• https://www.lemonde.fr/sciences/article/2024/05/20/engagement-des-scientifiques-le-ton-monte-dans-les-labos_6234452_1650684.htm

    #Wolfgang_Cramer
    #Christophe_Cassou
    #Valérie_Masson-Delmotte

    Appel à signature pour une tribune demandant la mise en #faillite_écologique de #Total

    Le vendredi 24 mai prochain, le conseil d’administration de TotalEnergies défendra devant l’AG de ses actionnaires son plan d’investissement prévoyant d’augmenter sa production d’énergies fossiles de 2 à 3% par an sur les cinq prochaines années. La major a donc fait le choix non pas de réduire sa contribution à la catastrophe climatique, mais de l’accélérer.

    Il faut se rendre à l’évidence : #TotalEnergies ne réduira pas sa production fossile parce qu’on le lui demande poliment. Au lieu de cultiver son impuissance, la puissance publique devrait se donner les moyens juridiques et fiscaux d’empêcher des entreprises comme TotalEnergies de menacer les conditions d’habitabilité de la planète. Cette tribune en propose plusieurs, et notamment la notion de faillite écologique qui permettrait à la puissance publique d’envisager le redressement judiciaire d’une entreprise eu égard à sa stratégie climaticide.

    Nous souhaiterions faire publier cette tribune dans un média grand public en amont de l’AG de TotalEnergies, et en lien avec une mobilisation inter-organisations.

    Vous pouvez accéder à la tribune (https://framaforms.org/soutien-a-la-tribune-totalenergies-en-faillite-ecologique-1715944543) et vous joindre aux signataires dans ce formulaire. N’hésitez pas à faire tourner.

    Les #Scientifiques_en_rébellion s’invitent une nouvelle fois à l’#AG des #actionnaires de BNP Paribas

    L’an dernier, au moment où les ONG de L’Affaire BNP annonçaient mettre en demeure BNP Paribas pour ses financements aux énergies fossiles, nous avions appelé la banque, via une tribune dans l’Obs, à cesser tout financement de nouveaux projets pétroliers et gaziers. Nous étions aussi allé.es interpeller BNP Paribas à son Assemblée générale.

    Cette action a eu des effets : #BNP Paribas a annoncé il y a un an de nouveaux engagements à réduire ses financements aux énergies fossiles et elle les a effectivement réduits significativement par rapport à 2022. Depuis cette date, elle n’a plus participé à l’émission d’obligations pour des projets pétro-gaziers. Mais la banque n’a pas formalisé cet engagement ni cessé tout financement aux énergies fossiles.

    C’est pourquoi le 14 mai, nous sommes retourné·es à l’AG de #BNP_Paribas afin d’exhorter la banque à stopper tout financement, direct ou indirect, aux entreprises qui développent de nouveaux projets fossiles (à commencer par TotalEnergies). Notre intervention a de nouveau déclenché les huées des actionnaires, et la direction du groupe refuse toujours de s’engager à stopper de financer la major pétro-gazière française. Le combat continue !

    La vidéo est ici, et vous trouverez plus d’infos dans notre communiqué de presse.

    https://scientifiquesenrebellion.frama.space/s/6BRfL9FHCx6XqSb

  • La memoria rimossa del massacro di Debre Libanos e dell’età coloniale italiana

    Tra il 20 e il 29 maggio 1937 le truppe italiane massacrarono più di duemila monaci e pellegrini al monastero etiope. Una strage che, come altri crimini di guerra commessi nelle colonie, trova spazio a fatica nel discorso pubblico, nonostante i passi fatti da storiografia e letteratura. Con quel passato il nostro Paese non ha mai fatto i conti, né sul piano giuridico né su quello materiale.

    “Questo avvocato militare mi ha comunicato proprio in questo momento che habet raggiunto la prova assoluta della correità dei monaci del convento di Debra Libanos con gli autori dello attentato. Passi pertanto per le armi tutti i monaci indistintamente, compreso il vice-priore. Prego farmi assicurazione comunicandomi il numero di essi”.

    È il 19 maggio 1937. Con queste poche parole Rodolfo Graziani, “viceré d’Etiopia”, dà il via al massacro dei monaci di Debre Libanos, uno dei monasteri più importanti del Paese, il cuore della chiesa etiopica. Solo tre mesi prima Graziani era sopravvissuto a un attentato da parte di due giovani eritrei, ex collaboratori dell’amministrazione coloniale italiana, che agirono isolatamente, seppur vicini alla resistenza anti-italiana. La reazione fu spietata: tra il 19 e il 21 febbraio le truppe italiane, appoggiate dai civili e dalle squadre fasciste, uccisero quasi 20mila abitanti di Addis Abeba.

    Le violenze proseguirono per mesi e si allargarono in tutta la regione dello Scioa fino a raggiungere la città-monastero di Debre Libanos, a circa 150 chilometri dalla capitale etiope dove tra il 20 e il 29 maggio 1937 ebbe luogo il più grande eccidio di cristiani mai avvenuto nel continente africano.

    “Vennero massacrate circa duemila persone tra monaci e pellegrini perché ritenuti in qualche modo conniventi con l’attentato a Graziani -spiega ad Altreconomia Paolo Borruso, docente di storia contemporanea all’Università Cattolica di Milano e autore del saggio “Debre Libanos 1937” (Laterza, 2020)-. Si è trattato di un vero e proprio crimine di guerra, poiché l’eccidio è stato qualcosa che è andato al di là della logica militare, andando a colpire dei religiosi, peraltro cristiani e inermi”.

    Al pari di molte altre vicende legate al passato coloniale italiano, a partire proprio dal massacro di Addis Abeba, anche la tragica vicenda di Debre Libanos è rimasta ai margini del discorso pubblico. Manca una memoria consapevole sulle responsabilità per gli eccidi e le violenze commesse dagli italiani nel corso della loro “avventura” coloniale per andare alla ricerca di un “posto al sole” in Libia, in Eritrea, Somalia ed Etiopia al pari delle altre nazioni europee, vengono ancora oggi occultate dalla coscienza pubblica.

    “La storiografia, a partire dal lavoro di Angelo Del Boca, ha fatto enormi passi avanti. Non c’è un problema di ricerca storica sul tema, quello che manca, piuttosto, è la conoscenza di quello che è avvenuto in quella fase storica al di là dei circoli degli addetti ai lavori”, puntualizza Valeria Deplano, docente di storia contemporanea all’Università di Cagliari e autrice, assieme ad Alessandro Pes di “Storia del colonialismo italiano. Politica, cultura e memoria dall’età liberale ai nostri giorni” (Carocci, 2024).

    Se da un lato è molto difficile oggi trovare chi nega pubblicamente l’uso dei gas in Etiopia, dall’altro è ancora molto diffusa l’idea che le violenze furono delle eccezioni riconducibili alle decisioni di pochi, dei vertici: il mito degli italiani “brava gente”, dunque, resiste ancora a ben sedici anni di distanza dalla pubblicazione dell’omonimo libro di Angelo Del Boca.

    Che l’Italia non abbia ancora fatto compiutamente i conti con il proprio passato coloniale lo dimostrano, ad esempio, le accese polemiche attorno alle richieste avanzate da attivisti e comunità afro-discendenti per modificare e contestualizzare la toponomastica delle nostre città o per una ri-significazione dei di monumenti che celebrano il colonialismo italiano (ad esempio l’obelisco che celebra i cinquecento caduti italiani nella battaglia di Dogali a Roma, nei pressi della Stazione Termini) (https://altreconomia.it/perche-serve-mappare-i-segni-del-fascismo-presenti-nelle-nostre-citta). Temi che vengono promossi, tra gli altri, dalla rete Yekatit 12-19 febbraio il cui obiettivo è quello contribuire a un processo di rielaborazione critica e collettiva del ruolo del colonialismo nella storia e nel presente dell’Italia e che vorrebbe il riconoscimento di una giornata nazionale del ricordo delle oltre 700mila vittime del colonialismo italiano.

    “C’è un rifiuto a riconoscere il fatto che i monumenti e le strade intitolate a generali e luoghi di battaglia sono incompatibili con i valori di cui la Repubblica dovrebbe farsi garante”, sottolinea Deplano ricordando come fu proprio nel secondo Dopoguerra che si costruì un racconto del colonialismo finalizzato a separare quello “cattivo” del regime fascista da quello “buono” dell’Italia liberale. Una narrazione funzionale all’obiettivo di ottenere dalle Nazioni Unite un ruolo nella gestione di alcune ex colonie alla fine della Seconda guerra mondiale: se l’Eritrea (la “colonia primigenia”) nel 1952 entra a far parte della Federazione etiopica per decisione dell’Onu, Roma ottenne invece l’Amministrazione fiduciaria della Somalia, esercitando un impatto significativo sulle sorti di quel Paese per decenni.

    “Invece ci fu continuità -sottolinea Deplano-. Furono i governi liberali a occupare l’Eritrea nel 1882 e ad aprire le carceri dove vennero rinchiusi i dissidenti eritrei, a dichiarare guerra all’Impero ottomano per occupare la Libia nel 1911 dove l’Italia fu il primo Paese a utilizzare la deportazione della popolazione civile come arma di guerra. Il fascismo ha proseguito lungo questa linea con ancora maggiore enfasi, applicando in Africa la stessa violenza che aveva già messo in atto sul territorio nazionale”.

    Con quel passato l’Italia non ha mai fatto i conti, né sul piano giuridico né su quello materiale. Come ricorda Paolo Borruso in un articolo pubblicato su Avvenire (https://www.avvenire.it/agora/pagine/su-debre-libanos-il-dovere-della-memoria-e-conquista-di-civilta), Graziani venne condannato a 19 anni di reclusione per collaborazionismo con la Repubblica sociale italiana, ma non per i crimini commessi in Africa. Le ex colonie ricevettero indennizzi irrisori e persino gli oggetti sacri trafugati a Debre Libanos e portati in Italia non furono mai ritrovati.

    “Gli italiani non possono ricordare solo quelle pagine della loro storia funzionali alla costruzione di un’immagine positiva, serve una consapevolezza nuova”, riflette Borruso. Che mette l’accento anche su una “discrasia pericolosa: da un lato la giusta memoria delle stragi nazi-fasciste commesse ‘in Italia’ e dall’altro la pubblica amnesia sulle violenze commesse ‘dall’Italia’ nelle sue colonie in Africa. Questo distacco dalla storia è molto preoccupante perché lascia la coscienza pubblica in balìa di pericolose derive disumanizzanti, aprendo vuoti insidiosi e facilmente colmabili da slogan e da letture semplificate del passato, fino alla riemersione di epiteti e attributi razzisti, che si pensava superati e che finiscono per involgarire la coscienza civile su cui si è costruita l’Italia democratica”.

    Se agli storici spetta il compito di scrivere la storia, agli scrittori spetta quello di tracciare fili rossi tra passato e presente, portando alla luce memorie sepolte per analizzarle e contestualizzarle. Lo ha fatto, ad esempio, la scrittrice Elena Rausa autrice di “Le invisibili” (Neri Pozza 2024) (https://neripozza.it/libro/9788854529120), un romanzo che si apre ad Addis Abeba, durante la rappresaglia del 1937 per concludersi in anni più recenti e che dà voce a uno dei “reduci” dell’avventura coloniale italiana e a suo figlio. “Ho voluto indagare in che modo le memorie negate dei traumi inflitti o subiti continuano a influenzare l’oggi -spiega ad Altreconomia-. Tutto ciò che non viene raccontato continua a esercitare delle influenze inconsapevoli: si stima che un italiano su cinque abbia nella propria storia familiare dei cimeli legati alle campagne militari per la conquista dell’Eritrea, della Libia, della Somalia e dell’Etiopia. In larga parte sono uomini che hanno fatto o, più facilmente, hanno visto cose di cui pochi hanno parlato”.

    A confermare queste osservazioni, Paolo Borruso richiama il suo ultimo saggio “Testimone di un massacro” (Guerini 2022) (https://www.guerini.it/index.php/prodotto/testimone-di-un-massacro), relativa al diario di un ufficiale alpino che partecipò a numerose azioni repressive in Etiopia, al comando di un reparto di ascari (indigeni arruolati), fino alla strage di Debre Libanos, sia pur con mansioni indirette di sorveglianza del territorio: una testimonianza unica, mai apparsa nella memorialistica coloniale italiana.

    Un altro filo rosso è legato alle date: l’invasione dell’Etiopia da parte delle truppe dell’Italia fascista ebbe inizio il 3 ottobre 1935. Quasi ottant’anni dopo, nel 2013, in quello stesso giorno più di trecento profughi, in larga parte eritrei ed etiopi, perdevano la vita davanti all’isola di Lampedusa. Migranti provenienti da Paesi che hanno con l’Italia un legame storico.

    E se oggi la migrazione segue una rotta che va da Sud verso Nord, in passato il percorso è stato inverso: “Come il protagonista del mio romanzo, anche il mio bisnonno è partito per l’Etiopia, ma non per combattere -racconta-. Migliaia di persone lasciarono l’Italia per lavorare in Etiopia e molti rimasero anche dopo il 1941. Anche in quel caso a partire furono persone che si misero in viaggio alla ricerca di condizioni migliori di vita per sé e per i propri figli. Ricordare anche quella parte di storia migratoria italiana significa riconoscere la radice inconsapevole del nostro modo di guardare chi oggi lascia la propria terra per compiere un viaggio inverso”.

    https://altreconomia.it/la-memoria-rimossa-del-massacro-di-debre-libanos-e-delleta-coloniale-it
    #colonialisme #Italie_coloniale #colonialisme_italien #massacre #Debre_Libanos #monastère #Ethiopie #histoire_coloniale #Rodolfo_Graziani #fascisme #Scioa #violence #crimes_de_guerre #mémoire #italiani_brava_gente #passé_colonial #toponymie #toponymie_politique #toponymie_coloniale #déportations

    –-

    ajouté à la métaliste sur le colonialisme italien:
    https://seenthis.net/messages/871953

    • Debre Libanos 1937. Il più grave crimine di guerra dell’Italia

      Tra il 20 e il 29 maggio 1937 ebbe luogo, in Etiopia, il più grave eccidio di cristiani mai avvenuto nel continente africano: nel villaggio monastico di Debre Libanos, il più celebre e popolare santuario del cristianesimo etiopico, furono uccisi circa 2000 tra monaci e pellegrini, ritenuti ‘conniventi’ con l’attentato subito, il 19 febbraio, dal viceré Rodolfo Graziani. Fu un massacro pianificato e attuato con un’accurata strategia per causare il massimo numero di vittime, oltrepassando di gran lunga le logiche di un’operazione strettamente militare. Esso rappresentò l’apice di un’azione repressiva ad ampio raggio, tesa a stroncare la resistenza etiopica e a colpire, in particolare, il cuore della tradizione cristiana per il suo storico legame con il potere imperiale del negus. All’eccidio, attuato in luoghi isolati e lontani dalla vista, seguirono i danni collaterali, come il trafugamento di beni sacri, mai ritrovati, e le deportazioni di centinaia di ‘sopravvissuti’ in campi di concentramento o in località italiane, mentre la Chiesa etiopica subiva il totale asservimento al regime coloniale. L’accanimento con cui fu condotta l’esecuzione trovò terreno in una propaganda (sia politica che ‘religiosa’) che andò oltre l’esaltazione della conquista, fino al disprezzo che cominciò a circolare negli ambienti coloniali fascisti ed ecclesiastici nei confronti dei cristiani e del clero etiopici, con pesanti giudizi sulla loro fama di ‘eretici’, scismatici. Venne a mancare, insomma, un argine ad azioni che andarono oltre l’obiettivo della sottomissione, legittimate da una politica sempre più orientata in senso razzista. I responsabili di quel tragico evento non furono mai processati e non ne è rimasta traccia nella memoria storica italiana. A distanza di ottant’anni, la vicenda riappare con contorni precisi e inequivocabili che esigono di essere conosciuti in tutte le loro implicazioni storiche.

      https://www.laterza.it/scheda-libro/?isbn=9788858141083
      #livre #Paolo_Borruso

    • Storia. Su Debre Libanos il dovere della memoria è conquista di civiltà

      Dal 21 al 27 maggio 1937 il viceré Graziani fece uccidere duemila etiopi. Un eccidio coloniale a lungo rimosso che chiede l’attenzione delle istituzioni e della storiografia.

      Il nome di Debre Libanos è tristemente legato al più grave crimine di guerra italiano, ordinato dal viceré d’Etiopia Rodolfo Graziani come rappresaglia per un attentato da cui era sfuggito. È il più antico santuario cristiano dell’Etiopia, meta di pellegrini da tutto il paese. Il 12 Ginbot (20 maggio) ricorre la memoria della traslazione, nel 1370, dei resti di san Tekla Haymanot – fondatore nel XIII secolo della prima comunità monastica in quel sito –: è la festa più sacra dell’anno, particolarmente attesa a Debre Libanos non solo tra i monaci, ma da tutti i cristiani etiopici provenienti da ogni parte del paese. È il giorno di massima affluenza di persone nel monastero. Ed è il motivo che spinse il viceré d’Etiopia Rodolfo Graziani ad una cinica pianificazione fin nei minimi dettagli. Tra il 21 e il 27 maggio 1937 i militari italiani, sotto la guida del generale Pietro Maletti, presidiarono il santuario e prelevarono i presenti, caricandoli a gruppi su camion verso luoghi isolati, dove ebbero luogo le esecuzioni, ordinate ai reparti coloniali musulmani per scongiurare possibili ritrosie degli ascari cristiani di fronte a correligionari. Nonostante le 452 esecuzioni dichiarate da Graziani per cautelarsi da eventuali inchieste, le indagini più recenti attestano un numero molto più alto, compreso tra le 1.800 e le 2.200.

      Sono passati 86 anni da quel tragico episodio, che andò molto al di là di una strategia puramente militare. Un «crimine di guerra», appunto, per il quale i responsabili non furono mai processati. Nel dopoguerra Graziani fu condannato a 19 anni di reclusione per collaborazionismo con la Repubblica sociale italiana, ma non per le violenze inflitte in Africa, e scontò solo quattro mesi in seguito ad amnistia, divenendo nel 1952 presidente onorario del Movimento sociale italiano, erede diretto del fascismo.

      Nell’Italia del dopoguerra, le esigenze del nuovo corso democratico spinsero a rimuovere memorie e responsabilità di quella violenta e imbarazzante stagione, potenziali ostacoli ad una sua collocazione nel campo occidentale auspicata da Usa e Inghilterra. Dei risarcimenti previsti dai trattati di pace del ‘47, fu elargita una cifra irrisoria, oltre i termini temporali stabiliti di dieci anni; i beni e arredi sacri trafugati a Debre Libanos e portati in Italia, mai ritrovati; unica restituzione, il noto obelisco di Axum, avvenuta nel 2004 (dopo quasi 60 anni!). Paradossalmente, la copertura dell’episodio parve una scelta obbligata anche per l’Etiopia di Haile Selassie, in nome di una ripresa del paese, dopo la fine dell’occupazione coloniale e della guerra mondiale, e di una inedita leadership internazionale negli anni della decolonizzazione, nonostante la persistenza di una ferita profonda mai rimarginata.

      Solo negli anni settanta, a partire dagli studi di Angelo Del Boca, l’«assordante» silenzio attorno ai «crimini» dell’Italia in Africa ha cominciato a dissolversi, decostruendo faticosamente il mito dell’«italiano brava gente». La storiografia ambiva divenire un polo di interlocuzione importante per la “memoria” pubblica del paese ed apriva la strada a nuove relazioni con l’Etiopia. Ne fu un segnale la visita ad Addis Abeba del presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, nel 1997, il quale richiamò il tributo di sangue versato dal popolo etiopico durante la dolorosa esperienza dell’occupazione fascista e la necessità di quella memoria per rilanciare proficui rapporti di pace e cooperazione. Ricordo, successivamente, la proposta di Del Boca, nel 2006, di istituire una “giornata della memoria” per le vittime del colonialismo italiano, ma neppure fu discussa in parlamento, e quindi fu archiviata. È qui che la storiografia è chiamata a consolidare gli anticorpi di fronte rimozioni e amnesie che rischiano di erodere rapidamente la coscienza pubblica. È il caso del monumento in onore del maresciallo Graziani, eretto nel 2012 ad Affile, nel Lazio, con i fondi della Regione, ultimo eclatante atto di oscuramento della memoria, suscitando immediate reazioni della comunità scientifica e dell’associazionismo italiano.

      A partire dal 2016, alcuni articoli apparsi sulla stampa, tra cui ripetuti interventi di Andrea Riccardi, e lo sconcertante film documentario Debre Libanos, realizzato da Antonello Carvigiani per TV 2000, hanno richiamato l’attenzione su quell’eccidio fascista. Un riconoscimento pubblico venne esplicitato in quell’anno dal presidente Mattarella ad Addis Abeba, quando in un eloquente “silenzio” depose una corona di fiori al monumento della vittoria Meyazia 27, in piazza Arat Kilo, in memoria dei caduti della resistenza etiopica dell’epoca e salutò uno ad uno ex partigiani etiopici, ormai anziani. Sotto queste sollecitazioni, l’allora ministero della difesa emanò un comunicato stampa, che richiamava la tragica rappresaglia con cui «il regime fascista fece strage della comunità dei copti; monaci, studenti, e fedeli del monastero di Debra Libanos. L’eccidio durò vari giorni, crudele e metodico. In Italia con il silenzio di tutti, durante il fascismo ma anche dopo, l’episodio era stato dimenticato […]», e si assumeva l’impegno ad approfondirne le dinamiche storiche con la costituzione di un’apposita commissione di studiosi, militari ed esperti. Altre urgenze, tuttavia, s’imposero nell’agenda politica e l’iniziativa non ebbe seguito.

      L’attuale disattenzione da parte delle istituzioni dello Stato italiano chiama nuovamente in causa la storiografia per la sua funzione civile di preservazione della memoria storica. C’è, qui, una discrasia da colmare: a fronte degli eccidi nazifascisti sul territorio italiano – oggi noti, con luoghi memoriali di alto valore simbolico per la storia nazionale –, il massacro di Debre Libanos è accaduto in Africa, fuori dal territorio nazionale, in un’area rimasta, per decenni, assente anche sul piano storiografico, le cui responsabilità sono ascrivibili direttamente all’Italia e non possono essere negate né oscurate. Occorre, in questo senso, allargare i confini della memoria storica, rinsaldando il rapporto tra storia e memoria come un argine di resistenza fondamentale per la difesa di una cultura civile, oggi provata da un crescente e preoccupante distacco dal vissuto storico. Lo smarrimento del contatto con “quel” passato coloniale, e con quella lunga storia di rapporti con l’Africa, rischia di lasciare la coscienza pubblica in balìa di pericolose derive disumanizzanti e discriminatorie, potenziali o in atto.

      https://www.avvenire.it/agora/pagine/su-debre-libanos-il-dovere-della-memoria-e-conquista-di-civilta

  • Konrad Lorenz, médecin et nazi notoire
    https://fr.m.wikipedia.org/wiki/Konrad_Lorenz

    Il est toujours difficile de déterminer combien le nazisme contribue à l’essence de l’idéologie médicale, et si dans le sens inverse pensée et pratique médicale ont contribué à la genèse du nazisme. L’essentiel pour nous et nos contemporains sont les effets de ces idéologies que nous rencontrons dans la vie quotidienne.

    La partie de l’article de Wikipedia (fr) qui parle de la part du nazisme dans la vie et l’oeuvre du célèbre médecin-éthologue Konrad Lorenz nous fournit quelques informations qui renforcent l’impression que l’époque nazie n’ a jamais touché à sa fin.

    Konrad Lorenz a cru au nazisme et a adhéré au parti nazi en 1938[2]. En 1940, cela l’aida à être nommé professeur à l’université de Königsberg (aujourd’hui Kaliningrad) où il occupa la chaire d’Emmanuel Kant.

    Eugéniste, il est également membre du « département de politique raciale » du parti, produisant conférences et publications. En accord avec les postulats biologiques de l’idéologie nazie, il écrit, par exemple, dans une lettre à Oskar Heinroth, lors de la déclaration de guerre de la Grande-Bretagne à l’Allemagne : « Du pur point de vue biologique de la race, c’est un désastre de voir les deux meilleurs peuples germaniques du monde se faire la guerre pendant que les races non-blanches, noire, jaune, juive et mélangées restent là en se frottant les mains »[3].

    Selon ses dires, il ne prit conscience des atrocités commises par le nazisme qu’« étonnamment tard », vers 1943-44, à hôpital militaire de Poznań où il s’occupait des soldats de la Wehrmacht en état de choc post-traumatique, lorsqu’on lui demanda de participer à un programme impliquant des « expertises raciales » pour la sélection de Polonais d’ascendance allemande qui ne devaient pas être réduits au servage comme les « purs Slaves »[4]. Il vit alors des trains de détenus tziganes à destination des camps d’extermination. C’est seulement alors qu’il comprend, dans toute son horreur, la « totale barbarie des nazis ».

    Les atrocités ne sont pas essentielles pour le nazisme mais plutôt une des multiples conséquences de son caratère profondément inhumain. La fondation de la dynastie des Qin (-221), la révolte des Taiping (1851–1864) et la conquête de l’Asie par l’impérialisme japonais (1905-1945) n’ont rien á envier à l’holocauste ou à la guerre d’extermination anti-slave de nos ancêtres. Ne parlons pas de l’hécatombe de l’époque après 1945 car on risque de confondre leurs véritables raisons avec les idées que nous nous faisons de l’époque 39-45.

    Je préfère la définition du nazisme comme une forme d’idéologie extrêmement inconsistante qui peut alors servir à justifier toute forme d’acte inhumain dans l’intérêt de classes au pouvoir. Le caractère contradictoire de leur idéologie d’imbéciles s’adapte facilement aux besoins du moment.

    Voici un point commun avec la « science » médicale qui n’en est pas au sens précis du terme mais un « art » qui se prête à toute forme d’interprétation. L’histoire de Lorenz, de ses recherches et de ses disciples confirment cette hypothèse.

    La controverse publique sur l’affiliation de Konrad Lorenz au parti nazi commence lors de sa nomination pour le prix Nobel. Cette controverse porte sur un article publié dans le Journal de psychologie appliquée et d’étude du caractère (Zeitschrift für angewandte Psychologie und Charakterkunde) en 1940, « Désordres causés par la domestication du comportement spécifique à l’espèce » (Durch Domestikation verursachte Störungen arteigenen Verhaltens). Cet article est publié dans un contexte de justification scientifique de restrictions légales contre le mariage entre Allemands et non-Allemands. Lorenz ne cache pas cette publication, il la cite abondamment et en reprend les idées dans la plupart de ses livres. Il y développe le concept de l’« auto-domestication de l’Homme », selon lequel « la pression de sélection de l’homme par l’homme » conduirait à une forme de « dégénérescence » de l’espèce humaine, touchant surtout les « races occidentales », tandis que les « souches primitives » seraient épargnées par cette « dégénérescence ».

    Il s’agit d’une entorse au suprémacisme aryen des nazis, dont il dira plus tard[5] :

    « L’essai de 1940 voulait démontrer aux nazis que la domestication était beaucoup plus dangereuse que n’importe quel prétendu mélange de races. Je crois toujours que la domestication menace l’humanité ; c’est un très grand danger. Et si je peux réparer, rétrospectivement, l’incroyable stupidité d’avoir tenté de le démontrer aux nazis, c’est en répétant cette même vérité dans une société totalement différente mais qui l’apprécie encore moins. »

    Mais le style pro-nazi de cet article, adoptant un ton délibérément politique et non scientifique, utilisant largement le concept de race humaine et publié dans un contexte de haine raciale, entraîne les détracteurs de Lorenz à contester sa nomination au prix Nobel, et cause une polémique dans la communauté des sciences humaines, en particulier au sein de l’école de behaviorisme américain. En effet, le long combat de Lorenz contre les théories de cette école, en ce qui concerne les comportements innés et acquis, lui valut beaucoup d’ennemis. Notons, entre autres, l’article de Lehrman de 1953, dans Quarterly Review of Biology : « Une critique de la théorie du comportement instinctif de Konrad Lorenz » citant le caractère et les origines « nazis » des travaux de celui-ci.

    La controverse au sujet de l’article de 1940 s’amplifie après la publication dans Sciences en 1972 d’un discours prononcé au Canada par Léon Rosenberg, de la faculté de médecine de Harvard, et la publication par Ashley Montagu, un anthropologue opposé à la théorie des instincts de l’homme de Lorenz, de la conférence d’Eisenberg : « La nature humaine de l’homme ». Dans cette conférence, l’article de 1940 est critiqué comme s’il s’agissait d’un article à caractère scientifique et actuel. Il s’agit d’une demi-page (sur plus de 70) des pires passages politiques cités hors contexte et se terminant par : « Nous devons - et nous le ferons - compter sur les sentiments sains de nos meilleurs éléments pour établir la sélection qui déterminera la prospérité ou la décadence de notre peuple… ». Si cette dernière proposition semble prôner un eugénisme nazi, l’affirmation que les meilleurs éléments ne sont pas nécessairement « aryens » et donc que certains « aryens domestiqués » devraient céder leur place à des représentants « plus sains » d’autres races, allait à l’encontre de l’idéologie nazie. Dans sa biographie, Lorenz laisse sous-entendre qu’il fut envoyé sur le front de l’Est pour cette raison.

    Il n’en reste pas moins que Lorenz ne parait guère dérangé par le nazisme, ni sur le plan éthique, ni sur le plan de la rigueur scientifique en biologie, et de plus, il accepte naïvement le Prix Schiller qui lui avait été proposé par un vieux membre conservateur de l’Académie bavaroise des sciences. Or ce prix provient d’un groupe néo-nazi : quand il en est averti, Lorenz prétexte être alité et envoie son fils Thomas et son ami Irenäus Eibl-Eibesfeldt annoncer que les 10 000 marks de ce prix seront versés au compte d’Amnesty International. Finalement, l’argent du prix n’est jamais versé, mais Lorenz laissa l’image d’un chercheur facilement aveuglé par le rôle de l’agressivité, la notion d’inégalité biologique des individus et des groupes, le « darwinisme social », la théorie anthropologique du bouc émissaire et l’élitisme eugénique, considérant la néoténie comportementale comme une « dégénérescence » et non comme un facteur d’évolution, d’adaptabilité et de diminution de la violence (il ajoute toutefois que « c’est par le rire que les Hommes aboliront la guerre »)[6].

    Le progrès technologique nous pond des machines faites pour réproduire et multiplier des morçeaux d’idéologie sous forme de code informatique, images et textes d’une clarté superficielle. On y puise même des conseil pour le mangement d’entreprise. Quant à leur manière de « penser » ChatGPT et consorts sont comparables à des imbéciles comme Alfred Rosenberg. En utilisant l’IA nous introduisons dans notre vie la pensée et les méthodes intellectuelles derrière l’holocauste.

    Les théories et définitions de Konrad Lorenz y sont pour quelque chose.

    Übersprungbewegung, Übersprunghandlung, Übersprungverhalten ; engl. : displacement activity, substitute activity, behaviour out of context
    https://de.m.wikipedia.org/wiki/%C3%9Cbersprungbewegung

    Der Fachausdruck wurde von Nikolaas Tinbergen und Adriaan Kortlandt in die Ethologie eingeführt.[1][2] Nikolaas Tinbergen beschrieb ihn wie folgt: „Diese Bewegungen scheinen irrelevant in dem Sinne zu sein, dass sie unabhängig vom Kontext der unmittelbar vorhergehenden oder folgenden Verhaltensweisen auftreten.“[3] Gedeutet wurde solches, dem Beobachter „unpassend“, ohne nachvollziehbaren Bezug zur gegebenen Situation erscheinendes Verhalten als Anzeichen „eines Konfliktes zwischen zwei Instinkten“,[4] weswegen die Fortführung des zuvor beobachtbaren Instinktverhaltens – zumindest zeitweise – nicht möglich ist und stattdessen eine Verhaltensweise gezeigt wird, die (der Instinkttheorie zufolge) aus einem völlig anderen – dritten – Funktionskreis des Verhaltensrepertoires stammt.

    Spätere verhaltensbiologische Forschung deutete ursprünglich als Übersprungbewegung interpretierte Verhaltensweisen als soziale Signale und damit als keineswegs irrelevant im jeweiligen Kontext.

    #iatrocratie #nazis #médecine #éthologie #histoire #sciences #idéologie #biologie

  • L’eau : les tensions d’une ressource
    https://laviedesidees.fr/L-eau-les-tensions-d-une-ressource

    Des sécheresses plus longues aux inondations plus fréquentes, l’eau devient chaque jour un sujet plus central. Les perturbations croissantes du cycle de l’eau mettent à rude épreuve les modes de gestion actuels, aussi bien techniques que politiques, hérités d’une période de moindre tension.

    #Société #International #eau #Sciences #Deux_dossiers_sur_la_Home

  • Des universités françaises au bord de l’#asphyxie : « Ça craque de partout »

    Locaux vétustes, #sous-financement structurel, #pénurie d’enseignants, inégalités sociales et scolaires… Les universités de Créteil, Villetaneuse ou encore Montpellier-III cumulent les difficultés. Le fossé se creuse encore entre les établissements prestigieux et les autres.

    A l’#université_Sorbonne-Paris_Nord, sur le campus de Villetaneuse, en Seine-Saint-Denis, la visite guidée se transforme immanquablement en un passage en revue du #délabrement. Tel couloir ou telle salle, inondés à chaque forte pluie, cumulent vétusté et moisissures sur les murs. Des amphithéâtres aux sièges cassés, des prises abîmées depuis des années, et des vidéoprojecteurs qui, régulièrement, ne fonctionnent pas. Les filets de fortune qui retiennent des bouts de plafond qui s’écroulent au-dessus d’une passerelle reliant plusieurs bâtiments. Cet ascenseur, également, en panne depuis la rentrée, rendant le deuxième étage du département des lettres inaccessible aux étudiants à mobilité réduite.

    De façon moins visible, une grande partie des bâtiments contient encore de l’#amiante, plus ou moins bien protégée. « Là ou encore là, le sol est abîmé, montre Stéphane Chameron, maître de conférences en éthologie, membre du comité social d’administration, encarté SUD-Education, en désignant des dalles usées dans des couloirs ou des escaliers. Donc il peut arriver que de la poussière amiantée soit en suspension dans l’air. C’est une #mise_en_danger. »

    Selon la Cour des comptes, 80 % du bâti de l’université Sorbonne-Paris Nord est aujourd’hui vétuste. Mais le constat national n’est guère réjouissant non plus, avec un tiers du #patrimoine_universitaire jugé dans un état peu ou pas satisfaisant. « Honnêtement, on a honte de faire travailler les étudiants dans ces conditions » , souligne une des enseignantes de l’établissement qui, comme beaucoup, a demandé à rester anonyme.

    En matière d’#encadrement aussi, « la situation est critique », alerte Marc Champesme, chargé du département d’informatique de Paris Nord, membre du syndicat Snesup-FSU. Dans sa composante, le nombre d’étudiants en première année a été multiplié par plus de trois entre 2010 et 2022, et par deux sur les trois années de licence. Dans le même temps, le nombre d’enseignants titulaires n’a pas bougé. « On est maintenant contraints de faire des travaux dirigés en amphi avec soixante étudiants parce qu’on manque de professeurs , réprouve-t-il. Alors même que les pouvoirs publics ne cessent de dire qu’il faut former plus d’informaticiens et de spécialistes de l’IA [intelligence artificielle] , que c’est l’avenir. »

    « Sans l’État, ce ne sera pas possible »

    Ici, comme dans d’autres facultés, les personnels ont été désespérés par le signal envoyé, en février, avec l’annonce de coupes budgétaires de près de 1 milliard d’euros dans l’enseignement supérieur – en contradiction avec la volonté affichée, fin 2023 par Emmanuel Macron, de « donner plus de moyens » pour la recherche. « On nous disait que l’université serait une priorité, mais cela a vite été oublié. C’est un #délaissement total. Et les premiers à trinquer, ce sont nous, universités de banlieue populaire ou de petites villes déjà en mauvaise forme » , s’exaspère un autre enseignant-chercheur de Sorbonne-Paris Nord.

    Cette réalité s’impose comme le signe d’une université française en crise, qui maintient sa mission de service public en poussant les murs, colmatant les brèches et serrant les dents. La conséquence de décennies pendant lesquelles les établissements ont absorbé une augmentation significative de la #population_étudiante, sans que les moyens aient suivi. Entre 2008 et 2021, le nombre d’étudiants a augmenté de 25 %, quand le #budget de l’enseignement supérieur a progressé de moins de 10 %. Quant aux fonds versés par l’Etat liés spécifiquement au #bâti, ils stagnent depuis plus de dix ans.

    Désormais, « ça craque de partout » , résume un enseignant dans un Baromètre des personnels réalisé en 2023 par la Conférence des praticiens de l’enseignement supérieur et de la recherche. A Villetaneuse, « on essaie de mettre les bouchées doubles depuis trois ans pour les travaux urgents. On a investi 6 millions d’euros sur fonds propres. Mais on ne dispose pas de ressources infinies. Sans l’Etat, ce ne sera pas possible » , souligne son président, Christophe Fouqueré. Sur tout le territoire, la pression budgétaire contraint les établissements à se contenter de rafistoler un bâti vieillissant plutôt que d’entamer des travaux de #rénovation nécessaires, ou encore à geler les embauches de #titulaires et à avoir recours à des #vacataires précaires – à présent majoritaires au sein des personnels enseignants dans les universités.

    Mais, à l’image de Sorbonne-Paris Nord, certaines se trouvent plus en difficulté que d’autres en matière de conditions d’études. « La question du bâti et de son délabrement éclaire en fait toutes les #inégalités entre élèves, et entre établissements du supérieur : d’abord entre universités et grandes écoles type Sciences Po, mieux loties, et désormais entre universités elles-mêmes, analyse la sociologue Annabelle Allouch, qui mène un projet de recherche sur le #bâti_universitaire. Mais elle renforce aussi ces inégalités, en encourageant des étudiants à adopter des stratégies d’évitement de certains campus. »

    De fait, des #écarts se sont creusés. Si certains campus ont bénéficié de belles rénovations, comme de moyens plus conséquents pour l’enseignement, d’autres universités, moins subventionnées, décrochent. « On a été oubliés du #plan_Campus de 2008, qui a permis à d’autres universités, y compris voisines, de se remettre à niveau » , regrette le président de Sorbonne-Paris Nord. « L’Etat avait fait le choix de porter les efforts sur 21 sites seulement. Cela a créé un premier différentiel, qui n’a cessé de s’accentuer puisque ces universités lauréates ont été, par la suite, mieux placées, aussi, pour répondre à des appels à projet sur le patrimoine » , explique Dean Lewis, vice-président de France Universités.

    Se sont ajoutées les diverses politiques d’ « #excellence », mises en œuvre durant la dernière décennie, et notamment les labels #Initiative_d’excellence, décernés à certains établissements prestigieux, avec des moyens supplémentaires correspondants. « On a été face à des politiques qui ont décidé de concentrer les moyens sur un petit nombre d’établissements plutôt que de les distribuer à tout le monde » , résume la sociologue Christine Musselin.

    #Violence_symbolique

    Une situation qui laisse de plus en plus apparaître une université à plusieurs vitesses. « Quand je passe de mon bureau de recherche de l’ENS [Ecole normale supérieure] aux locaux où j’enseigne, la différence me frappe à chaque fois », témoigne Vérène Chevalier, enseignante en sociologie à l’#université_Paris_Est-Créteil (#UPEC), qui subit aussi, avec ses élèves, un environnement dégradé. Dans certains bâtiments de cette université, comme celui de la Pyramide, les cours ont dû être passés en distanciel, cet hiver comme le précédent, en raison d’une défaillance de #chauffage, la #température ne dépassant pas les 14 0C. En avril, le toit d’un amphi, heureusement vide, s’est effondré sur un site de Fontainebleau (Seine-et-Marne) – en raison d’une « malfaçon », explique la présidence.

    Plongée dans une #crise_financière, avec un #déficit abyssal, l’UPEC est dans la tourmente. Et la présidence actuelle, critiquée en interne pour sa mauvaise gestion des finances. « Mais lorsqu’on voit arriver 10 000 étudiants en cinq ans, on se prend de toute façon les pieds dans le tapis : cela veut dire des heures complémentaires à payer, des locations ou l’installation de préfabriqués très coûteuses » , défend le président, Jean-Luc Dubois-Randé.

    Au sein d’un même établissement, des fossés peuvent se former entre campus et entre disciplines. « Quand mes étudiants vont suivre un cours ou deux dans le bâtiment plus neuf et entretenu de l’IAE [institut d’administration des entreprises] , dont les jeunes recrutés sont aussi souvent plus favorisés socialement, ils reviennent dans leur amphi délabré en disant : “En fait, ça veut dire que, nous, on est les pauvres ?” » , raconte Vérène Chevalier, qui y voit une forme de violence symbolique.

    Ce sont des étudiants « qu’on ne voit pourtant pas se plaindre », constate l’enseignant Stéphane Chameron. « Pour beaucoup issus de classes moyennes et populaires, ils sont souvent déjà reconnaissants d’arriver à la fac et prennent sur eux » , a-t-il observé, comme d’autres collègues.

    Dans le bâtiment Pyramide, à Créteil, une dizaine d’étudiants en ergothérapie préparent leurs oraux collectifs de fin d’année, assis au sol dans le hall, faute de salles disponibles. « Les conditions, cela nous paraît normal au quotidien. C’est quand on met tout bout à bout qu’on se rend compte que cela fait beaucoup » , lâche Charlotte (qui a souhaité rester anonyme, comme tous les étudiants cités par leur prénom), après avoir égrené les #dysfonctionnements : les cours en doudoune cet hiver, l’impossibilité d’aérer les salles, l’eau jaunâtre des robinets ou l’absence de savon dans les toilettes… « Ça va » , répondent de leur côté Amina et Joséphine, en licence d’éco-gestion à Villetaneuse, citant la bibliothèque récemment rénovée, les espaces verts et l’ « ambiance conviviale », malgré « les poubelles qu’il faut mettre dans les amphis pour récupérer l’eau qui tombe du plafond quand il pleut » .

    Dans l’enseignement supérieur, les dynamiques récentes ont renforcé un phénomène de #polarisation_sociale, et les étudiants les plus favorisés se retrouvent aussi souvent à étudier dans les établissements les mieux dotés. La sociologue Leïla Frouillou y a documenté l’accélération d’une #ségrégation_scolaire – qui se recoupe en partie avec la #classe_sociale. Favorisées par #Parcoursup, les universités « parisiennes » aspirent les bacheliers avec mention très bien des autres académies. « Se pose la question du maintien de la #mixité dans nos universités » , souligne-t-elle.

    En l’occurrence, un campus en partie rénové ne protège pas nécessairement ni d’une situation financière délétère, ni de difficultés sociales plus importantes que la moyenne du territoire. L’un des lauréats du plan Campus de 2008, l’#université_Montpellier-III, présente en majesté l’#Atrium. Une bibliothèque universitaire (BU) tout de verre vêtue, un bijou architectural de 15 000 m2 financé par l’Etat, la région et la métropole, et livré en avril à la porte de l’établissement. L’ouvrage masque un campus quinquagénaire arboré et aussi quelques classes en préfabriqué posées provisoirement à proximité du parking… il y a vingt et un ans. Montpellier-III reste l’une des universités les moins bien dotées de France.

    Un peu plus loin, derrière le bâtiment S, Jade attend patiemment son tour. En première année de licence de cinéma et boursière, comme 48 % des étudiants de son université (quand la moyenne nationale est de 36 %), elle s’apprête à remplir un panier de vivres à l’#épicerie_solidaire de l’établissement. Une routine hebdomadaire pour cette étudiante qui a fait un saut dans la #précarité en rejoignant l’université.

    « Nous avons des étudiants qui ne mangent pas à leur #faim » , regrette Anne Fraïsse, présidente de l’université. Ils sont, par ailleurs, ceux qui auraient le plus besoin d’encadrement. Quand, en 2022, l’#université_Gustave-Eiffel, implantée dans différentes régions, reçoit une subvention pour charge de service public de 13 195 euros par étudiant, Montpellier-III en reçoit 3 812. Les universités de lettres, de droit et de sciences humaines et sociales sont traditionnellement moins bien dotées que les universités scientifiques, dont les outils pédagogiques sont plus onéreux.

    Mais dans les établissements d’une même spécialité, les écarts sont considérables. Nanterre, la Sorbonne-Nouvelle, à Paris, Bordeaux-Montaigne ou Toulouse-Jean-Jaurès : toutes ces universités de #sciences_humaines ont une dotation supérieure de plus de 30 % à celle de Montpellier-III. « Si nous étions financés à la hauteur de ce que reçoit Toulouse-II, c’est 30 millions de budget annuel supplémentaire que l’on recevrait, calcule Florian Pascual, élu CGT au conseil scientifique de l’université Montpellier-III. Nous pourrions cesser de gérer la pénurie, embaucher des enseignants. »

    « Un poids pédagogique »

    En février, le conseil d’administration de l’université a voté un budget affichant un déficit prévisionnel de 5 millions d’euros. Alors que l’établissement a augmenté ses effectifs étudiants (+ 7 % sur la période 2018-2021) pour répondre au #boom_démographique, la #dotation de l’Etat par étudiant a, pour sa part, dégringolé de 18,6 % entre 2016 et 2022. Un rapport rendu en juin 2023 par l’inspection générale de l’éducation, du sport et de la recherche, reconnaît « une situation de #sous-financement_chronique et un état de #sous-encadrement_structurel » . L’université doit néanmoins répondre à l’injonction du gouvernement de se serrer la ceinture. « C’est ne pas tenir compte des grandes inégalités entre établissements » , répond Anne Fraïsse.

    « Ce que nous répète l’Etat, c’est de fermer des postes, en réduisant l’administration et en remplaçant des professeurs par des contractuels ou des enseignants du secondaire. Pourtant, dans treize départements, la moitié des cours ne sont plus assurés par des professeurs titulaires, rappelle la présidente de l’université . Cela a un poids pédagogique pour les étudiants. Pour augmenter les taux de réussite, il faut créer des heures d’enseignement et mettre des professeurs devant les étudiants. »

    La pression démographique absorbée par ces universités amène avec elle une autre difficulté insoupçonnée. « Chez nous, le taux d’utilisation des amphis est de 99 %, on n’a quasiment plus le temps de les nettoyer. Alors si on devait faire des chantiers, on n’aurait tout simplement plus d’endroit pour faire cours, et c’est le cas partout » , soulève Julien Gossa, enseignant à l’université de Strasbourg. « Mais plus on attend, plus ça se dégrade et plus ce sera cher à rénover » , souligne Dean Lewis, de France Universités.

    Or, dans certaines facultés, comme en Seine-Saint-Denis et dans le Val-de-Marne, la démographie étudiante ne devrait pas ralentir. « Nous ne sommes pas sur un reflux démographique comme d’autres, en raison d’un phénomène d’installation des classes moyennes en grande couronne. On envisage une trajectoire d’augmentation de deux mille étudiants par an durant encore un moment. Il va falloir trouver une façon de les accueillir dignement » , souligne Jean-Luc Dubois-Randé, de l’UPEC. D’autant que, malgré les difficultés matérielles, « les profs sont passionnés et les cours très bons », assure une étudiante, en licence de psychologie à Villetaneuse.

    Conscients de cette valeur des cours dispensés et des diplômes délivrés, les enseignants contactés marchent sur des œufs. En mettant en lumière les points de craquage de l’université, ils craignent d’accélérer la fuite vers l’#enseignement_privé, qui capitalise sur l’image dégradée du public. Pourtant, « former la jeunesse est une mission de l’Etat, baisser les dépenses en direction de l’enseignement, au profit du privé, c’est compromettre notre avenir » , rappelle Anne Fraïsse.

    Le nombre de #formations_privées présentes sur Parcoursup a doublé depuis 2020, et elles captent plus d’un quart des étudiants. « Mais même si elles peuvent se payer des encarts pub dans le métro avec des locaux flambant neufs, elles sont loin d’avoir toutes la qualité d’enseignement trouvée à l’université, qui subsiste malgré un mépris des pouvoirs publics » , souligne l’enseignant Stéphane Chameron.

    La fatigue se fait néanmoins sentir parmi les troupes, essorées. « Comme à l’hôpital, on a des professionnels attachés à une idée du #service_public, gratuit, accessible à tous et adossé à une recherche de haute volée , observe le président de l’UPEC, ancien cadre hospitalier. Mais le sentiment d’absence de #reconnaissance pèse, et on observe de plus en plus de #burn-out. » De la même manière que, dans les couloirs des urgences hospitalières, les équipes enseignantes interrogent : souhaite-t-on laisser mourir le service public ?

    https://www.lemonde.fr/campus/article/2024/05/11/des-universites-francaises-au-bord-de-l-asphyxie-ca-craque-de-partout_623255
    #ESR #France #université #facs #enseignement_supérieur #recherche

  • Non à la #Répression policière à #Sciences_Po_Lyon
    https://academia.hypotheses.org/56320

    Communiqué des enseignant⸱es et enseignant⸱es chercheur⸱es de Sciences Po Lyon du 7 mai 2024 Nous, universitaires de Sciences Po Lyon, tenons à exprimer notre profonde indignation face à l’évacuation de l’amphithéâtre Pacaut par la #police ce vendredi 3 mai. Les … Continuer la lecture →

    #Actualités_/_News #Billets #Libertés_académiques_:_pour_une_université_émancipatrice #Gaza #libertés_académiques

  • Le premier #accident automobile mortel de l’histoire
    https://carfree.fr/index.php/2024/05/07/le-premier-accident-automobile-mortel-de-lhistoire

    Environ 4 000 personnes sont tuées chaque jour sur les routes du monde, soit près d’1,5 millions de morts par an. Mais quand a eu lieu le premier accident mortel Lire la suite...

    #Fin_de_l'automobile #Insécurité_routière #féminisme #histoire #irlande #mort #mortalité #science #sécurité_routière #technique

  • Mobilisation pour Gaza : un débat interne « dur » et avec « beaucoup d’émotion » jeudi matin à Sciences Po Paris
    https://www.lemonde.fr/societe/article/2024/05/02/mobilisation-pour-gaza-un-debat-interne-dur-et-avec-beaucoup-d-emotion-jeudi

    L’administrateur provisoire a reconnu avoir « pris des positions assez fermes sur certains sujets », en refusant « très clairement la création d’un groupe de travail qui était proposé par certains étudiants pour investiguer [les] relations [de l’école] avec les universités israéliennes ».

    « Après un début où les débats étaient apaisés, la tension est montée à la fin », a témoigné auprès de l’Agence France-Presse Hugo, 22 ans, étudiant en master à Sciences Po, pour qui « la principale information est le refus du directeur de créer un groupe de travail pour réévaluer les partenariats de Sciences Po ».

    Aucune justification n’est apporté pour cette décision, qui n’est en fait que l’application de la position politique de la ministre et donc du gouvernement, qui enterre le principe d’une autonomie de la gouvernance des universités :

    Sur la demande des étudiants d’interroger les « partenariats de l’école avec les universités et organisations soutenant l’Etat d’Israël », la ministre de l’enseignement supérieur, Sylvie Retailleau, a répété, jeudi matin, qu’il était « hors de question que les universités prennent une position institutionnelle en faveur de telle ou telle revendication dans le conflit en cours au Proche-Orient ».

    La ministre a demandé aux présidents d’université de veiller au « maintien de l’ordre » public, en utilisant « l’étendue la plus complète des pouvoirs » dont ils disposent, notamment en matière de sanctions disciplinaires en cas de troubles ou de recours aux forces de l’ordre, lors d’une intervention en visioconférence au conseil d’administration de France Universités.

    #Gaza #génocide_plausible_en_cours #aveuglement # et #complicité

    • #Sciences_Po annonce la fermeture vendredi de ses principaux locaux à Paris, après un débat interne qui a débouché sur une nouvelle mobilisation (Publié aujourd’hui à 16h13, modifié à 23h01 [-] republication de l’article du 02 mai 2024 à 11h42)
      https://www.lemonde.fr/societe/article/2024/05/02/mobilisation-pour-gaza-un-debat-interne-dur-et-avec-beaucoup-d-emotion-jeudi

      (...) Sylvie Retailleau, a répété, jeudi matin, qu’il était « hors de question que les universités prennent une position institutionnelle en faveur de telle ou telle revendication dans le conflit en cours au Proche-Orient ».
      La ministre a demandé aux présidents d’université de veiller au « maintien de l’ordre » public, en utilisant « l’étendue la plus complète des pouvoirs » dont ils disposent, notamment en matière de sanctions disciplinaires en cas de troubles ou de recours aux forces de l’ordre, lors d’une intervention en visioconférence au conseil d’administration de France Universités.

      #Israël #France #élites #politique

    • « La fermeté est et restera totale », a fait savoir Matignon à l’Agence France-Presse (AFP). « S’agissant de la situation dans les établissements, certaines ont pu être réglées par le dialogue. Pour d’autres, des réquisitions par les présidents d’université ont été faites, et les forces de l’ordre sont intervenues immédiatement. Cette fermeté paie : 23 sites perturbés ont été évacués hier », a affirmé la même source à l’AFP, ajoutant, pour Sciences Po Paris, que Gabriel Attal avait « demandé l’intervention dès la réquisition de l’administrateur provisoire ».

      https://www.lemonde.fr/societe/article/2024/05/03/les-forces-de-l-ordre-interviennent-a-sciences-po-paris-et-evacuent-plusieur

      #occupations #police

    • Heureusement, dans son édito du jour, Le Monde jouait à fond son rôle usuel de chien de garde, justifiant à l’avance, avec force sophismes débiles, que Darmanin envoie ses Robocops contre les étudiants qui manifestent contre un génocide.

      Israël-Gaza : une contestation légitime, des dérives inacceptables
      https://www.lemonde.fr/idees/article/2024/05/03/israel-gaza-une-contestation-legitime-des-derives-inacceptables_6231324_3232

      A première vue, ces mouvements évoquent les révoltes estudiantines des années 1960-1970 contre la guerre américaine au Vietnam ou celles qui, un peu plus tard, dénonçaient le régime d’apartheid d’Afrique du Sud. Le parallèle s’arrête cependant assez vite. Les Etats-Unis n’étaient pas visés à domicile par un terrorisme vietnamien, là où Israël riposte aux massacres du 7 octobre 2023. Quant à Yahya Sinouar, le chef du Hamas à Gaza, il est difficilement comparable à Nelson Mandela.

      […]

      Les libertés de réunion et d’expression doivent être défendues, non ces débordements intolérables. Que des étudiants juifs, parce qu’ils s’identifient comme tels, puissent se sentir mal à l’aise, voire en danger, dans une université française ou américaine est inacceptable, quelles que soient leurs positions – en réalité très diverses – sur le conflit.

      […]

      En France, Jean-Luc Mélenchon cherche à exploiter la faiblesse des réactions à la tragédie de Gaza. Mais, en soutenant les appels au « soulèvement » et en attisant la colère des étudiants, le leader de La France insoumise jette de l’huile sur une question inflammable dans un pays qui réunit d’importantes communautés juive et arabe, et fait douter de son sens des responsabilités.

  • Qui a tué l’Anthropocène ?
    https://www.terrestres.org/2024/04/08/qui-a-tue-lanthropocene

    Le 5 mars dernier, le New York Times révélait au monde l’implacable verdict : les géologues ont voté contre l’officialisation de l’Anthropocène. Mais que nous dit vraiment cet évènement ? Le philosophe des #Sciences Pierre de Jouvancourt revient ici sur les conditions de ce vote et analyse les enjeux à la fois scientifiques et politiques de cette controverse. L’article Qui a tué l’Anthropocène ? est apparu en premier sur Terrestres.

    #Anthropocène #Climat #Géologie #Terre

  • Les mobilisations des étudiants pour un cessez-le-feu à Gaza se multiplient en France
    https://archive.ph/2024.04.30-194632/https://www.lemonde.fr/societe/article/2024/04/30/les-mobilisations-des-etudiants-pour-un-cessez-le-feu-a-gaza-se-multiplient_

    La majorité des instituts d’études politiques ont été touchés par des rassemblements et des blocages, mardi 30 avril, tandis que Sciences Po Paris prépare un grand débat, jeudi 2 mai, sur la question israélo-palestinienne. Ailleurs, quelques événements sont recensés.

    [...] Pour la deuxième journée, l’université de Saint-Etienne a été bloquée, mardi, jusqu’à ce que la police intervienne. Quant au centre Tolbiac de l’université Paris-I Panthéon-Sorbonne, il a été occupé dans la matinée, avant d’être évacué « pour des raisons de sécurité », avance-t-on dans l’entourage de la présidence, ce que le syndicat L’Union étudiante considère, dans un communiqué, comme une façon d’« empêcher » la tenue d’une assemblée générale, programmée à la mi-journée.
    « Embrasement »
    « L’accès aux ascenseurs a été bloqué par les étudiants mobilisés. Or, dans ce cas, la réglementation en vigueur pour des bâtiments de cette hauteur implique la décision administrative de faire évacuer le bâtiment », justifie l’université. Entre 200 et 300 étudiants sont ensuite restés devant l’établissement.

    #Palestine #IEP #Sciences_Po #étudiants

  • RTS Des drones tueurs fonctionnent avec un logiciel d’origine suisse

    Créé entre 2008 et 2011 à l’EPF de Zurich, un logiciel de pilotage automatique équipe de nombreux drones utilisés sur le champ de bataille, de l’Ukraine à Gaza, y compris des drones kamikazes, révèle jeudi le Pôle enquête de la RTS. L’EPFZ et l’inventeur du concept, un ex-étudiant de l’école, s’estiment exonérés de toute responsabilité liée à ces développements.

    Le logiciel de pilotage automatique, appelé PX4, et sa suite Pixhawk, ont été conçus entre 2008 et 2011 à l’Ecole polytechnique fédérale de Zurich (EPFZ) par une équipe d’une quinzaine d’étudiants encadrés par certains de leurs professeurs.


    Ils cherchaient le moyen de faire fonctionner un drone de façon autonome, indépendamment d’une télécommande. On le compare souvent au système d’exploitation Android pour les smartphones, tant son utilisation s’est généralisée. A des fins civiles, mais aussi militaires. Ce qui soulève un certain nombre de questions éthiques et stratégiques.

    Utilisation en Ukraine
    Le logiciel d’origine suisse est utilisé par divers belligérants dans le monde en zone de guerre. Il a été retrouvé en Ukraine, sur le champ de bataille, par des unités russes, dans au moins quatre cas identifiés par le Pôle enquête de la RTS. Dans l’une de ces situations, le logiciel dans sa version Pixhawk se trouvait à l’intérieur d’un drone ukrainien équipé d’une charge explosive.

    Les codes sources du logiciel ont été partagés sur une plateforme internet dédiée, ce qui vaut au système d’être régulièrement mis à jour par ses utilisateurs, pour la plus grande satisfaction des forces armées ukrainiennes notamment. « Le fait que des logiciels de pilotage soient disponibles en source ouverte, ça leur a certainement fait gagner des années », estime l’expert en aéronautique Xavier Tytelman jeudi dans le 19h30 de la RTS.

    Des drones autonomes à bas coûts
    L’autopilotage a révolutionné l’industrie du drone de guerre. Sur le théâtre d’opérations, où le signal GPS peut facilement être brouillé, permettre à un drone de faire aboutir sa mission quoi qu’il arrive est un enjeu majeur. « Quand ils sont en train de guider leurs drones kamikazes pour aller par exemple sur un char, même si la communication est perdue, il faut que le drone continue tout droit jusqu’à l’impact. Et ça, ce sont des modifications qu’ils ont pu réaliser et ils l’ont fait très rapidement », souligne Xavier Tytelman.

    Même si la communication est perdue, il faut que le drone continue tout droit jusqu’à l’impact
    Xavier Tytelman, expert en aéronautique

    Vendu à peine plus de 100 euros sur internet pour les modèles les moins récents, dont certains sont fabriqués en Chine, Pixhawk a favorisé l’essor d’une nouvelle économie, celle des drones de guerre autonome à bas coûts. La RTS a pu consulter un document dans lequel la coalition menée par les Etats-Unis pour vaincre le groupe Etat islamique alerte ses membres sur la volonté du groupe terroriste d’acquérir ce logiciel pour ses drones. Le groupe terroriste a déjà pu s’en procurer, a appris la RTS.

    Révolution « dangereuse »
    Fondateur de l’Organisation israélienne de défense antimissile, à qui l’on doit le fameux Dôme de fer, l’ingénieur Uzi Rubin, aujourd’hui chercheur à l’Institut d’études stratégiques de Jérusalem, estime que cette prolifération représente un danger. Il s’inquiète des développements militaires favorisés par le partage d’expérience open-source, via PX4 ou son concurrent Ardupilot. « N’importe qui avec ça peut aujourd’hui créer une arme de guerre vu que les logiciels sont accessibles librement et sans contrôle, tout comme les composants. Ces armes dangereuses prolifèrent au sein des gouvernements, mais aussi des organisations criminelles et cela favorise l’instabilité », déclare-t-il à la RTS.

    Ces armes dangereuses prolifèrent au sein des gouvernements, mais aussi des organisations criminelles et cela favorise l’instabilité
    Uzi Rubin, chercheur à l’Institut d’études stratégiques de Jérusalem

    Israël n’est pas en reste. L’été dernier, le fabricant de drones de guerre israélien Xtend a adopté le logiciel développé initialement en Suisse, dans une version miniaturisée par la société américaine ModalAI. Xtend travaille pour l’armée israélienne et déploie ses drones dans le cadre des opérations militaires actuelles dans la bande de Gaza.

    Nouvel outil d’autopilotage
    Arrivé en Suisse en 2008 à la faveur d’une bourse décrochée à l’EPFZ, l’inventeur de ces outils, Lorenz Meier, les a depuis mis aux normes de l’armée américaine. Il a créé une nouvelle société, Auterion, établie à Zurich avec un siège aux Etats-Unis. Il développe un nouvel outil d’autopilotage pour les drones militaires américains d’observation. Le code éthique de l’entreprise exclut les contributions pour les drones armés.

    Lorenz Meier a décliné la proposition d’interview formulée par la RTS et répondu par l’entremise d’une porte-parole. Cette dernière reconnaît l’utilisation du logiciel à des fins militaires, mais rappelle qu’il est développé par des milliers de personnes dans le monde, du fait de son caractère open-source. Il s’agit, selon elle, « du plus grand écosystème de développeurs au monde, exploitant des robots autonomes. Des logiciels comme PX4 et Pixhawk sont largement utilisés pour permettre le transport et la livraison civile dans le monde entier ».

    De son côté, l’EPFZ n’a pas donné suite à la demande d’interview de la RTS avec son président et s’est exprimée en des termes similaires, notamment pour ce qui concerne l’impossibilité de contrôler des développements effectués en open-source. « Chaque fabricant de drones peut utiliser le code gratuitement et le personnaliser selon ses propres besoins, tout comme les fabricants de smartphones peuvent le faire avec Android », déclare une porte-parole dans un email. Concernant l’usage à des fins militaires, l’institution dit le regretter et n’avoir aucune prise en la matière. « Malheureusement, les avancées technologiques peuvent être utilisées non seulement à des fins positives, mais aussi potentiellement dans des contextes plus problématiques. »

    Une catégorie de matériels interdits d’exportations en Russie et en Ukraine
    Interpellé par la RTS, le Secrétariat d’Etat à l’économie fait savoir que ces dispositifs de commande « peuvent être considérés à première vue comme open source et librement disponibles. Ils ne sont pas soumis à des contrôles à l’exportation ».

    Cependant, le Seco précise qu’ils entrent dans la catégorie de matériels interdits d’exportation en Russie et en Ukraine, comme stipulé dans une ordonnance adoptée par le Conseil fédéral en mars 2022, après le début de l’invasion russe.

    Dans leur grande majorité, ces outils ne sont pas fabriqués en Suisse.

    #Suisse #EPF #EPFZ #scientifiques #chercheurs #drones #open_source #logiciel_libre #opensource #libre #autopilotage #logiciels_libres #Linux #software #guerre
     
    Source : https://www.rts.ch/info/suisse/2024/article/des-drones-tueurs-fonctionnent-avec-un-logiciel-d-origine-suisse-28482795.html

    • Les Suisses, ils sont toujours là « Booh, on vend des armes à l’étranger, c’est contraire à notre législation ». Mais ils le font depuis toujours, toujours avec des parades pour passer ce filtre : vente en pièces détachées, sans les armes incluses, pour un autre usage sur le papier...
      Soit ils reprennent ça en main, soit ils s’essuient le cul avec leurs conventions. Et qu’on mette à jour la neutralité suisse en fonction de la réalité.

      Vendre des Piranha et des Pilatus, ca redevient des armes, la plupart du temps sur le terrain.

  • De Science Po Paris à Harvard, les campus se mobilisent pour la Palestine
    Par MEE et agences | Jeudi 25 avril 2024 | Middle East Eye édition française
    https://www.middleeasteye.net/fr/actu-et-enquetes/de-science-po-paris-harvard-les-campus-se-mobilisent-pour-la-palestin


    Une étudiante regarde une rangée de soldats de l’État du Texas alors que des étudiants propalestiniens manifestent contre la guerre sur le campus de l’université du Texas à Austin, aux États-Unis, le 24 avril 2024 (Suzanne Cordeiro/AFP)

    « Science Po complice ! Israël assassin ! » C’est en scandant ce slogan que quelques dizaines d’étudiants de Science Po Paris ont évacué les locaux de l’école sur intervention des forces de l’ordre dans la nuit du mercredi 24 au jeudi 25 avril.

    Mercredi soir, « l’amphithéâtre extérieur du campus du 1 rue Saint-Thomas a été occupé par une soixantaine d’étudiants militant en faveur de la cause palestinienne, contribuant à un fort climat de tensions pour les étudiants, les enseignants et les salariés » de l’école, selon la direction qui a transmis un message à l’AFP.
    (...)
    Selon des témoignages recueillis par l’AFP mercredi soir, les étudiants rassemblés sur le site de la grande école parisienne réclamaient que Science Po « coupe ses liens avec les universités et les entreprises qui sont complices du génocide à Gaza » et « la fin de la répression à l’encontre des voix propalestiniennes sur le campus ».

    Ce sit-in s’est tenu alors que plusieurs universités américaines sont le lieu de mobilisations étudiantes avec en toile de fond la guerre que mène Israël à Gaza. (...)

    #Science_Po

  • RTS : L’inquiétude de la population qui vit sur le tracé du futur collisionneur du CERN

    À Genève et en France voisine, le projet gigantesque du nouvel accélérateur de particules du CERN, prévu pour 2045, fait débat. Actuellement à l’étude, son impact environnemental suscite déjà des craintes auprès de la population.

    La petite commune française de Charvonnex, située à 35 kilomètres au sud de Genève, est un lieu encore préservé : une route et, tout autour, des forêts et des champs.


    Ce tableau champêtre n’existera bientôt plus. La commune se situe en effet sur le tracé du futur collisionneur circulaire du CERN (FCC). C’est à cet endroit précis que prendra place l’un des huit sites de surface du FCC, d’une superficie de cinq hectares. Le tunnel, lui, sera creusé à 200 mètres de profondeur et mesurera 91 kilomètres.

    Une aberration écologique
    « C’est un territoire qui est déjà saturé par les travaux, la bétonnisation. On sent que les habitants en ont déjà marre, j’ai peur que le projet du CERN par dessus provoque une rébellion », peste Benjamin Joyeux, originaire de la commune de Fillinges, en Haute-Savoie.

    Alors qu’on demande aux habitants de faire un effort pour baisser leurs émissions de gaz à effet de serre, le projet du CERN vient ajouter des tonnes et des tonnes d’émissions de CO2
    Benjamin Joyeux, conseiller régional Auvergne-Rhône-Alpes 

    Le conseiller régional Auvergne-Rhône-Alpes craint les répercussions locales du projet, mais pas seulement. Membre du parti Les Écologistes, il estime que la consommation d’énergie et les émissions de CO2 qui découlent du futur FCC sont une aberration : « Alors qu’on demande aux habitants de faire un effort pour baisser leurs émissions de gaz à effet de serre, le projet du CERN vient ajouter des tonnes et des tonnes d’émissions de CO2. »

    Un projet à plusieurs tonnes de CO2
    La suite : https://www.rts.ch/info/regions/geneve/2024/article/l-inquietude-de-la-population-qui-vit-sur-le-trace-du-futur-collisionneur-du-cer

    #béton #cern #scientifiques #co2 #artificialisation des #sols #destruction #atomes #suisse #recherche

  • Le cumul des énergies
    https://laviedesidees.fr/Fressoz-Sans-transition

    L’historien J.B. Fressoz fournit la première enquête généalogique de la notion de #transition énergétique. Face aux discours qui remettent la « transition » toujours à plus tard, l’historien relève le défi politique inédit d’une sortie définitive des énergies fossiles.

    #Histoire #énergie #Sciences #changement_climatique
    https://laviedesidees.fr/IMG/pdf/20240422_fressoz.pdf

  • Vaccins anticancéreux tiennent à la personnalisation pour chaque cas.
    http://www.argotheme.com/organecyberpresse/spip.php?article4598

    Cette réactivation ciblée de l’immunité est appropriée à chaque cas de malade. Elle consiste à reconnaître les "néoantigènes" uniques d’un patient, puis à détecter et à détruire les cellules cancéreuses. Les cellules cancéreuses sont couvertes de protéines mutées qui sont appelées « néoantigènes », que l’on ne trouve pas sur les cellules saines. Les vaccins personnalisés contre le cancer entraînent la mobilisation du système de défense que recèlent les êtres. Sports / Santé

    / Sciences & Savoir, #médecine,_sciences,_technologie,_ADN,_vaccin,_médicaments,_découvertes, #Data_-_Données, #IA_:_Intelligence_Artificielle

    #Sports_/_Santé #Sciences_&_Savoir

  • Il corpo del Teatro, riflesso del reale
    https://resistenzeincirenaica.com/2024/04/20/il-corpo-del-teatro-riflesso-del-reale

    Opera MundiRigoletto Experientia Un #Film_Musicale di Paolo Fiore AngeliniCon #Raffaele_Abete, #Scilla_Cristiano, #Vladimir_Stoyanov Martedì 23 aprile 2024, ore 21, #CINEMA Jollyvia G. Marconi 14, BolognaAlla presenza del regista e del cast #Opera_Mundi prende spunto dalla messa in scena del Rigoletto di Giuseppe Verdi al Comunale di #Bologna per narrare la vita del... Continua a leggere

    #Annessioni_e_connessioni #Barbara_Francesca_Serofilli #Cristian_Poli #Lavinia_Turra #Paolo_Fiore_Angelini #Teatro_Comunale_di_Bologna


    https://1.gravatar.com/avatar/a58008e2faff908bf3bce3deda6cae65d83f56b910f14098523ef4fc18c7427a?s=96&d=

  • Pythagoras was wrong: there are no universal musical harmonies, study finds
    https://www.cam.ac.uk/research/news/pythagoras-was-wrong-there-are-no-universal-musical-harmonies-study-finds

    https://www.youtube.com/watch?v=gm2midoq-KQ

    Tom Almeroth-Williams - The tone and tuning of musical instruments has the power to manipulate our appreciation of harmony, new research shows. The findings challenge centuries of Western music theory and encourage greater experimentation with instruments from different cultures.

    “There are many more kinds of harmony out there.” Peter Harrison

    According to the Ancient Greek philosopher Pythagoras, ‘consonance’ – a pleasant-sounding combination of notes – is produced by special relationships between simple numbers such as 3 and 4. More recently, scholars have tried to find psychological explanations, but these ‘integer ratios’ are still credited with making a chord sound beautiful, and deviation from them is thought to make music ‘dissonant’, unpleasant sounding.

    But researchers from the University of Cambridge, Princeton and the Max Planck Institute for Empirical Aesthetics, have now discovered two key ways in which Pythagoras was wrong.

    Their study, published in Nature Communications, shows that in normal listening contexts, we do not actually prefer chords to be perfectly in these mathematical ratios.

    “We prefer slight amounts of deviation. We like a little imperfection because this gives life to the sounds, and that is attractive to us,” said co-author, Dr Peter Harrison, from Cambridge’s Faculty of Music and Director of its Centre for Music and Science.

    The researchers also found that the role played by these mathematical relationships disappears when you consider certain musical instruments that are less familiar to Western musicians, audiences and scholars. These instruments tend to be bells, gongs, types of xylophones and other kinds of pitched percussion instruments. In particular, they studied the ‘bonang’, an instrument from the Javanese gamelan built from a collection of small gongs.

    “When we use instruments like the bonang, Pythagoras’s special numbers go out the window and we encounter entirely new patterns of consonance and dissonance,” said Dr Harrison, a Fellow of Churchill College.

    “The shape of some percussion instruments means that when you hit them, and they resonate, their frequency components don’t respect those traditional mathematical relationships. That’s when we find interesting things happening.”

    “Western research has focused so much on familiar orchestral instruments, but other musical cultures use instruments that, because of their shape and physics, are what we would call ‘inharmonic’.

    The researchers created an online laboratory in which over 4,000 people from the US and South Korea participated in 23 behavioural experiments. Participants were played chords and invited to give each a numeric pleasantness rating or to use a slider to adjust particular notes in a chord to make it sound more pleasant. The experiments produced over 235,000 human judgments.

    The experiments explored musical chords from different perspectives. Some zoomed in on particular musical intervals and asked participants to judge whether they preferred them perfectly tuned, slightly sharp or slightly flat. The researchers were surprised to find a significant preference for slight imperfection, or ‘inharmonicity’. Other experiments explored harmony perception with Western and non-Western musical instruments, including the bonang.
    Instinctive appreciation of new kinds of harmony

    The researchers found that the bonang’s consonances mapped neatly onto the particular musical scale used in the Indonesian culture from which it comes. These consonances cannot be replicated on a Western piano, for instance, because they would fall between the cracks of the scale traditionally used.

    “Our findings challenge the traditional idea that harmony can only be one way, that chords have to reflect these mathematical relationships. We show that there are many more kinds of harmony out there, and that there are good reasons why other cultures developed them,” Dr Harrison said.

    Importantly, the study suggests that its participants – not trained musicians and unfamiliar with Javanese music – were able to appreciate the new consonances of the bonang’s tones instinctively.

    “Music creation is all about exploring the creative possibilities of a given set of qualities, for example, finding out what kinds of melodies can you play on a flute, or what kinds of sounds can you make with your mouth,” Harrison said.

    “Our findings suggest that if you use different instruments, you can unlock a whole new harmonic language that people intuitively appreciate, they don’t need to study it to appreciate it. A lot of experimental music in the last 100 years of Western classical music has been quite hard for listeners because it involves highly abstract structures that are hard to enjoy. In contrast, psychological findings like ours can help stimulate new music that listeners intuitively enjoy.”
    Exciting opportunities for musicians and producers

    Dr Harrison hopes that the research will encourage musicians to try out unfamiliar instruments and see if they offer new harmonies and open up new creative possibilities.
    ...

    #musique #musicologie #science #eurocentrisme #notatiin #harmonie #histoire

  • Dune 2 déjà leaké en mémoire d’EVO
    https://korben.info/dune-part-two-fuite-avance-sites-pirates-memoire-evo.html

    Dune : Partie 2, le blockbuster de science-fiction qui cartonne en ce moment au cinéma, vient de fuiter sur les sites de partage illégaux.

    Alors oui, ce genre de fuite, ça arrive plus souvent qu’on ne le croit puisque les films se font régulièrement récupérés directement depuis les plateformes de streaming pour être refourgués illico sur les réseaux de partage. Mais ici, ce qui est assez dingue, c’est qu’on parle d’une copie de très bonne qualité, récupérée visiblement d’une source web (WEBDL), qui débarque avant même que le film ne soit dispo en VOD ou en Blu-ray.

    https://torrentfreak.com/prolific-piracy-release-group-evo-goes-mysteriously-quiet-221128

    P2P release group EVO has built quite a reputation for being the first to release pirated copies of screeners and popular movies online. The group is well-known for its steady and prolific release schedule, but last Friday things went quiet. EVO’s mysterious absence fuels rumors of a potential bust, but nothing is confirmed thus far.

    #piratage #industrie_du_cinéma #Dune #P2P #bit_torrent