• Ci risiamo: il ministro Lollobrigida ha detto che non esiste una “razza italiana” ma “un’etnia italiana” da tutelare, soprattutto attraverso le nascite.

    Dopo la “grande sostituzione”, eccoci qui con un’altra teoria di estrema destra – quella del “differenzialismo”.

    l tentativo è chiarissimo: evitare le accuse di razzismo evitando l’impronunciabile “razza” e usando il più neutro “etnia”.

    Lo usa anche la Treccani!

    In realtà, come ha scritto Pierre-André Taguieff in diversi libri, “etnia” è un modo ripulito di dire “razza”.

    Questa innovazione linguistica la si deve ad Alain De Benoist, l’ideologo della “Nouvelle Droite”.

    Invece che fondarsi sull’inservibile razzismo “biologico-scientifico”, De Benoist si è concentrato sulle “differenze etnico-culturali”; da qui la definizione di “differenzialismo”.

    La faccio breve: siccome ogni “etnia” è “culturalmente” diversa, la convivenza è impossibile.

    Per vivere in pace, dunque, è meglio stare separati e non “contaminarsi”.

    È una forma di “razzismo politicamente corretto”, diciamo così, che ricorda sinistramente l’apartheid.

    Il pensiero di De Benoist non è affatto marginale, almeno all’interno di questo governo.

    Matteo Salvini anni fa ci faceva i convegni insieme.

    Ora invece è stato elogiato pubblicamente dal ministro della cultura Sangiuliano, e sarà ospite al Salone del Libro di Torino.

    Lollobrigida dice anche che occuparsi di natalità è un modo di “difendere la cultura italiana” e il “nostro modo di vivere”.

    Tradotto brutalmente: devono esserci più bambini bianchi.

    Altrimenti arrivano quelli «diversi» e si finisce con la “sostituzione etnica”.

    Insomma: dopo tutte le polemiche delle scorse settimane, rieccoci qui.

    Magari anche questa volta si tirerà in ballo “l’ignoranza”, o si accamperanno scuse di vario genere.

    Ma la realtà è che si tratta di precise scelte lessicali – e dunque politiche.

    https://twitter.com/captblicero/status/1656718304273104910

    #race #racisme #ethnie #terminologie #mots #vocabulaire #Lollobrigida #Italie #grand_remplacement #ethnie_italienne #différentialisme #Alain_De_Benoist #Nouvelle_Droite #extrême_droite #ethno-différentialisme #Francesco_Lollobrigida

    • Lollobrigida, l’etnia italiana e la leggenda della nazione omogenea

      Ci risiamo con una pezza che è peggiore del buco. Agli #Stati_generali_della_natalità (già il titolo meriterebbe un trattato filologico) l’irrefrenabile Lollobrigida, dopo avere detto, bontà sua, che è evidente che non esiste una razza italiana, ha dovuto colmare questa insopportabile lacuna, affermando che: “Esiste però una cultura, una etnia italiana che in questo convegno immagino si tenda a tutelare”. Esisterà dunque anche un’etnia francese (lo dica a bretoni e corsi), una spagnola (lo spieghi a baschi e catalani), una belga (l’importante che lo sappiano fiamminghi e valloni) o una inglese (basta non dirlo a scozzesi, gallesi e irlandesi). Ma forse no, lo stabordante ministro dell’Agricoltura sostiene il principio della purezza indicato peraltro nel punto 5 del Manifesto della razza: “È una leggenda l’apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici”.

      La cultura italiana sarebbe dunque completamente autoctona. In un libretto scritto nel ventennio dal fondatore del Museo di Storia Naturale di Torino, c’era un capitolo (credo fosse d’obbligo) sull’elogio della razza italiana, che si era conservata pura “nonostante qualche invasione”. Quasi commovente quel “qualche”, i nostri libri di storia sono pressoché un elenco di invasioni, ma forse, proprio per questo la cultura italiana ha toccato punte di eccellenza (non adesso) come nel Rinascimento. Proprio grazie alla sintesi di culture diverse, che si sono fuse in una proposta originale fondata sull’incontro con la diversità.

      Siamo tutti d’accordo che il pensiero occidentale deve molto (non tutto, ma molto) a quello dell’antica Grecia, ma nelle sue Lezioni sulla filosofia della storia, Hegel sostiene, giustamente, che “gli inizi della cultura greca coincisero con l’arrivo degli stranieri”. Il tratto costitutivo per la nascita della cultura greca è quindi l’arrivo degli stranieri, di cui i greci avrebbero mantenuto “memoria grata” nella propria mitologia: Prometeo, per esempio, viene dal Caucaso, e lo stesso popolo greco si sarebbe sviluppato a partire da una “#colluvies” , termine che originariamente significava fango, immondizia, accozzaglia, scompiglio, caos.

      Gli Stati si differenzierebbero da quelle che chiamiamo “tribù” o etnia, perché contengono diversità, non omogeneità. Per quanto riguarda l’etnia, vale una celebre affermazione dell’antropologo britannico Siegfried Nadel: “L’etnia è un’unità sociale i cui membri affermano di formare un’unità sociale”. I Greci, peraltro, non associavano il concetto di #ethnos a un territorio, si poteva infatti essere greco anche in terre lontane, come volle esserlo Alessandro. L’etnicità di un popolo sta nel progetto.

      La storia viene spesso manipolata dalle élite, e l’identità evocata da chi sta al potere si fonda spesso sulla storia, o meglio su una storia, quella storia. Perché, come affermava Ernest Renan, per costruire una nazione ci vuole una forte dose di memoria, ma anche un altrettanto forte dose di oblio: “L’oblio, e dirò persino l’errore storico costituiscono un fattore essenziale nella creazione di una nazione (…) Ora l’essenza di una nazione sta nel fatto che tutti i suoi individui condividano un patrimonio comune, ma anche nel fatto che tutti abbiano dimenticato molte altre cose. Nessun cittadino francese sa se è Burgundo, Alano, Visigoto; ogni cittadino francese deve aver dimenticato la notte di San Bartolomeo, i massacri del XIII secolo nel Sud”.

      Dobbiamo fingere di ricordare ciò che ci unisce e dimenticare quanto invece, del nostro passato, ci divide. Oppure accettare, come sostengono Julian S. Huxley e Alfred C. Haddon che: “Una nazione è una società unita da un errore comune riguardo alle proprie origini e da una comune avversione nei confronti dei vicini”.

      https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/05/12/lollobrigida-letnia-italiana-e-la-leggenda-della-nazione-omogenea/7158926

      #nation #homogénéité #diversité #culture #culture_italienne #ethnicité #identité

  • Féminisme et différentialisme à la MG

    mes camarades de la Maison de la Grève (Rennes https://maisondelagreve.boum.org ) organisent un cycle de rencontres féministes en septembre (socle de travail : le boulot de la librairie des femmes de Milan et notamment le bouquin « ne crois pas avoir de droits »)

    #PenserLaDifférence #CyclePolitiqueDesFemmes

    « Tisser les fils d’une politique des femmes », tel est l’intitulé du prochain cycle de conférence à la Maison de la Grève. Ces discussions ouvriront la saison 2019-2020, elles auront lieu du jeudi 12 au samedi 14 septembre.

    Voici le Programme

    Jeudi 12, 18h :
    Soirée en récits et images des mouvements de femmes qui ont animé les années 70 en France.

    Vendredi 13, 18h :
    Nous accueillerons Isabelle Stengers pour aborder la question du déterminisme à travers la pensée de Donna Haraway.

    Samedi 14, 10h :
    Nous échangerons avec Anne-Emmanuelle Berger autour des notions de visibilité, identités et pouvoir.

    Samedi 14, 14h30 :
    Elise Gonthier-Gignac interviendra autour du féminisme italien de la différence et certaines pensées décoloniales.

    l’invitation en format long est à lire en ligne :
    https://maisondelagreve.org/ecrire/?exec=article&id_article=103

    #féminisme #différentialisme conférences #séminaire #rencontres

  • Contre les théories du « grand remplacement » : rompre avec la rationalité eurocentrique | João Gabriell
    https://joaogabriell.com/2019/03/24/contre-les-theories-du-grand-remplacement-%EF%BB%BF-rompre-avec-la-rat

    Contre les théories du « grand remplacement », plutôt qu’un amoncellement de preuves factuelles contradictoires, il faut rompre avec la rationalité eurocentrique qui les fondent, à la fois en imposant un autre type de débats que ceux qui ont cours, et en renforçant nos luttes politiques contre l’impérialisme occidental. Source : Le blog de João

    • Le « grand remplacement », généalogie d’un complotisme caméléon

      Trouvant ses racines dans la chrétienté médiévale, qui considère juifs et musulmans comme une menace, la théorie d’une « submersion » de la France par un prétendu « envahisseur étranger » convoque et adapte toutes les idéologies présentes et passées – racialistes, antisémites et nationalistes – aptes à servir son propos.

      La pensée du « grand remplacement », propagée principalement par l’écrivain #Renaud_Camus, figure des milieux identitaires, et le candidat d’extrême droite à l’élection présidentielle #Eric_Zemmour, ne repose pas simplement sur un délire démographique. Elle s’appuie sur tout un système de représentations, où s’entremêlent des sources clairement identifiables et un imaginaire plus diffus, constitué au fil des siècles et constamment revisité.

      Le « grand remplacement » ne laisse pas toujours deviner son âge, tant il adopte des formules modernes ou des exemples contemporains. C’est par exemple le cas chez Renaud Camus. Ainsi écrit-il dans Le Grand Remplacement (La Nouvelle Librairie, 2021) : « L’expression de “grand remplacement” désigne, certes, essentiellement, le remplacement d’un peuple, le peuple français indigène, par un ou plusieurs autres ; celui de sa culture par la déculturation multiculturaliste ; celui de sa civilisation si brillante et admirée par la décivilisation pluriethnique (le village global), elle-même en rivalité âpre avec l’intégrisme musulman, la conquête et la conversion islamique. »

      [...] Aujourd’hui, les musulmans sont vus comme les acteurs d’une conspiration mondiale menée « par les princes et par les masses, par les multimilliardaires du pétrole et par les “jeunes” sans emploi », croit savoir Camus. (...)

      Après la seconde guerre mondiale, l’extrême droite est contrainte à un renouvellement idéologique. La fin des colonies et la rapide croissance économique se traduisent par la montée d’une immigration venue du Sud vers l’Europe. Et alors, la peur de la submersion démographique qui était jusque-là davantage du domaine de la fiction, commence à se diffuser.
      L’idée de remplacement de la population est exprimée par René Binet, un ancien SS français, qui écrit dans son livre Théorie du racisme (1950) que« la “Révolution” n’a, jusqu’ici, été que l’accession de races inférieures au pouvoir, en remplacement de races supérieures dégénérées ». Camus ne s’inspire pas de ce livre, mais il s’inscrit néanmoins dans ce courant de pensée. Il rend en effet un hommage appuyé à celui qui travailla le plus à développer ses idées, l’essayiste Dominique Venner. Après son suicide en 2013, Camus le décrit comme un « grand intellectuel ». Pour Stéphane François, professeur de science politique à l’université de Mons, en Belgique, et historien des idées, « Venner joue un rôle central, car il se situe à l’avant-garde intellectuelle, il tente de sortir d’un nationalisme étroit par l’adoption d’un pan-nationalisme européen. Il est notamment l’auteur d’Histoire et tradition des Européens. 30 000 ans d’identité [#éditions_du_Rocher, 2002], dans lequel il affirme qu’existe une continuité culturelle en Europe, de la préhistoire à aujourd’hui… On trouve en outre chez lui l’idée que l’immigration est une invasion, que les nouveaux arrivants venus du Sud ne peuvent pas s’intégrer, à cause de leur violence ».

      (...) L’immigration est une « contre-colonisation ». Un large usage est donc fait d’un auteur anticolonialiste tel le psychiatre martiniquais Frantz Fanon. On le transforme en ce qu’il n’est pas : une espèce d’apôtre du « chacun chez soi » identitaire.

      https://www.lemonde.fr/idees/article/2022/01/28/le-grand-remplacement-genealogie-d-un-complotisme-cameleon_6111330_3232.html

      https://justpaste.it/28s9i

      source démocratique et CAC 40, #Alain_Finkielkraut pas cité #extrême_droite #histoire #chrétienté_médiévale #1492 #Joseph_de_Maistre #Ernest_Renan #Maurice_Barrès #Édouard_Drumont #Dominique_Venner #antisémitisme #islamophobie #racisme #complotisme #immigration #différentialisme #Enoch_Powell #Alain_de_Benoist #Nouvelle_droite

  • Des garçons aussi bons que les filles en lecture, c’est possible ! (Libération)
    http://www.liberation.fr/debats/2017/09/10/des-garcons-aussi-bons-que-les-filles-en-lecture-c-est-possible_1595370

    Evidemment, les stéréotypes ne peuvent malheureusement pas s’effacer du jour au lendemain. Mais dans la mesure du possible, tout un chacun (parents, enseignants, psychologues, etc.) doit prendre conscience du poids de ces stéréotypes, et éviter de trop mettre en avant l’identité de genre des élèves en fonction des disciplines scolaires. Par exemple, en proposant aux élèves des modèles de réussite qui vont à l’encontre du stéréotype de genre de manière à le rendre moins menaçant au fil du temps.

    À noter :
    – Le titre de l’article est débile.
    – Cette expérimentation est le pendant de celle réalisée sur les filles où l’on présentait un exercice de géométrie soit comme du dessin, soit comme de la géométrie.
    – Au-delà de la question du genre, l’expérience montre l’importance dans la réussite de l’image que l’enfant a de lui-même et de ses compétences.
    – Une fois encore ce qu’on appelle « évaluation » en lecture est tellement réducteur par rapport à ce qu’est une situation de lecture réelle.

    #éducation #apprentissage #école #genre #stéréotypes #évaluation #différentialisme

  • Gare à ne pas attiser une fictive guerre des identités
    http://www.lemonde.fr/idees/article/2015/02/06/gare-a-ne-pas-attiser-une-fictive-guerre-des-identites_4571607_3232.html

    Après l’ignoble attentat contre la rédaction de #Charlie_Hebdo, l’abominable tuerie de l’hypermarché casher et le lâche assassinat de policiers, et alors que l’#émotion des Français(es) est à son comble, des voix commencent à se faire entendre qui reprennent une litanie bien inquiétante : la presse de tous bords, y compris celle dont ce n’est pas l’habitude, annonce que nous sommes terrassés par un « malaise identitaire », voire par une supposée « névrose de l’islam » (sic), puisqu’un « choc culturel et religieux » créerait une « #insécurité_culturelle » au sein de la nation.

    Voilà qui donne du grain à moudre aux identitaires de tous poils et nous engage dans une voie dangereuse : l’« identité française », chrétienne, « blanche », « de souche », serait menacée dans son essence par l’islam, perçu comme un tout. Cette idéologie a été analysée de longue date par les spécialistes des sciences sociales : elle peut être nommée #essentialiste et différentialiste.

    On s’étonne que quiconque puisse encore y croire, tellement elle est erronée, historiquement et sociologiquement : la population française n’est ni cohésive ni porteuse d’un destin prédéfini, mais traversée de multiples fractures. Il n’existe pas une unique identité française, figée depuis la nuit des temps (une « essence »), qui serait menacée par une culture musulmane homogène et tout aussi figée.

    D’ailleurs, le discours sur l’identité est un fourre-tout qui change de contenu selon l’air du temps. Que la France ait une histoire longue et complexe, faite de nombreux apports étrangers, c’est l’évidence même. Il n’existe aucune tradition figée, aucune culture pure. L’islam ne fait évidemment pas exception : les pratiques et les analyses théologiques de cette religion de par le monde sont d’une grande diversité.

    Discours repris par des auteurs qui se réclament de la gauche

    Deux « identités pures » qui s’affrontent : malgré l’absurdité de cette thèse, nous avons ici « la » nouvelle idéologie « identitariste » française, soft ou hard, qui parcourt les médias et presque tout le spectre politique, du Front national à l’UMP, jusqu’à quelques experts étiquetés à gauche. Cette gangrène est surtout colportée par des journalistes, écrivains et personnages publics comme Eric Zemmour, #Renaud_Camus, sans compter les excès d’Alain Finkielkraut. Et c’est avec complaisance et avec une grande irresponsabilité qu’un nombre toujours plus important de médias, pour qui la peur fait vendre, diffuse cette idée.

    Or, le « #différentialisme » a été modernisé dans les années 1970, notamment par le Groupement de recherche et d’études pour la civilisation européenne (Grece) et le Club de l’Horloge, deux clubs qui ont cherché à renouveler le discours de l’extrême droite : passant d’une logique raciale – désormais devenue inaudible depuis les abominations de la seconde guerre mondiale – à une logique culturelle, l’idée a germé que chaque peuple doit défendre la pureté de « sa culture » face aux autres – et en particulier l’islam, présenté comme le nouvel ennemi – dans un monde globalisé et traversé par des flux migratoires nombreux.

    Cette théorie d’un « choc des cultures » a été adoptée par le Front national. Elle a ensuite fait tache d’huile quand Nicolas Sarkozy a instauré un ministère de l’identité nationale, alors entouré d’éminences grises venant de l’extrême droite : discours de Dakar sur les Africains non entrés dans l’histoire, discours de Grenoble sur les Roms comme menace, inégalité des civilisations pour Claude Guéant.

    Ces thèmes furent appuyés par l’aile droite de l’UMP, de la « Droite populaire » à Jean-François Copé et son célèbre pain au chocolat. Mais un tel discours, dont les présupposés sont ceux de l’extrême droite, a aussi été repris, certes édulcoré, par des auteurs qui se réclament de la gauche.

    Le géographe #Christophe_Guilluy, dans des publications sur la France périurbaine, et le politiste #Laurent_Bouvet, ancien animateur de la « Gauche populaire », dans un essai récent, truffé de biais sélectifs et partisans, promeuvent les notions de « crise identitaire » et d’« insécurité culturelle » qui frapperaient des autochtones touchés par le sentiment d’être minoritaires dans une société multiculturelle. Les méthodes de ces deux auteurs sont largement contestées au sein de leurs disciplines respectives. Leurs analyses accentuent un brouillage idéologique qui ne peut profiter qu’aux nationaux-populistes.

    Vrais malaises

    Crise identitaire ? Insécurité culturelle ? Mais comment arrivons-nous à de telles inepties ? Faut-il rappeler, a minima, que les Français musulmans ne sont ni plus ni moins français que les autres ? Pour commencer à tirer les leçons de l’attentat abject contre Charlie Hebdo et des prises d’otages subséquentes, la réflexion devrait d’abord porter sur deux thèmes, que le discours identitaire vise à occulter.

    En effet, on ne peut pas rendre compte du phénomène djihadiste sans tenir compte du rôle joué par les puissances occidentales dans la géopolitique du monde arabe, hier et aujourd’hui. On ne peut pas ignorer non plus que, en raison des politiques menées depuis une trentaine d’années, des pans entiers de la population française sont relégués économiquement et socialement, ce qui met structurellement des recrues à disposition pour le djihad – ce phénomène étant probablement accrû par la crise économique et sociale massive qui frappe le pays depuis plusieurs années.

    Les vrais malaises sont là, exacerbés par l’horreur des attentats, mais aussi attisés par ceux qui en appellent à l’affrontement entre des « communautés » illusoires : d’un côté des différentialistes opposant l’islam aux « vrais Français », de l’autre des antisémites, tels Dieudonné et Alain Soral, voyant « les juifs » à l’origine d’un complot mondial. Notons enfin que les trois assassins djihadistes sont allés à l’école en France : et si le gouvernement entendait les propositions des enseignants sur les projets d’une véritable formation dans laquelle la diversité des références culturelles, historiques et politiques pourrait se retrouver ?

    Dans le marasme actuel, il faut certes saluer les mobilisations toutes récentes, qui indiquent l’attachement d’un grand nombre de Français(es) à un combat séculaire sans cesse renouvelé pour la liberté depuis plus de deux siècles. Il reste toutefois urgent de tordre le cou au stéréotype du « malaise identitaire », encore bien trop présent dans les esprits.

    Signataires : Sylvain Bourmeau, journaliste et sociologue ; Martial Cavatz, historien ; Christophe Charle, historien ; Laurence de Cock, historienne ; Arlette Farge, historienne ; Laura-Maï Gaveriaux, philosophe ; Klaus-Gerd Giesen, politologue et philosophe ; Roland Gori, psychanalyste ; Régis Meyran, anthropologue ; Laurent Mucchielli, sociologue ; Gérard Noiriel, historien ; Nicolas Offenstadt, historien ; Alain Policar, sociologue ; Valéry Rasplus, sociologue ; Michèle Riot-Sarcey, historienne ; Nicolas Roméas, directeur de publication ; Frédéric Sawicki, politiste ; Dominique Kalifa, historien ; Frédéric Régent, historien ; Valérie de Saint-Do, journaliste ; Julien Théry, historien ; Louis-Georges Tin, maître de conférences en lettres.

  • Les fossoyeurs de l’antiracisme

    "A la fin des années ’70, une victoire majeure a été obtenue sur le champ des idées. Elle n’a pas été saluée à sa juste valeur. Comme le monde est oublieux. Elle concerne le racisme et son invention. Et c’est à la Nouvelle Droite (et tout particulièrement au GRECE) qu’on la doit.

    Une Nouvelle Droite allée à l’Ecole de Lévi-Strauss. Une victoire lourde de sens et de conséquence. Mais en quoi consistait-elle ? En une « transmutation » et en un art consommé du détournement et de l’inversion. Alain de Benoist et ses amis avaient réalisé un coup de maître en remplaçant habilement le racisme biologique et inégalitaire (grevé par l’aventure génocidaire nazie) par un racisme culturel et se voulant non-hiérarchique (appelé aussi racisme différentialiste ou racisme sans race).

    Cela nécessitait pour ce faire de s’accaparer et de retourner deux notions clé : le « droit à la différence » et le « relativisme culturel ». Notions qui, malgré leur ambiguïté, avaient été à l’origine des conquêtes remportées de haute lutte sur le discours de la « mission civilisatrice » du temps béni des colonies. Et cette trouvaille avait de l’avenir. Puisqu’elle devint la doxa d’aujourd’hui.

    Le génie de la démarche, à l’évidente ironie, résidait dans le fait qu’elle singeait au plus près l’antiracisme (traditionnel) qui se voulait une réponse au racisme biologique. Et par un jeu de renversement et de symétrie, elle y instalait la confusion.
    Depuis Lévi-Strauss, on distingue un racisme de type universaliste, fondé sur un déni d’identité, et un (néo)racisme de type différentialiste, fondé sur un déni d’humanité ; le premier est dit « hétérophobe » tandis que le second est défini comme « hétérophile »(1).

    L’ironie pouvait se poursuivre, puisque la réplique qu’on trouva à ce nouveau racisme différentialiste n’était autre que l’universalisme, dans sa version nationale républicaine. C’est-à-dire l’autre forme de racisme, celui par le déni d’identité.
    Trois ouvrages ont ponctué et popularisé les « moments » clé de ce passage paradoxal. « La force du préjugé. Essai sur le racisme et ses doubles. » de Pierre-André Taguieff (le péri-situationniste passé à l’ennemi et aficionado des notes de bas de page), « La défaite de la pensée » d’Alain Finkielkraut (le philosophe contrarié et mentor de Breivik) et enfin « La France de l’intégration. Sociologie de la nation en 1990. » de Dominique Schnapper (la fille à papa qui continue la boutique).

    Trois Moments qu’on peut résumer par trois formules lapidaires : 1. la crise de l’antiracisme (Taguieff) , 2. l’antiracisme est un racisme (Finkielkraut) et 3. le salut par la République universelle (Schnapper etc.). "

    http://bougnoulosophe.blogspot.be/2011/10/les-fossoyeurs-de-lantiracisme.html

    Un exemple : http://www.polemia.com/antiracisme-identitaire-versus-antiracisme-egalitaire

  • La Gauche, le #communautarisme et le #différentialisme | Fragments sur les Temps Présents
    http://tempspresents.wordpress.com/2012/06/29/stephane-francois-gauche-communautarisme-differentialisme

    Les rapports entre la gauche et le communautarisme n’est pas une affaire récente, comme beaucoup de personnes le croit aujourd’hui. Bien au contraire. Nous distinguerons dans ce texte deux grands moments : la fin du XIXe siècle et les années post Mai 68. Ce type de discours est en fait symptomatique des thèses développées par une frange de la gauche, voire de la gauche de la gauche, qui souhaite copier les évolutions idéologiques théorisées par la Nouvelle Gauche américaine. Cette dernière en effet incarnait l’aile la plus radicale du progressisme américain. Toutefois, aux cours des années, le progressisme fut abandonné au profit d’un éloge du communautarisme et de la différence, voire d’une condamnation de l’idéologie du « Même », entrant ainsi en résonance avec une droite radicale européenne.

    • Mouais... je vois pas trop où il veut en venir, et pourtant l’article n’est pas long. Genre l’éternel « les extrêmes se rejoignent, ils ont les mêmes thèmes », etc. Ben oui, quand on critique la même société (la société libérale dans laquelle nous vivons là) ben forcément on tombe sur les mêmes thèmes. Ça ne veut pas pour autant dire qu’on promeut le même type de société.