• L’affare CPR, un sistema che fa gola a detrimento dei diritti

    Sono 56 i milioni di euro previsti complessivamente, nel periodo 2021-2023, dagli appalti per affidare la gestione dei #Centri_di_Permanenza_per_il_Rimpatrio (CPR) ai soggetti privati. Costi da cui sono esclusi quelli relativi alla manutenzione delle strutture e del personale di polizia. Cifre che fanno della detenzione amministrativa una filiera molto remunerativa che, non a caso, ha attratto negli ultimi anni gli interessi economici di grandi multinazionali e cooperative. La privatizzazione della gestione è, infatti, uno degli aspetti più controversi di questa forma di detenzione senza reato e ne segna un ulteriore carattere di eccezionalità: il consentire che su quella privazione della libertà personale qualcuno possa trarne profitto.

    Ad illustrare questa situazione è la Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili (CILD), che questa mattina a Roma ha presentato un nuovo rapporto sul tema, intitolato “L’affare CPR. Il profitto sulla pelle delle persone migranti”, all’interno del quale grande attenzione è stata dedicata alle multinazionali #Gepsa e #ORS, alla società #Engel s.r.l. e alle Cooperative #Edeco-Ekene e #Badia_Grande che hanno contribuito, negli anni recenti, a fare la storia della detenzione amministrativa in Italia.

    Una storia tutt’altro che nobile fatta di sistematiche violazioni dei diritti delle persone detenute, con la possibilità per gli enti gestori di massimizzare -in maniera illegittima- i propri profitti anche a causa della totale assenza di controlli da parte delle pubbliche autorità. Nel Rapporto, infatti, si dà ampio spazio alla denuncia delle condizioni di detenzione che rischiano di configurarsi come inumane e degradanti e alla strutturale negazione dei diritti fondamentali dei detenuti. Il diritto alla salute, alla difesa, alla libertà di corrispondenza non sono, infatti, tutelati all’interno dei CPR: luoghi brutali che consentono ai privati di speculare sulla pelle dei reclusi, grazie anche alla totale assenza di vigilanza da parte del pubblico.

    “Da sempre questi centri – ha dichiarato Arturo Salerni, presidente di CILD – hanno rappresentato un buco nero per l’esercizio dei diritti da parte delle persone trattenute. Essi rappresentano un buco nero anche sotto il profilo delle modalità e dell’entità della spesa, a carico dell’erario, a fronte delle gravi carenze nella gestione e delle condizioni in cui si trovano a vivere i soggetti che incappano nelle maglie della detenzione amministrativa, ovvero della privazione della libertà in assenza di qualunque ipotesi di reato. Il proposito del governo di aumentarne il numero è il frutto di scelte dettate da un approccio tutto ideologico che non trova fondamento nell’analisi del fenomeno. L’esperienza degli ultimi 25 anni, a prescindere dalla gestione pubblica o privata dei centri, ci dice che bisogna guardare a forme alternative e non coercitive per affrontare la questione delle presenze irregolari sul territorio nazionale, che bisogna accompagnare le persone in percorsi di regolarizzazione e di emersione, cancellando l’obbrobrio della detenzione senza reato”.

    https://cild.eu/blog/2023/06/08/laffare-cpr-un-sistema-che-fa-gola-a-detrimento-dei-diritti

    Une #carte localisant les lieux de rétention administrative en Italie :


    #cartographie

    Pour télécharger le rapport :
    https://wp-buchineri.cild.eu/wp-content/uploads/2023/06/ReportCPR_2023.pdf

    #rapport #CPR #CILD #détention_administrative #rétention #business #privatisation #Italie #multinationales #coopératives #profits #droits_humains #CIE

    –—

    ajouté au fil de discussion sur la présence d’ORS en Italie :
    https://seenthis.net/messages/884112

    lui-même ajouté à la métaliste autour de #ORS, une #multinationale #suisse spécialisée dans l’ « #accueil » de demandeurs d’asile et #réfugiés :
    https://seenthis.net/messages/802341

    • “L’affar€ CPR”: un rapporto di CILD mette alla sbarra gli enti gestori

      Il profitto sulla pelle delle persone migranti

      Nel giugno scorso la Coalizione Italiana Libertà e Diritti civili (CILD) ha pubblicato un accurato rapporto dal titolo “L’affar€ CPR: il profitto sulla pelle delle persone migranti” 1, che analizza la gestione dei Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR) italiani da parte delle principali cooperative e imprese private che ne detengono o ne hanno detenuto l’appalto, vincendo i diversi bandi di gara istituiti dalle prefetture.

      Introdotta formalmente nel 1998 2 la detenzione amministrativa in Italia prevedeva inizialmente la facoltà per i questori, qualora non fosse possibile eseguire immediatamente l’espulsione delle persone extracomunitarie, di disporne il trattenimento per un massimo di 20 giorni (prorogabile di ulteriori 10) all’interno dei CPTA, Centri di Permanenza Temporanea e di Assistenza.

      Nel 2008 3, i CPTA diventano Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE), e, nel 2009 4, i termini massimi di trattenimento vengono estesi a 180 giorni, per poi venire portati a 18 mesi nel 2011 5. Nel 2017 6, la c.d legge Minniti-Orlando ha ulteriormente modificato la denominazione di tali centri, rinominandoli Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR). Infine, il decreto Lamorgese del 2020 ha emendato alcune disposizioni, riducendo i termini massimi di trattenimento a 90 giorni per cittadini stranieri il cui paese d’origine ha sottoscritto accordi in materia di rimpatri con l’Italia 7.

      Inizialmente, i CPTA erano gestiti dall’ente pubblico Croce Rossa Italiana, e già all’ora diverse organizzazioni della società civile avevano denunciato le pessime condizioni di trattenimento, l’inadeguatezza delle infrastrutture e il sovraffollamento. In seguito al “pacchetto sicurezza” varato dal Ministro Maroni nel 2008, la situazione si aggrava, con la progressiva tendenza dello Stato a cercare di contenere i costi il più possibile. Così, diverse cooperative iniziano a partecipare ai bandi di gara, proponendo offerte a ribasso ed estromettendo la Croce Rossa. Infine, dal 2014, non solo le cooperative ma anche grandi multinazionali che già gestiscono centri di trattenimento in tutta Europa, iniziano a presentarsi e vincere i diversi bandi per l’assegnazione della gestione dei CPR.

      Multinazionali che si aggiudicano gare d’appalto proponendo ribassi aggressivi, a totale discapito dei diritti umani delle persone trattenuti. L’esempio più lampante è l’assistenza sanitaria, in quanto nei CPR, non è il SSN ad esserne competente, bensì l’ente gestore. Infine, nel triennio 2021-2023, le prefetture competenti hanno bandito gare d’appalto per la gestione dei 10 CPR presenti in Italia, complessivamente, per 56 milioni di euro, da sommare al costo del personale di polizia e la manutenzione delle strutture.

      Tra le principali imprese messe alla sbarra dal Report di CILD ci sono:

      Gruppo ORS (Organisation for Refugees Services). Multinazionale con sede a Zurigo, gestisce oltre 100 strutture di accoglienza e detenzione tra Svizzera, Austria, Germania e Italia. Sebbene risulti iscritta nel registro delle imprese dal 2018, ha iniziato la sua attività economica in Italia solo nel 2020. Nel 2019, si aggiudica l’appalto per la gestione del CPR di Macomer, in Sardegna (sebbene risultasse ancora “inattiva”). Nel 2020, gestisce il Cas di Monastir (Sardegna), due centri d’accoglienza a Bologna nel 2021, alcuni Cas a Milano, il CPR di Roma (Ponte Galeria) e quello di Torino.

      Nel centro di Macomer, personale medico ha denunciato l’assenza di interventi da parte delle autorità competenti in seguito a diversi episodi che hanno visto i trattenuti mettere a rischio la propria sicurezza. Inoltre, a più riprese è stata riportata l’impossibilità di effettuare ispezioni all’interno del centro da parte del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale. Infine, un’avvocata che seguiva diversi clienti trattenuti, ha denunciato la sporcizia e l’inadeguatezza delle visite mediche di idoneità, che ha portato, tra l’altro, al trattenimento di soggetti affetti da gravi forme di diabete e soggetti sottoposti a terapia scalare con metadone, condizioni incompatibili con la detenzione amministrativa.

      Nel CPR di Roma è stata più volte denunciata l’insufficienza di personale, l’inadeguatezza dei locali di trattenimento (per esempio, l’assenza di luce naturale) e l’assenza della possibilità, per le persone recluse, di svolgere qualsiasi attività ricreativa. Anche a Torino, la delegazione CILD in visita ha riportato l’illegittimo trattenimento di persone soggette a terapia scalare con metadone, alto tasso di autolesionismo e abuso di psicofarmaci e tranquillanti somministrati.

      Cooperativa EKENE. Cooperativa sociale padovana che nel corso degli ultimi 10 anni ha spesso cambiato nome (nata come Ecofficina, poi Edeco 8 e infine Ekene), in quanto spesso al centro di inchieste giornalistiche, interrogazioni parlamentari e procedimenti giudiziari legati ad una cattiva gestione di alcuni centri d’accoglienza, come lo SPRAR di Due Carrare (Padova), dove la Procura di Padova aveva aperto un’indagine per truffa e falso in atto pubblico, tramutatasi in una maxi indagine estesasi ad alcuni vertici della Prefettura di Padova, per gare truccate e rivelazioni di segreto d’ufficio.

      Nel 2016, diversi giornalisti e ricercatori avevano ripetutamente denunciato il sovraffollamento e la malnutrizione di diversi centri in gestione alla cooperativa, come l’ex Caserma Prandina, il centro di Bagnoli e Cona (VE), dove, nel 2017, la donna venticinquenne Sandrine Bakayoko è morta per una trombosi polmonare, quando all’interno del centro erano ospitate più di 1.300 persone, in una situazione di sovraffollamento e forte carenza di personale. Nel 2016, è stata espulsa da Confcooperative Veneto, con l’accusa di gestire l’accoglienza seguendo un modello che guardava al business a discapito della qualità dei servizi.

      Tuttavia, nel 2019 si aggiudica l’appalto del CPR di Gradisca d’Isonzo, a Gorizia in FVG, un appalto da circa 5 milioni di euro per un anno, attualmente in proroga tecnica. Dalla riapertura nel 2019, il CPR di Gradisca è quello dove si sono verificati più decessi. Dal 2019, quattro persone sono decedute, due per complicazioni in seguito all’abuso di farmaci, e due suicidi. Ciò mette in risalto la malagestione delle visite di idoneità all’ingresso, nonché l’inadeguatezza delle condizioni di trattenimento. Inoltre, diversi avvocati hanno denunciato la difficoltà nello svolgere colloqui coi trattenuti, e come le persone trattenute non venissero nemmeno informate del diritto a fare domanda d’asilo una volta entrate in Italia.
      Nel dicembre 2021 Ekene si aggiudica anche la gestione del CPR di Macomer.

      ENGEL ITALIA S.R.L. Società costituita nel 2012 con sede legale a Salerno. Nata come ente gestore nel settore alberghiero, presto inizia ad occuparsi di strutture d’accoglienza per persone richiedenti asilo nella zona di Capaccio-Paestum. Sebbene sia una società fallibile dal 2020, è riuscita ad ottenere la gestione del CPR di Palazzo San Gervasio (Basilicata) e Via Corelli (Milano), grazie alla cessione di un ramo dell’azienda ad una società terza, Martinina s.r.l, con la stessa persona come amministratrice unica.

      Già nel 2014, Engel era stata al centro della cronaca per la discutibile gestione del centro di accoglienza di Capaccio-Paestum, dove agli ospiti non venivano erogati beni di prima necessità come cibo e vestiti. Era stata denunciata anche l’assenza di corsi d’italiano e l’irregolarità nell’erogazione del pocket money. Inoltre, molti ospiti avevano denunciato abusi e maltrattamenti all’interno del centro.

      Nel 2018 Engel si aggiudica l’appalto del CPR di Palazzo San Gervasio, con un ribasso sul prezzo d’asta del 28,60%, che ha gestito fino al marzo 2023. Fin da subito, il Garante nazionale per le persone private della libertà, in seguito ad una visita al centro, ne aveva denunciato le pessime condizioni: assenza di locali comuni, trattenuti costretti a consumare i pasti in piedi, e la presenza di solo tre docce comuni. Gli ambienti di pernotto, privi di un sistema di isolamento, risultavano caldissimi d’estate e molto freddi d’inverno.

      Sebbene il centro sia stato chiuso a metà del 2020 per lavori e riaperto a febbraio 2021, secondo CILD le condizioni continuerebbero ad essere critiche. Continua a mancare un locale mensa, e in stanze da 25mq sono ospitate fino ad 8 persone. Inoltre, anche per Palazzo San Gervasio è stata denunciata l’inadeguatezza delle visite di idoneità al trattenimento e la difficoltà per i trattenuti di avere accesso alla corrispondenza coi propri avvocati.

      Anche nel CPR di Milano, per il quale Engel ha ottenuto l’appalto nel 2021 e nel 2022, sono state denunciate le terribili condizioni dei locali, e l’incredibile numero di gabbie e reti di ferro, che danno l’impressione di isolamento estremo, non solo dall’esterno ma anche dal personale all’interno del centro. Anche il cibo e i letterecci erogati risultano di pessima qualità.

      GEPSA. Multinazionale francese che dal 2011 inizia ad investire in Italia nel campo dell’accoglienza, si aggiudica diversi appalti proponendo una strategia aggressiva, con un ribasso sulle basi d’asta dal 20% al 30%. Dal 2014 al 2017 gestisce il CIE di Ponte Galeria, dal 2014 al 2017 il CIE di Milano e dal 2015 al 2022 il CIE di Torino. Dal 2011 al 2014 avrebbe dovuto gestire anche il CIE e CARA di Gradisca d’Isonzo, ma l’aggiudicazione è stata annullata dal TAR del Friuli-Venezia Giulia per la mancanza di requisiti adeguati delle imprese facenti parti della rete.

      Del CPR di Torino, era stata denunciata l’eccessiva militarizzazione e la carenza di personale civile, nonché l’assenza di relazioni tra trattenuti ed operatori, che non entravano quasi mai nelle aree di detenzione. In particolare, Il Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura, in seguito ad una visita al centro, aveva denunciato come i trattenuti fossero costantemente sorvegliati da personale militare, che stavano letteralmente in mezzo tra trattenuti ed operatori, con funzioni di sorveglianza, ma senza interagire coi primi. Sempre nel CIE di Torino, sono stati riportati numerosi casi di malasanità, assenza di personale medico e la presenza di locali per l’isolamento dei trattenuti, che, secondo ASGI, poteva protrarsi fino a 5 mesi, in maniera del tutto arbitraria e illegittima.
      Durante gli anni della gestione Gepsa, nel CPR di Torino si sono verificate due morti e numerosi casi di autolesionismo e rivolta.

      BADIA GRANDE. Cooperativa sociale fondata nel febbraio 2007, con sede legale a Trapani, e presto si impone come colosso nel settore dell’accoglienza migranti nel Sud d’Italia, vincendo numerose gare d’appalto, soprattutto nel siciliano. Dal 2018 al 2022 gestisce il CPR di Bari-Palese e dal 2019 al 2020 quello di Trapani Milo. Nel 2021, diverse fonti giornalistiche denunciano la mala gestione del CPR di Bari, e diverse personalità dipendenti della cooperativa vengono rinviate a giudizio per casi di frode nell’esecuzione del contratto d’affidamento, in particolare nell’assistenza sanitaria e le misure di sicurezza sul lavoro.

      Anche per la gestione del CPR di Trapani la cooperativa viene indagata per frode nelle pubbliche forniture e truffa. Inoltre, in una visita nel 2019, il Garante nazionale riscontra l’assenza di vetri in molte finestre, assenza di porte e separatori che garantiscano la privacy nell’accesso ai servizi igienici, e l’assenza di locali per il consumo dei pasti, che i trattenuti sono obbligati a consumare sui letti o in piedi.

      Il rapporto si conclude con un’accurata riflessione sull’istituto della detenzione amministrativa, e su come ciò si sia dimostrata terreno fertile per “una pericolosissima extraterritorialità giuridica”, in cui non trovano applicazione neanche quei principi costituzionali che dovrebbero considerarsi inderogabili”. Infine, CILD sostiene che, sebbene la detenzione amministrativa abbia progressivamente creato un sistema che consente ad enti privati di “fare profitto sulla pelle delle persone detenute”, la soluzione non sarebbe la gestione dei CPR da parte del settore pubblico, bensì il superamento del sistema della detenzione amministrativa, da collocare in un quadro più ampio di gestione del fenomeno migratorio attraverso politiche più aperte verso la regolarizzazione degli ingressi, per motivi di lavoro, familiari o di protezione internazionale.

      https://www.meltingpot.org/2023/08/laffare-cpr-un-rapporto-di-cild-mette-alla-sbarra-gli-enti-gestori

    • Le prefetture non controllano i Cpr. Inchiesta su appalti e gestione

      Dall’esame delle offerte di gara presentate da diversi enti gestori dei centri per il rimpatrio emergono carte false o promesse inverosimili. Da Nord a Sud, il monitoraggio pubblico latita. Mentre si vuole esportare il modello in Albania.

      Protocolli falsi o palesemente inverosimili negli appalti milionari indetti dalle prefetture per la gestione dei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr). Dai corsi di chitarra e computer al bricolage fino ai gruppi di lettura: sono alcune delle promesse irrealizzabili che gli enti gestori di alcuni Cpr italiani hanno indicato nero su bianco per aggiudicarsi le gare pubbliche. Con il benestare (e il mancato controllo) prefettizio.

      “Un quadro estremamente preoccupante considerando che questi appalti intaccano diritti fondamentali delle persone”, spiega la professoressa Nicoletta Parisi, ex membro dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) che ha analizzato i documenti inediti ottenuti tramite accesso civico da Altreconomia. Per il Governo Meloni, invece, un modello da replicare anche in Albania. A #Gjader, stando agli annunci del governo, entro il 20 maggio sarà operativo un Cpr da 144 posti.

      Emblematico è il caso di Ekene, ente che gestisce i Cpr di #Macomer (NU) e #Gradisca_d’Isonzo (GO). Nell’offerta tecnica – quel documento in cui si illustra come verrà gestito il centro- presentata il 18 novembre 2019 per la struttura friulana, la cooperativa promette di realizzare spettacoli, attività di bricolage e pittura per gli “ospiti”. Offre la “presenza di console per videogiochi” e di “interazione con la comunità dei gamer” con la possibilità di incontri alla “fiera dell’elettronica di Pordenone”. E poi gruppi di lettura e cineforum organizzati con l’assessorato alla Cultura di Gradisca che avrebbe dovuto anche favorire l’esposizione delle “tele dipinte a mano dagli ospiti”.

      “Ekene ci aveva contattato per collaborare su un’altra struttura del territorio e noi non avevamo assentito -spiega la sindaca, Linda Tomasinsig-. Non ci hanno mai scritto per il Cpr né poi contattato per realizzare queste attività”. Ma proprio sull’efficienza “degli accordi con soggetti istituzionali volti alla realizzazione di iniziative ricreative, sociali e religiose”, si legge nei documenti di gara, la cooperativa ha ottenuto il punteggio più alto tra i concorrenti.

      Ekene, che non ha risposto alle nostre richieste di chiarimento, gestisce il centro di Gradisca dal 18 novembre 2019 e oggi è alla terza “proroga tecnica”: la nuova gara d’appalto è ancora aperta dal 22 febbraio 2022. Intanto, dal gennaio 2020 a oggi, nella struttura sono morte quattro persone. La prefettura scrive ad Altreconomia di aver svolto una sola ispezione a inizio febbraio 2023. Il risultato? “Gli esiti non sono tutt’oggi ancora consolidati in un documento finale”. Anche in Sardegna i controlli sono pochi.

      La prima ispezione della prefettura di Nuoro nel Cpr di #Macomer è del 23 febbraio 2023, a tre anni dalla sua apertura. A quell’accesso ne è seguito solo un altro, il 17 gennaio 2024: nel verbale si dà conto dello svolgimento nel centro di attività ricreativa e dell’utilizzo di “colori a tempera, ‘das’ e palloni”. “Da quanto ho visto non succede niente di tutto questo”, spiega la deputata di Alleanza Verdi-Sinistra Francesca Ghirra, che a fine marzo di quest’anno ha visitato la struttura con l’associazione Naga e la rete Mai più lager-No ai Cpr. La prefettura elenca tra le attività svolte anche “esami universitari con Uni Sassari”. L’ateneo ha scritto ad Altreconomia di non avere avuto alcun contatto con la struttura.

      La cooperativa Ekene promette però nell’offerta tecnica corsi di formazione oltre che “attività ludico-ricreative e laboratoriali” e presenta protocolli siglati con quattro associazioni per realizzarle. La prima è la “#World_Promus” di Catania, con un codice fiscale che risulta inesistente. E poi altri tre enti con sede però nel padovano: #Tuendelee (molto vicina alla stessa Ekene), l’#International_online_university e l’associazione #Spes, con il compito di fare una presunta informativa sui rimpatri volontari. Quella che dovrebbe essere la rappresentante legale (Spes non compare in nessuno dei diversi elenchi di associazioni consultati online) dichiara di non aver mai svolto attività nella struttura.

      Nell’offerta tecnica di Macomer lo stretto legame con Padova e il Cpr di Gradisca è forte. Quasi tutto il personale individuato per essere operativo nella struttura sarda risulterebbe infatti residente in Veneto. E alcuni nomi tornano in entrambi documenti presentati da Ekene sia a #Nuoro sia a #Gorizia nel 2019: quelli del medico e del responsabile del magazzino. Che è #Roberto_La_Rosa, rinviato a giudizio per omicidio colposo insieme all’ex rappresentante legale di Ekene #Simone_Borile, a seguito della morte di #Vakhtang_Enukidze, avvenuta nel Cpr friulano il 18 gennaio 2020.

      Il ministro dell’Interno #Matteo_Piantedosi ha dichiarato il 19 febbraio 2024 che ci sono “sistemi di monitoraggio continui rispetto alle condizioni basilari di vita nei Cpr” e che “il richiedente asilo non è previsto che sia trattenuto all’interno delle strutture”. Secondo i dati forniti ad Altreconomia dallo stesso ministero dell’Interno, invece, sono 256 i richiedenti protezione internazionale reclusi tra gennaio 2023 e febbraio 2024.

      Anche i nomi delle aziende individuate per fornire i pasti ritornano in entrambe le offerte tecniche: contattate da Altreconomia, però, hanno spiegato che non coprono la Sardegna o non hanno forniture attive a Macomer. La #Vi&Vi Srl, addirittura, è fallita a inizio 2022. “Questa distanza geografica rilevabile dagli atti -spiega Maria Teresa Brocchetto, avvocata amministrativista e socia dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi)- così come l’impossibilità materiale della prestazione offerta sollevano gravi dubbi sull’effettiva capacità di controllo di ciò che avviene nel centro sardo, sulla qualità delle forniture e sulle connesse responsabilità”.

      Spostandosi a #Bari, invece, l’ente #La_Mano_di_Francesco_Ets, con sede a Favara (AG), scrive nell’offerta tecnica che “per le peculiarità che caratterizzano il Cpr” sono stati coinvolti “enti selezionati con cura per la loro serietà ed affidabilità”. Su 14 protocolli presentati alla prefettura, dieci riguardano associazioni che operano a quasi 700 chilometri da Bari, soprattutto nell’agrigentino, dove si trova la ha sede dell’ente gestore.

      Uno prevede lo sviluppo di “attività riparative a favore della collettività”, sottoscritto con l’Ufficio per l’esecuzione penale esterna del ministero della Giustizia. E poi c’è l’azienda #Cyan_Developer di Taranto per corsi di computer. “Non conosco l’ente gestore e non ho firmato protocolli”, dichiara il titolare #Angelo_Cimino. Altreconomia non ha potuto verificare la veridicità degli altri accordi perché la prefettura ha inviato solo i quattro “ritenuti pertinenti al servizio oggetto di gara”.

      “La stazione appaltante non può selezionare solo alcuni elementi dell’offerta tecnica perché è come se la modificasse -sottolinea Parisi, ex membro dell’Anac-. Se uno fosse effettivamente falso, non si può escludere che l’intera offerta diventi inammissibile”. Anche la pertinenza di quelli che abbiamo potuto consultare è problematica.

      Il primo è semplicemente la ricevuta dell’invio della pec con la quale #La_Mano_di_Francesco aveva richiesto la collaborazione dell’Asl (che ci ha confermato di non aver siglato alcun accordo), il secondo riguarda l’#Efal_Salento per “attività di formazione e aggiornamento professionale”. L’accordo è a firma dell’ex presidente #Gregorio_Dell’Anna, ma #Sandro_Renis, che ricopre la carica da fine febbraio 2023, dichiara ad Altreconomia di essere all’oscuro di tutto.

      Una terza associazione, #Anas_Puglia, avrebbe dovuto realizzare attività “di promozione di politiche dell’immigrazione”. Il referente #Luigi_Favia dichiara che non è mai entrato nel Cpr. Infine, “#Avetrana_Soccorso” doveva svolgere “attività di trasporto sanitario”. Ma la sede dell’associazione è in provincia di Taranto, a quasi due ore d’auto da Bari. Dell’unica ispezione della prefettura nel centro dall’insediamento del nuovo gestore, avvenuto il 6 novembre 2023, “gli esiti sono ancora in via di definizione”.

      Nel Cpr di Trapani, dove per la Corte europea dei diritti dell’uomo le condizioni di vita sono “degradanti”, la prefettura ha svolto una sola visita ispettiva il 29 agosto 2023

      A Trapani, invece, #Consorzio_Hera e #Vivere_Con, attuali enti gestori del Cpr, hanno allegato più di 50 protocolli all’offerta tecnica, esaminati da Altreconomia insieme all’Asgi e alla Clinica legale migrazioni e diritti dell’Università di Palermo. Sono previste attività sportive “per eliminare le barriere di genere e la segregazione dei migranti trattenuti” aumentando “autopercezione e immagine di sé” ma almeno due accordi presenterebbero date incompatibili con le sottoscrizioni: quello siglato nel 2021 con l’#Asd_Pallavolo ‘95 Mazara del Vallo porta la firma di un presidente che si era dimesso tre anni prima. Idem, da riscontri online, sull’Asd Mazara calcio.

      Altri protocolli, invece, siglati per attività in Cas e Sprar sono stati usati anche per il Cpr. “Un aspetto che la prefettura avrebbe dovuto verificare in sede di gara”, sottolinea Parisi. Un problema che ritorna anche con le attività ludiche. Viene previsto un corso di chitarra acustica per “24 incontri dalla durata di un’ora e mezza circa” ma l’unica associazione, tra quelle firmatarie dei protocolli, che li prevede espressamente è “#L’arrotino_e_l’ombrellaio”: nell’accordo non si cita il Cpr e il rappresentante conferma di non esserci mai entrato.

      Le ispezioni svolte in nove Cpr, secondo quanto riferito dalle prefetture, sono state 33. Il 30% a Palazzo San Gervasio (11 nel periodo 2019-2024), a seguire Milano (sei tra il 2020 e il 2023), Bari (sei tra il 2022 e il 2023), Roma (tre, 2022-agosto 2023). Due a Macomer (2020-2024) e Caltanissetta (2023). Solo una a Brindisi (2023-2024), Trapani e Gradisca d’Isonzo (non specificato il periodo). Di queste, sono stati inviati ad Altreconomia e Asgi 24 verbali

      Lo stesso vale per l’assistenza religiosa: suor #Alessandra_Martin è la direttrice dell’associazione #Casa_della_Comunità_Speranza, che compare in uno dei protocolli (senza data): “Sono la presidente da sei anni e non ho mai visto quel documento -spiega-. Il paradosso è che nel 2023 ho chiesto per due volte alla prefettura di entrare nel Cpr senza poterlo fare”.

      Ancor più eclatante l’accordo con la #Parrocchia_Maria_SS_Ausiliatrice di Trapani: il parroco, monsignor #Antonino_Adragna, sarebbe andato in pensione cinque mesi prima della firma avvenuta nel dicembre 2021. Gli enti gestori non hanno risposto alle nostre richieste relative a quali attività si svolgano nel centro. Nel Cpr in cui le condizioni di vita erano “degradanti” -parole dei giudici della Corte europea dei diritti dell’uomo dello scorso 7 febbraio- la prefettura ha svolto una sola visita ispettiva il 29 agosto 2023.

      Dal Cpr di Trapani è stato trasferito in quello di Roma #Ousmane_Sylla, 22enne guineano morto suicida il 5 febbraio 2024. Il centro è gestito da #Ors_Italia Srl che, per la mancata applicazione delle attività previste dai protocolli, è stata multata di 23mila euro dalla prefettura a seguito di un’ispezione del 16 novembre 2023.

      Un sistema che fa acqua da tutte le parti. Con la propaganda governativa che si scioglie di fronte ai numeri: a gennaio 2024 sono appena 462 le persone transitate nei Cpr (a gennaio 2023 erano stati 559). Quasi il 50% è di origine tunisina. Impressionante: benché nei centri l’anno scorso siano transitate persone di 45 cittadinanze e i tunisini rappresentino poco più del 10% degli sbarchi del 2023, una persona trattenuta su due proviene dalla Tunisia -spiega l’avvocato Maurizio Veglio-. Sempre di più lo Stato bersaglio delle politiche repressive e liberticide dell’Italia”.

      Non ci sono stati inviati i documenti relativi alle gare di #Brindisi e #Palazzo_San_Gervasio (PZ). I rispettivi enti gestori - #Consorzio_Hera (già analizzata su Trapani) e #Officine_Sociali (in gara anche a #Gorizia in cordata con #Martinina_Srl, sotto indagine per la gestione dei Cpr di #Potenza e #Milano, di cui a metà aprile è stata annunciata la temporanea chiusura)- ritengono che l’invio possa ledere il know how aziendale. “Stiamo predisponendo il ricorso al Tar per ottenerli -spiega l’avvocato Nicola Datena-. Visto il quadro preoccupante, la trasparenza è il minimo”. Le due cooperative sono ancora in gara, a metà aprile, per aggiudicarsi gli oltre 150 milioni di euro per la gestione dei centri in Albania. Vite in appalto, senza controllo, anche oltre il mar Adriatico.

      https://altreconomia.it/le-prefetture-non-controllano-i-cpr-inchiesta-su-appalti-e-gestione

      #sous-traitance #statistiques #2024

  • #Bois contre #mercenaires russes : comment la #Centrafrique a bradé une #forêt au groupe #Wagner

    Depuis 2021, #Bois_Rouge, une entreprise liée au groupe militaire privé Wagner, bras armé officieux du Kremlin, exploite une forêt à l’ouest de la Centrafrique. Elle bénéficie d’un étonnant traitement de faveur de la part des autorités, et œuvre parfois au mépris de la loi.

    À Bangui, « influence étrangère » a longtemps rimé avec France. La capitale de la Centrafrique, pays indépendant depuis 1960, a gardé des traces tenaces de l’ancien colonisateur français : avenue de France, rues du Poitou et du Languedoc, lycée français Charles-de-Gaulle, stations-service Total, bières Castel et coopérants français en pagaille.

    Depuis quelques années, le vent a tourné. Il vient désormais de l’Est. Dans les rues de Bangui, de larges panneaux vantent la coopération russo-centrafricaine. Un #centre_culturel russe a ouvert, dans lequel sont dispensés gratuitement des cours de langue. La boisson à la mode est une #vodka du nom de #Wa_na_wa, supposée donner à ses consommateurs « les secrets du pouvoir russe » et une « santé sibérienne ». Moscou fait don de blindés, de trampolines et de cahiers pour enfants, sponsorise des radios et des concours de beauté.

    Surtout, les hommages aux #mercenaires de Wagner sont partout. Les premiers employés de cette société militaire privée sans existence légale, considérée comme le bras armé officieux du Kremlin, sont officiellement arrivés dans la capitale centrafricaine début 2018, un peu plus d’un an après le retrait de l’opération française #Sangaris. Il s’agissait alors de former et d’accompagner sur le terrain les militaires centrafricains, aux prises avec des groupes armés irréguliers.

    Quatre ans plus tard, les « #conseillers_russes », comme on les surnomme pudiquement, ont des statues et des films à leur gloire. Des ministres portent des tee-shirts à leur effigie et des membres d’associations financées par Moscou chantent leurs louanges lors de manifestations.

    La présence de Wagner sur le continent africain (au Mali, en Libye, au Soudan ou au Mozambique) est désormais largement documentée, de même que les exactions dont certains de ces mercenaires se sont rendus coupables. Des rapports d’ONG, d’agences et de groupes d’experts onusiens ainsi que des enquêtes journalistiques en font état. Ces violations des droits humains ont conduit l’Union européenne à mettre en place, en décembre 2021, des #sanctions visant Wagner et ses dirigeants (voir la liste ici).

    Mais d’autres aspects de cette présence restent méconnus, en particulier les #accords industriels et financiers signés entre les sociétés de la galaxie Wagner et les États où le groupe intervient.

    Une enquête de trois mois, menée par Mediapart, le réseau de médias European Investigative Collaborations (EIC) et l’ONG OpenFacto (à travers son projet « All Eyes on Wagner »), révèle comment une société liée à Wagner, Bois Rouge, a obtenu en 2021 une juteuse #exploitation_forestière en République centrafricaine, dans des conditions très avantageuses, qu’aucune autre société forestière n’avait obtenues.

    Notre enquête montre que la société Bois Rouge, officiellement centrafricaine, est dans les faits étroitement liée aux intérêts russes dans le pays, plus précisément au réseau d’affaires d’#Evgueni_Prigozhin, financier du groupe Wagner. Les autorités, dépendantes de Wagner pour assurer leur sécurité, ont bradé une partie de leurs #ressources_naturelles en autorisant Bois Rouge à exploiter la forêt de manière intensive, quasiment sans payer d’impôts, et parfois au mépris de la loi. Malgré ce traitement de faveur, Bois Rouge n’a pas respecté tous ses engagements vis-à-vis de l’État centrafricain.

    Interrogée, la gérante de Bois Rouge assure que la société « respect[e] pleinement les exigences et les règles en vigueur ». Également contactée, la présidence centrafricaine n’a pas souhaité nous répondre, estimant qu’elle n’avait « pas à justifier et à prouver quoi que ce soit ».

    Alors que plusieurs pays européens importent du bois centrafricain, notre enquête pose aussi la question de sa #traçabilité. Si les sanctions européennes visant le groupe Wagner et son financier Evgueni #Prigozhin devraient théoriquement rendre impossible l’importation de « #bois_Wagner » sur le sol européen, la faiblesse des contrôles existants ne permet pas de garantir que cette interdiction soit correctement appliquée.

    « Bois Rouge », société centrafricaine en apparence, russe dans les faits

    La République centrafricaine (RCA) est un pays riche de ses forêts. En 2021, le bois était le principal bien d’exportation du pays, loin devant les diamants. Il est exploité par seulement une douzaine d’entreprises.

    Le 9 février 2021, un nouvel acteur fait son entrée dans ce milieu très fermé. Une société jusqu’alors inconnue, Bois Rouge, remporte un appel d’offres lancé cinq mois plus tôt par le gouvernement centrafricain. Elle obtient, dans la région de la #Lobaye, au sud-ouest du pays, le droit d’exploiter une forêt de 186 000 hectares, riche de gorilles, léopards et éléphants.

    La parcelle appartenait jusqu’alors aux #Industries_forestières_de_Batalimo (#IFB), la plus ancienne des sociétés forestières de Centrafrique, à capitaux français. Le 18 juillet 2019, le permis est retiré à IFB et repris par l’État, dans des conditions contestées : selon nos informations, IFB a introduit un recours devant le Conseil d’État centrafricain. La société n’a pas souhaité commenter tant que la procédure judiciaire est en cours.

    Début 2021, la forêt passe donc sous le contrôle de Bois Rouge. L’entreprise se décrivait sur son site internet, mystérieusement fermé cette année, comme « l’une des plus grandes entreprises africaines de bois », se présentant ainsi comme une société 100 % centrafricaine. Elle est, de fait, immatriculée au registre du commerce depuis mars 2019 et dirigée par une ressortissante du pays, #Anastasie_Naneth_Yakoïma.

    Mais il s’agit en réalité d’un paravent des intérêts russes en Centrafrique. « Tout le monde sait qu’il s’agit d’une société fabriquée de toutes pièces par les Russes », confie un acteur du secteur. Plusieurs éléments matériels viennent l’étayer.

    En octobre 2019, sept mois après sa création à Bangui, Bois Rouge est présente à un forum d’industriels du bois à Shanghai. La société figure sous le même nom et à la même adresse que ceux renseignés au registre du commerce centrafricain… mais elle est classée parmi les participants russes. Bois Rouge n’est pas représentée par sa directrice, Anastasie Naneth Yakoïma, mais par un responsable des ventes dénommé #Artem_Tolmachev. Et l’une des deux adresses e-mail de contact de l’entreprise est hébergée par un service de messagerie russe, mail.ru.

    Les liens de Bois Rouge avec la Russie sont confirmés par ses activités sur le terrain. Des photos datées de novembre 2021 prises dans la concession, que l’EIC et OpenFacto ont obtenues, montrent plusieurs hommes blancs aux côtés d’employés centrafricains, ainsi que des camions et des boîtes de médicaments de marque russe et une porte sur laquelle « centre médical » est écrit en russe.

    Interrogée sur ses liens avec la Russie (ainsi que sur l’ensemble des informations contenues dans cet article), la gérante de Bois Rouge, Anastasie Naneth Yakoïma, fait simplement savoir que sa société « exerce son activité tout en respectant pleinement les exigences des normes et les règles en vigueur ». Elle ne souhaite pas répondre à nos questions, estimant que cela reviendrait à diffuser des « données confidentielles » sur l’entreprise.

    Sur la trace de Wagner : camouflages « #MultiCam » et sociétés de la galaxie Prigozhin

    D’autres éléments plus précis confirment que Bois Rouge n’est pas simplement liée à des entrepreneurs russes, mais bien à un réseau spécifique : celui d’Evgueni Prigozhin – homme d’affaires proche de Vladimir Poutine – et du groupe Wagner, dont il est soupçonné d’être le financier et le dirigeant.

    Le groupe Wagner n’a pas d’existence légale ; aucune entreprise ne porte officiellement ce nom. Il désigne le groupe de #mercenaires et, par extension, la galaxie de sociétés contrôlées par Evgueni Prigozhin qui opèrent dans les zones où ces mercenaires sont déployés – qu’elles soient actives dans l’extraction de ressources naturelles ou la #propagande en ligne. Evgueni Prigozhin est déjà présent en RCA via plusieurs entreprises, dont #Lobaye_Invest et #M-Finans, sous sanctions américaines depuis septembre 2020.

    Le premier élément reliant Bois Rouge à Wagner est chronologique : l’attribution de la concession dans la préfecture de la Lobaye coïncide avec l’arrivée des #mercenaires_russes dans la région. Selon nos informations, le gouvernement centrafricain a attribué l’ancienne parcelle d’IFB à Bois Rouge le 9 février 2021, soit seulement quinze jours après la reprise de #Boda, la principale ville de la région, par l’armée centrafricaine et les hommes de Wagner. Boda était auparavant contrôlée par une coalition de groupes armés, la #CPC.

    Les liens entre Bois Rouge et la galaxie Wagner/Prigozhin sont également d’ordre financier. Les données issues des bordereaux de chargements (« bill of lading ») de marchandises destinées à Bois Rouge, que l’EIC et OpenFacto ont consultées, démontrent que la société achète du matériel à #Broker_Expert_LLC, une société basée à Saint-Pétersbourg.

    Or, #Broker_Expert fournit d’autres entités du réseau Wagner/Prigozhin, parmi lesquelles l’entreprise minière #Meroe_Gold, active au #Soudan, décrite par le Trésor américain comme une filiale du groupe d’Evgueni Prigozhin.

    L’ONG Dossier Center (de l’opposant russe Mikhaïl Khodorkovski), dont trois journalistes ont été assassinés en Centrafrique en juillet 2018 alors qu’ils enquêtaient sur les activités de Wagner dans le pays, liste également Broker Expert en tant qu’« entreprise affiliée à Prigozhin ». Ce lien est confirmé par des éléments matériels, tels qu’un numéro de téléphone utilisé à la fois par Broker Expert et par des sociétés de la famille Prigozhin : #Concord LLC, dont Evgeny Prigozhin est le bénéficiaire économique ; ou encore #Soinvest LLC, dirigée par son épouse #Liubov_Prigozhina.

    Nous avons identifié vingt-huit transactions entre Bois Rouge et Broker Expert rien qu’en novembre et décembre 2021. En deux mois, l’exploitant forestier a importé via Broker Expert un tracteur, des matériaux de construction (tôles d’acier, argile expansée, bétonnière, ciment, briques), des vis, du fil barbelé, un ventilateur, des plaques d’amiante ou encore un aspirateur industriel.

    Outre ces liens d’affaires, des indices laissés sur le terrain suggèrent aussi un lien avec Wagner. Sur deux photos prises sur la concession de Bois Rouge, on distingue des individus portant des pantalons de camouflage militaire. Ce modèle de camouflage, dit MultiCam, est utilisé par Wagner en RCA.

    Ressources naturelles contre prestations de sécurité

    Parmi les sources connues de financement de Wagner figure l’exploitation de ressources naturelles, dont des champs de #pétrole et de gaz repris à l’État islamique en #Syrie (dont Wagner toucherait 25 % des revenus en vertu d’un contrat signé avec le gouvernement syrien) et des #mines_d’or exploitées par une société liée à Evgueni Prigozhin au #Soudan. L’attribution de permis d’exploitation à des sociétés liées au groupe serait une manière pour des gouvernements africains surendettés de payer les services des mercenaires.

    La Centrafrique ne semble pas échapper à ce mode de fonctionnement. Un document rédigé par le gouvernement centrafricain, révélé dans un récent documentaire de France 5, fait le lien entre « l’investissement russe dans le domaine de la sécurité nationale » et l’exploitation d’une mine d’#or en RCA par une société officiellement malgache mais en réalité sous contrôle russe, #Midas_Resources.

    « L’État centrafricain a le droit de prendre connaissance de l’état des lieux de l’investissement russe dans le domaine de la #sécurité nationale pour pouvoir être en mesure de gérer les compensations », indique le document.

    Le droit d’exploiter la forêt centrafricaine fait-il partie des « #compensations » accordées à Wagner en échange des services de ses combattants, qui assurent la garde rapprochée du président Touadéra et combattent aux côtés des forces armées centrafricaines ?

    Nos recherches démontrent en tout cas que les conditions d’exploitation octroyées à Bois Rouge relèvent davantage du cadeau que de la relation commerciale classique.

    Une forêt bradée

    Nous nous sommes procuré les documents officiels encadrant les activités de la société forestière liée à Wagner, qui étaient jusqu’ici restés secrets. Nous avons comparé les deux principaux documents – la convention provisoire d’exploitation signée entre l’État centrafricain et Bois Rouge le 28 avril 2021 et la convention définitive d’exploitation du 3 décembre 2021 – avec six autres contrats comparables signés par l’État centrafricain avec d’autres entreprises entre 2014 et 2020. Notre analyse montre que Bois Rouge a obtenu le droit d’exploiter la forêt de manière intensive, ainsi que des avantages jamais octroyés à d’autres entreprises.

    Trois exemples illustrent ce traitement de faveur.

    Bois Rouge a obtenu l’autorisation d’exploiter la totalité de la surface de la forêt dont elle a obtenu la concession, avant même d’avoir signé la « convention définitive d’exploitation » censée encadrer ses activités. Or, avant d’avoir signé cette convention définitive, les autres entreprises forestières n’ont le droit d’exploiter qu’une partie de leur concession – généralement un huitième de sa surface.

    Second avantage : alors que les contrats forestiers fixent des « assiettes de coupe » (des zones prévues pour être exploitées), qui changent chaque année afin de laisser la forêt se régénérer, la convention d’exploitation de Bois Rouge prévoit des « assiettes annuelles de coupe » valables non pas un an mais trois ans, et renouvelables sur simple demande.

    Le contrat signé avec Bois Rouge supprime enfin une disposition importante, présente dans tous les autres contrats que nous avons pu consulter : l’interdiction de procéder à des abattages par temps de pluie ou venteux, ce qui est normalement interdit pour des raisons de sécurité.

    En plus de ces conditions d’exploitation inédites, nous avons obtenu un document prouvant que le gouvernement centrafricain a octroyé d’importants avantages fiscaux et douaniers à Bois Rouge.

    Une lettre signée du ministre des finances et du budget de RCA, #Henri-Marie_Dondra, datée du 23 avril 2021, indique que Bois Rouge bénéficie pendant cinq ans de droits de douane réduits à 5 % sur ses importations, d’une exonération de l’#impôt sur les sociétés (puis réduit à 25 % pendant une année supplémentaire), d’une contribution au développement social réduite de 25 % et d’une exemption du paiement de la patente. L’entreprise bénéficie également d’une TVA sur les importations « neutralisée » par une procédure dite de « paiement différé » ainsi que d’une exonération de #taxe_foncière pendant huit ans sur tous les immeubles bâtis neufs.

    Exploitation lancée de manière illégale

    Malgré ce traitement de faveur, nous avons pu établir que Bois Rouge n’avait pas respecté tous ses engagements.

    La société a lancé son exploitation en juillet 2021 sans réaliser de #plan_d’aménagement ni d’#étude_d’impact_environnementale, qui sont pourtant deux obligations légales. L’absence de plan d’aménagement est explicitement mentionnée dans la convention définitive d’exploitation du 3 décembre 2021, ce qui n’a pas empêché le gouvernement centrafricain de la signer.

    « L’instauration de plans d’aménagement qui garantissent la préservation de la ressource forestière demeure notre priorité, et nous allons intensifier les contrôles », assurait pourtant en 2016 la ministre centrafricaine des forêts.

    L’absence d’étude d’impact environnementale réalisée par Bois Rouge nous a été confirmée par le ministère de l’environnement centrafricain.

    Ce n’est pas tout. Bois Rouge aurait dû payer, en échange de la concession, trois années de loyer. Cette obligation figure noir sur blanc dans le décret signé par le premier ministre centrafricain le 9 février 2021. La société a quinze jours pour le faire, et « tout manquement ou retard entraînera l’annulation d’office du permis », précise le document.

    Bois Rouge n’a pas payé. Mais l’État ne lui a pas retiré son permis.

    Une lettre du ministère des finances prouve qu’à la date du 23 avril 2021, soit deux mois après l’expiration du délai légal pour payer le loyer, le ministère des finances centrafricain n’avait toujours pas reçu l’argent. Le courrier indique que Bois Rouge a demandé un délai de paiement jusqu’au 1er avril 2022, soit onze mois après la date prévue. Ce report a été accordé par le ministère des finances – interrogé sur les motifs de cette décision, ce dernier ne nous a pas répondu.

    D’autres documents internes au ministère des eaux et forêts prouvent que Bois Rouge n’a pas payé toutes les taxes liées à l’abattage de bois auxquelles elle était assujettie, au moins jusqu’en février 2022.

    À ces manquements légaux et financiers s’ajoutent des #conditions_de_travail problématiques sur la zone d’exploitation. Nous avons pu recueillir le témoignage détaillé d’une personne connaissant bien la concession, mais qui requiert l’anonymat étant donné les risques importants pour sa sécurité. Cette source rapporte que Bois Rouge emploie un personnel très insuffisant (une équipe d’abattage y est constituée de deux personnes, contre cinq ou six habituellement), qu’elle fait travailler dans des conditions dangereuses.

    Selon ce témoin, les #abatteurs de Bois Rouge couperaient « 15 à 20 arbres par jour » alors que la norme dans d’autres concessions serait plutôt de sept par jour. Les dirigeants de l’entreprise leur imposeraient de travailler « jusqu’à 15 heures ou 16 heures » alors que, dans la région, l’usage veut que le travail s’arrête vers 11 heures en raison du vent qui se lève, rendant alors l’abattage particulièrement dangereux. Il assure enfin que le cahier de chantier, qui recense notamment les volumes de bois coupés, n’était pas rempli, alors qu’il s’agit d’une obligation légale. Interrogés sur ce point (ainsi que sur toutes les questions soulevées dans cet article), les représentants de la société Bois Rouge ne nous ont pas répondu.

    Malgré cela, Bois Rouge n’aurait pas encore exploité d’importants volumes de bois. Deux sources proches du dossier indiquent que l’entreprise a jusqu’à présent coupé un nombre d’arbres relativement modeste – qui représenterait quelques centaines de mètres cubes – qu’elle a ensuite exportés via le Cameroun. « Ils semblent être dans une phase de test », indique l’une de ces sources.

    Bientôt des meubles en « bois Wagner » en Europe ?

    Il est impossible, pour l’heure, de savoir vers quels pays ce bois a été exporté. Bois Rouge n’a pas souhaité nous répondre ; également questionnée, la #SGS, société chargée de contrôler les exportations de bois centrafricain, n’a pas donné suite.

    Plusieurs pays d’Europe importent du bois centrafricain, parmi lesquels l’Espagne (jusqu’en 2019 au moins), la France, l’Italie, le Portugal, l’Allemagne et la Belgique. Au total, selon les chiffres officiels produits par l’UE, les importations de bois (et ses dérivés, charbon et liège) de la RCA vers l’UE ont augmenté de 62 % en 2021 pour atteindre 11 millions d’euros.

    Du « #bois_Wagner » est-il importé en Europe, ou pourrait-il l’être prochainement ? Cela est théoriquement interdit, pour deux raisons : les règlements européens contre l’exploitation illégale des forêts, et les sanctions émises par l’UE visant Wagner. À cela pourraient s’ajouter les sanctions prises contre des entreprises et citoyens russes à la suite de l’invasion russe de l’Ukraine, qui pourraient également toucher indirectement Bois Rouge : l’exploitant forestier se fournit auprès de l’entreprise de sidérurgie russe #Severstal, dont le principal actionnaire, l’homme d’affaires russe #Alexeï_Mordachov, a été placé sous sanctions européennes en mars 2022.

    Mais pour l’heure, rien ne garantit que les contrôles existants soient suffisants pour empêcher Wagner d’écouler son bois centrafricain en Europe.

    En 2005 et 2020, l’UE s’est dotée de deux règlements visant à mettre fin à l’exploitation illégale des forêts : le règlement de l’Union sur le bois, et le règlement dit #FLEGT (« #Forest_Law_Enforcement_Governance_and_Trade »). Ils prévoient un système de « #diligence_raisonnée », qui doit être mis en place par les importateurs et est supposé garantir que les bois issus d’une récolte illégale ne sont pas mis sur le marché de l’Union européenne.

    Mais la Commission européenne a jugé, dans un rapport de décembre 2021, que ces deux outils n’avaient pas totalement atteint leurs objectifs. Une partie des entreprises important du bois dans l’UE ont une « connaissance et une compréhension limitées des obligations à respecter » et rencontrent des difficultés à vérifier les informations provenant de leurs chaînes d’approvisionnement. Certains importateurs profitent de la souplesse de certains pays de l’UE, où les contrôles sont moins nombreux, pour faire entrer du bois à l’origine douteuse, relève la Commission.

    De fait, pour l’année, 2020, un seul État membre a déclaré avoir effectué un contrôle portant sur du bois importé de RCA afin de vérifier sa conformité avec le règlement européen sur le bois.

    Les ONG sont encore plus critiques. « Les règles de confidentialité en vigueur dans l’Union européenne font qu’il est difficile de suivre le bois depuis la source jusqu’à l’entreprise qui l’importe directement », explique Marigold Norman, experte en bois travaillant avec l’ONG Forest Trends. Par ailleurs, « jusqu’à présent, les sanctions infligées aux entreprises qui enfreignent les règles ont été limitées. Dans certains cas, les amendes sont une part assumée du coût de l’approvisionnement en bois tropicaux de grande valeur ».

    Malgré des importations de bois centrafricain en forte augmentation ces dernières années (jusqu’à atteindre près de 6 millions d’euros en 2021 selon les données des douanes françaises), la France ne semble pas non plus mettre en œuvre de contrôles suffisants. En 2019, l’ONG Earthsight a établi qu’une entreprise française, F. Jammes, continuait d’importer du bois produit par la société centrafricaine SEFCA, pourtant accusée en 2015 par l’ONG Global Witness d’avoir versé de l’argent à la Seleka, un groupe armé centrafricain responsable de nombreuses exactions, afin de sécuriser sa production.

    Interrogée par le biais de son porte-parole sur les conditions d’exploitation octroyées à Bois Rouge, la présidence centrafricaine nous a adressé une brève réponse, assurant que « le gouvernement centrafricain, en toute souveraineté, reçoit des projets d’exploitation et accorde des licences d’exploitation aux sociétés d’investissement qui s’installent dans [son] pays ». La présidence n’a pas souhaité répondre davantage à nos questions précises, estimant que le sujet « ne correspond[ait] pas aux préoccupations de [son] pays et de [sa] population » et qu’elle n’avait « pas à justifier et à prouver quoi que ce soit ».

    https://www.mediapart.fr/journal/international/260722/bois-contre-mercenaires-russes-comment-la-centrafrique-brade-une-foret-au-

    #Russie #république_centrafricaine #extractivisme #Russafrique #soft_power #déforestation

  • L’ASEAN sermonne les militaires birmans, mais ... (https://vietnam-...
    https://diasp.eu/p/12807777

    L’ASEAN sermonne les militaires birmans, mais ...

    Le sommet extraordinaire de l’Association des nations de l’Asie du Sud-Est (ASEAN), qui s’est tenu le 24 avril à Jakarta pour discuter du coup d’État sanglant au Myanmar, n’a rien donné de plus qu’une légère remontrance au généralissime Min Aung Hlaing, lui demandant de mettre fin aux meurtres.

    C’était pourtant pourtant la première fois que les membres de l’ASEAN convoquaient le chef de gouvernement d’un pays membres pour l’admonester.

    Néanmoins, selon Phil Robertson, directeur adjoint pour l’Asie de Human Rights Watch, “l’absence d’un calendrier d’action clair et la faiblesse bien connue de l’ASEAN dans la mise en œuvre des décisions et des plans qu’elle émet sont des préoccupations réelles que personne ne devrait négliger. Il est absolument nécessaire de (...)

  • Russland und China in Myanmar
    https://diasp.eu/p/12799970

    Russland und China in Myanmar

    Die Welt schaut entsetzt auf Myanmar: Ein Militärputsch, die Führer einer demokratisch gewählten Regierung wurden verhaftet. Suu Kyi, Staatspräsident Win Myint sowie viele andere Regierungsmitglieder sitzen seit dem 1. Februar im Gefängnis. Seit nun mehr drei Monaten gibt es landesweite Proteste und Streiks. Bereits 800 Menschen wurden erschossen, weil sie gegen den Militärputsch auf die Straße gegangen sind. Von Marco Wenzel.

    Eine Armee, die sich wie eine fremde Besatzungsmacht verhält, die mitscharfer Munition, und mit schweren Waffen, Maschinenpistolen und Granaten auf die Zivilbevölkerung schießt, ja sie sogar mit ihren Jagdflugzeugen bombardiert und in den Dschungel oder über die Landesgrenzen treibt hat in Myanmar die Macht ergriffen. Mehr als dreitausend (...)

    • L’article donne un bon aperçu des intérêts des grandes puissances à l’égard de la junte militaire, en mettant l’accent sur la Chine et la Russie.

      propre lien :

      https://www.nachdenkseiten.de/?p=71839

      [...]

      Warum aber blockieren China und Russland konkrete Maßnahmen gegen eine Militärdiktatur, die sich international als Paria geoutet hat und die bei der eigenen Bevölkerung so verhasst ist? Stimmen sie aus Prinzip gegen jede Resolution im Sicherheitsrat, wenn sie von den USA, Großbritannien oder Frankreich eingebracht wurde, sind sie von allen guten Geistern verlassen oder was steckt dahinter?

      [...]

      #Birmanie #Chine #Russie
      #jeu_d'echecs
      #ONU #États-unis #ANASE / #ASEAN #Europe
      #océan_Indien #géopolitique
      #route_de_la_soie

    • [...]

      China bezeichnete den Putsch als „Kabinettsumbildung”, während Russland ihn als „rein innenpolitische Angelegenheit” bezeichnete. China zusammen mit Russland als ständige Mitglieder des UN-Sicherheitsrates und als Vetomächte haben bisher alle Versuche westlicher Nationen im UN-Sicherheitsrat blockiert, kollektive Maßnahmen gegen Myanmars Militärputschisten und deren tödliches Vorgehen gegen unbewaffnete Demonstranten zu ergreifen. Bereits 2017 blockierte China zusammen mit Russland eine Resolution des UN-Sicherheitsrates, die Myanmar wegen der Rohingya-Krise kritisierte.

      Peking spielt den Militärputsch systematisch herunter. Chinas Interessenpolitik ist darauf ausgerichtet, sich mit jeder Regierung gut zu stellen, unabhängig von ideologischen und moralischen Fragen. Offiziell betreibt China eine Politik der Nichteinmischung. Wenn man sich aber die Geschichte der Beziehungen zwischen China und Burma anschaut, so gibt es darin keine Epoche, in der sich China, seit Gründung der Volksrepublik, nicht in Burma eingemischt hätte. Eine gute Zusammenfassung darüber hat Bertil Lintner hier veröffentlicht: China and Myanmar: No interference?[3]

      Was für Russland gilt, gilt im Großen und Ganzen auch für China. China ist der größte Lieferant von Militärgütern und Waffen an die Tatmadaw. Der burmesische Waffenimport aus China beträgt in etwa das Doppelte von dem aus Russland. Dass China die Militärs in Burma mit Waffen beliefert, dürfte unseren Lesern bereits bekannt sein. Wir wollen uns hier die Aufzählung der verschiedenen chinesischen Waffensysteme ersparen und verweisen auf den Link weiter unten, wo alle Waffen und Waffensysteme des burmesischen Militärs und deren Herkunft aufgelistet sind.[2] Die Rüstungsverkäufe, obwohl sie sehr umfangreich sind, spielen aber aus finanzieller Sicht nur eine untergeordnete Rolle für China. Viel wichtiger sind geostrategische Gesichtspunkte. Die riesigen Investitionen Chinas in Myanmar im Rahmen der neuen Seidenstraße übertreffen den Umsatz im Waffenverkauf um ein Vielfaches.

      Burma spielt eine strategisch wichtige Rolle im südostasiatischen Teilabschnitt von Chinas Projekt der neuen Seidenstraße. Der Landweg über Burma erlaubt China den direkten Zugang zum Golf von Bengalen und von dort in den Indischen Ozean.

      [...]

      (cf. la carte ci-dessus)

  • #Université : une entreprise adepte de l’#optimisation_fiscale décroche le #marché des #tests_d’anglais

    Le gouvernement vient de confier l’organisation de #tests d’#anglais à l’université à une entreprise à la légitimité contestée, immatriculée à #Chypre et adepte de l’optimisation fiscale, pour plus de 8 millions d’euros par an. Au grand dam du corps enseignant.

    Dans les #facs vidées par le Covid-19 et qui se sentent abandonnées par l’État, l’attribution d’un #marché_public, fin décembre, a fait l’effet d’une petite bombe chez les enseignants en langue. L’objet de ce marché estimé à plus de 8 millions d’euros par an : l’organisation de tests et #certifications en anglais pour des centaines de milliers d’étudiants en licence, BTS ou DUT.

    Si quatre entreprises s’affrontaient au départ, le duel final a opposé #ETS_Global, une société qui fait référence (à l’origine du célèbre test #Toefl), à #PeopleCert, une entreprise fondée par un homme d’affaires grec et inconnue de la quasi-totalité des linguistes en France.

    Si ETS Global était devant, PeopleCert a cassé ses tarifs de 34,72 % pendant la phase de négociation avec le ministère de l’#enseignement_supérieur, d’après nos informations, pour emporter finalement le contrat.

    « La première chose que j’ai faite quand j’ai entendu ce nom, c’est d’aller voir leur site, qui comporte des fautes d’orthographe que je reprocherais à mes étudiants ! », raille Alexandra Sippel, maîtresse de conférences en cultures anglo-saxonnes à l’université Toulouse-Jean-Jaurès.

    Le choix de l’État est d’autant plus étonnant que PeopleCert pratique l’optimisation fiscale agressive, selon des documents consultés par Mediapart.

    #PeopleCert_International_Limited, l’entité qui a signé avec le ministère, est la société de tête d’un groupe qui en compte une dizaine (à Athènes, Londres, Istanbul ou Dubaï). Elle est immatriculée à Chypre, #paradis_fiscal européen très prisé, notamment des oligarques russes.

    C’était, lors de sa création, une société « boîte aux lettres » basée à l’adresse d’un cabinet de domiciliation chypriote. Elle contrôle deux sociétés britanniques, mais qui ne salarient que 8 personnes.

    En réalité, l’essentiel du travail est effectué par les sociétés grecques du groupe, dont la principale, #PeopleCert_Global_Services, employait 210 personnes en 2017 – en Grèce, le salaire minimum est presque deux fois moindre qu’en France.

    Étonnamment, PeopleCert Global Services réalisait seulement 412’000 euros de résultat pour 9,2 millions de chiffre d’affaires en 2018, tandis que la coquille chypriote #PeopleCert_International engrangeait 3,4 millions d’euros de profits.

    Il faut dire que les statuts de l’entité grecque autorisent deux des directeurs (dont le fils du fondateur) à effectuer « le transfert de n’importe quelle somme d’argent illimitée » vers les autres sociétés du groupe. En clair, le montage semble conçu pour transférer artificiellement les profits vers ce paradis fiscal.

    Entre 2015 et 2019, PeopleCert International a accumulé plus de 15 millions d’euros de bénéfices à Chypre, où le taux habituel de l’impôt sur les sociétés n’est que de 12,5 %, soit trois fois moins qu’en France.

    PeopleCert répond qu’aujourd’hui « plus de dix personnes sont employées dans les bureaux à Chypre, un État membre de l’UE ». « PeopleCert respecte la législation de chaque pays où il est implanté, en particulier la législation comptable, et y paie les impôts et taxes correspondants », indique #Frédéric_Borne, responsable du développement commercial de l’entreprise pour l’ouest de l’Europe.

    De son côté, le ministère de l’enseignement supérieur déclare à Mediapart que, Chypre étant membre de l’Union européenne, « l’implantation géographique du titulaire [du marché – ndlr] et de ses salariés n’a pas été prise en compte dans l’analyse des offres », car cela aurait été contraire au droit. Sur l’optimisation fiscale ? Aucun commentaire.

    Le fondateur grec du groupe, #Anastasios_Byron_Nikolaides, soigne aussi sa fiscalité personnelle. Entre 2011 et 2017, il contrôlait 100 % de PeopleCert International via des sociétés basées au #Liberia, remplacées en 2017 par une coquille offshore à Chypre, #PeopleCert_Holdings_Europe. Sollicité par Mediapart, il a refusé de répondre.

    Sa stratégie étonne d’autant plus qu’il répète à longueur d’interviews son attachement à la Grèce : ses parents, professeur d’anglais et institutrice, lui auraient inculqué le « philotimo », terme désignant le sens de l’honneur, du devoir, de la communauté.

    En 2018, il se félicitait de ne pas avoir abandonné son pays durement touché par la crise. « PeopleCert a fait ses preuves en maintenant non seulement son siège social en Grèce, mais aussi en y conservant des emplois ; aujourd’hui, plus de 90 % des employés de l’entreprise sont grecs », déclarait-il à Ritsa Masoura, présentée comme journaliste contributrice au Huffington Post Grèce, mais qui confie à Mediapart avoir travaillé deux ans pour PeopleCert.

    Les universitaires français apprécieront cette interprétation personnelle du « philotimo ». Ils sont nombreux, de toute façon, à s’élever contre le principe même de cette « #privatisation » des tests d’anglais. De quoi s’agit-il, exactement ?

    Jusqu’en 2018, chaque étudiant était libre de passer ou non une évaluation pour attester son niveau en langue (en plus de son diplôme) et de l’inscrire sur son CV. Il pouvait opter pour un dispositif public et gratuit (#le_Cles), ou bien pour le fameux #Toeic (organisé sur les campus, mais aux frais des candidats), ultra-populaire dans les écoles d’ingénieurs et les formations professionnalisantes.

    Puis Édouard Philippe, premier ministre, a décidé qu’une certification en langue serait obligatoire pour toute une série de diplômes (licence, BTS, DUT…) et a jugé indispensable de contracter avec un prestataire privé, au motif que le Cles manquerait de reconnaissance internationale.

    Depuis, la communauté universitaire est vent debout, dénonçant ici « une gabegie annoncée », là « une démonétisation des enseignements et diplômes accrédités par l’État », ou encore une « atteinte au plurilinguisme ». En septembre dernier, quinze associations de professeurs de langue ont lancé un #recours devant le #Conseil_d’État contre les textes rendant ces certifications obligatoires.

    Fin janvier, les mêmes ont attaqué l’attribution du marché à PeopleCert. « La question de la légitimité de cette entreprise se pose, de même que la question de la pertinence des critères d’attribution du marché et des modalités de sélection de l’entreprise retenue », écrivent-elles dans un communiqué.

    « Conclu sans montant maximum », le marché est reconductible tacitement chaque année jusqu’en 2024. Or, s’il s’agit de tester 22 000 étudiants en 2021, le volume doit gonfler à 281 000 étudiants « minimum » sur l’année universitaire 2023-2024. D’après les estimations de deux maîtresses de conférences, le coût pour l’État pourrait alors dépasser 32 millions d’euros par an. « [C’est] la moitié de l’enveloppe supplémentaire dévolue en 2020 à l’amélioration des conditions de vie étudiante », pointent-elles.

    Compte tenu de l’arrivée récente de PeopleCert dans l’univers des langues, sa victoire n’a fait qu’alimenter la controverse.

    Si la firme affirme avoir fait passer 7 millions d’examens dans 189 pays, elle ne précise pas la part de tests de langue dans ce total. Or, PeopleCert s’est construit en donnant des formations aux entreprises, aux particuliers ou aux ministères en cybersécurité, marketing digital ou management. Et s’il s’est ensuite fait un nom dans les certifications, c’est surtout en informatique et management.

    Plutôt que de développer son offre, PeopleCert a fondé son #business sur le rachat de certifications développées par d’autres. Depuis 2018, il distribue #Itil, une certification en gestion des services informatiques développée par un ancien organisme public anglais. En septembre, PeopleCert a acquis l’association américaine #IASSC et sa certification #Lean_Six_Sigma, populaire pour améliorer les performances des entreprises, récupérant ainsi de prestigieux clients comme Amazon, BMW, Cisco ou l’armée américaine.

    L’entreprise a adopté la même stratégie pour se diversifier dans les langues, avec sa marque #LanguageCert. Alors qu’il peinait jusqu’en 2015 à être reconnu dans le milieu universitaire, PeopleCert a ainsi acquis « toute la #propriété_intellectuelle et le matériel d’évaluation connexe pour les qualifications d’anglais de #City_&_Guilds, l’un des organismes de récompense les plus anciens et les plus prestigieux du Royaume-Uni », comme il le précise dans un dossier de présentation envoyé au corps enseignant français, le 1er février.

    Pour asseoir sa légitimité, PeopleCert s’est aussi payé un grand nom du secteur : #Michael_Milanovic, ancien PDG de #Cambridge_Assessment, qui baigne dans le milieu depuis plus de quarante ans.

    « Ils veulent se crédibiliser, mais leurs certifications en anglais sont des coquilles vides, confie Brice*, sous le couvert de l’anonymat, figure du secteur qui a côtoyé de près PeopleCert. On y voit bien leur philosophie : une plateforme qui délivre des examens créés par d’autres, mais pas un organisme de recherche et développement. Où sont les employés qui développent les items des tests de langues, où sont les psychomotriciens et statisticiens qui valident que la notation évalue bien ce qu’elle est censée évaluer ? »

    Cambridge Assessment et le leader du marché, #ETS_Global, emploient des dizaines de chercheurs pour développer et améliorer en permanence leurs systèmes de certification. Un coût que s’épargne PeopleCert avec sa stratégie de rachat.

    Malgré tout, le bilan de LanguageCert reste maigre, avec seulement une poignée de contrats signés ces dernières années : un au Royaume-Uni avec l’agence des visas et de l’immigration, et trois en Espagne, avec la région de Madrid, l’Andalousie et l’#université_Carlos-III.

    Et en #France ? L’entreprise a fait passer « 15’000 certifications pour l’année 2020, majoritairement par l’intermédiaire de ses 90 organismes de formation agréés sur 170 lieux d’examen », expose PeopleCert. Sans préciser s’il s’agit de tests d’anglais.

    Pour tenir le rythme, la société va devoir changer de braquet, puisque le marché signé avec le ministère prévoit la délivrance de 636’000 tests minimum sur quatre ans, soit un rythme annuel dix fois plus élevé que le total des tests réalisés en 2020 par la société en France.

    Le vice-président de la Société des anglicistes de l’enseignement supérieur, Cédric Sarré, s’interroge : « Ont-ils des examinateurs accrédités en France ? Des centres d’accréditation ? Leurs certifications sont-elles déjà utilisées par d’autres universités ? À ce stade, nous n’avons pas d’informations. »

    Responsable commercial de l’entreprise pour l’Europe de l’Ouest, Frédéric Borne répond que les étudiants auront le choix entre un test papier ou par ordinateur et que la surveillance des examens se fera au sein des universités, avec un chef surveillant dans chaque établissement pour vérifier le bon déroulé des tests.

    « Tous les services réalisés en France seront payés en France à des Français déployés sur le terrain », ajoute-t-il. Sans préciser si les corrections se feront en Grèce, pays où se trouve la grande majorité des salariés de PeopleCert.

    https://www.mediapart.fr/journal/france/150221/universite-une-entreprise-adepte-de-l-optimisation-fiscale-decroche-le-mar

  • La précarité détruit nos vies

    Communiqué du syndicat Solidaires étudiant-e-s à propos du geste d’un étudiant membre du syndicat de Lyon, qui s’est immolé devant le Crous hier, ainsi que le message qu’il a laissé.
    L’université a réagi, pas encore le ministère, ni le Crous.

    Le message que l’étudiant a laissé :

    #France #immolation #bourse #bourses #suicide #précarité_financière #étudiant #Lyon #Université #CROUS

    • Lyon : un étudiant gravement blessé après s’être immolé devant le Crous

      L’étudiant de 22 ans n’avait pas fait part de ses « difficultés personnelles » à l’université Lyon 2 indique sa présidente, tandis que des syndicats dénoncent « la précarité » de « la vie des étudiant-e-s ».

      Vendredi après-midi, un étudiant de 22 ans originaire de Saint-Étienne a été grièvement brûlé à Lyon après s’être immolé en pleine rue devant un restaurant universitaire situé dans le 7e arrondissement. Le jeune homme, brûlé à 90%, se trouve actuellement « entre la vie et la mort » au Centre des brûlés de l’hôpital Edouard Herriot de Lyon, indiquent les syndicats. Prévenue du geste de son compagnon par un SMS, c’est la petite amie de la victime, étudiante à Lyon 2, qui avait alerté les services de secours.

      Une enquête a été ouverte pour déterminer les raisons de son geste, mais dans un long message publié sur Facebook et relayé ce samedi par le quotidien Le Progrès, l’étudiant avait évoqué ses difficultés financières et justifié son geste par des revendications politiques, accusant notamment « Macron, Hollande, Sarkozy et l’UE ». « Luttons contre la montée du fascisme, qui ne fait que nous diviser, et du libéralisme, qui créé des inégalités. [...] Mon dernier souhait, c’est aussi que mes camarades continuent de lutter pour en finir définitivement avec tout ça », a-t-il souligné dans ce texte.
      Un dispositif de soutien psychologique mis en place

      L’étudiant n’avait pas fait part de ses « difficultés personnelles » à l’université Lyon 2, a appris l’AFP samedi auprès de sa présidente Nathalie Dompnier, qui précise que le jeune homme ne percevait plus sa bourse car il « triplait » sa deuxième année de licence. « L’université lui exprime tout son soutien, ainsi qu’à sa famille, à ses proches et à tou.tes ses camarades », a écrit également la présidente dans un communiqué. Un dispositif de soutien psychologique a été mis en place avec les services d’urgence, tandis qu’une cellule d’écoute sera mise en place dès mardi sur le campus Porte des Alpes pour les étudiants et les équipes, ajoute-t-elle, en précisant qu’un numéro vert spécifique devrait aussi être mis en place la semaine prochaine.
      « La précarité s’étend » pour les syndicats étudiants

      Les fédérations syndicales étudiantes SUD-éducation et Solidaires ont pour leur part dénoncé dans un communiqué commun « la précarité » de « la vie des étudiant-e-s ». « Son acte ne saurait être réduit au seul désespoir, c’est aussi à portée politique. Dans son message, notre camarade décrit la précarité qu’il subit, conséquence des politiques libérales, et le racisme quotidien », pointe le syndicat, qui souligne que « la précarité s’étend » et « broie de plus en plus de vies, y compris la vie des étudiant-e-s ».

      La ministre de l’Enseignement supérieur Frédérique Vidal s’est rendue samedi matin à Lyon pour rencontrer la présidente de l’université et les équipes du CROUS pour leur faire « part de sa profonde émotion face à l’acte dramatique » du jeune homme, « auquel elle a adressé ses premières pensées », selon le ministère.

      https://www.liberation.fr/france/2019/11/10/lyon-un-etudiant-gravement-blesse-apres-s-etre-immole-devant-le-crous_176

    • L’étudiant de 22 ans n’avait pas fait part de ses « difficultés personnelles » à l’université Lyon 2 indique sa présidente

      Il n’avait pas demandé la charité... Marre de ces bureaux où il faut se battre pour ses droits. Ensuite les autorités prétendent en avoir quelque chose à battre, du non-recours, mais répètent à l’envi qu’il y a des primes au fait de faire des recours à l’amiable, des alertes, et que la machine peut arrêter de broyer quand on le demande avec beaucoup d’ardeur. Merde !

    • Mardi 12/11 Rassemblements en solidarité à l’étudiant de Lyon 2 qui s’est immolé vendredi 8/11

      Ci-joints les différents horaires et lieux de rassemblement en solidarité à l’étudiant de Lyon 2 qui s’est immolé vendredi 8/11 devant le CROUS de La madeleine à Lyon 2.

      Le SNESUP-FSU adresse tout son soutien à cet étudiant, et également aux proches et à la famille de cet étudiant.

      Il appelle, avec la FSU, à se rassembler pour lui témoigner notre solidarité et pour dénoncer la précarité étudiante grandissante.

      Toutes et tous les étudiants doivent pouvoir étudier dans des conditions dignes et décentes.

      Aix-en-Provence 13h – CROUS Aix-Marseille / Avignon, 31 avenue Jules Ferry

      Amiens (FSE Amiens) 10h – CROUS Amiens Picardie (25 rue St Leu)

      Angers 12h puis 18h – Restau U Belle Beille (3 Boulevard de Lavoisier)

      Angoulême 12h – Place New York

      Annecy 12h – Au campus d’Annecy, sur le parvis face au resto universitaire (adresse de l’antenne du CROUS) au 3 chemin de Bellevue à Annecy le Vieux

      Avignon 13h – Devant le nouveau batiment du campus Hannah Arendt

      Besançon 18h – devant le CROUS de Bourgogne-Franche-Comté (38 avenue de l’observatoire)

      Bordeaux 18h – CROUS, place du séminaire

      Boulogne-sur-mer 13h – devant l’antenne du Crous rue du Vivier.

      Caen 12h – RU A, Campus 1 de l’Université

      Clermont-Ferrand 18h – Résidence CROUS 25 Rue Etienne Dolet

      Dijon 19h – Place du Bareuzai

      Grenoble 18h – Bâtiment CROUS 351 Allée de Berlioz (St Martin d’Hères)

      Guyane 12h – Université de Guyane bâtiment E

      La Rochelle 13h – Parvis du campus

      Lille 13h – Siège du CROUS de Lille 74 rue de Cambrai

      Limoges 12h – campus Vanteaux devant le CROUS

      Lyon 10h – CROUS de la Madeleine

      Marseille 18h – Faculté des sciences d’Aix-Marseille (3 place Victor Hugo)

      Montpellier 14h – Crous de montpellier : 2 Rue Monteil, 34093 Montpellier

      Metz 13h30 – CROUS de Lorraine au Saulcy

      Nancy 12h – CROUS Resto U 16 cours Léopold

      Nantes 12h – devant le pôle étudiant du campus Tertre

      Niort 17h – CROUS de Niort 7 rue du Galuchet

      Orléans 18h – Devant l’entrée du Forum, coté Bouillon (antenne du CROUS sur la fac)

      Paris, Ile-de-France 18h – Siège du CROUS Port Royal

      Pau 12h30 – CLOUS, 7 rue Saint John Perse

      Perpignan (Jeunes Communistes 66) 13h30 – devant le CROUS de l’Université de Perpignan, 52 avenue Paul Alduy
      https://www.facebook.com/events/439076413424300

      Poitiers 12h30 – RU Rabelais, campus de Poitiers,

      Rennes 18h – Siège du CROUS Rennes-Bretagne, Place Hoche

      Rouen 13h – CROUS de Rouen Normandie

      Saint-Brieuc 18h – CROUS, 1 boulevard Waldeck-Rousseau

      Saint-Denis 16h30 – Départ groupé de Université Paris 8 – Local A079 vers CROUS Port Royal (Paris)

      Saint-Brieuc 18h- Restaurant Universitaire du CROUS

      Saint-Étienne 10h – devant le CROUS du campus Tréfilerie

      Strasbourg 12h – devant le Patio (campus central) puis siège du Crous 1 Quai du Maire Dietrich

      Toulouse 12h30 – Resto U du Mirail (info lutte université Mirail)
      14h – CROUS de Toulouse-Occitanie 58 rue de Taur
      (Sciences Po Toulouse en Lutte, UNLToulouse, Révolution Permanente Toulouse, La repolitique-Sciences Po Toulouse)

      Tours 18h – 5 rue du docteur bretonneau (résidence CROUS)

      https://www.snesup.fr/article/mardi-1211-rassemblements-en-solidarite-letudiant-de-lyon-2-qui-sest-immole-v

    • Anas, 22 ans, s’immole par le feu et nous regardons ailleurs

      C’est un gamin, mon fils, ou votre frère. Il s’appelle #Anas, un étudiant de 22 ans, venu de Saint-Étienne à Lyon, pour apprendre et avancer. C’est un jeune homme, désespéré autant que déterminé, qui, vendredi, a tenté de se tuer sur la place publique. Depuis, la presse détourne les yeux. Des rassemblements sont prévus ce mardi.

      https://blogs.mediapart.fr/david-dufresne/blog/111119/anas-22-ans-simmole-par-le-feu-et-nous-regardons-ailleurs
      Un article de @davduf

    • « J’arrivais en cours en larmes » : #précarité_étudiante, une vie sur le fil

      Des étudiants témoignent de leurs conditions de vie alors que plusieurs rassemblements ont lieu ce mardi en mémoire de ce jeune homme de 22 ans qui a tenté de s’immoler par le feu à Lyon pour dénoncer une précarité grandissante.

      Pendant sa première année d’études supérieures en archéologie et anthropologie, Laura est devenue familière des petits pains au fromage à quelques centimes du supermarché Lidl en face de sa fac. Ils lui servaient de déjeuner les jours où les 3 à 5 euros de la cafétéria, c’était déjà trop. La précarité étudiante, cette Lyonnaise âgée de 24 ans l’a donc bien connue.

      C’est ce qui l’a poussée à arrêter ses études, en début de licence 2. Et qui a conduit un jeune homme de 22 ans à tenter de s’immoler par le feu, le 8 novembre dernier, devant un restaurant universitaire à Lyon. Ce mardi, le syndicat Solidaires étudiant.e.s appelle à se rassembler devant tous les Crous de France, en soutien à cet étudiant aujourd’hui entre la vie et la mort, brûlé à 90 %. En 2017, selon l’Unef, 20 % des étudiants vivaient en dessous du seuil de pauvreté.

      Quand elle commence sa licence, à Lyon, Laura vit encore chez ses parents. Sa mère, auto-entrepreneuse, essaie de lancer son entreprise de traiteur, elle travaille très peu. Son père gagne « trop bien sa vie » pour que la jeune femme puisse être éligible à une bourse. Mais pas assez pour financer ses études, au-delà des frais d’inscriptions, très peu élevées, à l’université. Laura doit se débrouiller pour les transports et les repas.
      Manger du riz ou des pâtes instantanées

      Elle essaie de faire des petits boulots, « des extras dans des bars ou des restaurants ». Elle aurait pu demander une dispense d’assiduité, pour travailler davantage. « Mais j’étais déjà une élève plutôt moyenne, je ne voulais pas me mettre encore plus en difficulté en ratant des cours pour travailler », explique-t-elle. Elle préfère se priver un peu le midi, quand cela devient trop difficile. Mais surtout ne rien demander à ses parents qui « se sont toujours saignés » pour elle, son frère et sa sœur.

      Selon une étude menée par la Mutuelle générale de l’Education nationale (MGEN), 68 % des étudiants sautent des repas de temps à autre, comme Laura, et seulement 60 % disent « manger un peu de tout ». Pour ceux qui ne vivent plus chez leurs parents, cela se traduit souvent par du riz, des pommes de terre ou « des pâtes instantanées à 30 centimes », confie Margot, 26 ans, en 2ème année de thèse d’histoire de l’art contemporain.
      Compter même les dépenses de santé

      Jusqu’à son master 1, la jeune fille bénéficiait pourtant d’une bourse de 550 euros par mois -l’échelon le plus élevé. Mais une fois le loyer, l’électricité de son logement mal isolé, l’abonnement à Internet - indispensable aujourd’hui pour étudier - et les transports payés… il ne reste pas grand-chose pour vivre. Au quotidien, ce sont des petits arrangements permanents : pas de loisirs, ou alors que des activités gratuites, des vêtements d’occasion et de bons amis pas trop maladroits pour se faire couper les cheveux.

      Une vie sur le fil, qui ne permet aucun écart. « Les mois où il faut acheter des livres pour la fac sont compliqués », explique Margot. Ceux où sa vieille voiture tombe en panne encore plus. Mais impossible de s’en séparer : elle en a besoin pour se rendre à l’Ephad où elle fait des remplacements pour compléter son revenu. Même les soins de santé passent à la trappe : selon l’Insee, 13,5 % des étudiants ont déjà renoncé à aller chez le médecin pour des raisons financières. Margot, elle, n’a pas vu de gynécologue depuis quatre ans.
      Friser le burn-out

      Au bout de plusieurs années d’études à tout compter, mal s’alimenter, travailler sur les jours de pause… C’est le stress et l’épuisement qui l’emportent. Margot n’a pris que 6 jours de congé, l’été dernier, depuis le début de ses études il y a 7 ans. En 2ème année de master, elle a commencé à faire des ulcères à l’estomac à répétition.

      Pauline, étudiante boursière en master d’études de cinéma à Lyon a fait « une sorte de burn-out » pendant sa 3e année de licence. A ce moment-là, elle aussi cumulait un job de caissière à Franprix, 15 heures par semaine, et ses études. Une année difficile : « J’arrivais en cours en larmes, se souvient-elle. J’étais épuisée, je m’énervais tout le temps pour rien… Ça a bousillé mon année ». Ses résultats en ont pâti.

      http://www.leparisien.fr/societe/j-arrivais-en-cours-en-larmes-precarite-etudiante-une-vie-sur-le-fil-12-1

    • #Pierre_Ouzoulias interroge Gabriel Attal sur la précarité étiudiante - 13 novembre 2019

      On nous souffle dans l’oreillette que la Ministre serait dans l’Antarticque…

      Ce mercredi 13 novembre, Pierre Ouzoulias, lors de la séance de questions d’actualité au gouvernement, a interrogé Gabriel Attal (en l’absence de Frédérique Vidal) sur la précarité étudiante.

      Voir ci-dessous le texte de sa question ainsi que le lien vers la captation vidéo de la question.

      2019/11/13 - Question d’actualité au Gouvernement - Pierre Ouzoulias - « Précarité étudiante »

      « Plus d’un étudiant sur deux ne mange pas tous les jours à sa faim, près d’un étudiant sur deux a renoncé à se soigner par manque d’argent, il n’y a que 175 000 places en résidences étudiantes pour 700 000 étudiants boursiers et le loyer représente plus de 70 % du budget moyen des étudiants. Plus d’un étudiant sur deux est obligé de travailler pour étudier et subsister. Ils occupent les emplois les plus précaires, les plus harassants et les moins rémunérés. Ainsi, ils composent près de 60 % de la main-d’œuvre des plate-formes de prestations. À tout cela s’ajoutent des conditions d’enseignement indignes et un sous-encadrement pédagogique chronique.
      La grande majorité de la population estudiantine est en souffrance et l’aggravation de sa situation d’existence conduit à la désespérance, à des drames humains et à des gestes désespérés, comme celui d’Anas, qui sont autant de cris de détresse que vous ne pouvez ignorer.
      Les conséquences de ce mal être endémique sont catastrophiques pour notre pays. De moins en moins d’étudiants poursuivent un cursus complet, le nombre de doctorants baisse chaque année et la fuite des cerveaux est maintenant manifeste.
      À cette crise majeure, vous répondez par une baisse des moyens alloués à l’enseignement supérieur. La dépense par étudiant atteint aujourd’hui son plus bas niveau depuis 2008 et votre projet de loi de finances ne porte pas l’ambition politique d’arrêter cette chute.
      À la jeunesse qui souhaite s’investir dans la connaissance, la culture et les œuvres de la pensée, vous renvoyez le message détestable qu’elle ne serait qu’une charge, qu’un fardeau improductif qu’il vaudrait continûment alléger. »

      http://www.sauvonsluniversite.com/spip.php?article8543

    • Immolation d’un étudiant. La stratégie du chox, et les sinistres connards qui en sont responsables - affordance.info, 13 novembre 2019

      "Dans un monde normal la CPU, la conférence des présidents d’université, aurait suspendu l’ensemble de ses travaux, pour une semaine au moins, le temps de comprendre, le temps d’analyser, le temps de chercher ce qui fait qu’en France au 21ème siècle un étudiant décide de s’immoler par le feu devant un CROUS pour dénoncer la précarité et la misère de la jeunesse. La CPU aurait également pu déclarer un genre de minute de silence. Après tout, dans cette « communauté » qu’est l’université, si l’on n’est pas capable de fermer sa gueule et de se recueillir un instant pour cet étudiant là, alors quand le serons-nous ? Mais il n’y a pas eu de minute de silence. Un vieux président qui meurt (Chirac), minute de silence dans toutes les universités. Mais un étudiant qui s’immole par le feu au 21è siècle, et puis rien. "

      Un étudiant s’est donc immolé par le feu devant une université, devant un CROUS, dans un acte politique pour dénoncer explicitement la précarisation qui touche la jeunesse. En France. En 2019. Au 21ème siècle. Celui que l’on nous vantait encore au siècle précédent comme étant celui de « l’économie de la connaissance ». Cette jeunesse qui brûle.

      Cette immolation par le feu, cette image que je n’ai pas vue, elle ne me quitte pas depuis vendredi. Parce que cet étudiant aurait pu être l’un des miens. Il n’était ni plus fragile, ni moins bien entouré, ni plus précaire que la plupart des miens, que j’ai quitté ce matin, et que je vais retrouver demain. Pour leur dire quoi ?

      Dans un monde normal on aurait espéré que ce geste aboutisse au moins à une forme de trêve. Que nous cessions d’être collectivement d’immenses connards et connasses et que nous nous regroupions pour réfléchir. Pour prendre le temps. Pour laisser la douleur et la colère jaillir. Pour mettre des mots sur l’indicible. En France au 21ème siècle un étudiant de 22 ans s’est immolé par le feu parce qu’il était pauvre, précaire, et qu’il n’avait plus droit à aucune aide. Dans un monde normal on aurait espéré que ce geste aboutisse au moins à une forme de trêve. Comme à chaque basculement dans l’horreur. Comme à chaque effet de sidération qui saisit une société toute entière. Le mois de Novembre semble hélas propice à ce genre de sidération. Mais là, rien. Juste rien.

      La ministre Frédérique Vidal a fait une rapide visite au CROUS de Lyon, le vendredi du drame, pour « assurer la communauté universitaire de son soutien ». Ella a aussi exprimé son « soutien » à la famille de cet homme de 22 ans qui s’est immolé par le feu. Et elle s’est barrée. Au Groenland je crois. Ou en Antarctique, je ne sais plus. Pour un voyage bien sûr aussi légitime qu’important. Quand on est ministre de la recherche et de l’enseignement supérieur on ne va pas non plus trop modifier son agenda sous prétexte qu’un étudiant de 22 ans s’est immolé par le feu pour dénoncer la précarité dont tous les étudiants sont aujourd’hui victimes. Vous êtes une sinistre et cynique connasse madame la ministre Vidal.

      Sur Twitter, la ministre Frédérique Vidal a, depuis le Groenland ou l’antarctique, dénoncé « avec la plus grande fermeté » les actes de dégradation commis par les manifestants réunis devant le CROUS de Lyon en hommage à leur camarade toujours actuellement entre la vie et la mort. Car l’important quand un étudiant s’immole par le feu en France au 21ème siècle c’est de bien rappeler à ses camarades étudiants que l’important c’est l’ordre public et qu’il ne faut pas dégrader des biens matériels. Foutez-vous le feu si vous voulez, immolez-vous, mais ayez l’amabilité de bien nettoyer après et pensez à être à l’heure en amphi. Il faut noter que le fil Twitter de la ministre Vidal est parfaitement exempt du moindre Tweet sur un étudiant qui s’est immolé par le feu en France au 21ème siècle. Vous êtes une sinistre et cynique connasse madame la ministre Vidal.

      Dans un monde normal la CPU, la conférence des présidents d’université, aurait suspendu l’ensemble de ses travaux, pour une semaine au moins, le temps de comprendre, le temps d’analyser, le temps de chercher ce qui fait qu’en France au 21ème siècle un étudiant décide de s’immoler par le feu devant un CROUS pour dénoncer la précarité et la misère de la jeunesse. La CPU aurait également pu déclarer un genre de minute de silence. Après tout, dans cette « communauté » qu’est l’université, si l’on n’est pas capable de fermer sa gueule et de se recueillir un instant pour cet étudiant là, alors quand le serons-nous ? Mais il n’y a pas eu de minute de silence. Un vieux président qui meurt (Chirac), minute de silence dans toutes les universités. Mais un étudiant qui s’immole par le feu au 21è siècle, et puis rien. Il n’est pas mort me direz-vous. Bien sûr. Bien sûr. Dans ce monde qui est le notre et qui est tout sauf normal, la CPU a fait un communiqué qui est à lui seul une épure du laconisme le plus brut. Parlant de « tentative de suicide » pour ne surtout pas dire la vérité. Car oui en France chaque année un grand nombre d’étudiants font des tentatives de suicide. Mais ce mois de Novembre du 21ème siècle, en France, un étudiant s’est immolé par le feu. Les gens qui ont signé le communiqué de la CPU sont de sinistres connards.

      Dans un monde normal la présidence de l’université de Lyon aurait eu la décence de ne pas clore son « communiqué » sur l’immolation par le feu de l’un de ses étudiants par un dernier paragraphe « condamnant les blocages » après 6 autres paragraphes expliquant que ce n’est la faute de personne et surtout pas celle de l’université. Les gens de la présidence de l’université de Lyon qui ont signé ce communiqué sont de sinistres connards.

      Dans un monde normal nous serions tous à l’arrêt. Nous aurions arrêté de faire cours, nous aurions organisé des temps de parole avec nos étudiants. Certains collègues l’ont fait. Probablement. Je n’en sais rien. Moi je ne l’ai pas fait. Pas encore. J’ai eu cours hier et aujourd’hui et je n’ai rien fait. Je suis un sinistre connard. Je le ferai peut-être demain. Probablement même.

      http://www.sauvonsluniversite.fr/spip.php?article8542

    • "J’ai un euro par jour pour manger" : trois étudiants témoignent de leur grande précarité

      Plusieurs centaines d’étudiants ont manifesté en France mardi aux abords d’une quarantaine de Crous et d’universités contre la précarité étudiante. Certains ont raconté à franceinfo leur quotidien fragile.

      « La précarité tue. » Avec ce hashtag, des centaines d’étudiants ont réagi sur Twitter après l’immolation par le feu, vendredi, d’un de leurs camarades, devant le siège du Crous, à Lyon. Brûlé à 90% et entre la vie et la mort, cet étudiant en licence de sciences politiques voulait dénoncer la précarité dans laquelle vivent de nombreux jeunes. « Même quand j’avais 450 euros par mois, était-ce suffisant pour vivre ? », s’interrogeait le jeune homme, dans un message posté sur les réseaux sociaux pour expliquer son geste.

      L’université Lyon 2, où est inscrit le jeune homme, a été de nouveau fermée pour la journée, mercredi 13 novembre, après des blocages, menés dans toute la France pour protester contre la précarité. Trois étudiants racontent leurs difficultés à franceinfo.
      Sophie*, 26 ans, une thèse et deux emplois

      « Pour tenter de vivre dignement, je cumule deux emplois », explique Sophie*, 26 ans, étudiante en histoire de l’art à Pau (Pyrénées-Atlantiques). Comme la jeune femme ne souhaitait pas qu’on lui impose un sujet de recherche, elle a dû faire l’impasse d’un contrat de doctorante, qui aurait pu lui permettre de financer une partie de ses études. Elle ne bénéficie pas non plus de bourse. En 2016, 22,7% des étudiants interrogés déclaraient auprès de l’Observatoire national de la vie étudiante (OVE), avoir été confrontés « à d’importantes difficultés financières durant l’année ».

      Sophie, syndiquée depuis sept ans au sein de l’organisation Solidaires étudiant-e-s, à l’origine de l’appel national à manifester devant les Crous, travaille à la bibliothèque de son université et effectue des remplacements dans un établissement d’hébergement pour personnes âgées dépendantes (Ehpad). « Je peux faire jusqu’à 40 heures par semaine, en plus de mes travaux de recherche, mais c’est variable d’un mois à l’autre ». L’étudiante dit gagner entre 900 et 1 000 euros par mois. Difficile de demander de l’aide. Entre « honte » et « dignité », les étudiants veulent être ces « jeunes adultes responsables que la société attend d’eux », analyse Sophie.

      Avec 680 euros de frais fixe (loyer, électricité et téléphone), il lui reste souvent moins de 300 euros pour la nourriture, les livres et l’épargne, en prévision du second semestre. Sophie économise afin de pouvoir se consacrer pleinement à ses études à partir de janvier. « En général, les étudiants qui s’auto-financent tiennent six années », confie la jeune femme. « Moi, je ne tiendrai pas plus de quatre ans. Si j’arrête avant d’avoir rendu ma thèse, j’aurai perdu toutes ces années et développé des maladies chroniques pour rien. » A cause de son rythme de vie, la jeune femme souffre de fatigue et de troubles dépressifs chroniques. Selon l’Observatoire de la vie étudiante, environ 60% des étudiants interrogés en 2016 éprouvaient de la fatigue, autant souffraient de stress quand 45% évoquaient des troubles du sommeil et 32% parlaient de déprime.
      Ugo, 19 ans, un euro par jour pour manger

      « Je me suis fixé cette somme de 1 euro par jour pour manger, pour tenir le mois », explique Ugo, 19 ans, étudiant en deuxième année d’histoire et sociologie à Rennes (Ille-et-Vilaine). Boursier « échelon zéro bis », le plus bas de l’échelle des bourses, le jeune homme touche environ 100 euros par mois. Ses parents, qui ont aussi ses deux petites sœurs à charge, financent son appartement, car il n’est pas éligible pour une chambre au Centre régional des œuvres universitaires et scolaires, le Crous. Ugo gère le reste de ses frais fixes en alternant les pâtes, le riz et les pommes de terre. « Je compte toutes mes sorties », ajoute-t-il.

      Après avoir été livreur dans diverses enseignes, le jeune homme a trouvé un emploi fixe comme agent d’escale à la gare de Rennes. Près d’un étudiant sur deux (46%) travaille en dehors de ses études, selon l’OVE. Intérimaire, son nombre d’heures est variable et il gagne entre 600 et 900 euros par mois.

      J’ai peur de perdre mes aides, alors j’essaie de mettre un maximum de côté cette année, pour ensuite faire un master à Paris.Ugo, étudiantà franceinfo

      Pour pouvoir travailler, Ugo bénéficie d’une « dispense d’assiduité » qui lui permet de « rater » certains cours. En contrepartie, il ne bénéficie pas du contrôle continu et joue « son année » uniquement au moment des examens de fin de semestre. Une absence que toutes les facultés ne permettent pas.
      Karine*, 22 ans, endettée, a arrêté ses études

      « J’étais tellement stressée et dépressive que je n’arrivais plus à aller en cours », lâche Karine, 22 ans. Prise dans un engrenage entre petits boulots, soins psychologiques et cours de sociologie à la faculté de Poitiers (Vienne), la jeune femme a tout arrêté en fin de deuxième année, en 2018.

      Elle a grandi avec peu, sa mère touchant le revenu minimum d’insertion (RSA), mais l’étudiante bouclait difficilement les fins de mois avec 350 euros pour vivre. Karine cumule encore les dettes. Ses petits emplois lui faisaient manquer certains enseignements. « Quand vous êtes boursier, vous avez une obligation d’aller en cours, sinon le Crous vous demande de rembourser », explique la jeune femme qui, un an après, est toujours en litige avec l’organisme. Sollicité par franceinfo, le Crous n’a pas souhaité répondre.

      https://www.francetvinfo.fr/societe/education/j-ai-un-euro-par-jour-pour-manger-trois-etudiants-temoignent-de-leur-gr
      #alimentation

  • India strengthens ties with ASEAN countries - World Socialist Web Site
    https://www.wsws.org/en/articles/2018/02/05/asea-f05.html

    Late last month Indian Prime Minister Narendra Modi hosted leaders from all 10 members of the Association of Southeast Asian Nations (ASEAN), in a clear move to strengthen Delhi’s geo-strategic and economic ties and counter China’s growing influence in the region.

    ASEAN leaders were the chief guests at the Indian Republican Day celebrations on January 26, having attended an India-ASEAN Commemorative Summit a day earlier. Modi also held bilateral talks in New Delhi with each ASEAN country leader—from Vietnam, Malaysia, Indonesia, Singapore, Myanmar, the Philippines, Thailand, Brunei, Laos and Cambodia.

    #inde #anase #asean #Integration_économique

  • Comment repenser les rapports entre libertés et religions
    https://www.mediapart.fr/journal/culture-idees/271217/comment-repenser-les-rapports-entre-libertes-et-religions

    Mediapart diffuse les Rencontres d’Averroès, qui contribuent à penser la #méditerranée des deux rives, et dont l’édition 2017 a rempli le théâtre de La Criée à Marseille. Premier volet consacré aux rapports entre religions et libertés avec #Yadh_Ben_Achour, Anastasia Colosimo, #Isy_Morgensztern et #Pascal_Amel.

    #Culture-Idées #Anastasio_Colosimo #Rencontres_d'Averroès

  • « Toi tu vas aller aux cuisines », la drôle de gestion des #œuvres_sociales de la police
    https://www.mediapart.fr/journal/france/060717/toi-tu-vas-aller-aux-cuisines-la-drole-de-gestion-des-oeuvres-sociales-de-

    Reprise en main après la mise en examen de son ancien président Jo Masanet, l’association #Anas tente de se reconstruire. Le rapport d’un policier mis à disposition, qui a démissionné en mars, dénonce la persistance de certaines anciennes pratiques. Contrôlée par le syndicat Unité SGP-Police, l’association élude, évoquant une « manipulation syndicale » qui viendrait de son rival Unsa-Police.

    #France

  • Russian propaganda effort helped spread ‘fake news’ during election, experts say - The Washington Post
    https://www.washingtonpost.com/business/economy/russian-propaganda-effort-helped-spread-fake-news-during-election-experts-say/2016/11/24/793903b6-8a40-4ca9-b712-716af66098fe_story.html

    PropOrNot’s monitoring report (…) identifies more than 200 websites as routine peddlers of Russian propaganda during the election season, with combined audiences of at least 15 million Americans. On Facebook, PropOrNot estimates that stories planted or promoted by the disinformation campaign were viewed more than 213 million times.

    Some players in this online echo chamber were knowingly part of the propaganda campaign, the researchers concluded, while others were “useful idiots”

    (…) Some of these stories originated with RT and Sputnik, state-funded Russian information services that mimic the style and tone of independent news organizations yet sometimes include false and misleading stories (…)

    The speed and coordination of these efforts allowed Russian-backed phony news to outcompete traditional news organizations for audience. Some of the first and most alarming tweets after Clinton fell ill at a Sept. 11 memorial event in New York, for example, came from Russian botnets and trolls, researchers found.

    (…) a variety of other false stories — fake reports of a coup launched at Incirlik Air Base in Turkey and stories about how the United States was going to conduct a military attack and blame it on Russia — to Russian propaganda efforts.

    (…) supposed election irregularities, allegations of vote-rigging and the potential for Election Day violence should Clinton win, researchers said.

    (…) the U.S. government has few tools for detecting or combating foreign propaganda. They expressed hope that their research detailing the power of Russian propaganda would spur official action.

    A former U.S. ambassador to Russia, Michael A. McFaul, said he was struck by the overt support that RT and Sputnik expressed for Trump during the campaign, even using the #CrookedHillary hashtag pushed by the candidate.

    • Oui, le sujet est intéressant car bourré de contradictions de ce type. Révolution orange à l’envers ? Nouveau McCarthyisme dirigé contre le président-élu ? Taste of their own medecine ? etc.
      On dirait qu’un gouffre s’est ouvert d’un seul coup sous les pieds de toute cette intelligentsia. C’est marrant, mais pas spécialement rassurant non plus.

    • Le thème des fake news et de leur nécessaire répression, notamment sur (et par) Facebook est devenu le truisme du moment (thème central notamment dans les journaux qui se sont fait un devoir de publier, quelques heures avant le résultat, qu’Hillary avait 98% de chances d’être élue). Après le thème des pédonazis, les fake news russes qui ont fait élire Trump et le nécessaire contrôle de l’interwebz.

    • Le contrôle des internets sera probablement un sous-produit de cette transition étrange, mais je ne crois pas que ce soit le but premier de ces discussions. C’est plutôt, il me semble, le reflet d’un appareil (militaro-industrialo-intellectuel) qui se rend compte (à tort ou à raison) que son futur commander-in-chief est le produit d’une ingérence non seulement étrangère mais russe.

    • Non, je pense que le terme fake news indique que l’on cible spécifiquement le contrôle de l’internet et que pas grand monde ne croit sérieusement à cette histoire de manipulation russe (en dehors des besoins de la propagande interne).

      (1) D’abord, Trump n’est pas le candidat d’un petit parti marginal et extrémiste (genre pro-russe) : c’est le candidat officiel du parti républicain. Les mêmes médias qui se passionnent pour les fake news présentent désormais John McCain comme un parangon de pragmatisme, alors qu’il avait fait campagne avec Sarah Palin (sérieusement, ça me troue, ça, plus personne ne semble se souvenir de Sarah Palin). La question des fake news, c’est tout de même passer à côté du fait que tout l’appareil du parti républicain est au service depuis des années d’une invraisemblable collection de débiles profonds néofascistes, racistes, islamophobes, homophobes, fondamentalistes born again, Tea Party et compagnie, sans jamais avoir eu besoin de l’aide de Vladimir Poutine et ses usines à fake news…

      (2) Pourquoi l’internet : parce que personne ne pose ici la question des fake news en dehors de l’internet. C’est quoi, sérieusement, l’influence de RT et de Spoutnik par rapport au tuyau à merde qu’a toujours été la télévision ? Fox News par exemple, c’est quelle audience aux États-Unis par rapport aux sites web russes ?

      (3) Qu’on passe de la question de l’hégémonie culturelle de Gramsci et du modèle de propagande de Chomsky à la dénonciation des fake news russes, alors que les Ricains viennent de nous imposer un néo-nazi comme nouveau Président du monde, ça me semble indiquer qu’on est dans le détournement d’attention, ce qui me ramène à l’idée du divertissement pédonazi et que le contrôle de l’internet est le seul objectif consensuel du moment.

    • Pour aller dans le sens de @Nidal, il est frappant que les fake news données en exemple dans l’extrait (je n’ai pas été voir le reste de l’article, je dois avouer) sont d’abord des informations avérées : le malaise de H. Clinton, l’isolement d’Incirlik pendant et après la tentative de coup. Qui ont en commun de gêner les narratives officielles et donc de ne trouver qu’une maigre reprise dans les médias « responsables ».

    • Smear-Mongering: a Mea Culpa for the Age of McCarthyism 2.0
      http://www.counterpunch.org/2016/11/25/smear-mongering-a-mea-culpa-for-the-age-of-mccarthyism-2-0

      The story is a smear piece just like Tailgunner Joe and Roy Cohn used to make. It makes a direct equation between dissent and treason, using the crudest, stupidest kind of cod-reasoning: if you have criticized a policy or action that Vladimir Putin has also criticized at some point (even if the reasons for your critique might differ wildly from his), then you are automatically a Russian agent or a “useful idiot.”

    • Présentation "objective" de l’article et du " dialogue assez violent " qui l’a suivi.
      http://www.lemonde.fr/big-browser/article/2016/11/30/le-spectre-de-la-desinformation-russe-derriere-les-fake-news-sur-internet_50

      Côté équilibre de l’analyse, toute la fin est un "rappel" de l’efficacité de la machine informationnelle russe. Juste un exemple :

      Cette tactique de désinformation et de perturbation est perfectionnée depuis la guerre civile en Ukraine en 2014, où le « récit » officiel russe s’opposait à celui des médias occidentaux.

      Enlevons le pronom : où le « récit » officiel russe s’opposait [au récit] des médias occidentaux. Guillemets ou pas guillemets à la place de mes crochets ?

      En mode coquin : où le « récit » officiel russe s’opposait à la narrative des médias occidentaux.

  • Asie du Sud-Est et façade pacifique : niveaux de développement économique
    http://visionscarto.net/asie-du-sud-est-developpement-economique

    Titre : Asie du Sud-Est et façade pacifique : niveaux de développement économique Mots-clés : #Asie #Asie du Sud-Est #Inégalités #Économie #Anase #Intégration_économique Auteur : Philippe Rekacewicz Date : 2006 mise à jour en 2009 Philippe Rekacewicz, 2006 mis à jour en 2009.

    #Collection_cartographique

  • ENTRETIEN – « Les bûchers de la liberté », avec Anastasia Colosimo - Nonfiction.fr le portail des livres et des idées
    http://www.nonfiction.fr/article-8139-entretien___les_buchers_de_la_liberte__avec_anastasia_colosi

    Dans cet essai incisif, #Anastasia-Colosimo, doctorante en théorie politique et enseignante en théologie politique à Sciences Po Paris, nous propose une étude resserrée du #blasphème et de ses dimensions religieuse, politique mais aussi juridique. Un décryptage salutaire.

  • Les rappeurs de #Daech

    L’un lit, l’autre chante. #Fabien_Clain et son frère #Jean-Michel ont tous deux revendiqué les attentats du 13 novembre dernier dans un communiqué audio glaçant et... chantant. Quel est le parcours de ces djihadistes toulousains, devenus aujourd’hui les voix françaises de Daech ? Amis proches et vagues connaissances des quartiers de Toulouse retracent l’itinéraire de ces deux frères catholiques, d’abord jeunes chanteurs de #rap_chrétien (!), avant de se convertir à l’islam, d’enregistrer des #anashid (chants religieux musulmans), et enfin d’oeuvrer pour la sanglante #propagande de Daech.

    http://arteradio.com/son/61657771/les_rappeurs_de_daech
    #rap #musique #EI #Etat_islamique #djihadisme #radicalisation #conversion

  • US uses ASEAN summit to escalate confrontation with Beijing - World Socialist Web Site

    http://www.wsws.org/en/articles/2015/08/06/asea-a06.html

    US uses ASEAN summit to escalate confrontation with Beijing
    By Mike Head
    6 August 2015

    The US administration and its allies are ramping up their threats against China, using the annual foreign ministers’ summit of the Association of South East Asian Nations (ASEAN) this week in Malaysia to accuse Beijing of “militarising” the South China Sea.

    These allegations have intensified the tensions over these strategic waters that contain some of the world’s most heavily used shipping routes, raising the danger of triggering a US-China war, whether by deliberate provocation or miscalculation.

    #anase #asean #états-unis #chine

  • ASEAN defence summit divided over South China Sea dispute - World Socialist Web Site

    http://www.wsws.org/en/articles/2015/11/05/asea-n05.html

    The United States has suffered a setback in its efforts to obtain backing from the Association of South East Asian Nations (ASEAN) for its provocative military interventions directed against China under the banner of “freedom of navigation” in the South China Sea. A meeting of the 10-member group of ASEAN defence ministers, held in the Malaysian capital of Kuala Lumpur, broke up in disarray on Wednesday without issuing a final communiqué.

    #mer_de-Chine_méridionale #anase #asie_du_sud_est

  • #SOUTH_AFRICAN_HIP_HOP_SERIES : Producer Brian #Soko
    http://africasacountry.com/south-african-hip-hop-series-producer-brian-soko

    Brian Soko is not a happy man! Not only is he having to deal with the trauma of a daylight break-in at a cottage he’s renting while on a three-week work-related trip to Jozi, but the rappers he’s supposed to be having a studio session with the next day aren’t picking up their phones. I’ve […]

    #MUSIC ##SAHipHop2014 #Anashe #Bulawayo #Cashtime_Life #Cassper_Nyovest #Maggz #Phumakim