sbaglia di grosso».

      «Pretendiamo chiarezza - ha poi aggiunto il vicepremier - soprattutto da chi ci fa la predica ogni giorno. Non guarderemo in faccia a nessuno». La Farnesina si è subito attivata con l’ambasciatore di Francia per chiedere chiarimenti, e un passo analogo è stato compiuto da parte dell’ambasciatore italiano a Parigi. Secondo l’informativa della Digos, i migranti erano in due. I ’gendarmì li hanno fatti scendere dal furgone e, con eloquenti gesti delle mani, li hanno mandati via. Gli extracomunitari si sarebbero inoltrati nei boschi, mentre il furgone è ripartito in direzione del confine. Ed è stato in quel momento che gli italiani hanno scattato una fotografia, annotando anche il numero di targa. Una vicenda che «se confermata è grave e surreale», commenta il viceministro alle infrastrutture Edoardo Rixi.

      Per il procuratore Armando Spataro si prospetta una nuova e difficile partita con l’autorità giudiziaria francese. L’episodio di Bardonecchia ha dato vita, nelle scorse settimane, a un duro braccio di ferro. I magistrati torinesi rivendicano il diritto di procedere contro i cinque doganieri, ma la Francia ha risposto picche alla richiesta di collaborare: non ha nemmeno fornito le generalità dei componenti della pattuglia. La presenza di migranti è ormai abituale in questa zona conosciuta soprattutto per il turismo e le piste da sci. Sono tanti quelli che tentano di attraversare la frontiera passando per i sentieri anche in pieno inverno.

      LA REPLICA
      «Si sta lavorando per cercare un chiarimento a quello che sembra un incidente». Lo riferiscono all’Ansa fonti del governo francese in merito al presunto sconfinamento della Gendarmeria che avrebbe lasciato dei migranti in Italia. Le stesse fonti assicurano che «è stata trasmessa» a chi di competenza la richiesta di chiarimenti inviata dall’Ambasciata francese a Roma.

      Le voci di gendarmi che li bloccano e li riportano in Italia si susseguono da tempo, ma finora la questione non era mai emersa ufficialmente. Gli agenti della Digos hanno notato il furgone durante un servizio di controllo nella zona di Claviere, l’ultimo comune in territorio italiano, che è diventato il focolaio della protesta di antagonisti e di ’no border’ dopo lo sgombero, mercoledì mattina, di Chez Jesus, il rifugio per migranti ricavato nella canonica del paesino. Questa mattina gli attivisti hanno montato un tendone da campo nel parcheggio vicino alla chiesa, ma si sono allontanati dopo l’intervento delle forze dell’ordine e del sindaco. Undici anarchici, per la maggior parte di nazionalità francese, sono stati identificati.


      https://www.ilgazzettino.it/italia/migranti_francia_italia_claviere-4040722.html

    • Vu d’Italie. Migrants : le ras-le-bol des policiers italiens contre leurs homologues français

      Six associations françaises ont dénoncé des pratiques de “privation illégale de liberté” vis-à-vis des migrants arrivant à Menton de la ville frontalière italienne de Vintimille. Le journal La Repubblica s’est rendu sur la Côte d’Azur, où les deux polices se renvoient les migrants. Même lorsqu’ils sont mineurs.

      https://www.courrierinternational.com/article/vu-ditalie-migrants-le-ras-le-bol-des-policiers-italiens-cont
      #police

  • L’#Algérie se dit prête à accueillir tous ses ressortissants présents illégalement en #Allemagne

    Les deux pays, liés par un accord de réadmission, ont réaffirmé leur « entente » sur le dossier migratoire lors de la visite d’Angela Merkel à Alger.


    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2018/09/18/l-algerie-se-dit-prete-a-accueillir-tous-ses-ressortissants-presents-illegal

    #accord_de_réadmission #accord_bilatéral #renvois #expulsions

    • Reçu via la mailing-list Migreurop:

      Merkel’s government wants to classify Algeria like Tunisia and Morocco as safe countries of origin in terms of asylum law. Rejected asylum seekers could be deported more quickly. But commentators also have doubts about reports of torture and unfair trials. Whether the Chancellor will receive promises from Bouteflika and his Prime Minister Ahmed Ouyahia could be seen as reassuring. SPD and Greens are sceptical; this Friday the plans of the federal government on safe countries of origin will be discussed in the Bundesrat.

      Source : ZDF : https://www.zdf.de/nachrichten/heute/merkel-besucht-algerien-thema-migration-100.html

      According to a report, the number of deportations to Algeria has increased significantly in recent years. In 2015 only 57 people from Germany were brought into the country, in 2017 then 504, reported the “Rheinische Post” on Monday with reference to figures of the Federal Ministry of the Interior. In the current year, the trend has continued: by July, about 350 people had already been deported to Algeria.
      Only a few asylum seekers from Algeria are recognized in Germany. Last year, the rate was two percent.

      Source : FAZ : http://www.faz.net/aktuell/politik/inland/asylbewerber-mehr-abschiebungen-nach-algerien-15792038.html

      Algeria will welcome back all its nationals in an irregular situation in Germany, regardless of their number, Prime Minister Ahmed Ouyahia assured on Monday 17 September, at the occasion of Chancellor Angela Merkel’s official visit.
      "I confirm that Algeria will take its children back, whether they are 3,000 or 5,000, provided that they can “identify” their nationality, Mr. Ouyahia said at a joint press conference in Algiers with Ms. Merkel.

      According to the Algerian Prime Minister, his country “is itself taking action against illegal migrants [and] can only agree with the German government on this subject”. Ahmed Ouyahia also recalled that Algiers and Berlin have been bound by a readmission agreement since 1997.
      “Algeria fights for the rest of the international community” by preventing “annually 20,000 to 30,000 people from illegally entering[its territory] and often from Algeria to continue their way” to Europe, he said.

      Source : Le Monde : https://abonnes.lemonde.fr/afrique/article/2018/09/18/l-algerie-se-dit-prete-a-accueillir-tous-ses-ressortissants-presents

  • 30 people deported by United States arrive in Cambodia

    Thirty Cambodians who had been living in the United States arrived in Cambodia on Wednesday after being deported under a U.S. law that allows the repatriation of immigrants who have been convicted of felonies and have not become American citizens.

    The group is the latest to be sent to Cambodia under a 2002 bilateral agreement. More than 500 other Cambodians have already been repatriated.

    The program is controversial because it breaks up families, and in some cases the returnees have never lived in Cambodia, having been born to refugees who fled to camps in Thailand to escape the genocidal Khmer Rouge regime that ruled Cambodia in 1975-79.

    https://www.cambodiadaily.com/news/30-people-deported-by-united-states-arrive-in-cambodia-139775
    #USA #Etats-Unis #Cambodge #renvois #expulsions #réfugiés #réfugiés_cambodgiens #asile #migrations #accord_bilatéral #Khmers_Rouges

  • Migranti, vertice al Viminale dei ministri dell’Interno di Italia, Ciad, Libia e Niger

    Una cooperazione congiunta per il contrasto al terrorismo e alla tratta di esseri umani. Istituita una cabina di regia che opererà per monitorare sui temi oggetto dell’incontro


    http://www.interno.gov.it/it/notizie/migranti-vertice-viminale-dei-ministri-dellinterno-italia-ciad-libia-e-n
    #externalisation #asile #migrations #réfugiés #Tchad #Italie #Libye
    cc @i_s_

    • Parola d’ordine esternalizzare: soldi europei agli Stati africani per fermare il flusso dei migranti

      Il ministro degli Interni del Niger: «Chiediamo all’Ue infrastrutture militari». Ma il Mali non firma le riammissioni: «Le rimesse ci hanno portato 800 milioni di dollari nel 2016»

      http://www.lastampa.it/2017/05/24/esteri/speciali/divertedaid/parola-dordine-esternalizzare-soldi-europei-agli-stati-africani-per-fermare-il-flusso-dei-migranti-VKqfQ42Nr9TimSleQzT7XL/pagina.html?platform=hootsuite

    • Deploying Italian warships to police Libyan waters will expose refugees to horrific abuse

      Proposals to send warships to police Libyan territorial waters are a shameful attempt by the Italian authorities to circumvent their duty to rescue refugees and migrants at sea and to offer protection to those who need it, said Amnesty International, ahead of a vote in the Italian parliament tomorrow.

      https://www.amnestyusa.org/press-releases/deploying-italian-warships-to-police-libyan-waters-will-expose-refugees-

    • Missione navale: Italia pronta a destinare rifugiati e migranti verso orribili violenze

      Dopo il voto del parlamento italiano in favore dell’invio di navi da guerra nelle acque libiche per assistere la Guardia costiera della Libia a intercettare migranti e rifugiati e a riportarli a terra, la vicedirettrice di Amnesty International per l’Europa Gauri Van Gulik ha rilasciato questa dichiarazione:

      https://www.amnesty.it/missione-navale-italia-pronta-destinare-rifugiati-migranti-verso-orribili-vi

    • "L’aiuto dell’Italia alla Guardia costiera libica rischia di tradursi in complicità negli abusi sui migranti"

      L’annuncio del supporto operativo delle navi della Marina Militare italiana al governo di Tripoli, nell’intercettazione di barconi di migranti in acque libiche, è stata criticata da Human Rights Watch: «Potrebbe coinvolgere l’Italia in violazioni dei diritti umani a danno dei migranti successivamente detenuti in Libia».

      http://www.huffingtonpost.it/2017/08/02/l-aiuto-dellitalia-alla-guardia-costiera-libica-rischia-di-tra_a_2306

    • Libia, la Guardia Costiera viene pagata con i soldi della Cooperazione

      Le frontiere esterne dell’Unione Europea si blindano usando fondi destinati allo sviluppo. Dalla polizia del Niger, alle milizie che presidiano i confini in Sudan fino ai militari che controllano le coste del Paese nord africano. La missione ONU per la Libia (Unsmil) in un rapporto parla delle carceri libiche come luoghi di estorsioni e violenze

      http://www.repubblica.it/solidarieta/cooperazione/2017/07/31/news/libia_la_guardia_costiera_viene_pagata_con_i_soldi_della_cooperazione-172

      #aide_au_développement

    • Italy Has a Controversial New Plan to Stop Migrants Crossing the Mediterranean Sea

      The Italian government initially hoped to send six ships to Libya’s territorial waters, but plans had to be scaled down following popular protests in Tripoli, Reuters reports. Libyans have reportedly been posting images of Omar al-Mukhtar, a national hero who battled Italian rule in the early 1900s, on social media in response to the Italian presence— reflecting the widespread unease over a former colonial power intervening on domestic affairs. Pinotti said that Italy had no intention of creating a blockade on Libya’s coast.

      http://time.com/4885415/italy-naval-mission-migrant-smuggling

    • LIBIA : IL SUCCESSO DEMOCRATICO

      C’è solo una cosa che avete perso: la dignità umana.
      Credo l’abbiate fatto consapevolmente, perché liberarvi della fatica di difendere la dignità umana era il peso più affrontabile per risolvere questo maledetto problema degli sbarchi.
      Creare in pubblico il reato umanitario, confermare e rafforzare le derive più xenofobe e pericolose della nostra società, abbandonare migliaia di persone al loro immobile destino di ingiustizia e povertà, non disturbare la chiusura dell’Europa ricca e respingente, consolidare poteri forti e corrotti in paesi di origine e di transito: questo avete fatto e con questo state vincendo.
      Complimenti.
      Abbiate almeno il coraggio di non chiamarvi più nemmeno democratici.

      http://andreasegre.blogspot.ch/2017/08/libia-il-successo-democratico.html
      #Andrea_Segre

      Avec un ps sur la Suisse :

      P.P.S. scrivo tutto ciò da Locarno (Svizzera), dove presenteremo domani il nuovo doc IBI. E non posso non guardarmi intorno. Questo è il cuore dell’Europa ricca che proteggendosi ha ottenuto ciò che le interessava: crescita interna altissima sulle spalle di un mondo esterno da sfruttare e tenere fuori (i corpi ovviamente, i soldi no, se vogliono quelli entrano subito e senza controlli). Il PIL procapite medio da queste parti è circa 80mila euro l’anno. Nei paesi da cui scappano gli invasori raggiunge al massimo 1000 euro. Ma qui non ci arrivano, perché anche qui, soprattutto qui, hanno vinto. Bravi!

    • Fermare i migranti? Addestrare i libici non funziona

      La notte del 23 maggio 2017 il capitano della Iuventa, la nave dell’Ong tedesca Jugend Rettet, denuncia una nuova aggressione in mare da parte di un motoscafo libico, il cui equipaggio avrebbe sparato verso alcune imbarcazioni sovraccariche di profughi, per poi riportare due delle imbarcazioni verso la Libia. Era la Guardia Costiera libica? L’Italia come la sta addestrando, e a che scopo? E quante Guardie Costiere ci sono in Libia in realtà? Francesco Floris ha ricostruito nei dettagli la storia dell’addestramento italiano dei libici e i suoi precedenti.

      https://openmigration.org/analisi/fermare-i-migranti-addestrare-i-libici-non-funziona

    • Libia, arrivano meno migranti che così finiscono nel lager di #Sabha

      Lo dicono i numeri delle ultime settimane: si assiste ad una drastica riduzione del flusso migratorio dalla Libia verso l’Italia. E’ l’effetto dell’accordo italo-libico, sostenuto dall’Unione Europea. Decine di migliaia di migranti subsahariani bloccati. Lo raccontano le duemila testimonianze raccolte da Medici per i Diritti Umani (Medu)

      http://www.repubblica.it/solidarieta/immigrazione/2017/08/08/news/libia-172648143/?ref=search

    • Libyan Coast Guard Faces Allegations of Corruption

      At the same time, conflict and corruption on the ground have called into question the EU’s plans to train the Libyan Coast Guard and return migrants to Libyan shores. In February, Libya’s UN-backed government in Tripoli agreed to direct its coast guard to return migrants to shore in exchange for training assistance and financial aid. On Monday, Libyan Prime Minister Fayez Serraj negotiated for an additional EU assistance package of $860 million in military equipment, including ships, vehicles, helicopters and communications gear.

      http://www.maritime-executive.com/article/libyan-coast-guard-faces-allegations-of-corruption
      #gardes-côtes #frontières #Libye #gardes-côtes_libyens #corruption #Libye

    • Supreme Court annuls verdict that suspended implementation of Italy-Libya MoU

      The Supreme Court in Libya annulled a previous verdict that suspended the implementation of the #memorandum_of_understanding (MoU) that was signed between Libya’s UN-proposed Presidential Council and Italy.


      https://www.libyaobserver.ly/news/supreme-court-annuls-verdict-suspended-implementation-italy-libya-mou

    • L’Italia esibisce in Europa gli accordi con Tripoli. Sotto attacco vittime e testimoni.

      Il governo italiano si presenta al vertice di Parigi esibendo, dietro il Codice di condotta per le ONG, autentico specchietto per le allodole, i risultati degli accordi con il premier libico Serraj e alcune tribù del Fezzan, come già prima con il Sudan di Bashir, con un abbattimento su base mensle, in agosto, del 70 per cento degli arrivi di migranti dalla Libia. Adesso si può davvero dire che le frontiere europee raggiungono il Fezzan, le attività di esternalizzazione dei controlli sono molto avanzate e numerosi contingenti militari sono già schierati sul territorio di confine tra Libia, Niger, Chad e Sudan. Poco importa a quale prezzo. Di fatto sono state proprio le milizie della zona di Sabratha, dalla quale si verificavano le partenze della maggior parte dei gommoni, ad intervenire per bloccare tutte le vie di fuga. Perchè di vie di fuga dalla Libia occorre parlare, oltre che di contrasto al traffico di esseri umani.

      http://www.a-dif.org/2017/08/28/litalia-esibisce-in-europa-gli-accordi-con-tripoli-sotto-attacco-vittime-e-te

    • DA TRAFFICANTE A COMANDANTE DELLA GUARDIA COSTIERA LIBICA

      In un’intervista a “La Stampa” Roberto Saviano racconta oggi che il capo dei trafficanti di #Zawija, base di tante partenze di migranti, a 40 km da Tripoli, è un ragazzo di nemmeno trent’anni, ricchissimo e spietato: #Abdurahman_Al_Milad_Aka_Bija, che tutti conoscono come #Al_Bija. Bene, anzi male: Al Bija è appena diventato il nuovo comandante della Guardia costiera libica della città. Insomma, il referente delle nostre navi militari.

      https://alganews.wordpress.com/2017/08/15/da-trafficante-a-comandante-della-guardia-costiera-libica

    • Tripoli. Accordo Italia-Libia, è giallo sui fondi per aiutare il Paese

      «Il governo non tratta con i trafficanti», asserisce la Farnesina. Non a torto, perché diverse fonti in Libia e tra la bene informata diaspora a Tunisi, dove risiedono molti membri del Consiglio presidenziale libico, confermano che gli stanziamenti italiani sono destinati alle istituzioni. «Però tutti sanno – aggiungono con sarcasmo – che autorità e contrabbandieri hanno madri diverse, ma lo stesso padre». Da Tripoli, ancora nessuna smentita ufficiale. Le conferme, al contrario, sono molteplici, non tutte anonime. Almeno cinque milioni di euro sono stati consegnati da Roma nelle settimane scorse sotto forma di denaro e medicamenti per le strutture sanitarie di Sabratha. Altri ’aiuti’, per importi analoghi, sono attesi dai sindaci-dignitari che hanno assicurato di voler cooperare con il premier Fayez al-Sarraj e l’Italia. Ci sono poi gli stanziamenti già destinati a Bengasi, nell’area controllata dal generale Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica (a est del Paese) ora in espansione anche nell’ovest del premier al-Sarraj.

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/accordo-italia-libia-giallo-sui-fondi-per-aiutare-il-paese

    • I migranti come arma di ricatto tra lotte di potere, ritorsioni e nuovi equilibri in Libia. E i morti aumentano

      Nel week end tra il 15 e il 17 settembre sono arrivati in Italia dalla Libia più di 1.800 migranti su una quindicina di gommoni. Senza contare il flusso crescente di “barche fantasma”, pescherecci di varie dimensioni che, partendo dalla Tunisia, approdano in Sicilia, soprattutto sulle coste dell’Agrigentino. Dopo giorni di sbarchi in calo e di continue, “trionfanti” notizie di blocchi effettuati dalla Guardia Costiera libica lungo le coste africane, questo improvviso exploit di sbarchi ha destato non poca sorpresa, contraddicendo almeno in parte le dichiarazioni del Governo italiano sull’efficacia e sulla tenuta dei “muri” eretti nel Mediterraneo e nel Sahara con gli ultimi accordi stipulati da Roma con Tripoli. Non a caso, questo degli sbarchi, è stato uno dei temi guida del dibattito politico e del notiziario dei media nel fine settimana.

      http://www.a-dif.org/2017/09/22/i-migranti-come-arma-di-ricatto-tra-lotte-di-potere-ritorsioni-e-nuovi-equili

    • Italy claims it’s found a solution to Europe’s migrant problem. Here’s why Italy’s wrong.

      Motivating the Libyan militias’ newfound zeal for blocking migrant movement is a new policy spearheaded by the Italian government and embraced by the European Union. The approach relies on payment to militias willing to act as migrant deterrent forces. Italian government representatives use intermediaries such as mayors and other local leaders to negotiate terms of the agreements with the armed groups. They also build local support in the targeted areas by distributing humanitarian aid.

      https://www.washingtonpost.com/news/monkey-cage/wp/2017/09/25/italy-claims-its-found-a-solution-to-europes-migrant-problem-heres-w

    • Libye: La manœuvre périlleuse de l’Italie

      Rome est accusée d’avoir financé des passeurs de Sabratha pour endiguer le flux de migrants. Avéré ou non, cet accord a déclenché une guerre entre milices, déstabilisant un peu plus le pays.

      Côté face, Marco Minniti, le ministre italien de l’Intérieur, se félicite d’être à l’origine de la chute du nombre de migrants partant de la Libye pour l’Europe : - 50 % en juillet et - 87 % en août par rapport à la même période en 2016. Côté pile, Minniti, ancien chef des services secrets, est aussi la principale causede la guerre actuelle qui se déroule à Sabratha, ville située à 80 kilomètres à l’ouest de Tripoli, depuis le 17 septembre. Les combats ont fait au moins 26 victimes et, près de 170 blessés, endommageant également le théâtre romain antique classé au Patrimoine mondial de l’Unesco. Là, des taches de sang et des centaines de douilles jonchent encore le sol. Le lieu, qui a survécu aux soubresauts de l’histoire libyenne, est aujourd’hui marqué jusque dans ses pierres par ce nouveau drame qui n’a rien de théâtral.

      Marco Minniti est accusé d’avoir passé un accord financier avec le chef de milice Ahmed Dabbashi, alias Al-Ammou (« l’Oncle »), pour qu’il mette fin à ses activités de baron du trafic des migrants et ainsi faire baisser le nombre d’arrivées sur les côtes italiennes. L’homme était un des passeurs les plus puissants de Sabratha, dont les plages sont les lieux de départ de la grande majorité des candidats à rejoindre l’Europe.

      Dans les cafés de Sabratha, les habitués sourient lorsqu’on évoque le « repentir » d’Ahmed Dabbashi : « Il veut se donner une respectabilité, mais soyez certains qu’à 3 heures du matin, ses bateaux continuent de partir », assure Salah, qui préfère rester anonyme par crainte de représailles du chef mafieux, membre d’une importante famille de la cité antique. En septembre, plus de 3 000 migrants ont été secourus en mer, et un grand nombre d’entre eux était parti des plages de Sabratha. Si les départs ont ralenti, ils n’ont pas totalement disparu.

      Une aide italienne a minima

      Le conflit qui déchire Sabratha oppose les hommes d’Al-Ammou (alliés à la Brigade 48, dirigée par un frère d’Ahmed Dabbashi), à la Chambre des opérations (CDO) du ministre de la Défense, au Bureau de lutte contre la migration clandestine (BLMC) du ministre de l’Intérieur et à la milice salafiste Al-Wadi, également accusée de trafic humain. Tous se revendiquent d’une affiliation au gouvernement d’union nationale (GUN) de Faïez el-Serraj, soutenu par la communauté internationale. Mais ce dernier ne reconnaît que la CDO et le BLMC. Preuve, s’il en était, que la Libye, en proie au chaos, n’est qu’un camaïeu de gris.

      Bachir Ibrahim, le porte-parole du groupe d’Ahmed Dabbashi, a évoqué l’existence d’un accord verbal avec le gouvernement italien et le GUN de Faïez el-Serraj. Mais ces deux derniers démentent toute entente financière avec la milice. La rumeur ne s’est pas éteinte pour autant. Et les habitants de la ville rappellent les forts liens entre la milice de Dabbashi et l’Italie : c’est le groupe armé qui protège le site gazier de Mellitah, situé à l’ouest de Sabratha et géré par le géant italien ENI. D’ailleurs, la milice possède deux bateaux pneumatiques ultra-rapides qui appartenaient à la marine libyenne et dont l’un a été récupéré sur le site de Mellitah… Bassem al-Garabli, le responsable du BLMC, s’étonne, lui, que l’ambassadeur italien, Giuseppe Perrone, n’ait pas visité son unité lors de sa venue à Sabratha, le 10 septembre pour se féliciter de la chute du nombre de départs de migrants. L’ambassadeur italien à Tripoli n’a, de son côté, pas souhaité répondre à nos questions.

      « L’Italie a payé, en juillet, 5 millions d’euros à Al-Ammou pour trois mois de tranquillité, affirme sous couvert d’anonymat un membre de la CDO. L’échange s’est fait en haute mer. »Cette source rappelle le double jeu du chef de la milice, qui posséderait quatre hangars où des navires capables d’embarquer plusieurs centaines de migrants seraient restaurés. Pourtant, le 28 juillet, l’Union européenne a débloqué 46 millions d’euros à l’Italie afin qu’elle aide les autorités libyennes à renforcer sa capacité à gérer les flux migratoires et protéger ses frontières. Une somme que reflètent peu les résultats sur le terrain.

      A ce jour, seuls 136 marins libyens ont été formés en Italie à rechercher, secourir et perturber le trafic d’êtres humains. Les garde-côtes ont reçu cette année quatre bateaux, reliquats d’un contrat passé en 2008 et, qui plus est, anciens. « L’aide italienne est réelle mais pas au niveau, résume le porte-parole de la marine libyenne, le général Ayoub Gacem. Nous avons besoin de navires neufs pour intercepter les embarcations des migrants qui sont de plus en plus souvent escortées par des hommes armés sur des vedettes rapides. » La marine se montre davantage satisfaite par le « Code Minniti », qui a durci les conditions d’intervention des bateaux d’ONG présents pour secourir les migrants en détresse, au grand dam des organisations humanitaires. « Ces navires sont comme des taxis pour les clandestins, affirme Ayoub Gacem. Les passeurs ont compris qu’il suffit que les migrants atteignent les eaux internationales pour arriver en Europe. »

      Encore faut-il les atteindre. « Alors que nous étions au large de Sabratha, un bateau est arrivé, raconte Shaada, un Bangladais de 17 ans. Les hommes nous ont pris notre argent, nos téléphones portables, le téléphone satellite et le moteur avant de repartir. » Aujourd’hui au centre de rétention de Tripoli, Shaada décrit l’amplification de la piraterie à l’encontre des migrants, en mer comme dans le désert. Un phénomène qui explique aussi, en partie, la baisse des départs depuis la Libye.

      Boko Haram et l’état islamique

      Pour Ayman Dabbashi, cousin d’Al-Ammou mais également membre de la CDO, l’existence d’un « contrat » avec l’Italie ne fait aucun doute. Mais il ne comprend pas la logique italienne. « C’est incompréhensible, parce que mon cousin n’est pas quelqu’un d’éduqué, il sait à peine dire une phrase, affirme-t-il. Il a dit qu’il arrêterait les bateaux mais ce n’est pas vrai. Il va arrêter les bateaux des autres, mais pas les siens. »

      « Marco Minniti pousse le gouvernement d’union nationale à "intégrer" les milices comme celle d’Al-Ammou au sein du ministère de la Défense. Le ministre italien l’a reconnu lui-même. Cela est beaucoup plus grave pour la sécurité de la Libye, que l’existence ou non d’échange de valises de billets », prévient Jalel Harchaoui, qui prépare une thèse sur la dimension internationale du conflit libyen à l’université Paris-VIII. Même inquiétude du côté du général Omar Abdoul Jalil, responsable de la Chambre des opérations : « L’Europe doit faire attention avec qui elle négocie. Les passeurs n’ont aucun problème à introduire des terroristes dans des bateaux de migrants. » Il cite ainsi le cas de deux Camerounais récemment trouvés sur une embarcation et aussitôt envoyés en prison à Tripoli pour de forts soupçons d’appartenance à Boko Haram.

      Jusqu’en février 2016, des camps d’entrainement de l’Etat islamique étaient installés dans Sabratha, avant que les Américains ne bombardent un site. Le groupe terroriste était dirigé par Abdoullah Dabbashi, un parent d’Al-Ammou. Une accointance familiale qui pourrait servir de prétexte à Khalifa Haftar pour entrer dans la danse. L’homme fort de l’est du pays, bien qu’opposant au gouvernement de Faïez el-Serraj, pourrait envoyer des avions de sa base militaire d’Al-Watiya (à 80 kilomètres au sud-ouest de Sabratha) pour bombarder la milice d’Al-Ammou. Officiellement au nom de sa lutte contre le terrorisme. Officieusement, pour entrer de plain-pied dans la Tripolitaine, région ouest du pays. « Si Haftar intervient, l’altercation ne restera sans doute pas locale, prédit le chercheur Jalel Harchaoui. Un échange violent et soutenu poussera d’autres milices à prendre position et à entrer dans le bras de fer. Cette partie de la Libye est la plus peuplée du pays. Il est possible qu’elle s’enflamme et fasse l’objet d’un réalignement important. »

      « c’est une fausse victoire »

      Le maréchal Haftar a d’ailleurs été reçu par Marco Minniti mardi dernier à Rome. La question de Sabratha a été abordée. Spécialiste de la Libye au Conseil européen des relations internationales, Mattia Toaldo ne croit pas à l’escalade : « Marco Minniti veut protéger sa politique antimigratoire en persuadant Khalifa Haftar de rester à l’écart. Ce dernier n’a d’ailleurs pas intérêt à intervenir, ce serait une mission kamikaze. »

      Que le conflit s’embrase ou non, le trafic des migrants ne disparaîtra pas, les réseaux s’adapteront. « En ce moment pour les trafiquants, c’est plus rentable de faire de la contrebande d’essence ou de nourriture que de transporter des hommes. Mais c’est une fausse victoire. Cela va reprendre », assure Choukri Ftis, qui a participé à un récent rapport de Altai Consulting intitulé « Partir de Libye, rapide aperçu des municipalités de départs ». Il pointe déjà la plage de Sidi Bilal, située à une vingtaine de kilomètres à l’ouest de Tripoli, comme prochain centre d’embarquement. Ici, l’Al-Ammou local se nomme Saborto et dirige une milice de la tribu des Warshefanas, réputée pour ses enlèvements de riches Tripolitains et d’étrangers.

      http://www.liberation.fr/planete/2017/10/01/libye-la-manoeuvre-perilleuse-de-l-italie_1600209

    • European priorities, Libyan realities

      August 14 began calmly for Riccardo Gatti. On the first morning of a new search and rescue mission in the central Mediterranean, the former yachtsman turned activist walked the grayed wooden deck of the Golfo Azzurro, a trawler that has been stripped of its bulky fishing equipment to make space for life jackets and water bottles.

      http://issues.newsdeeply.com/central-mediterranean-european-priorities-libyan-realities

      cc @isskein

    • Le Commissaire demande des éclaircissements concernant les opérations maritimes italiennes dans les eaux territoriales libyennes

      Adressée au ministre italien de l’Intérieur, M. Marco Minniti, et publiée le 11 octobre 2017, le Commissaire sollicite des informations concernant les opérations maritimes menées par l’Italie dans les eaux territoriales libyennes à des fins de gestion des flux migratoires.

      https://www.coe.int/en/web/commissioner/view/-/asset_publisher/ugj3i6qSEkhZ/content/commissioner-seeks-clarifications-over-italy-s-maritime-operations-in-libyan-te

      La réponse de Minniti :
      https://rm.coe.int/reply-of-the-minister-of-interior-to-the-commissioner-s-letter-regardi/168075dd2d

    • «Ministro Minniti mi incontri, le racconto l’orrore»

      Gennaro Giudetti, 26 anni, volontario dell’ong Sea Watch, ha recuperato con le proprie mani decine di persone salvandole da morte certa e un bambino senza vita nel naufragio di ieri 6 novembre 2017: «Ho visto con i miei occhi il folle comportamento dei militari libici, che picchiavano chi voleva raggiungerci e ci lanciavano patate. L’Italia blocchi l’accordo con la Libia». Ecco il suo racconto senza filtri

      http://www.vita.it/it/article/2017/11/07/ministro-minniti-mi-incontri-le-racconto-lorrore/145020

    • « En Libye, le trafic de migrants va reprendre comme avant »

      Ces derniers mois, les traversées depuis la Libye ont diminué de façon spectaculaire. Mais, en concluant un accord secret avec une milice de Sabratha, l’Italie pourrait avoir encore un peu plus déstabilisé le pays.

      Entre deux dossiers, dans son bureau de Rome, le ministre de l’Intérieur, Marco Minniti, doit sûrement se demander : « Ai-je eu raison ? » L’ancien chef des services secrets italiens est accusé d’avoir passé, au printemps, un accord financier avec Ahmed Dabbashi alias al-Ammou (l’Oncle), chef d’un des plus importants réseaux de trafic d’êtres humains en Libye, pour que ce dernier arrête son commerce et celui de ses concurrents régionaux.

      L’« Oncle » opère depuis Sabratha, à 70 km à l’ouest de Tripoli, d’où partait l’écrasante majorité des candidats à l’exil. Cette alliance a été revendiquée sur les réseaux sociaux par la brigade de l’Oncle, appelée « Anas-Dabbashi », du nom d’un cousin d’Ahmed tué pendant la révolution de 2011.

      « L’Italie a promis de verser 5 millions d’euros par trimestre. Le premier échange s’est fait durant l’été sur un bateau dans les eaux internationales », assure, sous couvert d’anonymat, un responsable de la Chambre des opérations de Sabratha, dépendant du gouvernement d’union nationale de Tripoli (reconnu par la communauté internationale) et principal ennemi de Dabbashi.

      Une realpolitik qui a eu des résultats spectaculaires : les enregistrements de migrants en Italie en provenance de la Libye ont chuté de 50% en juillet et 87% en août. Seulement, outre l’aspect moral douteux de cette politique, elle a été la principale cause d’une guerre de trois semaines (17 septembre-6 octobre) qui a fait une trentaine de morts et quelque 170 blessés. Les combats ont également profondément endommagé le Théâtre antique romain, classé au patrimoine de l’Unesco. Ils opposaient des forces du gouvernement d’union nationale à Dabbashi et son allié, la brigade 48. Ahmed Dabbashi a été battu et a dû quitter Sabratha. Son réseau n’est plus opérationnel, mais le jeu en valait-il la chandelle ?
      Milice payée avec des fonds européens ?

      L’Union européenne, qui avait donné quasi carte blanche à l’Italie pour régler la question des migrants, va-t-elle sévir ? Bruxelles avait octroyé 53,3 millions de francs suisses à la Botte pour aider la Libye à protéger ses frontières. L’argent a-t-il servi à payer Dabbashi ? Sur le terrain, les acteurs libyens n’ont pas vu d’amélioration notable. Les garde-côtes n’ont reçu cette année que quatre bateaux qui ont déjà servi, et encore s’agissait-il du reliquat d’un contrat passé en 2008.

      « L’aide italienne est réelle mais pas au niveau, résume le porte-parole de la marine libyenne, le général Ayoub Gacem. Nous avons besoin de navires neufs pour intercepter les embarcations des migrants, qui sont maintenant de plus en plus escortés par des hommes armés sur des vedettes rapides. » Car, si Dabbashi est hors-jeu, d’autres réseaux ont pris le relais.

      Après les affrontements de Sabratha, près de 15 000 migrants, principalement d’Afrique subsaharienne, ont été retrouvés et emmenés dans des centres de détention officiels dans la région de Tripoli. Dans le pays, ils seraient plusieurs centaines de milliers à attendre l’opportunité de traverser la Méditerranée.
      « Une fausse victoire »

      Le 31 octobre, deux bateaux pneumatiques avec 299 migrants à leur bord ont été arrêtés par les autorités libyennes. Ils étaient partis des plages de Zliten à 180 km à l’est de Tripoli. « La victoire de Sabratha est une fausse victoire, le trafic va reprendre comme avant dès l’an prochain quand ce sera la saison [été-automne] », prédit Choukri Ftis, un chercheur qui a participé récemment à un rapport sur la migration illégale en Libye.

      Cet été, le président français, Emmanuel Macron, avait lancé l’idée de centres d’enregistrement basés dans le sud libyen pour filtrer en amont les migrants. Une idée difficilement réalisable sur un territoire aussi vaste (2000 km de frontière avec l’Algérie, le Niger, le Tchad, le Soudan et l’Egypte) et soumis continuellement aux tensions ethniques entre Arabes, Toubous et Touaregs, qui se partagent le pouvoir dans une zone où l’Etat est quasi absent.

      La stratégie de Minniti a donné un coup de pied dans la fourmilière des réseaux de trafic d’êtres humains mais n’a pas fait disparaître le phénomène. Par contre, elle pourrait avoir durablement chamboulé l’équilibre politique du pays. Parmi la coalition armée qui a chassé Dabbashi se trouvait une force d’appui : la brigade al-Wadi. De tendance salafiste, le groupe est un affidé de l’Armée nationale arabe libyenne de Khalifa Haftar. L’homme fort de l’est a donc ainsi pu se draper de la victoire à Sabratha contre Ahmed Dabbashi.
      Intérêts gaziers

      Le 25 septembre, en plein milieu de la guerre de Sabratha, le maréchal a d’ailleurs été accueilli pour la première fois, bien qu’en catimini, par Marco Minniti et la ministre de la Défense, Roberta Pinotti. Au menu : le contrôle des plages de Sabratha si Dabbashi venait à être vaincu et la sécurisation du complexe gazier de Mellitah tout proche. Le site géré par le géant italien ENI était jusqu’alors protégé par les hommes de l’« Oncle ». Si rien n’a filtré de ce rendez-vous, les craintes sont vives que Haftar, fort d’un possible soutien italien qui aurait retourné sa veste devant la fuite de Dabbashi, n’ait des visées expansionnistes.

      « L’altercation ne restera sans doute pas locale, prédit Jalel Harchaoui. Un échange violent et soutenu poussera d’autres milices à prendre position et à entrer dans le bras de fer. Cette partie de la Libye est la plus peuplée du pays. Il est possible qu’elle s’enflamme et fasse l’objet d’un réalignement important. » Marco Minniti, dans son bureau, y pense-t-il parfois ?

      https://www.letemps.ch/monde/2017/11/05/libye-trafic-migrants-va-reprendre

    • Depositato il ricorso di ASGI contro lo sviamento di 2,5 milioni di euro dal c.d. Fondo Africa

      Supporto tecnico alle autorità libiche per la gestione delle frontiere con fondi destinati a rilanciare il dialogo e la cooperazione con i Paesi africani. ASGI al TAR : E’ sviamento di potere.

      https://www.asgi.it/asilo-e-protezione-internazionale/libia-italia-ricorso-fondi-cooperazione
      #Fonds_afrique

      –-> An English synthesis:

      Supporting Libyan Coast Guard is a misuse of the so-called “Africa Fund”. Italian Association ASGI brings Italian Foreign Ministry to Court.

      The Italian Association for Juridical Studies on Immigration (ASGI) has recently brought legal proceedings before the Regional Administrative Tribunal (TAR) with regard to Decree 4110/47 by which the Italian Ministry of Foreign Affairs and International Cooperation allocates 2,5 million euros to the Ministry of Interior to repair four vessels for Libyan authorities and train them. Such a disbursement is part of the “Africa Fund” (200 million euros) set up by the Italian Parliament to promote cooperation and dialogue with African countries. Being Libya a notoriously unsafe country for migrants and refugees in transit, the compatibility of such a massive allocation of money with the stated goals of the “Africa Fund” – however vague they are – should be questioned. Given that these vessels might be used by the Libyan Coast Guard to pull-back migrants and refugees rescued/intercepted at sea and retain them in appalling detention centers, the main argument before TAR is that this military equipment is a diversion of the funding allocated by the Italian Parliament to contribute to the resolution of the humanitarian crisis in Libya.

    • The Case for Italy’s Complicity in Libya Push-Backs

      When a boatload of migrants sets off from Libya in the direction of Italy, smugglers often tell those on board to get to international waters before raising the alarm. The migrants hope to be picked up by rescue boats run by humanitarian NGOs and taken on to Italy where they can apply for asylum. The alternative is interception at the hands of the Libyan coast guard and a return to Libya.

      http://souciant.com/2017/11/the-case-for-italys-complicity-in-libya-push-backs

    • The rest of the world has woken up, but migrants are still sleepwalking into Libya slave markets

      While the West has reacted with outrage to video evidence of Libyan slave markets, potential victims themselves remain unaware of the dangers they face

      The trade in human beings has risen sharpy since the Italian government began paying Libyan militant groups and smugglers to stem the flow of migrants over the sea earlier this year.

      http://www.independent.co.uk/news/world/middle-east/african-migrants-libya-slave-markets-aim-europe-refugees-human-traffi

    • La strategia italiana nel Mediterraneo

      http://www.ispionline.it/sites/default/files/media/img/rapporto_med_maeci_2017_internet_1.pdf

      Avec ce commentaire sur FB de Francesco Floris (07.12.2017):

      La Farnesina s’è desta.
      Il ministero degli esteri ci fa la cortesia di dirci cosa pensa della Libia. Dopo che Alfano ha speso gli ultimi 12 mesi a fungere da cartonato di Minniti e a implorare diversi magistrati siciliani (e non) di indagare sulle ong invece che sui centri d’accoglienza usati da Ncd come un’american express.
      Solo che appena parlano finiscono col confessare.

      A pagina 24 del doc. «La strategia italiana nel Mediterraneo» - pamphlet dalla prosa brillante pieno zeppo de «L’Italia ha prontamente reagito», «Roma si è immediatamente attivata», «la task force ha fermamente ribadito» che gli piacciono enormemente gli avverbi - si legge che dopo il 2 febbraio 2017, e su richiesta di Serraj, abbiamo inviato a Tripoli una nave-officina per riparare le unità navali libiche. Ma non solo per amore della meccanica a quanto pare, anche per «fornire un coordinamento alle operazioni di pattugliamento e salvataggio in mare».
      Coordinare le operazioni dei libici per riportare i migranti in una nazione che non sottoscrive la Convenzione di Ginevra e dove vige un regime di tortura. Lo scrivono loro. E sarebbe anche illegale qualora a questi manettari con i polsi degli altri interessasse qualcosa.
      Quindi ogni volta che sentite le autorità italiane o la Mogherini indignarsi e sbraitare «la Ue e l’Italia non hanno mai respinto nessuno» e altre cazzate fate loro due domande: Cosa ci fa allora una nave italiana a Tripoli a coordinare le operazioni?
      E due: ci state prendendo per il culo o cosa?
      La seconda è quella giornalisticamente più interessante.

    • Exclusive: Italy plans big handover of sea rescues to Libya coastguard

      ROME/TRIPOLI (Reuters) - Italy wants Libya’s coastguard to take responsibility within three years for intercepting migrants across about a tenth of the Mediterranean even as Libyan crews struggle to patrol their own coast and are accused of making deadly mistakes at sea.

      https://www.reuters.com/article/us-europe-migrants-libya-exclusive/exclusive-italy-plans-big-handover-of-sea-rescues-to-libya-coastguard-idUSK

    • Italy Strikes Back Again: A Push-back’s Firsthand Account

      Evidence is mounting about the Italian Navy’s involvement in facilitating the return of migrants to Libya. There have been alleged cooperation agreements between Italy and Libya to stem the flows to Europe, at the same time, as there have been accusations of pushbacks to Libya. In these cases, Italy stands accused of actively supporting the Libyan Coast Guard in committing unlawful acts, returning intercepted migrants to places where their lives or freedom would be threatened, or where they would face the risk of torture.

      https://www.law.ox.ac.uk/research-subject-groups/centre-criminology/centreborder-criminologies/blog/2017/12/italy-strikes?platform=hootsuite

    • Vu sur twitter, le 15.02.2018 :

      Another patch of Libyan Coast Guards #LCG finished training in #Italy , certificates given during a ceremony in #Libya #Migration


      https://twitter.com/zakariyatz/status/963801317738209282

      Et avec ce commentaire de Gerry Simpson :

      A reassuring photo of the latest Libyan coastguards receiving certificates after Italy trained them to intercept refugees & migrants heading for the EU & return them to Libya to face guaranteed inhumane detention conditions and a real risk of torture

      https://twitter.com/GerrySimpsonHRW/status/963976898291355648

    • Italy Has Reportedly Delivered Further Vessels To Tripoli’s Coast Guard In Libya

      “Three further Italian patrol vessels have been delivered to the Libyan Coast Guard right in these days”, the Italian analyst Gerardo Pelosi has revealed on Il Sole 24 Ore while debating the military missions to Libya and Niger Rome approved last January.

      The news apparently echoes a similar one shared by the Libyan outlet Libya Observer‘s journalist Safa Al Harathy, who has written today an only vessel, the “106”, was delivered on February 22nd after being fixed in Tunisia:

      “the vessel 106 will join the vessels 109 and 111 at Khums port to contribute in securing the Libyan coast from Tajoura all along to Zlitan city in the east”,

      the Libya Observer reports.

      https://betweenlibyaanditaly.wordpress.com/2018/02/25/italy-has-reportedly-delivered-further-vessels-to-tr

    • Mancata ratifica parlamentare del memorandum Italia-Libia : al via il ricorso alla Corte Costituzionale

      Presentato un ricorso alla Consulta da alcuni parlamentari italiani contro il Governo che, non chiedendo la ratifica dell’ accordo, ha impedito loro di esercitare il diritto di discuterne e di votare, come stabilito dalla Costituzione . La scheda tecnica dell’ASGI sull’azione.

      https://www.asgi.it/primo-piano/mancata-ratifica-parlamento-memorandum-italia-libia-ricorso-corte-costituzional
      #memorandum

    • Italian work on Libya and migrants OK

      Italy’s work on migrants and Libya has been positive, Frontex chief #Fabrice_Leggeri told ANSA in an interview Tuesday.
      “Italy is working to use the resources allotted by the EU to find sustainable solutions for Libya” and the migrants held there, he said.
      "And for now it is going in the right direction, even though the conditions of the centres in Libya are not in line with our standards, and with basic humanitarian standards.
      “But that is not Italy’s fault, all the international community and not only the EU can help”.


      http://www.ansa.it/english/news/politics/2018/02/20/italian-work-on-libya-and-migrants-ok_1cfcf7d8-b477-452c-aedf-86c0cfd48b48.html
      #Frontex #Leggeri

    • Migranti, l’accordo Italia-Libia finisce davanti alla Corte costituzionale

      Era il 2 febbraio 2017 quando – alla vigilia di un importante vertice europeo a Malta in cui si sarebbe discusso anche di emergenza immigrazione – il Primo ministro Paolo Gentiloni siglava a Roma l’accordo col presidente del Governo di unità nazionale libico Fayez al-Serraj: un memorandum in cui l’Italia si impegnava nei confronti della Libia a fornire strumentazioni e sostegno militare, strategico e tecnologico, oltre a fondi per lo sviluppo, per bloccare le partenze dei migranti in fuga. Un accordo con un Paese, è bene ricordarlo, che non ha ratificato la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, e nelle cui carceri i migranti sono quotidianamente oggetto di violenze e soprusi.

      https://left.it/2018/02/28/migranti-laccordo-italia-libia-finisce-davanti-alla-corte-costituzionale

    • Le patrouilleur 648 qui a menacé Open Arms, un cadeau de l’Italie à la Lybie.

      L’UE a entrainé l’équipage du bateau qui a joué un rôle dans plusieurs incidents avec des ONG de sauvatage.

      CRISTINA MAS Barcelona 25/03/2018 00:21

      Le bateau de patrouille des gardes-côtes libyens qui a menacé dans les eaux internationales les volontaires d’Open Arms le 15 mars afin qu’ils leur livrent les femmes et les enfants qu’ils étaient en train de secourir, était un cadeau de l’Italie à la Libye. La même embarcation, qui porte le numéro d’identification 648 et le nom de Ras al Jadar, a joué un rôle dans plusieurs autres incidents avec d’autres bateaux des ONG SeaWatch et SOS méditerranée, qui travaillent au sauvetage de naufragés en Méditerranée.

      Entre 2009 et 2010, le Premier ministre italien Silvio Berlusconi a alors accordé six patrouilles aux garde-côtes libyens dans le cadre de l’accord amical signé avec le dictateur libyen Mouammar Kadhafi. Le texte prévoyait la construction d’un système de radar dans le but de surveiller les frontières du désert et des patrouilles maritimes conjointes dans les eaux libyennes et internationales pour empêcher que des bateaux quittant la Libye arrivent en Italie.

      Mais la vie des six bateaux de patrouille donnés à Kadhafi – toutes du modèle Bigliani, qui étaient auparavant au service du corps militaire Guardia di Finanza - était aussi courte que la période à laquelle le dictateur a survécu au pouvoir. Le 17 février 2011, le printemps arabe atteint la Libye avec une révolte qui a déclenché une intervention de l’OTAN et s’est terminée avec la mort de Kadhafi huit mois plus tard. Deux des embarcations ont été détruites dans les combats, et les quatre autres, dont le 648, ont été réparés à l’usine navale de Fiamme Gialle de Miseno (Naples). En avril dernier, l’Italie les a rendue au gouvernement de Tripoli.

      L’incident du 15 mars avec Open Arms n’est pas le premier d’une ONG avec ce bateau de patrouille. Le 6 novembre, l’ONG allemande Sea Watch, travaillant dans la même région, a rapporté qu’à 30 miles de la côte libyenne la même patrouille a interféré dans un sauvetage.

      Les migrants à bord ont pris panique, le bateau des gardes-côtes les a rattrapé, certains naufragés ont pu grimper sur le bateau de patrouille sans que les agents ne les aident et, une fois à bord, comme on peut le voir sur la vidéo enregistrée par l’ONG, les gardes-côtes les ont frappés avec les amarres du bateau.

      Un jeune a tenté de descendre pour atteindre le bateau de l’ONG et est resté suspendu à l’échelle, au moment où le bateau libyen a accéléré et mis sa vie en danger. Au moins cinq migrants sont morts dans l’opération, des décès qui selon Sea Watch auraient pu être évités.

      Le 4 mars, le navire Aquarius, de l’ONG SOS Mediterranée, a également subi l’hostilité de la patrouille 648, qui s’est approchée d’eux au cours d’une collision sans répondre à leurs avertissements radio et finalement ils leur ont ordonné de quitter le site, à 17 milles au large de la côte, alors même s’ils étaient à la recherche d’un bateau.

      Un autre vaisseau d’Open Arms a eu, en août, un incident avec un autre bateau de patrouille donné par l’Italie, le 654, qui les a menacé avec deux rafales de balles tirée en l’air et une semaine plus tard les a forcés à naviguer pendant environ deux heures en direction de Tripoli en disant qu’ils étaient sous sa protection.

      Rome et l’ensemble de l’UE ont choisi l’un des trois gouvernements qui se disputet le pouvoir dans la guerre civile en Libye, celui dirigé par le Premier ministre Faiez al-Sarraj, qui a le soutien de l’UE et de l’ONU, mais ne contrôle seulement qu’un tiers du pays. La Libye est plongée dans un conflit sans front avec des centaines de milices armées.

      Le Premier ministre italien Paolo Gentiloni et Al-Sarraj ont signé le 2 février 2017 un protocole d’accord - dans le cadre de l’accord signé par Berlusconi et Kadhafi - qui établit une coopération bilatérale dans les domaines du développement, l’immigration illegale, le trafic d’êtres humains, la contrebande et le renforcement de la surveillance des frontières entre l’Italie et la Libye. L’Italie livrera à Tripoli six patrouilles supplémentaires totalement neuves.

      L’Espagne s’est proposé de former 100 garde-côtes libyens dans la base navale de Carthagène. Dans le cadre de l’opération Sophia de l’OTAN, le programme de formation de la Garde côtière libyenne financé par l’UE avec 46 millions d’euros a déjà formé 93 agents dans un navire italien et dans un autre navire néerlandais. 43 officiers supplémentaires ont été formés en Crète, à Malte et à Rome.

      Human Rights Watch lance un cri d’alarme : « Aider les autorités libyennes à capturer des immigrés en haute mer, sachant qu’ils les rendront à un traitement cruel, inhumain ou dégradant dans une détention arbitraire, expose l’Italie et d’autres pays de l’UE à participer à une violation grave des droits de l’homme ». Les accusations ne viennent pas seulement des ONG. Le groupe d’experts de l’ONU sur la Libye a rappelé que « les abus contre les migrants ont été largement collectés, y compris les exécutions, la torture ou la privation de nourriture, d’eau et de médicaments », et prévient que « le département contre l’immigration (libyen) et la garde côtière (italienne) sont directement impliqués dans ces graves violations des droits de l’homme. » Avec les accords d’externalisation du contrôle des frontières de l’UE, le témoignage des ONG en Méditerranée centrale devient de plus en plus gênant."

      Traduction, reçu via la mailing list de Migreurop, de cet article paru en catalan:
      La patrullera #648 que va amenaçar Open Arms, un regal d’Itàlia a Líbia

      La UE va entrenar la tripulació del vaixell que ha protagonitzat diversos incidents amb ONGs de rescat


      https://www.ara.cat/internacional/patrullera-amenacar-Open-Arms-Libia_0_1984601662.html
      #Open_arms

    • Texte publié par SOS Méditerranée, sur twitter (17.04.2018) :

      UPDATE while searching for the boat in distress, the #Aquarius was informed the Libyan coastguard took coordination over 2 boats in distress today. This means more people were taken back to a place where their safety is not guaranteed.

      https://twitter.com/SOSMedIntl/status/986294580097224705

      v. aussi :

      UPDATE The #Aquarius was alerted to a boat in distress earlier today. This afternoon, the crew of the #Aquarius found this empty and slashed rubber boat in international waters off the coast of #Libya.

      https://twitter.com/SOSMedIntl/status/986267126087503872

      #refoulement #push-back

    • Cercate i guardacoste libici? Telefonate a Roma: 06/…

      È un numero di telefono a rivelare il rapporto, forse un po’ troppo stretto, tra Roma e Tripoli. Una utenza che corrisponde a un interno della Marina militare italiana, stampato, come recapito del mittente, su un modulo di messaggi utilizzato dalla Guardia costiera libica. Il documento, di cui pubblichiamo il dettaglio, ha consultato porta la […]

      https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/cercate-i-guardacoste-libici-telefonate-a-roma-06

    • Sur le site de la Défense italienne...
      Un article de août 2017:
      Nave #Tremiti nel porto libico di #Abu_Sittah

      Dopo il pattugliatore Comandante Borsini che ha sbarcato nel porto militare di Tripoli (Abu Sittah) il personale italiano che opererà a supporto della Guardia costiera libica, è giunta ieri nel porto della nostra ex colonia Nave Tremiti, una delle 6 unità da 750 tonnellate per il trasporto costiero della Classe Gorgona.

      La nave è destinata a garantire supporto tecnico ai mezzi navali libici nell’ambito della cooperazione italo-libica e in applicazione dell’accordo tra i due Paesi del 2008 “riesumato” dal governo di Fayez al-Sarraj.


      http://www.analisidifesa.it/2017/08/nave-tremiti-nel-porto-libico-di-abu-sittah

      –-> j’aime bien l’expression «accordo riesumato» = «accord ressuscité»

      Et puis cette nouvelle, de 30 mars 2018:
      Missioni Militari: Nave #Caprera sostituisce la #Capri nella missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia

      È previsto nella giornata di oggi il “passaggio di consegne” tra Nave Capri e Nave Caprera nell’ambito della Missione Bilaterale di Assistenza e Supporto in Libia.

      In particolare, a questo assetto navale compete, prioritariamente, l’attività di supporto logistico e tecnico-manutentivo dei battelli della Marina e della Guardia Costiera libiche. Nave Caprera giungerà domani al porto di Tripoli, da dove comincerà la sua missione della durata di circa quattro mesi.

      Nave Capri aveva iniziato la sua attività a dicembre dello scorso anno, subentrando a Nave Tremiti, e nei suoi circa quattro mesi di missione ha svolto consulenza e formazione del personale militare libico della Marina e della Guardia Costiera nelle attività di manutenzione, riparazione e ripristino dell’efficienza delle unità navali libiche.

      L’operazione, inizialmente inquadrata nell’operazione “Mare Sicuro”, era stata avviata ad agosto dello scorso anno, in seguito alla richiesta di supporto avanzata dal Governo di Accordo Nazionale libico al Governo italiano. Per assolvere con efficacia i compiti assegnati, a bordo delle unità navali italiane della “classe Gorgona” – selezionate per alternarsi in questo specifico incarico di natura tecnico-logistica – è prevista la presenza di un container attrezzato a officina meccanica, oltre che di due ulteriori team di personale tecnico-specialistico.

      https://www.difesa.it/OperazioniMilitari/op_intern_corso/Libia_Missione_bilaterale_di_supporto_e_assistenza/notizie_teatro/Pagine/Nave_Caprera_sostituisce_la_Capri_nella_missione_bilaterale_di_assistenza_e_s

      #operazione_Mare_Sicuro

    • "Playing with Molecules": The Italian Approach to Libya

      Cette étude met en lumière la manière dont la politique étrangère italienne a choisi en Libye de traiter avec les divers éléments, ou « molécules », d’un pays entré en décomposition.
      La politique impulsée par le gouvernement Gentiloni, et en particulier le ministre de l’Intérieur Marco Minniti, a composé avec les différents acteurs pour « repriser » et stabiliser le terrain, afin de mieux gérer les flux de migrants et les activités illégales en Méditerranée, mais aussi de sécuriser l’approvisionnement énergétique de l’Italie. Cette approche « moléculaire » est à double tranchant : alors que les flux migratoires se sont réduits, que les relations économiques s’intensifient et que les coopérations informelles créent de nouveaux espaces de dialogue, le manque de vision stratégique dans la mise en avant de nouveaux acteurs pourrait nuire aux perspectives de paix et in fine, aux relations entre l’Italie et la Libye.


      https://www.ifri.org/fr/publications/etudes-de-lifri/playing-molecules-italian-approach-libya

    • Most Libyan militias involved in illegal migration activities nominally affiliated to official state security institutions: UN Libya Experts Panel report

      Most Libyan militias involved in illegal migration activities are nominally affiliated to official state security institutions, the UN Libya Experts Panel report states in its section on human trafficking and financing of armed groups.

      ‘‘Armed groups, which were party to larger political-military coalitions, have specialized in illegal smuggling activities, notably human smuggling and trafficking. The drastic rise in the numbers of migrants starting in 2014 indicates that illegal migration in Libya is not the preserve of isolated armed groups but of much larger coalitions. Most armed groups involved in these illegal activities were nominally affiliated to official security institutions. In 2014, the number of migrants that took the central Mediterranean route (great majority through Libya) was 170,664, compared to 45,298 and 15,151, respectively in 2013 and 2012.

      Role of SDF and links with smugglers

      The Special Deterrence Force (SDF) is an armed group affiliated to the Government of National Accord’s Ministry of Interior, with policing and security functions, including investigation of human traffickers and the arrest of illegal migrants.

      Testimonies of migrants, originating from Eritrea, reveal that when they reached Tripoli from Bani Walid in July 2016, they were arrested by SDF. They confirmed that, once arrested by SDF, they were handed over, against payment, to various migrant smuggling rings for onward journeys to Zawiyah and Sabratha.

      Some were handed over to the Mitiga detention centre, while others were taken to the Tajura and Abu Slim detention centres. These three centres are theoretically subordinated to the Ministry of Interior’s Department Combatting Illegal Migration (DCIM). The group detained in Mitiga had to pay the SDF between 300 and 400 USD each, for their release and transfer from Tripoli to Sabratha.

      Four Bangladeshis told the Panel that they landed in Tripoli from Dhaka on 15 July 2015, holding valid Libyan work visas. On arrival, SDF seized their passports and detained them for three months in Mitiga. They were subsequently transferred to Sabratha, and sent on boats against their will to Europe after being extorted of 300 USD paid in cash to the SDF elements.

      The Panel is assessing whether the SDF’s leadership was aware of collusion and trafficking being conducted within its ranks.

      Role of Eritrean smugglers

      In Tripoli, a well-structured network of smugglers coming from East Africa has operated since 2008. Multiple testimonies collected and corroborated by judicial authorities indicate that the leadership is composed of two Eritreans living in Tripoli, Ermias Ghermay and Abd al-Razzak Fitwi.

      They play a key role in organizing the smuggling from the migrants’ homeland to Italy against substantial payments. Interviewees claimed that Fitwi acts as a broker and receives up to 1,500 US dollars per person, to release the migrants held in the official detention centres in Tripoli and to send them to Sabratha.

      An armed group member from Tripoli, told the Panel that Fitwi and Ghermay paid substantial fees to prominent armed groups to pursue their activities and to guarantee their safety. They also have private detention camps in Tajura, Abu Slim and Gargaresh guarded by Africans. From there they transport migrants to Sabratha or Zawiyah.

      Use of State detention facilities for trafficking

      The Directorate Combatting Illegal Migration (DCIM) is responsible for 24 detention centres and employs 5,000 staff. Under Libyan legislation, the migrants are detained because they are considered as illegal aliens, subject to investigation by judicial authorities.

      According to international agencies, the DCIM has no control over its detention centres. The administration is almost non-existent, and records on the migrants, who have been detained, are poor. A minister of the GNA admitted in a discussion that the armed groups are stronger than the authorities in handling the flows of migrants. Several migrants also confirmed that the local armed group controlled the centres they stayed in.

      Smugglers in Sabratha

      Sabratha is the main departing point of migrants to Italy. The city is divided between two competing armed groups involved in migrant smuggling. The eastern zone is under control of Mosab Abu Grein al Wadi armed group. The western zone is held by Ahmad al-Dabbashi’s Martyr Anas al-Dabbashi Brigade.

      Anas al-Dabbashi Martyr Brigade

      The commander of Anas al-Dabbashi Martyr’s Brigade, Ahmad al-Dabbashi (alias al- ‘Amu), was the main smuggler in Sabratha from 2014 until he was ousted in October 2017. West African migrants rescued in Lampedusa in April 2017 testified in Italy on al-Dabbashi’s modus operandi.

      The interviewees were forced to call their families to transfer money to specific bank accounts located in Europe, Africa or the Middle East. From October 2016 to April 2017, they had to pay up to 2,000 USD each for their travel. The money was extorted by armed guards composed of Libyans, Nigerians and Gambians. The African guards work for three months to pay their own migration to Europe. The interviewees sailed, on 13 April 2017, with two of their former guards from Sabratha to Lampedusa.

      The Panel is investigating the GNA’s creation and financing of the anti-illegal migration unit, “Brigade 48”. Although it was supposedly under the Ministry of Defence and the Chief of Staff, sources stated that al-Amu’s brother, Mohamed al-Dabbashi, headed it. In summer 2017, al-Dabbashi’s brigade had apparently shifted from trafficking to policing migrants for the GNA’s account.

      Furthermore, several open sources reported an alleged deal with al-Dabbashi to contain the migration flows from Sabratha. Although the information was denied, it triggered violent clashes between competing armed groups involved in smuggling. Ahmad al-Dabbashi was defeated and escaped Sabratha on 6 October 2017. The PC dissolved the Brigade 48 on 16 November 2017.

      Role of Mos’ab Abu Grein

      Mos’ab Abu Grein (alias “The Doctor”), a leader of al-Wadi Brigade, operates in the eastern part of Sabratha. He is connected to a network of smugglers composed of Salafi armed groups in Tripoli, Sebha and Kufra. The Panel interviewed three different Eritrean migrants who reported that they were taken from SDF’s Mitiga detention centre to the Abu Grein facility in Sabratha in July 2016. They were detained in a hangar with African guards from where Abu Grein organizes departures on inflatable rubber boats to Italy.

      The interviewees said they paid Abu Grein 1,500 USD cash via a Nigerian broker to cross the Mediterranean. According to official sources, Mos’ab Abu Grein enjoys impunity for his activities in migrant smuggling because he collaborates with the SDF to counter drug traffickers, consumption of alcohol and combats alleged links of Sabratha and Zawiyah traffickers to listed entities such as ISIL.

      Abu Grein and Dabbashi have been in close competition, both seeking to monopolize the trafficking in Sabratha. From 21 September, Abu Grein supported the anti-ISIL Operation Room (AIOR) to combat the Brigade 48 armed group. The Panel notes that the warring parties, the AIOR and the Brigade 48, were officially financed by the GNA until the conflict broke out in Sabratha.

      Zawiyah

      Al Nasr Brigade and the Coast Guards

      Between Tripoli and Sabratha, Zawiyah port plays a distribution role. According to interviews of migrants and judicial reports, ‘Al Nasr Brigade’ 56, headed by Mohamed Koshlaf, and Zawiyah Coast Guards, was connected to Ahmad al-Dabbashi’s organization. Several migrants paid 100,000 to 150,000 Francs CFA57 to a Burkinabe broker operating between Koshlaf and the migrants.

      Other interviewees, who travelled in April 2017, asserted that their group left Zawiyah by night, crammed on a 10-meter inflatable rubber boat. While at sea, men with an official boat and wearing Coast Guard uniforms stopped them. They shot in the air and extorted the passengers’ money and valuables. When the boat arrived at calling distance off the Italian shores, the same official boat returned to seize the rubber boat’s engine. Similar incidents have been reported previously.

      Southern Region

      Brigade Subul al-Salam

      Eritrean and Ethiopian interviewees described their transfer, in January 2015, from the Sudanese border to Al Kufra. An Eritrean fixer, called Afra Waiki, transported and handed them over to an armed group, Brigade Subul al-Salam, affiliated with the LNA and under the command of Abd al Rahman Hashem from the Zway tribe in al-Kufra.

      The interviewees said they were put in a prison where the guards were dressed in police uniforms and driving official police cars. For their release, each migrant had to transfer up to 300 USD to a foreign bank account. In July 2015, they could continue their travel to Bani Walid driven by another Eritrean fixer known as Wadi Isaaq.

      Role of Tebu armed groups and Sudanese armed groups

      Sources indicated active involvement of Tebu and Darfuri armed groups, supported by Darfuri mercenaries in the south, in migrant smuggling. They operate particularly in the Tamassa region, in the south west of Jebel Arrush, Murzuq and al Kufra. The Tebu manage their own warehouses for migrants while Darfuri armed groups provide protection and escort to the traffickers.

      Recent developments have shown attempts to counter the groups involved in migrant smuggling. In September 2017, an armed group called the ‘Suqur al Sahara’ headed by the Tebu commander, Barka Shedimi, claimed the closure of the borders with Niger, Sudan and Chad to halt human trafficking. Similarly, a coalition of armed groups linked to Murzuq Municipality also created their own border protection force. The Panel is investigating these decisions, particularly the political and the financial motivations behind them”.

      https://www.libyaherald.com/2018/03/11/most-libyan-militias-involved-in-illegal-migration-activities-nominally
      signalé par @isskein via Fulvio Vassallo sur FB

    • Sauvetage de migrants : tensions entre gardes-côtes et ONG au large de la Libye

      Plusieurs associations dénoncent le traitement infligé aux migrants par les garde-côtes libyens. Ces derniers travaillent en coordination avec l’Italie.

      Toujours pas d’apaisement en Méditerranée entre ONG et gardes-côtes libyens. Ce week-end, plusieurs navires humanitaires souhaitant s’approcher d’embarcations de migrants en détresse se sont vus refuser l’accès.

      « Les Libyens agissent comme des pirates dans les eaux internationales, exigeant que leur soit reconnue une autorité. Ils agissent hors du droit et ils le font avec des moyens fournis par le gouvernement italien », a accusé sur Twitter le député italien de gauche Riccadro Magi. Samedi, il était à bord de l’Astral, un voilier appartenant à l’ONG Proactiva Open Arms, lorsqu’une vedette libyenne a ordonné au navire de s’éloigner.

      Bis repetita dimanche avec l’Aquarius. Ce bateau, affrété par SOS-Méditerranée et Médecins sans frontières (MSF) avait été prévenu par les gardes-côtes italiens de la présence d’un canot surchargé au large de Tripoli. Mais Rome a aussi prévenu ses homologues libyens, qui ont pris la coordination de l’opération et interdit au navire de s’approcher. Leur a également été demandé de s’éloigner quand des migrants ont sauté à l’eau pour tenter d’éviter d’être reconduits en Libye. En début de soirée, la marine libyenne a annoncé avoir secouru plus de 300 migrants dans trois opérations distinctes, faisant état d’un mort et d’un disparu.

      Flou autour de l’identité de ces gardes-côtes

      Le porte-parole de la marine libyenne a prévenu que les tensions avec les ONG risquent de s’aggraver dans les prochains jours, les navires humanitaires « s’approchant de plus en plus » des eaux libyennes, selon M. Kacem. La Libye, qui accuse les ONG d’être liées aux réseaux de passeurs, est soutenue par l’Italie et l’Union européenne qui finance la formation de ces officiers dans cette région en proie aux tensions inter-tribales.

      « Certains ont des uniformes mais on ne sait pas qui ils sont vraiment, décrivait pour le Parisien Francis Vallat, président de SOS Méditerranée. Certains dépendent du gouvernement libyen reconnu internationalement, tandis que d’autres relèvent de chefs féodaux plus ou moins provinciaux. On ne sait pas si ces gens respectent le droit. En tout cas, ils ont une attitude qui permet d’en douter. »

      LIRE AUSSI >Des migrants « secourus » sur fond d’accusations de traitements inhumains

      Trois responsables de l’ONG Proactiva Open Arms font actuellement l’objet d’une enquête judiciaire en Italie pour avoir refusé de remettre des migrants aux Libyens lors d’une opération mi-mars. Même si un juge a estimé qu’ils avaient agi « en état de nécessité » compte tenu de l’insécurité pour les migrants en Libye.
      La crainte de l’« enfer libyen »

      Le pays fait régulièrement l’objet de critiques pour les traitements infligés aux migrants, notamment africains, qui passent sur son territoire dans l’espoir de rejoindre l’Europe pour une vie meilleure. En novembre, CNN révélait au monde abasourdi l’existence de ventes aux enchères d’hommes réduits aux rangs d’esclaves, dans une vidéo glaçante tournée près de Tripoli, la capitale libyenne.

      Cette semaine, MSF a dénoncé la situation dans un centre de détention libyen à Zouara (ouest), où ses équipes ont vu plus de 800 personnes tellement entassées qu’elles ont à peine la place de s’allonger, « sans un accès adéquat à l’eau et à la nourriture ».

      LIRE AUSSI >Esclavage en Libye : Ousmane a vécu six mois d’enfer dans les geôles libyennes

      La coordination entre Rome et Tripoli a fait chuter drastiquement les départs vers les côtes européennes. Selon les autorités italiennes, près de 9 500 migrants ont débarqué cette année, soit une baisse de 75 % par rapport à la même période en 2017. Dans le même temps, les gardes-côtes libyens ont secouru et ramené en Libye plus de 5 000 migrants, selon l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), qui fait aussi état d’un bilan d’au moins 379 morts ou disparus au large de la Libye.

      http://www.leparisien.fr/international/sauvetage-de-migrants-tensions-entre-gardes-cotes-et-ong-au-large-de-la-l

    • Riportati dalla Guardia costiera in Libia, torturati e venduti : le associazioni fanno ricorso alla CEDU

      Ricorso alla Corte Europea dei Diritti umani contro l’Italia per aver coordinato la Guardia Costiera libica nei respingimenti che hanno portato ad abusi e al decesso di migranti

      Il 6 Novembre 2017 l’ONG Sea-Watch è stata ostacolata dalla Guardia Costiera Libica durante un’operazione di salvataggio di 130 cittadini migranti da un gommone alla deriva, partito dalle coste libiche. Almeno venti dei migranti sono morti, tra cui due minori. L’intervento è stato coordinato a distanza dal Centro di Coordinamento Marittimo (MRCC) della Guardia Costiera italiana e la motovedetta libica coinvolta era stata donata dal governo italiano alcuni mesi prima. La Guardia Costiera libica ha poi riportato in Libia quarantasette dei sopravvissuti, che sono stati rinchiusi in condizioni disumane, subendo percosse, estorsioni, fame e stupri. Due di loro sono stati successivamente “venduti” e torturati con elettrochoc. Nella conferenza stampa verrà illustrato il ricorso alla Corte Europea dei Diritti umani e verrà presentato un rapporto audio-visivo prodotto da Forensic Oceanography/Forensic Architecture che ricostruisce questo ed altri casi di respingimento.

      https://www.asgi.it/allontamento-espulsione/migranti-libia-guardia-costiera-cedu
      #CEDH

    • Un article d’avril 2017

      L’accordo tra Italia e Libia potrebbe favorire il traffico di migranti

      A Gaeta è una giornata di sole, i battaglioni della guardia di finanza sono schierati davanti al mare sulla terrazza della caserma Bausan, stretta tra il golfo e la cittadina fortificata. In mare le due motovedette che l’Italia restituirà alla guardia costiera libica si esibiscono in caroselli a sirene spiegate. Un elicottero sorveglia la parata. Il ministro dell’interno Marco Minniti è arrivato da Roma per assistere alla riconsegna alla guardia costiera libica di due motovedette. Erano state donate dall’Italia alla Libia nel 2009, ma erano state danneggiate nel 2011 durante la guerra in Libia, e restituite agli italiani nel 2012.

      “Entro l’anno ne saranno consegnate in tutto dieci”, dice il ministro, che nel suo discorso definisce la guardia costiera libica “la più importante struttura nel Nordafrica” per il controllo dell’immigrazione irregolare. Poco dopo, Minniti consegna i diplomi ai venti cadetti libici che hanno seguito un corso di addestramento a Gaeta per tre settimane. Altri diciannove saranno formati nelle prossime settimane dalla scuola nautica della guardia di finanza, per un totale di quattro equipaggi.

      L’obiettivo del governo italiano, espresso nel memorandum d’intesa con la Libia firmato il 2 febbraio, è affidare ai libici il pattugliamento delle coste e il recupero dei migranti che salpano ogni giorno dalle coste del paese africano a bordo d’imbarcazioni di fortuna. Dall’inizio del 2017 ne sono stati soccorsi più di 30mila, mentre quelli che hanno perso la vita durante la traversata sono stati più di mille. Il presidente del governo di unità nazionale (Gna) di Tripoli, Fayez al Sarraj, ha chiesto all’Italia di investire 800 milioni di euro nella cooperazione per fermare l’arrivo dei migranti.

      Adel, Hamza e Omar sono alcuni degli ufficiali della guardia costiera libica che partecipano alla cerimonia di Gaeta: maglione blu a coste e cappellino da baseball. “In Libia la situazione non è per niente tranquilla”, dice Adel, gli occhi verdi e il volto scavato, in un italiano stentato, dopo la fine della cerimonia, mentre mangia pasticcini insieme ai compagni sotto coperta, all’interno della motovedetta appena riconsegnata a cui è stato dato il nome di Sabratha. “La guerra non è proprio finita”, continua Adel sorridente.

      Alleati affidabili?
      Il governo italiano conosce bene la situazione drammatica in Libia e molte inchieste hanno denunciato casi di corruzione della guardia costiera del paese, eppure Roma sembra determinata a perseguire il suo progetto di cooperazione con Tripoli per fermare la partenza dei migranti, anche se il memorandum d’intesa è stato sospeso dalle autorità libiche, nell’attesa che un tribunale ne stabilisca la legittimità.

      “Fermeremo le imbarcazioni che partono dalla Libia”, ha detto Ahmed Safar, l’ambasciatore libico in Italia. “Quelli che saranno soccorsi saranno portati nei centri di detenzione più vicini”, ha assicurato durante la cerimonia di Gaeta. La rete televisiva tedesca Ard ha rivelato che il governo di Tripoli ha chiesto all’Unione europea di armare la guardia costiera libica con altre 130 imbarcazioni di vario tipo, alcune delle quali dotate anche di mitragliatrici per fermare la partenza dei migranti dalle coste.

      Molti esperti, tuttavia, hanno espresso il timore che i fondi stanziati dall’Italia e dall’Unione europea per finanziare la guardia costiera libica finiscano indirettamente nelle mani dei trafficanti. Un’inchiesta di Nancy Porsia per Trt World, infatti, ha mostrato che il capo della guardia costiera a Zawiya, Abdurahman Milad, è una delle figure chiave del traffico di esseri umani nella regione.

      Milad è accusato di avere legami con le milizie di Tripoli che portano i migranti dal Sahara alla costa, prima che siano imbarcati verso l’Italia. “Le mafie si sono infiltrate, ricattano molte delle unità di polizia, delle guardie costiere delle città e dei villaggi libici”, aveva detto una fonte della sicurezza italiana all’inviato del quotidiano italiano Repubblica in Libia Vincenzo Nigro.

      “In Libia non si può parlare di un’unica guardia costiera, ma di un’istituzione che rimane espressione delle realtà locali”, spiega Gabriele Iacovino, esperto di Libia del Centro di studi internazionali (CeSI). “Una cosa è la guardia costiera di Misurata, un’altra quella di Zawiya. In particolare, in questa regione della Libia, i poteri locali sono nemici delle milizie che controllano Tripoli”.

      Iacovino spiega che non si può escludere che in alcune zone “esponenti della guardia costiera libica si facciano pagare delle tangenti dai trafficanti per consentire alle imbarcazioni di lasciare la costa e giungere nelle acque internazionali”.

      Questa ipotesi è stata confermata da un rapporto dell’operazione navale europea EunavforMed, citato dall’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), che denuncia la collusione tra la guardia costiera di Zawiya e i trafficanti di esseri umani. In un articolo, pubblicato sull’Espresso, i giornalisti Francesca Mannocchi e Alessio Romenzi hanno descritto un fenomeno simile: la guardia costiera libica vende le persone recuperate in mare alle milizie, che gestiscono dei centri di detenzione illegali.

      Nell’agosto del 2016 una nave dell’ong Medici senza frontiere, che soccorreva i migranti in mare, è stata attaccata da un’imbarcazione della guardia costiera libica; il 21 ottobre del 2016 una nave dell’ong tedesca Sea-watch ha denunciato che la guardia costiera libica ha picchiato i profughi imbarcati su un gommone al largo della Libia. Un video pubblicato dal Times nel febbraio del 2017 mostra, infine, percosse e maltrattamenti dei guardacoste libici ai migranti.

      Il mercato degli schiavi
      “I migranti spesso ci dicono che preferirebbero morire piuttosto che tornare in Libia”, racconta Riccardo Gatti dell’organizzazione non governativa spagnola Proactiva open arms, che effettua soccorsi in mare. “Mi ricordo di un ragazzo bangladese che aveva minacciato di buttarsi in mare quando un’imbarcazione della guardia costiera libica si era avvicinata alla nostra nave”. Dall’inizio del 2017 i guardacoste e i pescatori libici hanno recuperato circa quattromila migranti al largo della Libia, secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim). Flavio Di Giacomo, portavoce dell’Oim in Italia, conferma: “I trafficanti dicono ai migranti di mettersi in mare prima di giugno, cioè prima che la guardia costiera libica sia di nuovo attiva e impedisca la partenza delle imbarcazioni”.

      Di Giacomo aggiunge: “Sappiamo che ci sono persone che collaborano con la guardia costiera e che in realtà sono trafficanti”. L’Oim ha recentemente denunciato un “mercato degli schiavi” in cui una persona può essere venduta per duecento dollari. “Da anni i migranti ci raccontano che in Libia vengono sequestrati da miliziani che chiedono un riscatto alle famiglie per liberarli oppure li vendono ad altri trafficanti”, racconta Di Giacomo.

      “Non appena passano il confine tra il Niger e la Libia e arrivano a Sabha, i migranti cadono nelle mani delle milizie. Sono rapinati, rapiti, reclusi nei centri di detenzione. A Sabha corrono il rischio di essere venduti in un vero e proprio mercato degli schiavi, come lo definiscono loro stessi, che si svolge nei parcheggi e nelle piazze”, spiega Flavio Di Giacomo.

      L’ambasciatore libico in Italia ha confermato le violazioni dei diritti umani nei centri per migranti

      L’Oim è una delle poche organizzazioni umanitarie ad avere accesso a una decina di campi di detenzione intorno alla capitale libica, Tripoli, dove sono rinchiuse circa seimila persone. In totale, secondo le Nazioni Unite, ci sono una cinquantina di campi in tutto il paese, ma i centri dove sono reclusi i migranti potrebbero essere molti di più. “Più lavoriamo in Libia, più ci rendiamo conto che è una valle di lacrime per i migranti. I centri sono prigioni, posti disumani”, spiega Di Giacomo. La sua denuncia è confermata da Arjan Hehenkamp, direttore generale di Medici senza frontiere, che ha visitato sette campi intorno a Tripoli e assicura che in Libia “tutti i campi di detenzione sono in mano alle milizie, non ci sono campi controllati dal governo”.

      Hehenkamp si è detto sconvolto da ciò che ha visto nei centri: “Persone che non hanno più dignità né autonomia, a completa disposizione dei carcerieri. Alcuni mi hanno raccontato di nascosto, sussurrando, gli abusi subiti: non possono parlare e sono terrorizzati dalle ritorsioni”.

      L’ambasciatore libico in Italia, Ahmed Safar, ha confermato le violazioni dei diritti umani nei centri, ma ne ha minimizzato l’importanza. “Le violazioni ci sono state e ce ne saranno ancora nei campi, ma non possiamo generalizzare”, ha detto il 21 aprile a Gaeta. “In Libia non ci sono nemmeno le leggi per regolarizzare la presenza di cittadini stranieri, perché la Libia è un paese di transito. Ci sono campi di detenzione, campi per il rimpatrio, campi dove si aspetta di essere espulsi. Il governo libico ha bisogno del sostegno dei partner europei per garantire una situazione migliore”, ha concluso.

      Una frontiera che non esiste
      Per fermare l’arrivo di migranti in Europa, l’Italia sta investendo anche sul controllo della frontiera meridionale libica, un’area di confine in mezzo al deserto, da secoli attraversata dalle rotte migratorie e controllata dai trafficanti. Il 31 marzo a Roma il governo italiano si è fatto garante di un accordo di pace firmato da una sessantina di gruppi tribali che vivono nel sud del paese e che dall’inizio della guerra civile se ne contendono il controllo. Dopo la firma dell’accordo di pace, il ministro Minniti ha precisato che “una guardia di frontiera libica pattuglierà i cinquemila chilometri della frontiera meridionale del paese”.

      Minniti ha ribadito che mettere in sicurezza quel confine significa “mettere in sicurezza la frontiera meridionale dell’Europa”. Molti hanno però sollevato dubbi sul fatto che questo accordo possa funzionare, sia per la vastità della zona da controllare sia per gli interessi in gioco. “Si tratta di zone desertiche, molto insicure, zone che da sempre sono lo scenario di traffici di armi, di droga e di esseri umani”, spiega Giuseppe Loprete dell’Oim, che è appena tornato da una missione al confine tra il Niger e la Libia.

      “Le popolazioni dei tubu e dei tuareg presenti in Libia sono presenti anche in Niger, la frontiera per loro non esiste. Tra il nord del Niger e il sud della Libia c’è un rapporto di continuità: è importante che le comunità locali siano coinvolte in qualsiasi tipo di negoziato”, dice Loprete che sottolinea un aspetto importante, ma sottovalutato: “L’immigrazione irregolare è una fonte di guadagno per le comunità locali”.

      Dopo il 2011 tutti i traffici illegali sono diventati la principale fonte di guadagno delle popolazioni locali

      Lo conferma Virginie Colombier, esperta di Libia e ricercatrice dell’Istituto universitario europeo di Fiesole: “Soprattutto dopo il 2011 tutti i traffici illegali sono diventati la principale fonte di guadagno delle popolazioni locali del sud e dell’ovest della Libia”. Questa regione è il principale punto d’ingresso in Libia dei migranti che arrivano dall’area del Sahel e, più in generale, dall’Africa subsahariana.

      Si tratta di una zona isolata, dove non ci sono infrastrutture, reti di comunicazione, strutture sanitarie. In quella regione, inoltre, sono in gioco importanti interessi economici internazionali: passano i principali traffici illeciti diretti in Europa e in Nordafrica (commercio di droga e di armi) e ci sono pozzi petroliferi. “L’Italia ha tutto l’interesse a ristabilire la sicurezza nel sud e nell’ovest del paese, perché in quel territorio sono presenti alcune grandi aziende italiane attive nel settore del petrolio e del gas”, spiega Colombier.

      Secondo la studiosa francese, il governo di AlSarraj non riesce ad assicurare il controllo del territorio e per questo Roma ha deciso di intraprendere azioni dirette come l’accordo tra i gruppi tribali del sud del paese. “Una delle questioni centrali è la situazione nella città di Sabha; il centro urbano più popoloso dell’area, conteso tra i diversi gruppi”, continua Colombier.

      Prima del 2011, alcuni accordi di pace informali avevano garantito al governo di Tripoli di controllare – almeno in parte – il confine, ma questi accordi sono falliti dopo la caduta di Muammar Gheddafi e diverse tribù hanno cominciato a contendersi il controllo delle principali rotte dei traffici illegali. L’Italia sta cercando d’intervenire e di ritagliarsi un ruolo di mediatrice, “un passo preliminare che potrebbe assicurare agli italiani un’influenza nella regione anche in futuro”. Tuttavia, secondo Colombier, “l’accordo difficilmente avrà effetti concreti nel breve periodo, né servirà a fermare l’immigrazione irregolare”.

      Per Gabriele Iacovino al momento una delle questioni problematiche è l’interesse che il generale Khalifa Haftar, in conflitto con il governo di Tripoli, ha manifestatoperalcuni impianti petroliferi nella regione di Sabha. Queste azioni militari non fanno altro che minacciare i fragili equilibri nella regione meridionale del paese. “Interrompere il cessate il fuoco tra tebu e tuareg, le due principali tribù nel sud del paese, può compromettere ulteriormente il processo di stabilizzazione del paese”, conclude Iacovino.

      Nel frattempo, però, la situazione in Libia è talmente disperata che sta aumentando il numero di persone disposte a tornare in Niger. Lo conferma l’Organizzazione internazionale delle migrazioni, che ha osservato il fenomeno nei suoi cinque centri per migranti in Niger. “Quelli che sono abbandonati nel deserto, quelli che non ce la fanno ad arrivare sulla costa, quelli che hanno finito i soldi, tornano spesso in Niger, nel nostro centro a Dirkou”, racconta Loprete. Quando tornano hanno storie disperate. Hanno fatto il viaggio, con tutte le difficoltà che comporta, ma non hanno ottenuto quello che speravano.

      https://www.internazionale.it/notizie/annalisa-camilli/2017/04/29/italia-libia-migranti-guardia-costiera

    • Meeting of Libyan, Italian officials revolve around illegal migration, southern borders security

      Libyan officials from different authorities met with the Italian ambassador to Libya, Giuseppe Perrone, and a delegation from the Italian defense and interior ministries as well as representatives of the Italian Prime Minister at the coast security department’s headquarters in Tripoli on Thursday.

      https://www.libyaobserver.ly/news/meeting-libyan-italian-officials-revolve-around-illegal-migration-sout

    • Libia-Italia: ministro Interno #Minniti atteso oggi a Tripoli

      Tripoli, 15 mag 09:35 - (Agenzia Nova) - Il ministro dell’Interno, Marco Minniti, è atteso oggi a Tripoli per una visita a sorpresa. Lo hanno riferito ad “Agenzia Nova” fonti libiche secondo le quali il titolare del Viminale incontrerà funzionari del governo di accordo nazionale. Minniti dovrebbe tenere una conferenza stampa nel corso della giornata nella base navale di Abu Seta, vicino Tripoli. La scorsa settimana il coordinamento tra la Guardia costiera libica e italiana ha portato al primo salvataggio in mare di 498 migranti al largo delle coste di Sabrata, nella Libia occidentale. L’11 maggio si è tenuta nella capitale libica una riunione del Comitato misto per la lotta contro l’immigrazione illegale tra Italia e Libia, nel quale è stato fatto il punto sul programma di rafforzamento delle capacità della Guardia costiera e della Guardia di frontiera del paese nordafricano. Durante la riunione è stata espressa soddisfazione per l’operazione di salvataggio dei 500 migranti. L’Italia ha recentemente consegnato alla Guardia costiera libica due motovedette riparate nel nostro paese. Le due motovedette erano state inviate in Italia nel 2013 per essere riparate e sarebbero dovute rientrare in servizio nell’agosto del 2014.

      Lo scorso 2 febbraio il presidente del Consiglio italiano, Paolo Gentiloni, e il premier del governo di accordo nazionale libico, Fayez al Sarraj, hanno firmato a Roma un memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e l’Italia. L’accordo prevede che la parte italiana si impegni “a fornire supporto tecnico e tecnologico agli organismi libici incaricati della lotta contro l’immigrazione clandestina”. Non solo: l’intesa prevede anche il “completamento del sistema di controllo dei confini terrestri del sud della Libia”, “adeguamento e finanziamento dei centri di accoglienza”, “la formazione del personale libico all’interno dei centri di accoglienza”, “sostegno alle organizzazioni internazionali presenti e che operano in Libia nel campo delle migrazioni a proseguire gli sforzi mirati anche al rientro dei migranti nei propri paesi d’origine”. (Lit) © Agenzia Nova - Riproduzione riservata

      https://www.agenzianova.com/a/59195c42c137d4.06358231/1565108/2017-05-15/libia-italia-ministro-interno-minniti-atteso-oggi-a-tripoli/linked

    • Italy tries to bolster Libyan coast guard, despite humanitarian concern

      Italy gave the Libyan coast guard four repaired patrol boats on Monday to beef up Libya’s efforts to stop people smuggling, but the support worries humanitarian groups operating rescue ships near the Libyan coast.


      http://www.reuters.com/article/us-europe-migrants-libya-idUSKCN18B2E5?feedType=RSS&feedName=worldNews
      cc @i_s_

    • L’Italie a signé un accord avec la Libye, le Tchad et le Niger pour contenir l’afflux de migrants

      Selon le bilan diffusé lundi par le ministère de l’Intérieur italien, 50 041 migrants sont arrivés sur les côtes italiennes depuis le début de l’année. Un chiffre qui correspond à une hausse de plus de 45% par rapport à la même période l’an passé. Face à cet afflux, l’Italie a signé dimanche un accord avec la Libye, le Tchad et le Niger.

      http://www.jeuneafrique.com/441266/societe/litalie-a-signe-accord-libye-tchad-niger-contenir-lafflux-de-migrants

    • Migranti: da vertice al Viminale con ministri Libia, Niger, Ciad centri accoglienza in paesi transito

      Centri di accoglienza per migranti rispondenti agli standard umanitari internazionali verranno costruiti in Ciad e Niger,due dei Paesi di transito delle migliaia di persone che dall’Africa sub sahariana raggiungono la Libia per poi imbarcarsi verso l’Italia. E’ uno dei risultati del vertice voluto dal ministro dell’Interno Minniti con i ministri dell’Interno di Libia, Niger e Ciad che si è tenuto al Viminale. I quattro ministri hanno siglato una dichiarazione congiunta.

      Secondo il Viminale si tratta di un punto di partenza per tentare di gestire il flusso di migliaia di senza speranza e spesso senza documenti che dall’Africa tenta di raggiungere l’Europa. Circa cinquemila uomini, donne e bambini diretti in Italia sono stati soccorsi al largo della Libia tra giovedì e sabato mattina dalle guardie costiere italiana e libica. Bisognerà vedere adesso se gli accordi messi nero su bianco nella dichiarazione congiunta troveranno applicazione nel deserto a sud della Libia, ma l’obiettivo e’ quello di arginare il fenomeno dove questo si origina e non in mare. Dalla Libia viene d’altronde il 90% di coloro che sbarcano in Italia e la quasi totalità è entrata nel paese nordafricano seguendo le rotte che dall’Africa occidentale portano ad Agades, in Niger, primo vero centro di smistamento di migliaia di esseri umani, o quelle che attraversano il deserto del Ciad e partono dall’Eritrea e dall’Etiopia.

      La strategia del Viminale si fonda su due pilastri: rafforzare la guardia costiera libica, mettendola in condizioni di operare per fermare i barconi – e in quest’ottica va la consegna entro giugno di 10 motovedette – e ristabilire il controllo sui cinquemila chilometri di confine sud che da anni sono in mano alle organizzazioni di trafficanti di esseri umani.

      Su quest’ultimo fronte il primo passo è stato il patto siglato il 2 aprile scorso sempre al Viminale con le principali tribù del Fezzan. Oggi, con la firma sulla dichiarazione da parte di Minniti, del ministro libico Aref Khoja e dei colleghi di Niger e Ciad, Mohamed Bazoum e Ahmat Mahamat Bachir e’stato fatto un altro passo per rafforzare i confini formando gli agenti e creando una “rete di contatto” tra tutte le forze di
      polizia della zona.

      L’Italia gioca una ruolo cruciale su questo aspetto visto che il Memorandum of understandig siglato il 2 gennaio a palazzo Chigi con la Libia prevede il completamento del sistema di controllo radar per il controllo dei confini al sud del paese già previsto dal trattato di Amicizia del 2008. Un sistema che dovrebbe realizzare Selex, del gruppo Leonardo-Finmeccanica, con una spesa prevista a carico dell’Italia di 150 milioni.

      http://www.onuitalia.com/2017/05/21/migranti-da-vertice-al-viminale-con-ministri-libia-niger-ciad-centri-acco
      #Tchad

    • Sempre più a Sud: Minniti ora vuole i Cie in Niger e in Ciad

      La foto ricordo scattata domenica scorsa al Viminale mostra una «storica» stretta di mano a quattro tra il nostro ministro dell’Interno Marco Minniti e i suoi omologhi di Ciad, Libia e Niger, dopo la firma di una dichiarazione congiunta per istituire una «cabina di regia» comune allo scopo di sigillare i confini a sud e evitare la partenza di migranti verso l’Italia e l’Europa.

      La dichiarazione impegna l’Italia a «sostenere la costruzione e la gestione, conformemente a strandard umanitari internazionali, di centri di accoglienza per migranti irregolari in Niger e in Ciad». Chi controlli la rispondenza di questi centri «di accoglienza» a standard di umanità internazionalmente riconosciuti non è chiaro, né chi li debba gestire e con quali fondi. E neanche è dato sapere in quale modo si intenda «promuovere lo sviluppo di una economia legale alternativa a quella legata ai traffici illeciti in particolare al traffico di esseri umani». Ma i quattro ministri sono immortalati con ampi sorrisi, che dovrebbero migliorare la «sicurezza percepita» a cui tiene tanto il titolare del Viminale.

      Per chi non si accontenta di sorrisi e annunci, la situazione in Libia e tra una frontiera e l’altra nel Sahara, lungo la rotta dei migranti, è sempre più incandescente. A Zawiya, città costiera dove è florido il business dei barconi, è esplosa ieri un’autobomba.

      Nel Fezzan il bilancio del truculento assalto della settimana scorsa alla base aerea di Brak al Shati, controllata dalle milizie del generale Haftar, è salito a 141 morti, tra i quali 15 civili. E si scopre – attraverso la Commissione nazionale diritti umani della Libia – che al seguito della Terza Forza, negli squadroni della città stato di Misurata che costituiscono l’ossatura delle milizie fedeli al governo Serraj di Tripoli, quello con cui l’Italia sta stringendo accordi per fermare i migranti, c’erano anche «foreign fighters provenienti dal Ciad e qaedisti delle Brigate di difesa di Bengasi».

      Serraj, per far vedere di non aver gradito l’assalto che ha violato la tregua con Haftar, ha sospeso il ministro della Difesa Al Barghouthi e il capo della Terza Forza, Jamal al Treiki, ma si tratta di un pro forma che neanche il suo ministro ha preso sul serio, infatti ha continuato a incontrare i capi misuratini per verificare «la presenza di cellule dell’ Isis» sopravvissute all’assedio di Sirte. Gli Usa intendono mantenere una presenza militare in Libia, ha detto il generale Waldhauser, proprio per combattere le cellule dell’Isis che stanno tentando di riorganizzarsi.

      Intanto l’Alto commissario Onu per i rifugiati Filippo Grandi, per la prima volta in visita ai centri di detenzione per migranti in Libia in queste ore, si è detto «scioccato» dalle condizioni in cui si trovano bambini, donne e uomini «che non dovrebbero sopportare tali difficoltà». Grandi fa presente che oltre ai profughi africani (1,1 milioni) in Libia ci sono 300 mila sfollati interni a causa del conflitto che dal 2011 non è mai finito.

      https://ilmanifesto.it/sempre-piu-a-sud-minniti-ora-vuole-i-cie-in-niger-e-in-ciad

    • Per bloccare i migranti 610 milioni di euro dall’Europa e 50 dall’Italia

      Con la Libia ancora fortemente compromessa, la sfida per la gestione dei flussi di migranti dall’Africa sub-sahariana si è di fatto spostata più a Sud, lungo i confini settentrionali del Niger. Uno dei Paesi più poveri al mondo, ma che in virtù della sua stabilità - ha mantenuto pace e democrazia in un’area lacerata dai conflitti - è oggi il principale alleato delle potenze europee nella regione. Gli accordi prevedono che il Niger in cambio di 610 milioni d’ euro dall’Unione Europea, oltre a 50 promessi dall’Italia, sigilli le proprie frontiere settentrionali e imponga un giro di vite ai traffici illegali. È dal Niger infatti che transita gran parte dei migranti sub-sahariani: 450.000, nel 2016, hanno attraversato il deserto fino alle coste libiche, e in misura inferiore quelle algerine. In Italia, attraverso questa rotta, ne sono arrivati 180.000 l’anno scorso e oltre 40.000 nei primi quattro mesi del 2017.


      http://www.lastampa.it/2017/05/31/esteri/per-bloccare-i-migranti-milioni-di-euro-dalleuropa-e-dallitalia-4nPsLCnUURhOkXQl14sp7L/pagina.html

    • Back to Old Tricks? Italian Responsibility for Returning People to Libya

      On 10/11 May 2017 various news outlets reported a maritime operation by the Libyan authorities, in coordination with the Italian Search and Rescue Authority, in which 500 individuals were intercepted in international waters and returned to Libya. This operation amounted to refoulment in breach of customary international law and several treaties (including the Geneva Refugee Convention and the European Convention on Human Rights), and an internationally wrongful act is one for which Italy bears international legal responsibility.

      https://www.ejiltalk.org/back-to-old-tricks-italian-responsibility-for-returning-people-to-libya

    • Tutto quello che c’è da sapere sull’accordo Italia – Libia

      Il memorandum d’intesa tra Italia e Libia è solo una tappa della articolata strategia di esternalizzazione delle frontiere perseguita tanto dal nostro governo quanto dall’Unione Europea. A tutti i costi, e mettendo in secondo piano il rispetto dei diritti fondamentali. Ecco cosa c’è che non va nell’accordo e quali sono le sue conseguenze.

      http://openmigration.org/analisi/tutto-quello-che-ce-da-sapere-sullaccordo-italia-libia/?platform=hootsuite

    • Libia, la Guardia Costiera viene pagata con i soldi della Cooperazione

      Le frontiere esterne dell’Unione Europea si blindano usando fondi destinati allo sviluppo. Dalla polizia del Niger, alle milizie che presidiano i confini in Sudan fino ai militari che controllano le coste del Paese nord africano. La missione ONU per la Libia (Unsmil) in un rapporto parla delle carceri libiche come luoghi di estorsioni e violenze

      http://www.repubblica.it/solidarieta/cooperazione/2017/07/31/news/libia_la_guardia_costiera_viene_pagata_con_i_soldi_della_cooperazione-172
      #aide_du_développement #coopération_au_développement #développement

    • commentaire reçu via la mailing-list migreurop (01.08.2017) :

      Elle a été déjà approuvée par le Conseil des Ministres Italiens. Demain le Président du Conseil en discutera aux commissions intéressées. Il s’agit d’une opération militaire italienne de soutien aux gardes cotes libyennes à l’intérieur des eaux territoriales libyennes suite à la demande de un des trois Gouvernement Libyen (celui de Al Serraj).
      L’Italie utiliserait donc – du 1 aout 2017 – deux bateaux militaires engagés aujourd’hui à l’extérieur des eaux libyennes dans l’opération Mare Sicuro (une opération qui a comme mission celle de la sécurité de la région, pas du tout celle de la migration). L’Italie ne prendra pas à bord des migrants, et si sera obligé à le faire les transbordera dans un bateau libyen avant de rejoindre le cotes libyennes.

      Il est évidente que de cette façon il y a un claire tentative de contourner le principe de non refoulement au quel l’Italie a l’obligation (et pour violation du quel a été déjà sanctionné). Il est intéressante aussi de voir que dans le Code de Conduit que le Gouvernement veut imposer aux Ong qui interviennent en mer, il y a interdiction de transborde. Mais si c’est l’Italie qui doit le faire pour contourner l’accusation de refoulement, alors cela semble accepté.

      L’opération devrait partir très rapidement, le 1 aout. Les bateaux sont prêtes, mais semble irréalisable la partie du “projet” italien qui prévoit des centres d’accueil à l’arrivés aux ports libyens gérés par l’UNHCR e OIM. Semblerait donc naturel que seront les camps d’enfermement la suite des opérations d’interception que l’Italie aurait aidé à mener dans les eaux libyennes.

      L’Italie – et les institutions européennes qui soutiennent l’opération – semble ne pas se préoccuper de l’effet boomerang sur un processus de stabilisation d’un pays déjà très fragile. Ce n’est pas au hasard que Serraj aurait d’abord nié d’avoir demandé à l’Italie d’intervenir pour ensuite le confirmer et que Haftar vient de faire circuler une note où dénonce cet accord et menace de considérer toute intervention militaire de l’Italie dans les eaux territoriale libyennes comme une violation de la souveraineté du pays.

      Une partie de la mission sera financé avec les fonds déjà alloués à l’opération Mare Sicuro et en partie seront surement financé par les 46 millions de Fonds Fiduciaires que la Commission Européenne a annoncé le même jour de l’annonce de la mission.

    • Libya’s eastern commander vows to destroy Italian warships if sailed to Libyan water

      The Libyan eastern commander of Dignity Operation forces, Khalifa Haftar, has ordered to bombard any warships sailing into the Libyan waters, in a U-turn that could see escalations between eastern Libya and the UN-proposed government’s bodies in western Libya get tense.

      http://www.libyaobserver.ly/news/libyas-eastern-commander-vows-destroy-italian-warships-if-sailed-libya

    • Des navires de guerre italiens pour repousser les réfugiés au lieu de les protéger

      En proposant de déployer des navires de guerre pour patrouiller dans les eaux territoriales libyennes, les autorités italiennes cherchent à se soustraire à leur obligation de secourir les réfugiés et les migrants en mer et d’offrir une protection à ceux qui en ont besoin.

      https://www.amnesty.fr/refugies-et-migrants/actualites/des-navires-de-guerre-italiens-pour-repousser-les-refugies-au-lieu-de-les-pr

    • Respingimenti collettivi ed omissione di soccorso nel contrasto dell’immigrazione irregolare

      L’esternalizzazione dei controlli di frontiera, che assume adesso una dimensione operativa dopo gli accordi ed i protocolli operativi stipulati dall’Italia con la Libia, la Tunisia e l’Algeria, la chiusura di tutte le vie di accesso per i potenziali richiedenti asilo con i respingimenti collettivi in mare ed alle frontiere marittime, e le retate operate con “pattuglie miste” delle polizie presenti nei paesi di transito, come la Libia e la Grecia, ai danni dei migranti irregolari, spesso donne e minori, o altri potenziali richiedenti asilo, stanno aggravando gli effetti devastanti delle politiche proibizioniste adottate da tutti i paesi europei nei confronti dei migranti in fuga dalle guerre, dai conflitti interni e dalla devastazione economica ed ambientale dei loro paesi. Quanto sta avvenendo in questi mesi in Grecia ed in Libia aumenta le responsabilità già gravissime del governo italiano nelle pratiche informali di respingimento “informale” dai porti dell’Adriatico (Venezia, Ancona, Bari) verso Patrasso e Igoumenitsa e scopre tutte le ipocrisie di chi afferma di riconoscere i diritti dei rifugiati e poi rimane inerte ad assistere allo scempio del diritto di asilo, di persone che avrebbero titolo ad ottenere protezione ma sono arrestate, respinte o espulse.

      http://www.meltingpot.org/Respingimenti-collettivi-ed-omissione-di-soccorso-nel.html

    • ASGI : C’è il rischio di riaprire la stagione buia dei respingimenti già condannati dalla CEDU

      Sulle nuove iniziative del Governo italiano per contrastare l’arrivo dei rifugiati dalla Libia l’ ASGI lancia l’allarme: “C’è il rischio di gravissime violazioni del diritto internazionale che riportino la stagione buia dei respingimenti per i quali l’Italia era stata già condannata dalla corte europea dei diritti dell’uomo”.

      https://seenthis.net/recherche?recherche=%23libye+%23externalisation+%23italie
      #refoulement #push-back

    • Cooperazione: kit di primo soccorso inviati in Libia grazie a collaborazione tra Esteri e Difesa

      L’ambasciatore d’Italia a Tripoli, Giuseppe Perrone, e l’addetto per la Difesa, capitano di vascello Patrizio Rapalino, hanno consegnato al sindaco di #Zwara, 5.000 kit igienico-sanitari e di primo soccorso per migranti per le esigenze della municipalità.

      http://www.esteri.it/mae/it/sala_stampa/archivionotizie/comunicati/2017/08/cooperazione-kit-di-primo-soccorso.html

    • Accordo Italia e milizie in Libia, qualcosa c’è ma non si dice

      Cosa è realmente accaduto in Libia tra Italia (sia chi sia ad aver trattato) e le milizie di Sabratha che prima gestivano la mafia dei traffici di persone e ora la contrastano in nome del governo Sarray? Ora anche la stampa ‘tradizionale’ s’accorge del problema. Il Manifesto, «Accordo tra l’Italia e le milizie per fermare i migranti in Libia». Il Fatto quotidiano, Migranti, Ap: «Italia ha trattato direttamente con le milizie libiche per bloccare gli sbarchi”. Farnesina: ‘Falso’».

      https://www.remocontro.it/2017/08/31/accordo-italia-milizie-libia-qualcosa-ce-non-si-dice

    • L’Italie finance-t-elle des groupes armés libyens pour bloquer l’arrivée de migrants ?

      De moins en moins de migrants débarquent en Italie. Comment l’expliquer ? D’après l’agence Associated Press, derrière les explications officielles, la véritable raison de cette diminution s’expliquerait par le fait que l’Italie financerait des groupes armés libyens. Valérie Dupont, correspondante pour la RTBF à Rome, fait le point.

      https://www.rtbf.be/info/monde/detail_l-italie-finance-t-elle-des-groupes-armes-libyens-pour-bloquer-l-arrivee

    • Migrants en Libye : le #pacte pourri entre Rome, les garde-côtes et les trafiquants

      Alors que l’Union européenne finance, à hauteur de dizaines de millions d’euros, les garde-côtes libyens, il est établi que certains de ses membres sont compromis dans le trafic de migrants. Rome, de son côté, est accusé de négocier directement avec les milices de #Sabratha pour empêcher le départ des embarcations.

      https://www.mediapart.fr/journal/international/020917/migrants-en-libye-le-pacte-pourri-entre-rome-les-garde-cotes-et-les-trafiq

    • E l’Italia contribuisce alla costruzione della mafia in Libia. Conversazione con Nancy Porsia

      «Negli ultimi 3 mesi c’è stata l’implementazione del piano messo a punto già prima di allora. Lo scorso autunno fu lanciata la campagna di criminalizzazione da parte delle autorità italiane e libiche verso le Ong che operano Ricerca e Soccorso in mare, e mentre nell’inverno e nella primavere seguenti questa campagna di delegittimazione e criminalizzazione veniva portata avanti, gli italiani e gli europei addestravano le autorità Libiche e le loro forze militari per il pattugliamento dei confini e quindi anche del mare e delle coste libiche. Questa era una sorta di fase preparatoria che poi si è andata finalizzando negli ultimi tre mesi. Quindi gli italiani hanno di fatto consegnato i mezzi alla Guardia costiera libica, mezzi che risalgono agli accordi fra Berlusconi e Gheddafi del 2008 e che sono stati riconsegnati solo oggi dopo il lavoro diplomatico massiccio delle Nazioni Unite, Europa e in prima fila Italia, e che ha portato alla legittimazione dell’entourage di Serraj come Governo di unità nazionale. Quindi quello che resta delle autorità libiche è stato assunto come interlocutore legittimo, nonostante i grandi dubbi che ci sono circa la loro stessa legittimità. I libici hanno iniziato a pattugliare la costa reclamando tale compito come loro “dovere / diritto” e insinuando come “ingerenza” le operazioni svolte dalle Ong. Si è andati un pezzettino avanti rispetto alla criminalizzazione delle stesse Ong che poi come sappiamo sono state vessate dalla magistratura italiana, dalla campagna di discredito a mezzo stampa, in Italia e in Europa, ed esposte in maniera sempre più frequente al pericolo del fuoco libico tanto che hanno dovuto fare un passo indietro. Quindi di fatto il piano che era in cantiere da oramai un anno e mezzo fra l’Italia, l’Europa e la Libia è entrato nella sua fase finale. Il risultato è che le coste vengono pattugliate dai libici, oggi in grado di fermare la maggior parte dei barconi carichi di migranti. Dove è la critica di senso rispetto alla nuova situazione? Quelli che oggi bloccano i migranti sono gli stessi che ieri li trafficavano, e quindi il “piano Minniti” ha portato ad una istituzionalizzazione degli stessi trafficanti. Siamo di fronte ad una politica di cooperazione che interloquisce con trafficanti istituzionalizzatie e alcuni ufficiali della Guardia costiera corrotti. Su alcuni di questi c’è anche un procedimento della Corte penale dell’Aia piuttosto che un fascicolo lungo non so quante pagine all’interno del rapporto del panel di esperti delle Nazioni Unite sulla Libia, pubblicato lo scorso giugno. Quindi negli ultimi mesi il piano Minniti ha proceduto a gamba tesa nell’istituzionalizzazione delle milizie e dei maggiori trafficanti in Libia oltreché alla connivenza con le stesse guardie corrotte, anzi più che corrotte io le definirei in odore di mafia, in quanto parte integrante di un sistema mafioso che trafficava i migranti. Tutto questo per ridurre il numero dei migranti nel più breve tempo possibile».

      http://www.a-dif.org/2017/09/04/e-litalia-contribuisce-alla-costruzione-della-mafia-in-libia-conversazione-co

    • I campi dei migranti in Libia sotto il controllo delle Ong

      Coinvolgere le Ong nei campi libici per evitare di «condannare i migranti all’inferno». L’idea è venuta al ministero degli Esteri, e più precisamente al vice con delega alla cooperazione internazionale, Mario Giro: dopo aver lanciato l’allarme un mese fa sulle condizioni infernali dei campi, nel pieno della discussione sulla missione italiana autorizzata a Tripoli, nei giorni scorsi ha rivolto un invito alla galassia delle Organizzazioni non governative, proponendo un incontro a chi è interessato a lavorare in Libia. Hanno risposto in una ventina, di orientamento laico e cattolico, molte delle quali già impegnate in varie zone del grande Paese nordafricano con compiti di protezione dell’infanzia e nel settore della sanità, da Medici senza Frontiere all’Arci a Save the children, da Intersos a Terre des hommes fino a Elis, legata all’Opus Dei: ieri pomeriggio la riunione, alla Farnesina, per prendere i primi contatti. Con l’idea però di accelerare e intervenire al più presto: il bando è già pronto, sono stanziati sei milioni di euro.

      http://www.lastampa.it/2017/09/08/esteri/i-campi-dei-migranti-in-libia-sotto-il-controllo-delle-ong-y0jOMmVk6gVG49hdon0gZJ/pagina.html

    • Centri di detenzione in Libia: “(Forse) è ora di pensare alle ‘condizioni umanitarie’”…

      I nuovi propositi di attenzione del governo italiano alle «condizioni umanitarie» nei centri di detenzione per migranti e rifugiati in Libia arrivano dopo mesi di silenzi e di iniziative tutte mirate al loro “contenimento” in quel Paese.

      «Le condizioni di quelli che rimangono in Libia, posso garantirvi, sono il mio assillo ed è l’assillo del Governo italiano», ha detto venerdì a Torino il ministro dell’Interno Marco Minniti, dopo averlo già affermato ad agosto ma aggiungendo: «La prossima settimana insieme con la Farnesina incontreremo le ONG italiane. Ragioneremo con loro se è possibile, accanto alle operazioni di salvataggio in mare, che naturalmente continuano, costruire un’iniziativa delle ONG direttamente in Libia per affrontare quel tema dei diritti umani e delle condizioni di vita».

      http://viedifuga.org/centri-detenzione-libia-forse-ora-pensare-alle-condizioni-umanitarie
      #ONG

    • Il governo di Tripoli vuole cinque miliardi dall’Italia per ripristinare il trattato di pace tra Berlusconi e Ghedafi con gli accordi di blocco e respingimento. Ma sono ancora le navi umanitarie a salvare la maggior parte delle persone in pericolo di naufragare.

      Il governo di Tripoli vuole cinque miliardi dall’Italia per ripristinare il trattato di pace tra Berlusconi e Ghedafi con gli accordi di blocco e respingimento. Ma sono ancora le navi umanitarie a salvare la maggior parte delle persone in pericolo di naufragare. E Serraj non controlla neppure tutta Tripoli, cosa può garantire all’Italia ed all’Europa ?

      http://dirittiefrontiere.blogspot.ch/2016/08/il-governo-di-tripoli-vuole-cinque.html

    • Migrants: Italian FM wants more EU efforts on Libya route

      MILAN - The Italian government wants the EU to exert greater efforts concerning the central Mediterranean migrant route, which runs from Libya to Italy, Foreign Minister Paolo Gentiloni said Friday. The minister was replying to journalists’ questions after his speech at a conference on immigration, refugees and asylum policies at the Bocconi University in Milan, where he discussed the ’Migration Compact’. Gentiloni called for investment in African countries to be stepped up, ’’with new instruments like ’Africa bonds’’’, and said that the countries receiving the investment should be required to put forth serious efforts to limit migration flows. He added that repatriation of migrants to safe countries should be ’’ever more European’’, but that migrants should not be repatriated to Libya. ’’On these issues,’’ he concluded, ’’the Italian government is asking Europe for commitment similar to what it showed on the (migration, Ed.) route running from Turkey to Greece and the Balkans.’’

      http://www.ansamed.info/ansamed/en/news/sections/politics/2016/04/22/migrants-italian-fm-wants-more-eu-efforts-on-libya-route_f8c9e906-3729-44b

    • Migranti, il Gruppo di contatto per la rotta del Mediterraneo centrale diventa stabile

      «Oggi abbiamo fatto un passo importante, abbiamo messo in comune la volontà di governare l’immigrazione; l’esito della riunione è stato particolarmente fruttuoso». E’ questa la convinzione espressa dal ministro dell’Interno, Marco Minniti, oggi al termine dell’incontro conclusivo con ministri e rappresentanti di Paesi della Ue e del Nord Africa che fanno parte del «Gruppo di contatto per la rotta migratoria del Mediterraneo centrale», presso la scuola Superiore di Polizia, in via Pier della Francesca a Roma.


      www.interno.gov.it/it/notizie/migranti-gruppo-contatto-rotta-mediterraneo-centrale-diventa-stabile

    • signalé par Fulvio Vassallo sur FB avec ce commentaire (19.04.2017) :

      Ci volevano i giapponesi per dire quali sono le ragioni vere della partenze di massa della Libia. Altro che le navi umanitarie come fattore di attrazione. L’Italia sta consegnando altre motovedette alla Guardia Costiera libica per aggirare il divieto di respingimenti collettivi per cui nel 2012 veniva condannata dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo.

      Facing threat of patrols, thousands of migrants fleeing Libya ; 28 found dead

      Warm weather and calm seas usually spur smugglers to send migrants across the Mediterranean come spring. But aid groups say another timetable might be behind a weekend spike: the looming start of beefed-up Libyan coast guard patrols designed to prevent migrants from reaching Europe.


      http://www.japantimes.co.jp/news/2017/04/19/world/social-issues-world/facing-threat-patrols-thousands-migrants-fleeing-libya-28-found-dead

      #fermeture_des_frontières #militarisation_des_frontières #mourir_en_mer #morts #mourir_en_méditerranée #décès #facteurs_push #attractivité #push_factors #push-factors

    • Migranti: l’Italia consegna 10 motovedette alla Libia

      La scena si è già vista il 14 maggio 2009 ed il 10 febbraio 2010, sempre nel porto di Gaeta (Latina): sei motovedette hanno ammainato la bandiera italiana ed alzato quella libica per andare a pattugliare le acque davanti al Paese nordafricano con il compito di bloccare le partenze dei migranti. L’attività è però durata poco, fino all’intervento della coalizione internazionale contro Muhammar Gheddafi, nel 2011.

      Ora Italia e Libia ci riprovano: domani a Gaeta,alla presenza del ministro dell’Interno, Marco Minniti – quattro di quelle motovedette (le altre due sono andate distrutte) saranno nuovamente riconsegnate alla Marina ed alla Guardia costiera libiche. Seguiranno altre sei nelle settimane successive, con la speranza che siano in grado di frenare il flusso gestito dai trafficanti di uomini, che nel 2017 ha già portato sulle coste italiane oltre 35mila persone, il 40% in più del 2016, anno record per gli sbarchi.

      http://www.imolaoggi.it/2017/04/20/migranti-litalia-consegna-10-motovedette-alla-libia

    • G.Costiera Libia soccorre migranti, riportati a Tripoli

      ROMA - Primi effetti degli accordi di collaborazione sottoscritti di recente tra Italia e Libia in materia di migranti: oggi la Guardia Costiera libica, alla quale l’Italia ha donato anche alcune unità navali, ha soccorso in acque internazionali e riportato nel porto di Tripoli un barcone in navigazione verso l’Italia, a bordo del quale vi erano circa 300 migranti. I migranti avevano inviato una richiesta di soccorso alla centrale operativa di Roma della Guardia Costiera italiana. Il barcone, inoltre, era stato avvistato ancora in acque libiche da alcuni mezzi aerei impegnati sul Mediterraneo centrale.
      Ricevute le due segnalazioni, la centrale operativa di Roma della Guardia costiera ha allertato la Guardia costiera libica che - diversamente rispetto a quanto accaduto in passato - ha preso il comando delle operazioni di soccorso. Alcune motovedette di Tripoli sono salpate in direzione del barcone, che è stato raggiunto in acque internazionali. Alcuni uomini della Guardia costiera libica hanno preso il comando dell’unità, che, invertita la rotta, è stata riportata nel porto di Tripoli.

      http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/rubriche/politica/2017/05/10/g.costiera-libia-soccorre-migranti-riportati-a-tripoli_df5b95ff-4921-4f05-

    • Fermare i migranti? Addestrare i libici non funziona

      La notte del 23 maggio 2017 il capitano della Iuventa, la nave dell’Ong tedesca Jugend Rettet, denuncia una nuova aggressione in mare da parte di un motoscafo libico, il cui equipaggio avrebbe sparato verso alcune imbarcazioni sovraccariche di profughi, per poi riportare due delle imbarcazioni verso la Libia. Era la Guardia Costiera libica? L’Italia come la sta addestrando, e a che scopo? E quante Guardie Costiere ci sono in Libia in realtà? Francesco Floris ha ricostruito nei dettagli la storia dell’addestramento italiano dei libici e i suoi precedenti.


      http://openmigration.org/analisi/fermare-i-migranti-addestrare-i-libici-non-funziona

    • Migrants: Tripoli thanks Italy but wants help in maintenance

      Thanking Italian authorities for cooperating in the fight against human trafficking, the operations chief of Libyan coast guards, Colonel Massoud Abdelsamad, called on Italy to send spare parts and maintenance support soon for cutters given to Tripoli to fight traffickers through ’’joint operations’’ carried out by Italy and Libya.
      ’’I would like to thank very much Italian authorities and especially the Italian coast guard: we have a good cooperation between us’’, the colonel said, commenting recent gunfire between his personnel and traffickers. ’’We are in contact 24 hours a day and sometimes carry out joint operations’’, added Abdelsamad in a phone interview with ANSA.
      ’’Our boats however need spare parts and maintenance. We would like to have in Libya, as soon as possible, the finance police team that has been working closely with us since 2010’’, also said the colonel, referring to a unit that should take care of maintenance in case of problems.
      ’’We were promised that the group would come to Libya and we are now waiting for it so it can support us’’, stated Abdelsamad. ’’We can carry out joint operations with the Libyan coast guard, finance police and Italian coast guard’’ and ’’this would help us a lot’’, he concluded, recalling that traffickers are heavily armed and have fast motor boats.

      http://www.ansamed.info/ansamed/en/news/sections/generalnews/2017/05/31/migrants-tripoli-thanks-italy-but-wants-help-in-maintenance_3d2f7ffa-42d4-

    • Migranti: Tripoli, grazie Italia ma aiutateci per manutenzione
      http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/rubriche/politica/2017/05/31/migrantitripoligrazie-italia-ma-aiutateci-per-manutenzione_e874ccee-bba3-4

      Avec ce commentaire de Fulvio Vassallo:

      I libici ammettono che la guardia costiera italiana collabora nei respingimenti collettivi, illegali se si svolgono, come si svolgono, in acque internazionali. E chiedono pure pezzi di ricambio. Tra poco chiederanno anche gli equipaggi. Se Minniti non ha gia’ provveduto con i cd. Agenti di collegamento.Naturalmente chi viene riportato in Libia non ha molte chance di fare ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo.

    • Bloccati in Libia. I migranti e le (nostre) responsabilità politiche

      Le corrispondenze dal caos libico che ci invia Nancy Porsia sono pressoché uniche nel campo del giornalismo in occidente, sicuramente le uniche in Italia. Pubblichiamo questo suo articolo in cui si riprende il testo dell’ accordo italo – libico firmato ieri dal Primo Ministro Gentiloni e dal “Capo del Governo di Riconciliazione Nazionale dello Stato di Libia”, Fayez Mustafà Serraj. Un accordo, secondo l’autrice, siglato forse troppo in fretta e in base tanto alle esigenze economiche italiane quanto alla necessità di rendere più complesse le vie di fuga per coloro che, fuggendo da guerre, crisi ambientali o economiche, transitano in Libia per entrare in Europa. Alcune voci si sono levate contro l’accordo. Dal parlamento europeo, oltre 40 parlamentari, guidati da Barbara Spinelli (GUE/NGL) ma afferenti a diversi gruppi politici, anche il Partito Popolare Europeo, hanno preso una dura posizione con una interrogazione scritta in cui si parla espressamente di pericoli derivanti dall’accordo UE- Libia. Durissimo anche il comunicato di Amnesty International, in cui si denuncia che i “piani per “chiudere” la frontiera marittima rischiano di intrappolare rifugiati e migranti in condizioni orrende in Libia”, mentre l’ambasciata tedesca in Niger, ha paragonato i campi di detenzione libici, espressamente a dei lager.

      http://www.a-dif.org/2017/02/03/bloccati-in-libia-i-migranti-e-le-nostre-responsabilita-politiche

    • Migranti: accordo Italia-Libia, il testo del memorandum

      Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana Il Governo di Riconciliazione Nazionale dello Stato di Libia e il Governo della Repubblica Italiana qui di seguito denominate ’Le Parti’


      http://www.repubblica.it/esteri/2017/02/02/news/migranti_accordo_italia-libia_ecco_cosa_contiene_in_memorandum-157464439

      Le texte en anglais:
      http://www.asgi.it/wp-content/uploads/2017/02/ITALY-LIBYA-MEMORANDUM-02.02.2017.pdf

    • EU and Italy migration deal with Libya draws sharp criticism from Libyan NGOs

      Twelve Libyan non-governmental organisations (NGOs) have issued a joint statement criticising the EU’s latest migrant policy as set out at the Malta summit a week ago as well as the Italy-Libya deal signed earlier which agreed that migrants should be sent back to Libya and repartiated voluntarily from there. Both represented a fundamental “immoral and inhumane attitude” towards migrants, they said. International human rights and calls had to be respected.

      https://www.libyaherald.com/2017/02/10/eu-and-italy-migration-deal-with-libya-draws-sharp-criticism-from-libya

    • Tripoli Appeals Court to rule on Italy-Presidential Council MoU

      A number of Libyan citizens lodged an appeal at the Judiciary Division of the Tripoli Appeals Court against the signing of a #Memorandum_of_Understanding (MoU) between the UN-proposed government’s Presidential Council’s Head Fayez Al-Sirraj and the Italian Prime Minister, Paolo Gentiloni.


      https://www.libyaobserver.ly/news/tripoli-appeals-court-rule-italy-presidential-council-mou

    • Perché l’accordo tra l’Italia e la Libia sui migranti potrebbe essere illegale

      Il memorandum d’intesa sui migranti firmato il 2 febbraio dall’Italia e dalla Libia potrebbe essere illegale. A sostenerlo è un gruppo di giuristi, ex politici e intellettuali libici che il 14 febbraio ha presentato un ricorso di 23 pagine alla corte d’appello di Tripoli. I sei libici, tra cui diversi ex ministri, sostengono che il memorandum sia incostituzionale. Innanzitutto perché, prima di essere firmato dal primo ministro Fayez al Sarraj a Roma, non è stato approvato dal parlamento libico e dal governo all’unanimità. Al Sarraj non ha ottenuto la fiducia dei parlamentari libici che si sono ritirati a Tobruk nel 2014. Inoltre l’accordo implicherebbe impegni onerosi da parte di Tripoli, che non erano contenuti nel trattato di amicizia tra Italia e Libia stipulato nel 2008, a cui il memorandum s’ispira.

      http://www.internazionale.it/notizie/annalisa-camilli/2017/02/20/italia-libia-migranti-accordo-illegale

    • Così Italia e Libia argineranno il flusso dei migranti

      Ambulanze, gommoni, mute, satellitari e bombole.

      L’accordo bilaterale prevede «l’addestramento, l’equipaggiamento ed il sostegno alla guardia costiera libica». Per questo l’elenco delle forniture è lungo e costoso. L’obiettivo è di completare il piano di consegna in 24 mesi, anche se alcuni punti dovranno essere ritoccati. In particolare sono state chieste 10 navi per la ricerca e il soccorso (alcune da oltre trenta metri) e 10 motovedette che devono essere utilizzate per i controlli sotto costa in modo da impedire alle “carrette” dei trafficanti di salpare. Le prime tre imbarcazioni potrebbero essere consegnate già agli inizi di giugno, prevedendo una dilatazione dei tempi per quelle più grandi. E poi quattro elicotteri che dovranno “guidare” le operazioni contro le organizzazioni che gestiscono i viaggi della speranza, ma anche coadiuvare il recupero in mare. Nell’elenco sono stati poi inseriti

      24 gommoni
      10 ambulanze
      30 jeep
      15 automobili
      30 telefoni satellitari Turaya
      mute da sub
      bombole per l’ossigeno
      binocoli diurni e notturni

      Saranno le forze dell’ordine italiane a dover addestrare i poliziotti locali e gli uomini della Guardia costiera. Su questo c’è già l’intesa con l’Ue che finanzierà la missione della Capitaneria di Porto che partirà entro due mesi.

      http://www.agi.it/cronaca/2017/03/20/news/cos_italia_e_libia_argineranno_il_flusso_dei_migranti-1602473
      #accord_bilatéral #contrôles_frontaliers #militarisation_de_la_frontière #frontières

    • Migranti, 12 unità navali alla Libia: via libera del governo

      Roma cede «a titolo gratuito» a Tripoli dieci motovedette della Guardia costiera e due unità della Gdf. C’è poi un pacchetto di assistenza tecnica ai mezzi e di preparazione del personale

      ARRIVERANNO presto i nuovi mezzi navali che il governo italiano ha promesso al governo libico di accordo nazionale di Tripoli. Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera all’invio di 12 unità navali e a un programma di addestramento del personale per il loro utilizzo. Un impegno economico, ha precisato il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Danilo Toninelli, «che sfiora 1,5 milioni, a fronte di un costo complessivo del provvedimento pari a circa 2,5 milioni».

      «Siamo consapevoli che questo non può bastare e che bisogna lavorare per stabilizzare lo scenario, rafforzare lo stato di diritto e la tutela della dignità delle persone sul suolo del nascente Stato libico. Ecco perché stiamo via via intensificando la cooperazione con organizzazioni come l’Unhcr e l’Oim, che sono presenti a Tripoli. In attesa che l’Europa si faccia carico in modo solidale del fenomeno migrazioni - ha concluso Toninelli - il governo italiano e questo ministero lavorano in modo fattivo per debellare i naufragi di migranti in mezzo al Mediterraneo».

      Alla Libia saranno date «a titolo gratuito» 10 motovedette «Classe 500» della Guardia costiera e due unità costiere «Classe Corrubia» della Guardia di Finanza. Assieme alle navi, l’Italia fornirà un pacchetto di assistenza tecnica ai mezzi e di preparazione del personale che possa rafforzare la Marina e la Guardia costiera libiche.

      Le «Classe 500» sono delle piccole vedette costiere che in Italia sono state usate da Carabinieri e Guardia Costiera, e saranno utili di sicuro soprattutto per il pattugliamento lungo le coste libiche. Hanno una autonomia di 200 miglia e una velocità massima di 35 nodi, vengono utilizzate in un raggio di azione di una ventina di miglia dalla costa e hanno un equipaggio composto da tre persone. Le «Corrubia» sono invece piccoli pattugliatori di 27 metri che possono raggiungere i 43 nodi e hanno un’autonomia di 800 miglia. Con un equipaggio di 14 persone, queste navi possono operare anche a parecchie miglia dalle coste.

      Assieme alle navi arriverà un programma di formazione dei marinai libici. Addestramento che si svolgerà sia in Italia sia in Libia e partirà entro una decina di giorni. Le vedette invece dovrebbero essere trasferite tutte nel porto militare di Augusta, da dove poi saranno trasportate con una nave della Marina militare fino a Tripoli.

      A Tripoli si è tenuta una riunione del Comitato tecnico italo-libico che riunisce Guardia costiera, marina, polizia marittima, polizia di frontiera libica con i corrispondenti enti italiani. In discussione oltre ai provvedimenti per la Guardia costiera anche la situazione nel Sud della Libia, dove la polizia di frontiera non ha la possibilità di controllare uno spazio così immenso come le migliaia di chilometri che segnarono i confini con Algeria, Niger e Ciad.

      http://www.repubblica.it/esteri/2018/07/02/news/la_promessa_del_governo_italiano_alla_libia_in_arrivo_dodici_motovedette-

    • Un decreto legge per la Guardia costiera della Libia che non esiste. La pianificazione della strage.

      Nell’ultima seduta del Consiglio dei ministri il Governo ha adottato un decreto legge che prevede “la cessione di unità navali italiane a supporto della Guardia costiera del Ministero della Difesa e degli organi per la sicurezza costiera del Ministero dell’Interno libici”.

      Analizzando il contenuto del decreto si nota subito che le unità fornite sono molto piccole (in prevalenza CP classe 500) e sono più indicate per intercettare i barconi carichi di migranti, e magari bloccarli, sotto minaccia delle armi, piuttosto che procedere a operazioni di salvataggio che garantiscano la riconduzione dei naufraghi, perchè di questo si tratta, verso un porto di sbarco sicuro, porto che la Libia oggi non può offrire. Come hanno rilevato le Nazioni Unite nei loro più revcenti rapporti sulla Libia ed i giudici di Ragusa e Palermo, nelle loro sentenze, nelle quali si esclude che la Libia offrisse porti sicuri di sbarco e si ritiene legittimo e conforme alle Convenzioni internazionali il comportamento delle ONG.

      Il provvedimento del governo italiano, che dovrà essere approvato dal Parlamento entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione, non fa alcuna menzione alla situazione provvisoria, e assai precaria anche dal punto della legittimità, del governo di Tripoli sostenuto dalle Nazioni Unite, ma privo di continuità politica con la Libia di Gehddafi, che pure si cita nel provvedimento. Nessun riferimento al rispetto delle Convenzioni internazionali. La Libia non ha mai sottosctitto, peraltro, la Convenzione di Ginevra sui rifugiati.

      l richiamo ai precedenti accordi stipulati dall’Italia con la Libia nel 2008 non costituisce alcuna legittima base del decreto, considerando che il governo italiano, che nel maggio del 2009 aveva messo in esecuzione quegli accordi, con i respingimenti collettivi illegali esegiti dalla Guardia di Finanza verso Tripoli, è stato condannato dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo ( Sentenza 23 febbraio 2012- Caso Hirsi),

      Dopo l’allontanamento dell’Aquarius e il calvario inflitto alla Lifeline, con il sequestro della nave di Sea Watch a Malta e le indagini penali avviate a carico del comandante della Lifeline, sembra avere successo la strategia di Salvini per la eliminazione totale delle ONG dal Mediteraneo centrale. Una campagna avviata lo scorso anno da Frontex e da Minniti, sorretta da blogger che hanno diffuso una valanga di notizie false ma tanto condivise da valere più della verità, poi sfociata in indagini della magistratura che, prima ancora delle sentenze, hanno prodotto la condanna mediatica del soccorso umanitario in acque internazionali.

      Sono invece Minniti prima e Salvini poi che hanno fatto accordi con le milizie che coprono i trafficanti, e poi insinuano che le Ong siano colluse con gli scafisti. Quando il rovesciamento della realtà raggiunge questa dimensione, e su questo si aggrega il consenso, si può dire che lo stato di diritto e’ sconfitto dallo strapotere dell’esecutivo. Dunque responsabilità sempre più gravi incombono sulla magistratura. Non solo in Italia.

      Diverse iniziative giudiziarie, da ultimo a Malta, hanno portato al sequestro o all’allontanamento delle imbarcazioni delle Organizzazioni non governative che costituivano l’ultima possibilità di salvezza sulla rotta del Mediteraneo centrale, dopo il ritiro, o la scomparsa dai radar, delle navi militari di Frontex e di Eunavfor Med (Operazione Sophia), che in passato avevano soccorso decine di migliaia di persone. I recenti piani dell’Unione Europea di creare in Libia e nei paesi del Sahel centri di contenimento (piattaforme di sbarco) dei migranti, per impedire loro di raggiungere le coste del Mediterraneo, appaiono impraticabili sul piano politico e militare, oltre che umanamente inaccettabili, anche se si dovesse ottenere l’avallo dellOIM e dell’UNHCR. Sono piani che non elimineranno mai l’esigenza assoluta di operazioni di soccorso umanitario nel mar libico.

      Le stragi di questi ultimi giorni dimostrano che la Guardia costiera libica non ha i mezzi e gli assetti organizzativi per salvaguardare effettivamente la vita umana in mare. I mezzi trasferiti a titolo gratuito dall’Italia al governo di Tripoli, per le loro ridotte dimensioni, non garantiscono alcun effettivo incremento delle capacità di soccorso della Guardia costiera che si definisce “libica”, ma che in realtà corrisponde solo alle milizie che controllano la Tripolitania. Milizie sulle quali pesano gravi sospetti di collusione con i trafficanti di esseri umani. Le unità più grosse, (nel massimo di due !) cedute ai libici, ed attualmente in uso alla Guardia di finanza, non sono lunghe più di 25 metri, e possono soccorerre al massimo 100 persone, in condizioni di mare calmo.

      Malgrado la pomposa titolazione del decreto legge, la capacità di ricerca e salvataggio della Guardia costiera di Tripoli resterà molto al di sotto degli standard internazionali imposti dalle Convenzioni e dal Regolamento IMO. Non basterà certo la istituzione di una Zona Sar “libica”, inserita persino nei dati dell’IMO (Organizzazione internazionale del mare), in assenza di una effettiva capacità di coordinamento e di intervento della sedicente Guardia costiera “libica” che in realtà controlla soltanto alcuni porti della Tripolitania. Il riconoscimento di una zona SAR libica non comporta poi la qualifica automatica, come place of safety, e dunque legittimi porti di sbarco, dei porti di Tripoli, Zawia, Khoms, o di Sabratha o ancora di Zuwara.

      Chi ha coordinato davvero le ultime operazioni di soccorso, a partire dal 28 giugno, quando veniva resta nota la istituzione di una zona SAR libica ? Da quel giorno ad oggi sono morte o risultano disperse nel Mediterraneo centrale centinaia di persone, quasi un naufragio al giorno, per quanto tempo continuerà così?

      Malgrado la istituzione di una zona SAR di loro competenza, I libici continuano a confermare che le attività di ricerca e soccorso (SAR), in realtà vere e proprie intercettazioni in acque internazionali, avvengono da tempo sotto il coordinamento delle autorità italiane. “Rome provides Libya’s coastguard with logistical support via its “Joint Rescue Co-ordination Centre”, locating migrant boats to intercept or rescue, as well as providing basic maintenance. Come era stato chiaramente affermato anche dal Giudice delle indagini preliminari di Catania, nel caso del sequestro della nave Open Arms.

      Il decreto legge proposto dal governo italiano, al pari della chiusura informale dei porti e del blocco immotivato di tre battelli umanitarie a Malta, crea le condizioni oggettive perchè le stragi, al largo delle coste libiche, si ripetano con frequenza sempre maggiore. Non saranno certo i mezzi che l’Italia si appresta a trasferire alla Guardia costiera di Tripoli che potranno ridurre il numero delle vittime. Gli appelli dell’Alto Commissariato per i rifugiati, dopo le ultime stragi nel mar libico, non ricevono ancora risposta.

      Ancora oggi, dopo interventi della Guardia costiera libica, ormai padrona assoluta della vastissima zona SAR che si è voluta attribuire alle motovedette di Tripoli e Zawia, si contano morti e dispersi. E tante altre persone, bloccate in alto mare, vengono ricondotte in centri di detenzione nei quali si soffrono condizioni disumane e degradanti. Queste vite negate, quei corpi martoriati, che vediamo anche noi, quando riescono a fuggire ancora una volta dall’inferno libico, saranno davanti alla coscienza di quei parlamentari che nelle prossime settimane dovranno approvare il decreto legge proposto ieri dal governo Salvini-Di Maio. La mobilitazione nel paese, in difesa della vita e dei diritti umani, contro le politiche dell’odio e della rimozione, sarà sempre più forte. Siamo in tanti, colpevoli di solidarietà, che ci vengano a prendere.

      https://www.a-dif.org/2018/07/03/un-decreto-legge-per-la-guardia-costiera-della-libia-che-non-esiste-la-pianif

    • Guardie e ladri: i trafficanti colpiti dalle sanzioni Onu e l’effetto italiano sulle rivalità in Libia

      In Libia sono quattro, appartengono a schieramenti mutevoli e aspettano che passi la tempesta delle sanzioni Onu, mentre le iniezioni di denaro dell’accordo italiano per fermare i migranti continuano a modificare alleanze ed equilibri sul campo. Nancy Porsia, che per prima ha reso note queste figure, ci racconta com’è la situazione oggi, molto più complessa di come la vorrebbe descrivere il governo italiano.

      Uno risulta sospeso dal servizio e l’altro risulta latitante, e insieme aspettano che i riflettori si spengano su di loro in un compound al centro della città di Zawiya, sulla costa occidentale della Libia.

      Il primo è il capo della Guardia Costiera di Zawiya, Abdul Rahman Milad, noto con il nom de guerre “Al Bija”, mentre il suo compagno di sventura è il noto trafficante di esseri umani della città di Sabrata Ahmed Dabbashi, meglio conosciuto come “Al Ammu”.

      Lo scorso mese, i due uomini che per circa tre anni hanno giocato a “guardie e ladri” davanti alle coste libiche sono finiti nella lista nera del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite insieme ad altri due cittadini libici: il capo della Brigata Martiri Al Nasser di Zawiya, Mohamed Khushlaf, e il trafficante Mus’ab Abu Qarin, di Sabrata, meglio noto come Dottor Musab per i tanti anni di esperienza nel traffico. Oltre ai quattro libici, sono stati colpiti dalle sanzioni Onu anche due cittadini eritrei, Ermias Ghermay e Fitiwi Abdelrazak, perché accusati di essere leader di una rete attiva nella tratta di migranti, in particolare di decine di migliaia di persone provenienti dal Corno d’Africa.

      Per i sei uomini sono scattati il congelamento degli assets bancari e il divieto di viaggio. È la prima volta che le Nazioni Unite emettono sanzioni individuali contro i trafficanti di essere umani in Libia, una decisione presa a fronte delle molteplici testimonianze contro i sei uomini, tant’è che già nel report annuale delle Nazioni Unite nel 2017 i quattro libici venivano citati come i principali attori del traffico di esseri umani in Libia.

      Gli uomini sotto sanzione: rivalità e alleanze

      Musab Abu Qarin è capo della Brigata Al Wadi; mentre Al Ammu è a capo della Brigata Anas Dabbashi. Sono entrambi miliziani che sulla pelle dei migranti hanno costruito il proprio impero.

      Concorrenti in affari, nel campo politico-militare i due sono nemici giurati. Musab è schierato con la frangia reazionaria della Libia rappresentata dal Generale Khalifa Haftar, da sempre sostenuto da Egitto e Emirati Arabi Uniti con l’avallo della Francia. Sebbene non sia ufficiale, il Dottor Musab è la longa manus della brigata Al Wadi, al servizio dei salafiti madkhali di cui fa parte anche Haftar e della coalizione formata sotto l’egida dell’operazione “Al Karama”, dignità in arabo, lanciata nel 2014 dal generale contro la lobby islamista dei Fratelli Musulmani. Dabbashi invece fa parte della fazione opposta, “Fajr Libya”, che in arabo significa Alba della Libia, sostenuta principalmente da Qatar e Turchia, e in maniera più discreta dall’Italia. Oltre ad Al Ammu, fanno parte della stessa lobby politico-militare anche il capo dei Guardiacoste di Zawiya Milad e Mohamed Khushlaf.

      Un dettaglio non da poco se si vuole comprendere il gioco politico che si sta consumando in Libia sulla pelle della popolazione locale e dei migranti che da lì transitano in rotta verso l’Europa. Infatti ai tempi del sodalizio tra Unione Europea e istituzioni libiche garantito dal Fondo Fiduciario europeo per l’Africa tra il 2016 e l’inizio del 2017, il governo di Serraj rappresentava ancora una sorta di corpo estraneo al paese senza identità né appartenenza. E attraverso la formula della delega a scatole cinesi, i soldi inviati da Bruxelles o da Roma verso Tripoli venivano poi equamente redistribuiti tra i vari potentati locali.
      Porticciolo di Sabrata - uno dei punti di partenza dei barconi di migranti verso l’Europa (foto: Nancy Porsia)

      A maggio del 2017, il capo dei guardiacoste di Zawiya, Milad, veniva ricevuto in Italia come membro della delegazione libica su invito dell’Organizzazione Internazionale per la Migrazione (Oim) in collaborazione con Operazione Eunavfor Med – Sophia. Come ci raccontarono loro stessi all’epoca dei fatti, alcuni uomini di Zawiya, richiedenti asilo in Italia che si trovavano nei centri di accoglienza visitati dal comandante Milad nel corso del tour siciliano, rimasero increduli davanti all’arrivo di colui che conoscevano come “Al Bija” in quello che pensavano fosse un luogo sicuro. Questo mentre sulla sponda sud del Mediterraneo Dabbashi e il Dottor Musab godevano entrambi di ampi spazi di manovra per i loro affari. Infatti nel braccio di costa di 70 chilometri tra Sabrata e Al Mutrud, un villaggio a ovest di Zawiya, si concentrava la quasi totalità delle partenze delle carrette del mare dalla Libia verso l’Europa.

      Ma nell’estate del 2017, l’allora Ministro degli Interni italiano Marco Minniti, con la firma del Memorandum of Understanding, giocoforza ha dato prevalentemente spazio ad alcuni gruppi della coalizione Fajr Libya, attraverso il sostegno indiretto alla Brigata 48 a guida Dabbashi, che proprio in quel periodo si era lanciata sul fronte del contrasto alla migrazione irregolare, e alla Guardia Costiera di Zawiya.
      La guerra di Sabrata

      Mentre Minniti si compiaceva dell’improvviso calo degli arrivi dalla Libia sulla sponda italiana, a ovest di Tripoli la controparte rimasta fuori dai giochi internazionali dichiarava guerra al nemico, e a settembre dello scorso anno si scatenava una guerra senza precedenti tra fazioni opposte. La sala operativa di Zawiya, testa d’ariete della brigata Al Wadi e dei salafiti madkhali nella regione ovest, ha sferrato un attacco massiccio contro Dabbashi. Durante quella che passerà alla storia come la “guerra di Sabrata”, migliaia di migranti venivano messi in mare dai Dabbashi così come dal Dottor Musab, mentre altrettante persone venivano scacciate dalla città via terra. In due giorni la città vicina di Zuwara ne ha accolti tremila.

      In quel frangente Dabbashi trovava riparo da Al Bija, suo fratello in armi dai tempi della Rivoluzione nel 2011. La conferma di questo sodalizio politico-militare ha portato, per un effetto domino, a un altro cambio della guardia importante: i salafiti madkhali a Tripoli, le Forze Speciali Rada, sconfinavano da quello che era il loro campo di competenza, la lotta al terrorismo, e si univano alle forze impegnate sul fronte anti-traffico.
      Le trasformazioni di Ben Khalifa

      A settembre dello scorso anno, le Forze Rada hanno annunciato in pompa magna l’arresto del trafficante Fahmi Ben Khalifa, dichiarando di aver preso il capo della rete del traffico dei migranti e incassando il plauso della comunità internazionale. Tuttavia, Fahmi Ben Khalifa era un noto passatore di migranti all’epoca del regime di Gheddafi. Grazie ai suoi ottimi rapporti con alcuni uomini d’affari a Malta, riusciva a far arrivare in Europa centinaia di migranti. Sempre in quel periodo, Ben Khalifa trafficava droga a livello internazionale sfruttando la posizione strategica della sua città, Zuwara, al confine con la Tunisia e a un tiro di schioppo da Malta e dall’Italia via mare.

      Ma all’indomani della caduta del regime, Ben Khalifa ha capitalizzato i suoi contatti a Malta e reinvestito sul traffico del diesel, dove la linea di demarcazione tra legalità e illegalità è meno definita. Già nel 2014 Ben Khalifa risultava essere il principale contrabbandiere di diesel in Libia. Tuttavia, secondo fonti di sicurezza della città di Zuwara, Ben Khalifa non aveva più nulla a che fare con il traffico di droga e di esseri umani. Eppure le Forze Rada lo hanno dato in pasto all’opinione pubblica europea come il principale attore del business sui migranti in Libia, proprio mentre l’Europa negoziava il consenso politico sul fronte anti-immigrazione, incurante degli introiti che la mafia incassa attraverso il traffico di diesel.

      Tra l’altro, anche nel campo del contrabbando degli idrocarburi, l’attore principale è Mohamed Khushlaf, il quale con la sua brigata Al Nasser controlla la raffineria di Zawiya, unica fonte di tutto il diesel trafficato dalla Libia. Non c’è litro di diesel che esca dalla principale raffineria in funzione nel paese senza il suo consenso. Ma all’epoca dell’arresto e delle foto segnaletiche di Ben Khalifa fatte circolare dalle Forze Rada sul web, i madkhali di Tripoli tentavano ancora di tenere in piedi la strategia doppio-giochista tra le forze Fajr Libya e Al Karama, e quindi Ben Khalifa era un ottimo alibi per coprire il più potente Mohamed Khushlaf.

      Con lo schieramento della comunità internazionale al fianco di Haftar a Parigi lo scorso maggio, la Russia che da sempre sostiene il Generale, il quale ha già il controllo dell’intero est del paese, ha ritirato il veto posto alla proposta di sanzioni dall’Olanda al Consiglio delle Nazioni Unite. Infatti le sanzioni Onu non hanno spostato di un millimetro l’attuale posizione delle forze madkhali sul campo, e il Dottor Musab diventa la sola vittima sacrificale.
      Cosa dice Milad delle sanzioni

      Sul fronte opposto, all’indomani dell’entrata in vigore delle sanzioni, il generale Milad è stato formalmente sospeso dal suo incarico per quattro mesi, in attesa di prove alle accuse mosse dal Consiglio di Sicurezza. Secondo quanto enunciato dall’Onu, “Milad e altri membri della guardia costiera sono direttamente coinvolti nell’affondamento di imbarcazioni di migranti, attraverso l’utilizzo di armi da fuoco. Al-Milad collabora con altri trafficanti di migranti come Mohammed Kachlaf (anch’esso oggetto delle stesse sanzioni) che, secondo alcune fonti, gli fornisce protezione per svolgere operazioni illecite relative al traffico di migranti. Diversi testimoni di alcune indagini hanno dichiarato di essere stati prelevati in mare da uomini armati e trasbordati sulla nave della Guardia costiera ‘Tallil’, utilizzata dal comandante Milad, e portati al centro di detenzione di al-Nasr, dove secondo quanto riferito sarebbero stati detenuti in condizioni brutali e sottoposti a percosse”.

      Qualche ora dopo l’annuncio delle sanzioni Onu, sul suo profilo Facebook Milad scriveva: “Ho lavorato tanto contro il contrabbando di diesel permesso dai politici libici corrotti, e per il contrasto nelle nostre acque alle Ong, che altro non rappresentano se non i servizi segreti stranieri e operano con il beneplacito del governo Al Serraj a Tripoli così come quello di Al Thinni nell’est. Abbiamo rinunciato a tangenti cospicue da funzionari di alto rango che chiedevano di lasciare lavorare le Ong. E per quanto le sanzioni siano un duro colpo, noi passeremo alla storia come quelli leali al paese. E solo Dio sa quanto abbiamo sofferto per questo paese”.

      Prendendo le distanze dal Governo Serraj, anche il comando centrale dei Guardiacoste a Tripoli difende a spada tratta il proprio uomo, tanto che l’Ammiraglio Abdallah Toumia ha criticato fortemente la decisione del Consiglio di Sicurezza Onu, e ha commentato in tv: “Questo non è comprensibile dopo gli sforzi profusi dal nostro comandante sequestrando sei petroliere e salvando ben 17 mila migranti davanti alle coste libiche”.

      Tra quelli sanzionati dall’Onu, dunque, solo Dabbashi risulta fuori gioco. E secondo fonti della sicurezza a ovest di Tripoli, oggi l’ex re del traffico dei migranti di Sabrata è sotto l’ala protettiva del generale Milad.

      http://openmigration.org/analisi/guardie-e-ladri-i-trafficanti-colpiti-dalle-sanzioni-onu-e-leffetto-i

    • Immigration : Rome et Tripoli veulent réactiver leur #traité_d’amitié

      L’Italie et la Libye ont convenu samedi de réactiver leur traité d’amitié signé en 2008, qui permet le refoulement de migrants en territoire libyen, à l’occasion de la première visite à Tripoli du chef de la diplomatie italienne Enzo Moavero Milanesi.

      Le traité signé par les ex-dirigeants des deux pays, Mouammar Kadhafi, renversé par une révolte populaire et tué en 2011, et Silvio Berlusconi, avait marqué la fin de 40 ans de relations tumultueuses entre la Libye et son ancien colonisateur. Mais il avait été suspendu en février 2011 après le début de la révolte libyenne.

      Il prévoit des investissements italiens en Libye de cinq milliards de dollars en compensation de la période coloniale. En contrepartie, la Libye s’engage à limiter l’immigration clandestine depuis ses côtes. Le traité permettait notamment le refoulement en Libye des migrants partis de ce pays, une clause dénoncée par les défenseurs des droits de l’Homme.

      « Nous nous sommes mis d’accord sur la réactivation du traité d’amitié italo-libyen de 2008 », a déclaré le ministre libyen des Affaires étrangères Mohamad Siala lors d’une conférence de presse conjointe avec son homologue italien dans la capitale libyenne Tripoli.

      M. Milanesi a lui jugé ce traité « important et prometteur ».

      Les deux ministres n’ont pas précisé si le texte allait être amendé ou réactivé tel quel.

      Selon le ministre italien, avec ce pacte, « toutes les conditions sont réunies pour travailler main dans la main en vue d’appuyer le processus de stabilisation, la sécurité et l’unité de la Libye ».

      Il a ajouté que la Libye « partageait avec l’Union européenne la responsabilité et le devoir de faire face aux flux de migrants ». « La coopération entre la Libye, l’Italie et l’UE est essentielle pour résoudre la question de l’immigration et éviter des drames humains » en Méditerranée, qui se sont multipliés ces dernières semaines au large de la Libye.

      M. Milanesi a jugé « essentiel d’oeuvrer dans les pays d’origine » des migrants pour les dissuader de tenter la traversée de la Méditerranée vers l’Italie, tout en soulignant l’importance d’aider la Libye à sécuriser ses frontières maritime et terrestre dans le Sud.

      Du temps de Kadhafi, des milliers de migrants traversaient les frontières sud longues de 5.000 km, notamment pour tenter la traversée de la Méditerranée vers l’Europe.

      La situation a empiré après la chute du dictateur, les passeurs profitant du chaos en Libye pour envoyer chaque année des dizaines de milliers de migrants à destination de l’Italie.


      http://www.liberation.fr/planete/2018/07/07/immigration-rome-et-tripoli-veulent-reactiver-leur-traite-d-amitie_166490

      #traité_d'amitié_bis

    • Migrants : l’Italie et la Libye exhument un accord vieux d’il y a dix ans

      L’Italie cherche à fermer ses frontières. Dans ce sens, le nouveau gouvernement vient de réactiver un traité d’amitié signé avec la Libye en 2008. A l’époque, le texte avait permis à Silvio Berlusconi et Mouammar Kadhafi de mettre fin à 40 ans de relations tumultueuses, mais le début de la révolte libyenne, en février 2011, avait enterré l’accord. Le nouveau chef de la diplomatie italienne l’a ressorti lors de sa première visite à Tripoli le week-end dernier, car il permet le refoulement des migrants partis de Libye.

      http://www.rfi.fr/afrique/20180709-migrants-italie-libye-exhument-accord-vieux-il-y-dix-ans

    • Migranti, prezzi aumentati e rotte modificate: così in Libia i trafficanti sono tornati a lavoro

      Il “tappo” sta saltando - Da Zwara a Garabulli, i capibanda libici stanno riattivando i punti di partenza bloccati un anno fa, sfidando i mandati di arresto

      È passato circa un anno da quando alcuni trafficanti di esseri umani, insieme a pezzi della Guardia Costiera corrotta a ovest di Tripoli, accettarono di sbarrare il passaggio ai migranti. I trafficanti di esseri umani si trasformarono in guardie, e le guardie tornarono a fare le guardie. Quel tratto di costa per due anni era stato il principale trampolino di lancio per le persone che cercavano un passaggio verso l’Europa.

      All’epoca, Roma “mandò a dire” alle controparti libiche che se non si fossero allineati sarebbero state scovate e arrestate dalle autorità internazionali. Molti degli interlocutori libici decisero di adeguarsi alle nuove regole del gioco. E il meccanismo oramai oliato si ruppe portando alla cosiddetta ‘guerra di Sabrata’ tra i principali trafficanti della città, Ahmed Dabbashi e Mus’ab Abu Qarin.

      Nel frattempo le istituzioni libiche sono state affiancate e sospinte dall’Europa a mettere in cima alle proprie priorità il flusso migratorio irregolare, ovviamente in cambio di legittimità e denari. E dunque anche le meno operative unità di Guardia Costiera o altri gruppi armati sono tornati in prima linea. Lo scorso giugno il Consiglio di sicurezza Onu ha inserito Dabbashi e Abu Qarin nella propria lista nera insieme al capo della Guardia Costiera Abdul Rahaman Milad e il responsabile della raffineria della città di Zawiya, 30 chilometri a est di Sabrata.

      “Con la stretta delle forze di sicurezza sul traffico degli esseri umani, i prezzi del mercato sono aumentati molto. E i grandi pesci sono tornati a lavorare con le vecchi modalità”, ha detto al Fatto una fonte di Zawiya. E giovedì, dalle coste libiche, è partito il barcone in legno con a bordo 450 migranti.

      Anche le rotte su territorio libico cambiano assetto. A Ovest di Tripoli, Sabrata e Zawiya hanno ceduto il passo a Zuwara, la città che per vent’anni è stata il principale snodo per la traversata del Mediterraneo e che negli ultimi tre anni ha visto le forze locali stringere in una morsa i trafficanti locali. “Le autorità locali da sole non possono reggere ancora a lungo. E i trafficanti stanno tornando alle loro postazioni”, spiega al Fatto una fonte di Zuwara. Secondo la Guardia Costiera di Tripoli, il barcone sarebbe partito proprio da Zuwara. A est della Capitale si estende la costa da cui partono l’80% delle imbarcazioni cariche di migranti, secondo una fonte vicina alla intelligence libica. Garabulli, 50 chilometri a oriente di Tripoli, è il principale punto di imbarco insieme alla città di Al Khoms, 50 chilometri più a est.

      Già ai tempi di Gheddafi, a Garabulli erano diverse le famiglie che lavoravano nel business del trasporto dei migranti: le bianche spiagge rendono quel tratto di costa idoneo per le partenze delle carrette del mare. Le dune scoscese lungo la costa sono un reticolo di sentieri che portano alla battigia. “Quei sentieri sono stati costruiti con escavatori dagli stessi trafficanti”, spiegava tempo fa un membro della Guardia Costiera durante uno dei giri di perlustrazione.

      Garabulli torna oggi a essere un importante punto di imbarco. Non solo per via dello sbarramento a ovest di Tripoli, ma anche perché, pochi chilometri a sud, a Bani Walid, si trova il principale punto di transito per i migranti tra il deserto e la costa.

      Dalla nascita dello Stato Islamico a Sirte nel 2015, il punto di smistamento tra sud e nord si è spostato dalla città natale di Gheddafi, Sirte, a Bani Walid. A Garabulli, inoltre, da più di due anni non esiste una struttura, seppure minima, di forze di sicurezza.

      Nel 2016 pesanti scontri a fuoco tra le milizie locali e quelle della vicina città di Misurata, portarono al fuggi fuggi generale dei gruppi armati incaricati della sicurezza.

      A sud, nel Fezzan, la situazione resta completamente fuori controllo.

      Bande di ladroni senza appartenenza politica si moltiplicano nel vuoto di controllo da parte del governo del premier Serraj, di base a Tripoli, e del generale Khalifa Haftar, l’uomo forte dell’est del Paese.

      Dal Niger i migranti continuano ad arrivare in migliaia, anche se battendo sentieri più pericolosi in seguito alle attività di controllo al confine con la Libia. Nel deserto la città-oasi di Saba, la principale nella regione del Fezzan, resta il punto di passaggio principale. Proprio alla periferia di Saba, una prigione nuova di zecca e mai utilizzata dalle autorità locali, da un paio di anni funge da magazzino per i principali trafficanti della zona.

      https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/il-ricatto-dei-ras-della-costa-nuovi-accordi-o-piu-migranti

    • L’Italia delega i respingimenti dei migranti in mare alla Libia. Violando i diritti umani

      Il protagonismo delle autorità libiche nelle operazioni di “soccorso” nel Mediterraneo consente al nostro Paese di non rispondere direttamente delle condotte sui migranti. Un escamotage per non finire di nuovo dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che nel 2012 aveva duramente condannato l’Italia per i fatti del 2009. Intervista ad Anton Giulio Lana, l’avvocato di quei migranti respinti che hanno vinto la causa a Strasburgo.

      La strategia dell’Italia di delegare i respingimenti dei migranti in mare alle autorità della Libia vìola i diritti umani. Ed è un sostanziale aggiramento della sentenza della Corte europea dei diritti umani che nel 2012 aveva condannato il nostro Paese per aver espulso collettivamente 200 naufraghi intercettati a 35 miglia a Sud di Lampedusa nel maggio 2009. L’avvocato Anton Giulio Lana ha rappresentato 24 di quei respinti a Tripoli dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, che nel 2012 ha pronunciato la storica sentenza sul caso “Hirsi Jamaa e altri c. Italia”. Il comportamento italiano fu ritenuto una grave violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che vieta la tortura e i trattamenti inumani o degradanti (Art. 3), nonché le espulsioni collettive (Protocollo n. 4) e la mancata possibilità di richiedere la protezione internazionale (Art. 13).
      A nove anni dalla stagione dei respingimenti e a sei dalla sentenza Cedu, il giudizio di Lana sull’approccio dell’Italia è amaro. Navi dei soccorritori bloccate al largo, annunci di porti chiusi, arresti minacciati. E ancora naufragi.

      Avvocato, anche oggi i diritti umani sono violati nel Mediterraneo?
      AGL Sulla scorta della giurisprudenza che è stata adottata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Hirsi, che come noto ha stigmatizzato la violazione da parte del nostro Paese del principio di non refoulement (principio di non respingimento), anche eventuali azioni che dovessero inibire l’accesso delle imbarcazioni che salvano persone in mare contrasterebbe con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. E con una serie di disposizioni di carattere internazionale come la Convenzione Montego Bay del 1982 delle Nazioni Unite sul diritto del mare, la Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare (SOLAS) del 1974 e alla Convenzione internazionale del 1979 sulla ricerca e il salvataggio marittimi (SAR) che prevedono che gli sbarchi di persone salvate in mare debbano essere operati nel luogo sicuro più vicino. C’è quindi un contesto di diritto del mare e di diritto internazionale dei diritti umani che prescrive da un lato il divieto di respingimenti e dall’altro l’obbligo di salvare le persone che si trovano in difficoltà su queste “carrette del mare”. Indiscusso il ruolo meritorio che hanno svolto negli anni la Marina italiana e la Capitaneria di porto di Roma per il salvataggio di vite nel mar Mediterraneo, quello che oggi preoccupa sono le nuove iniziative promosse dal governo: chiusura dei porti alle ONG e, anche -almeno nelle intenzioni- alle navi militari straniere che fanno capo all’operazione Sophia.

      Nelle ultime settimane sono stati operati dei respingimenti o comunque azioni che contrastano con le Convenzioni internazionali che ha menzionato?
      AGL Quello che è stato posto in essere, in particolare dal ministro dell’Interno, è una prassi innovativa di annunci via social media. Che è una modalità abbastanza anomala di esercitare il potere e il ruolo per un governo e in particolare per un ministro dell’Interno. Normalmente in un Paese democratico basato sullo Stato di diritto i ministri esercitano il loro ruolo attraverso provvedimenti di varia natura. I quali poi possono anche essere vagliati -in un sistema dove c’è una ripartizione dei poteri- da parte di un’autorità giudiziaria, nella specie da un giudice amministrativo, che potrà valutare validità, fondatezza e motivazioni che hanno indotto ad adottare il provvedimento.

      Annunci a parte, in queste settimane è stata formalmente dichiarata una zona SAR libica e forniti degli estremi di un presunto centro di coordinamento a Tripoli, con il decisivo sostegno italiano e finanziamenti comunitari. È sufficiente questa condizione puramente formale per delegare le operazioni di intercettazione delle imbarcazioni e di successivo trasporto verso le coste libiche per manlevare l’Italia rispetto a quelle situazioni critiche?
      AGL Come militante dei diritti umani, studioso della materia e avvocato posso porre delle domande. E solitamente le pongo a una giurisdizione interna o internazionale, come la Corte di Strasburgo. Quindi non ho risposte. Certo, mi domando se i finanziamenti che vengono dati attraverso modalità varie -anche mediante la fornitura di imbarcazioni alle autorità libiche, piuttosto che la formazione agli operatori libici o altre modalità di supporto- possano concretizzare una corresponsabilità italiana sul piano del diritto internazionale nelle azioni di intercettazione, limitazione e controllo che le forze dell’ordine libiche -se così possiamo definirle- pongono in essere. Io qualche perplessità sul punto ce l’ho.
      Bisognerebbe perciò sottoporre questa questione all’attenzione di un giudice internazionale. So di iniziative dinanzi alla Corte EDU che sono state adottate proprio per mettere in discussione già la politica adottata dal ministro Minniti, figuriamoci quella del ministro Salvini.

      Si può definire la strategia italiana -trasversale in termini di esecutivi- di stipulare di accordi con un Paese come la Libia per fermare i migranti, una sorta di aggiramento del pronunciamento della Cedu a cui lei ha in maniera decisiva contribuito? È cioè un modo per delegare i respingimenti ai libici quello adottato dall’Italia dopo la sentenza sul caso Hirsi?
      AGL Io credo di sì. Stiamo però parlando di una giurisdizione che ragiona sui fatti. Indubbiamente non ha molto senso con riferimento a questi problemi delicati, complicati e drammatici ragionare in linea teorica, bisognerebbe analizzare un singolo episodio, conoscerlo e valutarlo alla luce del diritto internazionale e del diritto del mare. In linea di principio, e quindi con tutti i limiti che ho detto, questa sorta di outsourcing che è stata ideata mi sembra che contrasti con il diritto internazionale dei diritti umani.

      Nel caso Hirsi ci fu un ricorso. Che tipo di iniziativa occorrerebbe per poter far prendere in esame il comportamento dell’Italia dalla Corte?
      AGL All’epoca del ricorso Hirsi, e siamo nel 2009, un rappresentante di un’organizzazione non governativa si recò in Libia, in questi centri, a raccogliere le procure di alcune delle persone respinte, 24, e sulla base di quelle procure fui in condizione di predisporre il ricorso alla Corte EDU. Quindi analogamente occorrerebbe che delle persone che hanno subito una violazione dei diritti fondamentali, ad esempio un’espulsione collettiva – come fu stigmatizzata nella sentenza del 2012 “Hirsi contro Italia”- presentino un ricorso alla Corte, del tutto analogo. Bisognerebbe insomma che si materializzi un’espulsione collettiva e che le vittime di questa espulsione conferiscano incarico per adire alla Corte.

      In queste settimane gli annunci e le chiusure hanno avuto conseguenze drammatiche sulle vite delle persone. Esistono strumenti immediati per ricorrere alla Corte e inibire questa o quella condotta di uno Stato?
      AGL Sì. L’articolo 39 del regolamento di procedura della Corte europea dei diritti dell’uomo contempla proprio l’ipotesi di cui lei sta parlando, cioè la possibilità in via d’urgenza di richiedere una misura provvisoria, cautelare, per inibire una determinata condotta da parte di uno Stato. Si potrebbe perciò ottenere un ordine di non respingere in violazione della Cedu, ai sensi dell’articolo 3 laddove le persone una volta respinte fossero sottoposte al rischio concreto di subire torture o trattamenti inumani o degradanti.

      Poniamo che naufraghi alla deriva nelle acque SAR libiche chiamino il centro di coordinamento di Roma per i soccorsi e che questo deleghi “per competenza” a Tripoli le operazioni. L’iniziale contatto con l’MRCC italiano potrebbe essere già un elemento di corresponsabilità in grado di far scattare la giurisdizione della Corte europea?
      AGL Non lo so, dovrei rifletterci con più attenzione. La Corte europea si pronuncia nei confronti dei 47 Paesi membri del Consiglio d’Europa. Si potrebbe immediatamente ravvisare una responsabilità italiana nel momento in cui su un’imbarcazione delle forze dell’ordine libiche, o della guardia costiera libica, fornite magari dall’Italia alla Libia, vi fossero dei militari o comunque degli esponenti delle forze dell’ordine italiane. Presenti lì per coadiuvare o contribuire alla formazione, o per qualsiasi motivo.
      Il semplice avviso al nostro centro di coordinamento è un’ipotesi su cui dovrei riflettere attentamente, bisognerebbe vedere il caso concreto. Ripeto, è difficile parlare di questioni così delicate, anche umanamente complesse e drammatiche, senza ragionare sulla singola fattispecie ma in teoria.

      A proposito della Libia. Per quel che lei ha avuto modo di seguire rispetto all’evoluzione del Paese dai fatti dei respingimenti del 2009 in avanti, è un Paese che ha superato le gravi problematiche fotografate dalla Corte europea di Strasburgo in termini di sicurezza e diritti umani?
      AGL Purtroppo non credo affatto. Tanto è vero che laddove nel caso concreto fossero operati dei respingimenti verso la Libia, si potrebbe a mio avviso sostenere che quelle persone non solo rischiano di essere rimandate nel Paese di origine, e dunque eventualmente sottoposte a violazione dell’articolo 3 (divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti), ma prima ancora la violazione consisterebbe nel respingimento verso la Libia in quanto tale, dove queste persone -come ahimè tristemente noto- vengono seviziate, le donne sono stuprate, torturate. La situazione in Libia, come noto dai rapporti delle Ong più autorevoli, è molto articolata e molto complessa e il governo di Tripoli riconosciuto dalle Nazioni Unite non ha certamente il controllo del territorio di tutto il Paese.

      Come valuta il fatto che dalla sentenza Hirsi in avanti gli esecutivi -riprendendo la strategia degli accordi bilaterali del 2007, 2008 e 2009- abbiano sostanzialmente individuato nella Libia e nelle presunte autorità del Paese un mezzo per non effettuare dei respingimenti direttamente ma per delegarli?
      AGL In modo molto critico. Penso che siamo in presenza di un fenomeno strutturale, sottovalutato dall’Italia in particolare e dall’Europa in generale da vent’anni a questa parte. Non si tratta di un’emergenza, non è un fenomeno che può indurre una paura o una preoccupazione nei confronti di una popolazione di 500 milioni di abitanti per qualche centinaio di migliaia di persone che prova a migliorare le proprie condizioni di vita o a rifuggire da situazioni di guerra, di tortura o di violazioni di diritti umani. Per cui credo che questo problema doveva e ancora oggi deve essere affrontato in maniera radicalmente diversa. Con un impegno sistemico dell’Italia e dell’Europa intera.

      https://altreconomia.it/italia-libia-respingimenti-diritti-lana

    • Salvini: «Cambiare le norme e considerare quelli libici porti sicuri». Ma da Bruxelles arriva un secco No

      «Dobbiamo cambiare la normativa e rendere i porti libici porti sicuri. C’è questa ipocrisia di fondo in Europa in base alla quale si danno soldi ai libici, si forniscono le motovedette e si addestra la Guardia Costiera ma poi si ritiene la Libia un porto non sicuro». Lo dice il vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini in una conferenza stampa a Mosca indicando quale sarà l’obiettivo dell’Italia nell’incontro di dopodomani per ridiscutere la missione Sophia. «E’ un bipolarismo europeo che va superato» aggiunge.

      Per arginare il traffico di esseri umani, secondo Salvini, l’unica soluzione «è il blocco delle partenze, aiutando Tunisia, Marocco, Libia ed Egitto a controllare mari, porti e confini». Dobbiamo «soccorrere tutti ma anche riaccompagnarli tutti da dove sono partiti - aggiunge il ministro dell’Interno - E vanno creati canali per l’asilo politico dall’altra parte del Mediterraneo: non far partire più alcuna persona e non far sbarcare più alcuna persona in Italia, e dunque, in Europa, è l’obiettivo. L’Ue deve convincersi che questa è l’unica soluzione per risolvere la questione».

      Il titolare del Viminale è poi tornato a chiedere a Bruxelles «soldi veri» per interventi in Africa e ha ribadito che per le navi delle Ong i porti italiani resteranno chiusi. E quanto ai respingimenti, vietati dalle norme internazionali, Salvini ha sottolineato che «qualcosa che è vietato oggi può diventare normalità domani. Perché qui non parliamo di naufraghi ma di tratta di esseri umani, di un business organizzato dalle mafie dei due continenti».

      Secco no alla richiesta di Salvini da Bruxelles. «Nessuna operazione europea e nessuna imbarcazione europea» riporta i migranti salvati in mare in Libia, perchè «non consideriamo che sia un paese sicuro». Lo dice la portavoce della Commissione, Natasha Bertaud, rispondendo ai giornalisti che chiedevano un commento della Commissione sulle parole del ministro degli Interni, Matteo Salvini, che ha detto che chiederà alla Ue di riconoscere i porti libici come sicuri.

      A stretto giro la controreplica di Salvini. «L’Unione Europea vuole continuare ad agevolare lo sporco lavoro degli scafisti? Non lo farà in mio nome, o si cambia o saremo costretti a muoverci da soli». Così il ministro dell’Interno su Twitter.

      https://www.huffingtonpost.it/2018/07/16/salvini-cambiare-le-norme-e-considerare-quelli-libici-porti-sicuri-ma

    • Lo “scatolone di sabbia”: un anno di inchieste sulla Libia

      Nell’ultimo anno, nella convinzione che conoscere la complessità della Libia aiutasse a leggere più correttamente gli accordi siglati dall’Italia e il loro impatto sui migranti che attraversano il Mediterraneo, abbiamo pian piano costruito una mappa di indagini e storie. In questa estate di nuove e spesso pericolose semplificazioni, ve le proponiamo qui tutte insieme in ordine cronologico.

      http://openmigration.org/analisi/lo-scatolone-di-sabbia-un-anno-di-inchieste-sulla-libia

    • The first Italian vessel promised to the Libyan Coast Guard has just been delivered. Even later than forecast. Unlikely to make a difference for a fragmented, undertrained, understaffed, underequipped Libyan Coast Guard.

      https://twitter.com/emmevilla/status/1054032047818317824

      «#658_Fezzan», 14 membri di equipaggio. In foto, il primo dei due pattugliatori ’classe Corrubia’ - ex GDF, previsto dal c.d. decreto motovedette - appena arrivato a Tripoli e consegnato dal governo italiano alle milizie libiche.


      https://twitter.com/scandura/status/1054021643440455680
      –-> et ce lien vers un site en arabe : https://almarsad.co/2018/10/21/%D8%A8%D8%A7%D9%84%D8%B5%D9%88%D8%B1-%D9%82%D9%88%D8%A7%D8%AA-%D8%A7%D9%84%

    • Tripoli-based Coast Guard: Italy has provided old boats and is not intended for rescue

      Spokesman of the Tripoli-based Libyan Coast Guard, Ayoub Qassem, said in media statements on Friday that Italy has provided old boats and is not intended for rescue.

      He also accused the international non-governmental organizations of seeking to reap huge profits through illegal flights to and from Libya.

      Qassem revealed that the number of migrant victims reaches 120 thousand annually, because of smugglers’ use for old boats crowded with immigrants. He also said that there are many who drowned in the sea and no one knows about them.

      Qassem demanded Europe to “pay billions annually to us” without which he says “the Coast Guard would not play its role properly against the waves of migration coming from Africa”. He added that Libya is not defending Europe, but defending its sovereignty.

      http://www.addresslibya.com/en/archives/35784

    • L’Italia affida i migranti agli stessi che fa arrestare per contrabbando

      La Guardia costiera di #Zawiya è un’organizzazione criminale. Secondo le Nazioni Unite, fa parte di una milizia coinvolta in numerosi traffici di esseri umani. Secondo carte lette in questi giorni dall’AFP, l’Onu vuole proporre sanzioni contro sei trafficanti, fra i quali al Bija e Mohammed Koshlaf di cui leggerete in questo articolo. Intanto, secondo la Procura di Catania, la stessa Guardia costiera di Zawiya è coinvolta anche nel furto e contrabbando di petrolio, che costa alla Libia 750 milioni di dollari all’anno. Eppure per l’Italia è un’alleata nella lotta all’immigrazione irregolare.

      Zawiya, Libia, 28 giugno 2016. La petroliera Temeteron naviga a 11 miglia dalla costa. È una nave imponente: un tanker di 110 metri di lunghezza che può contenere fino a 4.600 tonnellate; uno di quei giganti, lunghi e piatti, che attraversano le autostrade del mare a basse velocità e per lunghissimi periodi.

      Nel 2016, la Temeteron viaggiava spesso da quelle parti: un andirivieni continuo dalle acque del Mediterraneo davanti alla Libia, fino al porto di Odessa, in Ucraina, o ai porti russi affacciati sul Mar Nero. Il 28 giugno 2016, però, appena prima che uscisse dal territorio nazionale libico, ossia le acque che si allungano fino a 12 miglia dalla costa, è stata intercettata dalla Guardia Costiera di Zawiya. Anzi, come la definiscono i due ricercatori Mark Micallef e Tuesday Reitano in questa ricerca, dalla “Guardia costiera della raffineria di Zawiya”. Il legame tra l’autorità costiera e il polo industriale della città è infatti indissolubile: quei guardacoste, dotati di due unità navali, sono gli stessi che tra gennaio e giugno 2017, secondo la ricerca di Reitano e Micallef, intercetteranno 5.707 migranti sui 10.989 fermati in tutto dalla Guardia costiera libica.

      Torniamo al 28 giugno 2016: la Guardia costiera di Zawiya scorta la Temeteron fino al porto di Tripoli, dove la lascia nelle mani della Marina militare libica. Temeteron si ormeggia: è in stato di fermo e con lei anche l’equipaggio. L’indomani, durante una conferenza stampa, il portavoce della Marina libica Ayoub Qasim sostiene che i suoi uomini abbiano trovato a bordo della petroliera 5.227 tonnellate di gasolio di contrabbando, rubato dalla raffineria di Zawiya. Il dato, riportato su diversi media, sembra scorretto, perché supera il tonnellaggio della nave. Non ci sono però altre versioni. Il fermo è stato certamente convalidato: l’equipaggio – cinque ucraini, tre russi e un greco – è rimasto nelle carceri libiche fino al 2 marzo 2017.

      Navi come la Temeteron, con gli stessi presunti carichi illeciti, passano spesso al largo di Zawiya. Eppure i controlli delle autorità locali sono sporadici. Il motivo è semplice: la Guardia costiera della città è parte di un’organizzazione criminale che contrabbanda gasolio. Secondo i rapporti delle Nazioni Unite, quella stessa Guardia costiera è coinvolta anche nel traffico di esseri umani. Migranti e gasolio, insieme al greggio, sono i pochi “beni di esportazione” della Libia: controllare questi mercati, di fatto, significa avere le mani sull’export del paese.
      La raffineria protetta dalla Guardia costiera

      La Azzawiya Oil Refinery Company è una raffineria di proprietà statale, aperta nel 1974. È la più grossa della Libia, con una capacità massima di 120 mila barili di greggio al giorno. La controlla la National Oil Company (Noc), l’azienda statale che gestisce gas e petrolio. È socia alla pari della nostra Eni nella Mellitah Oil & Gas, joint venture italo-libica che sorge sempre nella striscia di costa libica famosa come luogo di partenza degli sbarchi.

      La Noc è l’unica autorità del paese nordafricano che può approvare le esportazioni all’estero. Da maggio del 2014 a guidarla è Mustafa Sanalla, manager risoluto, consapevole di occupare il vertice dell’unica istituzione del paese capace, almeno in un immediato futuro, di dare un’economia alla Libia. Il 18 aprile, durante il convegno Oil & Fuel Theft a Ginevra, Sanalla ha affermato che la Libia ogni anno perde 750 milioni di dollari: il 30-40 per cento del gasolio e del greggio importati o prodotti dalla Libia “viene rubato”, ha detto. In altre parole, viene esportato senza un’autentica autorizzazione della Noc, e quindi senza che la compagnia statale libica possa incassare un centesimo di tasse da questa compravendita.

      Gli unici a guadagnare, così, sono i criminali che appartengono al cartello che ha portato il prodotto fuori dalla Libia. Gli acquirenti, che pagano il prodotto in media un terzo del prezzo di mercato, sono soprattutto italiani, spagnoli, tunisini, turchi e russi. A febbraio, la Procura generale di Tripoli ha spiccato 144 mandati d’arresto per traffico di gasolio nell’ovest della Libia. Non sono ancora noti né i nomi dei ricercati, né quanti di loro siano stati effettivamente portati in carcere.
      La mafia libica dei Koshlaf e di al-Bija

      La storia della Temeteron fa parte dell’inchiesta Dirty Oil, lavoro della procura di Catania che ha indagato sulla parte di prodotto che finisce nelle raffinerie italiane, portando in carcere sette persone. Il petrolio tracciato dall’operazione – 82 mila di tonnellate in un anno – rappresenta un trecentesimo del mercato italiano, secondo la stima dell’associazione dei petrolieri Assopetroli.

      Per camuffare i carichi di contrabbando, i gruppi di trafficanti – rivela l’inchiesta – falsificano i certificati d’origine del gasolio, oppure applicano finti timbri d’autorizzazione della Noc. In questo modo, i documenti sono validi per lo scarico in qualunque raffineria europea.

      Daphne Caruana Galizia, giornalista maltese assassinata con un’autobomba il 16 ottobre, si era resa conto del fiorire di questo contrabbando sulla sua isola: Malta è il centro dove si svolge la maggior parte di queste contraffazioni. Il centro di giornalismo investigativo IRPI ha proseguito il suo lavoro, investigando sui protagonisti di questi traffici che partono da Malta. L’inchiesta di IRPI è stata pubblicata con il Daphne Project, progetto di giornalismo collettivo nato allo scopo di proseguire ciò che aveva scoperto o intuito la giornalista assassinata.

      Una pista investigativa porta da Malta alla Libia, dove sta una parte dell’organizzazione criminale arrestata a seguito dell’inchiesta Dirty Oil. In larga misura, i membri del gruppo libico sono ancora liberi. Almeno per tutto il 2016-17, la loro organizzazione è stata tra le più potenti della striscia costiera di 150 chilometri che dal confine con la Tunisia corre fino a Zuwara. Al suo vertice, Walid Koshlaf e Mohammed Koshlaf (detto al-Qasseb): secondo l’Onu, fratelli, e secondo un articolo determinante di Nancy Porsia su Trt, cugini. Uno dei loro luogotenenti è una vecchia conoscenza dell’Italia: la scorsa estate è stato accusato da Washington Post e Middle East Eye di essere a capo della Guardia costiera pagata e addestrata dal governo italiano per fermare i migranti. Il suo nome è Abdurahman al-Milad, detto al-Bija.

      Come si legge nel rapporto Onu del 1 giugno 2017, al-Bija con altri guardacoste “è direttamente coinvolto nell’affondamento delle navi dei migranti a colpi di armi da fuoco”. Dal rapporto Onu sappiamo anche che i Koshlaf dentro la raffineria di Zawiya “hanno aperto un rudimentale centro di detenzione dei migranti”(di cui in questo rapporto di Amnesty si vede una foto satellitare a pag.28). Una parte dei migranti “salvati” da al-Bija viene spesso condotta al centro di detenzione dei Koshlaf. Dal marzo 2016, la prigione risulta accreditata come centro sotto la direzione del Dipartimento per la lotta all’immigrazione irregolare (Dcim) del Governo di Tripoli. A dicembre 2016, la missione Onu in Libia (Unsmil), insieme all’Alto commissariato Onu per i diritti umani, ha pubblicato un rapporto in cui elencava le violazioni compiute in quelle strutture, compresa quella di Zawiya. L’Unicef riporta che per uscire da questi centri è necessario pagare una sorta di riscatto alle guardie carcerarie (cioè alle milizie).

      La tribù dei Koshlaf, gli Awlad Bu Hmeira, a cui appartiene anche al-Bija, controlla stabilmente la raffineria dal 2014. Quella che durante la guerra civile era una milizia tribale, oggi è una forza “regolare”, ufficializzata come corpo di guardia all’esterno del compound della raffineria di Zawiya: sono le Petroleum Facility Guard (Pfg), divisione di Zawiya, titolari di un contratto con la Noc. Prima del 2016 era la Brigata al-Nasr, una milizia pro-islamista che nel 2014 ha fatto parte della coalizione Libya Dawn, prima dell’avvento del governo sponsorizzato dalla Nazioni Unite guidato da Fayez Serraj. Secondo i rapporti Onu, la brigata è la prima responsabile dei furti di petrolio alle raffinerie, tanto che a gennaio 2017 Sanalla l’aveva formalmente deposta, arrivando a definire “terroristi” i suoi componenti. Nell’ultimo rapporto della Chatham House di Londra, però, si riporta che già il 16 ottobre 2017 i Koshlaf sono tornati a capo della milizia a difesa della raffineria di Zawiya.
      Perché la Temeteron è stata fermata?

      Tutte le operazioni che hanno portato a intercettare navi cariche di gasolio di contrabbando, secondo l’inchiesta Dirty Oil, sono avvenute nella zona tra Abu Kammash e Zuwara, vicino al confine libico-tunisino, zona di competenza della Guardia costiera di Zawiya.

      Eppure i suoi guardacoste non sono sempre efficienti e zelanti. La Temeteron, che ha un curriculum di contrabbando alle spalle (sigarette nel 2004 e poi gasolio nel 2015, per il quale venne fermata in Grecia), prima di quella data non era mai stata fermata dai libici. Secondo gli inquirenti, però, si era già dedicata al traffico di gasolio. Allora cos’è successo di diverso, il 28 giugno 2016?

      La risposta ce l’ha Fahmi Ben Khalifa, l’uomo che per conto dei Koshlaf gestiva le partite di gasolio di contrabbando dirette prima a Malta e poi in Italia. Un altro “affiliato” alla loro associazione a delinquere. Ben Khalifa aveva anche una società di trading e una nave, Tiuboda, battezzata con il nome di una città berbera ormai scomparsa sott’acqua.

      Ben Khalifa, alias il Malem, il capo, faceva affari insieme a due maltesi, Darren e Gordon Debono (che non sono parenti) e a un siciliano legato a Cosa Nostra, Nicola Orazio Romeo. Questi è in carcere dall’agosto del 2017, arrestato dalle Rada, le forze speciali del Ministero dell’Interno. I suoi partner sono in carcere in Italia da ottobre 2017, quando è scattata l’inchiesta Dirty Oil. Secondo un rapporto Onu ancora inedito che abbiamo consultato, gli interessi di Ben Khalifa ora sarebbero curati dai fratelli, proprietari di una stazione di benzina di contrabbando a Marsa Tiboda, vicino Abu Kammash.
      La scalata per la Temeteron

      Il cartello internazionale, a differenza della branca libica dell’organizzazione, non ha legami di clan. Non c’è nulla, se non il profitto, a tenere insieme contrabbandieri e fornitori. Tra i due Debono non correva nemmeno buon sangue: Darren era il più legato a Ben Khalifa – il fornitore libico – e a Romeo – l’uomo che gli mette a disposizione gli acquirenti in Italia. Ma Gordon Debono disponeva, grazie ai suoi contatti, di importanti compagnie di trasporto marittimo che vanno dalla Spagna all’Ucraina. La sua esperienza da broker era la più longeva.

      Nel momento in cui il rapporto fra Darren e Gordon si logora, Darren e Ben Khalifa provano a impossessarsi della Temeteron, che è una nave di dimensioni paragonabili a quelle a disposizione di Gordon. Vogliono trovare un modo per fare a meno di lui. La scalata per la Temeteron, però, fallisce, alla fine Gordon riesce a soffiare loro l’affare e comprarsi la nave. Intercettati dalla Guardia di Finanza di Catania durante una telefonata, due acquirenti italiani vicini a Darren hanno raccontato che è stato il libico ad aver segnalato alle autorità libiche il carico illecito a bordo della Temeteron e – a pochi giorni distanza – della San Gwann, altra petroliera riconducibile a Gordon Debono. Questa ipotesi, come si desume da vari dettagli delle carte dell’inchiesta Dirty Oil, è accreditata anche dagli investigatori.

      Traffico di gasolio e traffico di migranti, quindi, sono due facce della stessa medaglia. Se lo scopo della lotta ai trafficanti ha anche l’obiettivo di stabilizzare la Libia, come detto in più occasioni pubbliche dal Ministro dell’Interno Marco Minniti, allora la strategia è da rivedere. L’Italia ha legittimato l’esistenza di questa Guardia costiera, lasciandole, in sostanza, la possibilità di arricchirsi, oltre che con i migranti, anche con il traffico di gasolio. I nostri inquirenti si trovano così nella situazione di dover arrestare componenti di quel cartello con cui il Viminale ha in realtà siglato un accordo di collaborazione.

      https://openmigration.org/analisi/litalia-affida-i-migranti-agli-stessi-che-fa-arrestare-per-contrabban
      #milice #Temeteron #Azzawiya_Oil_Refinery_Company #raffinerie #National_Oil_Company (#Noc) #Eni #Mellitah_Oil_&_Gas #Mustafa_Sanalla #Dirty_Oil #contrebande #pétrole #Walid_Koshlaf #Mohammed_Koshlaf #al-Qasseb #Abdurahman_al-Milad #al-Bija #Awlad_Bu_Hmeira #Petroleum_Facility_Guard #Libya_Dawn #Fayez_Serraj #Abu_Kammash #Zuwara #Tiuboda #Malem #Darren_Debono #Gordon_Debono #Cosa_Nostra #mafia #Nicola_Orazio_Romeo #Marsa_Tiboda

      En bref:

      Traffico di gasolio e traffico di migranti, quindi, sono due facce della stessa medaglia.

      #trafic_de_pétrole #trafic_d'êtres_humains

    • Départ de migrants vers l’Europe : l’Italie aurait négocié avec un trafiquant d’êtres humains libyen

      #Abd_al-Rahman_Milad, surnommé #Bija, est un militaire libyen accusé par l’ONU d’être l’un des plus importants trafiquants d’êtres humains. L’homme est également sous le coup d’une enquête de la Cour pénale internationale. Pourtant, selon le média catholique italien Avvenire, Bija a participé à une réunion en Sicile au mois de mai 2017 avec des agents des services de renseignements italiens à propos des traversées des migrants vers l’Europe.

      C’est une information qui embarrasse l’Italie. Dans une enquête publiée vendredi 4 octobre, le média catholique italien Avvenire assure que l’un des plus importants trafiquants d’êtres humains en Libye, également commandant des garde-côte libyens, a participé à une réunion organisée en Sicile en mai 2017 avec des agents des services de renseignements italiens.

      Le but de cette réunion était de discuter du contrôle des flux de migrants depuis les côtes libyennes.

      Enquête de la CPI

      Abd al-Rahman Milad, surnommé Bija, est notamment accusé par l’ONU d’être responsable d’une fusillade en plein mer contre des navires humanitaires mais également contre les bateaux de pêcheurs qui pourraient transporter des migrants. Il serait aussi à la tête d’une mafia insérée dans la classe politique et économique installée dans la région de Zaouia, dans le nord-ouest de la Libye.

      Depuis l’été dernier, Bija fait l’objet de sanctions de la part du Conseil de sécurité des Nations unies et ne peut plus sortir de Libye. La #Cour_pénale_internationale (#CPI) enquête également sur ses activités.

      Selon Avvenire qui publie des photos de la réunion, Bija a obtenu un laissez-passer pour entrer en Italie et assister aux discussions. Le trafiquant s’est présenté comme « un commandant des garde-côtes libyens ». Il aurait alors demandé aux Italiens des fonds pour gérer l’accueil des migrants en Libye.

      Lors d’une visite au centre d’accueil de Mineo, en Sicile, à l’invitation des autorités italiennes, Bija a été reconnu par un migrant libyen. « Mafia Libya, mafia Libya » s’est exclamé l’homme en voyant le trafiquant.

      En février 2017, le Times a diffusé une vidéo dans laquelle on voit un homme en tenue de camouflage frapper violemment un groupe de migrants sur une embarcation de fortune. Le milicien apparaît avec un handicap à la main droite, tout comme Bija qui a perdu des doigts lors des combats anti-Kadhafi de 2011.

      « C’est un homme violent et armé »

      En septembre, une enquête en Sicile a permis l’arrestation de trois trafiquants présumés qui s’étaient cachés parmi les migrants dans un hotspot de l’île. Ils sont accusés de torture, d’enlèvement et de traite d’êtres humains dans le centre de détention de Zaouia, contrôlé par ce même Bija. Plusieurs migrants interrogés ont alors déclaré aux policiers que cet homme "était chargé du transfert des migrants vers la plage. « C’est un homme violent et armé, nous le craignions tous », a insisté l’un d’entre eux.

      En février 2017, le ministre italien de l’Intérieur, Marco Minniti, a signé un accord avec le chef du gouvernement libyen d’union nationale, Fayez al-Sarraj, afin de déléguer la responsabilité des secours en mer aux autorités libyennes. Un accord controversé, les ONG assurant que la Libye n’était pas un pays sûr.

      La polémique vise aussi l’Union européenne, critiquée pour avoir financé la formation des garde-côtes libyens et leur avoir fourni des navires. Un de ces bateaux a notamment été confié aux troupes de Bija pour intercepter les migrants en mer et les empêcher d’atteindre l’Europe, selon un document de la CPI.

      Bija aurait donc en fait une double casquette selon Avvenire : celui de garde-côte et de passeur. D’un côté, il intercepte des migrants en mer pour les ramener en Libye et de l’autre, il organise leur traversée vers l’Europe.

      Le journal italien précise qu’un mois après la visite de Bija en Sicile, les départs de migrants depuis les côtes libyennes ont diminué de 50%.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/20076/depart-de-migrants-vers-l-europe-l-italie-aurait-negocie-avec-un-trafi
      #gardes-côtes_libyens

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      Bija apparaît sur seenthis déjà en 2017, dans ce même fil de discussion : https://seenthis.net/messages/600874#message625178
      Et ici : https://seenthis.net/messages/576747

    • Human trafficker was at meeting in Italy to discuss Libya migration

      #Abd_al-Rahman_Milad attended 2017 talks between intelligence officials and Libyan coastguard.

      One of the world’s most notorious human traffickers attended a meeting in Sicily with Italian intelligence officials to discuss controls on migrant flows from Libya.

      Abd al-Rahman Milad, known as #Bija, took part in a meeting with Italian officials and a delegation from the Libyan coastguard at Cara di Mineo, in Catania, one of the biggest migrant reception centres in Europe, on 11 May 2017.

      Bija’s presence was documented by the Italian newspaper Avvenire, which on Friday published an extensive investigation into the meeting.

      A UN security report published in June 2017 described Bija as a bloodthirsty human trafficker responsible for shootings at sea and suspected of drowning dozens of people. He is considered to be the leader of a criminal organisation operating in the Zawyah area in north-west Libya, about 28 miles west of Tripoli.

      https://i.guim.co.uk/img/media/6820513c9e08340e261337ba4c483ed098cf1be0/0_0_1000_1250/master/1000.jpg?width=380&quality=85&auto=format&fit=max&s=87be32c7882ff9ce055395

      In February 2017, the then Italian interior minister, Marco Minniti, signed a memorandum with the leader of Libya’s UN-recognised government, Fayez al-Sarraj, introducing a new level of cooperation between the Libyan coastguard and the Italians, including the provision of four patrol vessels.

      The controversial deal has empowered the Libyan coastguard to intercept migrant dinghies at sea and bring them back to Libya, where aid agencies say the migrants and refugees suffer torture and abuse. The deal, which entailed Italy providing funds and equipment, was made by Minniti, a former communist with deep connections to Italian intelligence and the levers of the Italian state, in an attempt to stem the flow of migrants to its shores.

      The agreement was recently reinforced by Italy’s interior minister, Luciana Lamorgese, at a meeting in Malta with his counterparts from France, Germany and Malta.

      According to Avvenire, which obtained the photos from a source present at the meeting, Bija obtained a pass to enter Italy and take part in the meeting, which was also attended by north African delegates from a handful of international humanitarian agencies. Bija was presented at the meeting as “a commander of the Libyan coastguard”.

      Bija had already been recognised by a number of migrants in Cara di Mineo on the day of the meeting.

      According to the Italian newspaper’s source, Bija that day asked the Italian authorities for funds to manage the reception of migrants in Libya.

      “There had always been suspicions about the agreement between the Libyan coastguard and the Italian government,” Nello Scavo, who wrote the Avvenire story, told the Guardian. “In the past, there had already been talk of the suspected involvement of traffickers in the Libyan coastguard. But now we have the evidence. It seems really strange that Italian intelligence was not aware of Bija’s identity. It is difficult to believe they were distracted.”

      Last September, detectives in Sicily arrested three men who allegedly raped and tortured dozens of migrants in a detention centre in the north-west of Libya.

      Prosecutors in Agrigento have collected testimonies from numerous asylum seekers from north Africa, who allegedly recognised their former captors at a migrant registration centre in Messina, Sicily.

      The three alleged captors, a 27-year-old Guinean man and two Egyptians, 24 and 26, are accused of torture, kidnapping and human trafficking, operated in Zawiya detention centre, the same centre where Bija operated.

      In some of the migrants’ testimonies, contained in the survey documents seen by the Guardian, asylum seekers talk about a man who called himself “Abdou Rahman, who was in charge of transferring migrants to the beach. It was he who, in the end, decided who could embark or not. He was a violent man and armed. We all feared him.”

      Friday’s development came as the Italian foreign minister, Luigi Di Maio, presented a new decree regarding asylum seekers, which he said would cut the time it took for a decision on whether a migrant should be repatriated to four months.

      https://www.theguardian.com/world/2019/oct/04/human-trafficker-at-meeting-italy-libya-migration-abd-al-rahman-milad
      #Minniti

    • La trattativa nascosta. Dalla Libia a #Mineo, il negoziato tra l’Italia e il boss

      Le foto dell’incontro nel 2017 tra il numero uno dei trafficanti di esseri umani, Bija, e delegati inviati dal governo.

      Quando il minibus coi vetri oscurati entra nel Cara di Mineo, solo in pochi conoscono la composizione della misteriosa delegazione da Tripoli. È l’11 maggio 2017. L’Italia sta negoziando con le autorità libiche il blocco delle partenze di profughi e migranti. Oggi sappiamo che quel giorno, senza lasciare traccia nei registri d’ingresso, alla riunione partecipò anche Abd al-Rahman al-Milad, il famigerato Bija. (IL PROFILO)

      Le numerose immagini ottenute da Avvenire attraverso una fonte ufficiale, documentano quella mattinata rimasta nel segreto. Accusato dall’Onu di essere uno dei più efferati trafficanti di uomini in Libia, padrone della vita e della morte nei campi di prigionia, autore di sparatorie in mare, sospettato di aver fatto affogare decine di persone, ritenuto a capo di una vera cupola mafiosa ramificata in ogni settore politico ed economico dell’area di Zawyah, aveva ottenuto un lasciapassare per entrare nel nostro Paese e venire accompagnato dalle autorità italiane a studiare «il modello Mineo», da dove in questi anni sono passati oltre 30mila migranti. Accordi indicibili che proseguono anche adesso, nonostante le reiterate denunce delle Nazioni Unite.

      All’incontro, partecipavano anche delegati nordafricani di alcune agenzie umanitarie internazionali, probabilmente ignari di trovarsi seduti a fianco di un signore della guerra dedito alle peggiori violazioni dei diritti umani. Non deve essere un caso se, pochi giorni dopo, le Nazioni Unite in un durissimo rapporto del Consiglio di sicurezza denunciavano: «Abd al-Rahman Milad (alias Bija) e altri membri della Guardia costiera sono direttamente coinvolti nell’affondamento di imbarcazioni migranti utilizzando armi da fuoco». Si chiede il congelamento dei beni e il divieto di viaggio di Bija al di fuori della Libia. Nel dossier quel nome viene citato per sei volte: «È il capo del ramo di Zawiyah della Guardia costiera. Ha ottenuto questa posizione grazie al supporto di Mohammad Koshlaf e Walid Koshlaf». Questi erano a capo della “Petroleum Facilities Guard”, controllavano la locale raffineria disponendo di una milizia di almeno duemila uomini.
      Sembra impossibile che le autorità italiane non sapessero chi era l’uomo seduto al tavolo dello strano convegno.

      Diversi mesi prima del suo arrivo in Italia, Bija era finito nel mirino di una raffica di inchieste giornalistiche e investigazioni internazionali. Il 14 febbraio 2017 The Times diffonde un video nel quale si vede un uomo in divisa mimetica picchiare selvaggiamente un gruppo di migranti su un gommone. Ripreso di spalle, il miliziano appare con una menomazione alla mano destra. Proprio come Bija, che durante i combattimenti anti Gheddafi del 2011 aveva perso alcune dita. Il 20 febbraio la giornalista italiana Nancy Porsia pubblica un approfondito reportage in inglese per Trt World, proseguendo un’inchiesta apparsa già il 6 gennaio in italiano su The Post Internazionale, nel quale spiega che «Bija lavora sotto la protezione di Al Qasseb, nom de guerre di Mohamed Khushlaf, che è a capo del dipartimento di sicurezza della raffineria di Zawiyah. Supportato da suo cugino e avvocato Walid Khushlaf, Al Qasseb esercita il controllo totale sulla raffineria e sul porto di Zawiyah. I cugini Khushlaf fanno parte della potente tribù Abu Hamyra, così come Al Bija». Poi arriveranno articoli pubblicati da Il Messaggero, Il Mattino, la Repubblica e l’Espresso. L’anno prima, siamo nel 2016, erano stati anche Panorama e Il Giornale a indicare Abdou Rahman quale uomo chiave del traffico di esseri umani. Numerose e ininterrotte da anni sono le inchieste di Francesca Mannocchi per l’Espresso e svariati altri media, di Sergio Scandura per Radio Radicale, oltre che di alcune tra le principali testate del mondo.


      Nonostante la grande mole di informazioni, Bija viene accompagnato in Italia e presentato come «uno dei comandanti della Guardia costiera della Libia», racconta una fonte ufficiale presente al meeting di Mineo. Quel giorno però accade un imprevisto. Un migrante libico ospitato nel Cara finisce per errore nei pressi del prefabbricato dove erano attesi Bija, alcuni delegati del premier Serraj e del Ministero dell’Interno tripolino. Quando dal minibus di una azienda di servizi turistici della provincia di Catania sbarcano i libici (almeno sei), l’immigrato si allontana spaventato: «Mafia Libia, Mafia Libia», dice in italiano.

      Le immagini che oggi pubblichiamo parzialmente per proteggere l’identità di diversi funzionari italiani presenti a vario titolo, mostrano Abdou Rahman seduto accanto a due suoi connazionali, un uomo e una donna. Ascolta senza mai proferire parola. Prende nota e ogni tanto fa cenno all’emissario del ministro dell’Interno del governo riconosciuto di intervenire. I libici fanno domande precise: «Quanto vi paga il governo italiano per ospitare ogni migrante qui? Quanto costa annualmente il Cara di Mineo». Poi, racconta la fonte di Avvenire, in modo neanche troppo diplomatico «fanno capire che in fondo il “modello Mineo” si può esportare in Libia e che l’Italia potrebbe finanziare la realizzazione di strutture per migranti in tutto il Paese, risparmiandosi denaro e problemi». Da lì a poco parte l’assedio alle Ong e vengono annunciati interventi dell’Italia e dell’Europa per aprire campi di raccolta nel Paese nordafricano.

      In realtà, ha spiegato l’inviato del Tg1 Amedeo Ricucci nel corso di uno speciale mandato in onda dopo essersi recato di persona a Zawyah per intervistare proprio Bija appena dopo il viaggio in Sicilia, «è come se giocassero a guardie e ladri, ma in salsa libica: con i ruoli degli uni e degli altri che si invertono di continuo a seconda delle convenienze».

      La trattativa deve essere andata a vantaggio dei trafficanti, se Bija è ancora in servizio. E anche i governi che si sono susseguiti hanno continuato a sostenere indirettamente ma consapevolmente le attività dei boss libici. Diversi testimoni in indagini penali «hanno dichiarato – si legge nei report dell’Onu – di essere stati prelevati in mare da uomini armati su una nave della Guardia costiera chiamata Tallil (usata da Bija, ndr) e portati al centro di detenzione di al-Nasr, dove secondo quanto riferito sarebbero stati detenuti in condizioni brutali e sottoposti a torture».

      Queste informazioni hanno avuto un inatteso riscontro proprio nei giorni scorsi. Mentre gli investigatori di Agrigento e Palermo indagavano per arrestate i tre presunti torturatori camuffati tra i migranti dell’hotspot di Messina, alcune delle vittime hanno raccontato che a decidere chi imbarcare sui gommoni era «un uomo libico, forse di nome “Bingi” (fonetico), al quale mancavano due falangi della mano destra». Secondo un altro migrante l’uomo era soprannominato “Bengi”, e «si occupava di trasferire i migranti sulla spiaggia; era lui, che alla fine, decideva chi doveva imbarcarsi; egli era uno violento ed era armato; tutti avevamo timore di lui». Quando gli chiedono se qualche volta avesse sentito il suo vero nome, il migrante risponde con sicurezza: «Lo chiamavano Abdou Rahman». (1-Continua)

      Una motovedetta del boss scafista mentre recupera un motore da un gommone in alto mare per riutilizzarlo nel traffico dei migranti

      https://www.avvenire.it/attualita/pagine/dalla-libia-al-mineo-negoziato-boss-libico

    • Il trafficante libico Bija in Italia: ecco la lettera ufficiale di invito

      Una missiva protocollata da un’agenzia Onu. Destinatario: il consolato italiano a Tunisi. E il “comandante Bija”, considerato un potente boss degli scafisti, è venuto nel nostro Paese per incontri istituzionali.

      Come mai il libico Abd Raman al Milan, detto “comandante Bija”, ex capo della Guardia costiera accusato dalle Nazioni Unite di essere uno dei più potenti trafficanti di esseri umani, nel 2017 è stato invitato a una serie di incontri ufficiali in Italia? Chi lo ha davvero invitato? E chi ha concesso e protocollato i documenti?

      La questione, esplosa dopo un’inchiesta del reporter Nello Scavo sul quotidiano Avvenire , è ora al centro di polemiche, indagini e interrogazioni parlamentari nel nostro Paese.

      L’Espresso è in grado di mostrare in esclusiva un documento fondamentale della vicenda: la lettera con cui il 3 aprile di due anni fa l’Oim, Organizzazione internazionale per le migrazioni, chiedeva all’ufficio consolare italiano di base a Tunisi l’emissione dei visti per la delegazione libica di cui faceva parte anche Bija.

      Abd Raman al Milan è poi effettivamente venuto in Italia il maggio successivo: sia in Sicilia sia a Roma, dove ha avuto anche colloqui con «autorità italiane», così come anticipava la stessa lettera dell’Oim.

      L’Oim è un’agenzia delle Nazioni Unite con sede centrale a Ginevra e uffici anche in Italia. Il suo presidente è il portoghese Antonio Vitorino, ex commissario Ue. L’Onu stessa ritiene che il “comandante Bija” sia un signore della guerra tra i principali boss del traffico di esseri umani. Nel 2018 il Consiglio di sicurezza ha ordinato il congelamento dei suoi beni e gli ha imposto il divieto d’espatrio.

      Secondo la versione ufficiale delle autorità italiane, il nostro consolato sarebbe stato ingannato da “documenti probabilmente falsi” presentati da Bija. Lo stesso boss libico, ex capo della guardia costiera di Zawhia, ha smentito questa tesi sostenendo di essere arrivato in Italia con il suo vero nome e i suoi regolari documenti, facendo seguito a un invito ufficiale. Le domande sull’incontro a Mineo, dunque, restano ancora aperte. Le versioni troppe e troppo discordanti.

      http://espresso.repubblica.it/attualita/2019/10/18/news/trafficante-libico-bija-in-italia-lettera-ufficiale-1.340124

    • Migranti: Alfano, 50 milioni per sostegno frontiere Niger

      (ANSAmed) - ROMA, 5 APR - «Con il mio omologo nigerino ho firmato la settimana scorsa un accordo per fornire un sostegno di 50 milioni di euro al bilancio del Paese ai fini del rafforzamento del controllo delle frontiere». Lo ha ricordato il ministro degli Esteri Angelino Alfano ricevendo ieri sera alla Farnesina il direttore generale dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) William Lacy Swing.

      http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/stati/libia/2017/04/05/migranti-alfano-50-milioni-per-sostegno-frontiere-niger_745f6cb6-74c7-4ed2

    • L’Union européenne verse 10 millions d’euros au Niger pour lutter contre la migration illégale

      Agadez, au centre du Niger, est traversée par de nombreux migrants clandestins souhaitant rejoindre l’Europe en passant par la Libye. L’Union européenne a annoncé aujourd’hui avoir débloqué 10 millions d’euros pour aider le gouvernement nigérien à lutter contre la « migration irrégulière ».

      http://www.jeuneafrique.com/457995/societe/niger-union-europeenne-verse-10-millions-euros-lutter-contre-immigrati

    • L’Italia studia una missione in Niger per controllare la frontiera con la Libia
      http://cartadiroma.waypress.eu//RassegnaStampa/LeggiArticolo.aspx?codice=OPD1017.TIF&subcod=20171016&numPag=1&

      Avec ce commentaire de Sara Prestianni, reçu via la mailing-list migreurop:

      Le 26 septembre 2017 l’Italie signe un accord militaire (dont le contenu reste secret) avec le Niger
      L’Italie s’engage à soutenir la formation des militaires nigériens. Cet accord s’inscrit dans le cadre de la collaboration dans le domaine de la migration, que en Italie voit engagé dans le processus d’externalisation le Ministère de l’Intérieur, des Affaires Etrangers et de la Défense.

      Le 15 Octobre l’Italie annonce une mission franco-italo-allemande au Niger.
      Aujourd’hui, 17 Octobre, le Chef de l’Armée Italienne est à Paris pour une réunion entre les représentants du G5Sahel et ses homologues françaises et allemandes. Un groupe de 20 militaire italiens (définis "Advanced team") serait en train de partir pour évaluer la faisabilité d’une opération de contrôle des frontières. La mission militaire sera coordonnée par les françaises et « communiquera » avec la mission des casques blues au Mali et l’opération Barkhane. Pour l’Italie la priorité reste le contrôle des frontières pour empêcher que les migrants arrivent en Libye et mettent en crise ce que la diplomatie italienne considère le « succès libyen »

      Il résulte évidente une militarisation croissante du processus d’externalisation qui croise intérêt de nature géopolitique qui vont bien au delà de la question migration ….