• Grano : una guerra globale

    Secondo molti osservatori internazionali, la guerra in corso in Ucraina si esprimerebbe non solo mediante l’uso dell’artiglieria pesante e di milizie ufficiali o clandestine, responsabili di migliaia di morti, stupri e deportazioni. Esisterebbero, infatti, anche altri campi sui quali il conflitto, da tempo, si sarebbe spostato e che ne presuppongono un allargamento a livello globale. Uno di questi ha mandato in fibrillazione gli equilibri mondiali, con effetti diretti sulle economie di numerosi paesi e sulla vita, a volte sulla sopravvivenza, di milioni di persone. Si tratta della cosiddetta “battaglia globale del grano”, i cui effetti sono evidenti, anche in Occidente, con riferimento all’aumento dei prezzi di beni essenziali come il pane, la pasta o la farina, a cui si aggiungono quelli dei carburanti, oli vari, energia elettrica e legno.
    La questione del grano negli Stati Uniti: il pericolo di generare un tifone sociale

    Negli Stati Uniti, ad esempio, il prezzo del grano tenero, dal 24 febbraio del 2022, ossia dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, al Chicago Mercantile Exchange, uno dei maggiori mercati di riferimento per i contratti cerealicoli mondiali, è passato da 275 euro a tonnellata ai circa 400 euro dell’aprile scorso. Un aumento esponenziale che ha mandato in tensione non solo il sistema produttivo e distributivo globale, ma anche molti governi, legittimamente preoccupati per le conseguenze che tali aumenti potrebbero comportare sulle loro finanze e sulla popolazione. In epoca di globalizzazione, infatti, l’aumento del prezzo del grano tenero negli Stati Uniti potrebbe generare un “tifone sociale”, ad esempio, in Medio Oriente, in Africa, in Asia e anche in Europa. I relativi indici di volatilità, infatti, sono ai massimi storici, rendendo difficili previsioni di sviluppo che si fondano, invece, sulla prevedibilità dei mercati e non sulla loro instabilità. Queste fibrillazioni, peraltro, seguono, in modo pedissequo, le notizie che derivano dal fronte ucraino. Ciò significa che i mercati guardano non solo agli andamenti macroeconomici o agli indici di produzione e stoccaggio, ma anche a quelli derivanti direttamente dal fronte bellico e dalle conseguenze che esso determinerebbe sugli equilibri geopolitici globali.
    I processi inflattivi e la produzione di grano

    Anche secondo la Fao, per via dell’inflazione che ha colpito la produzione di cereali e oli vegetali, l’indice alimentare dei prezzi avrebbe raggiunto il livello più alto dal 1990, ossia dall’anno della sua creazione.

    Le origini della corsa a questo pericoloso rialzo sono molteplici e non tutte direttamente riconducibili, a ben guardare, alla sola crisi di produzione e distribuzione derivante dalla guerra in Ucraina. I mercati non sono strutture lineari, dal pensiero algoritmico neutrale. Al contrario, essi rispondono ad una serie molto ampia di variabili, anche incidentali, alcune delle quali derivano direttamente dalle ambizioni e dalle strategie di profitto di diversi speculatori finanziari. I dati possono chiarire i termini di questa riflessione.

    Il Pianeta, nel corso degli ultimi anni, ha prodotto tra 780 e 800 milioni di tonnellate di grano. Una cifra nettamente superiore rispetto ai 600 milioni di tonnellate prodotte nel 2000. Ciò si deve, in primis, alla crescita demografica mondiale e poi all’entrata di alcuni paesi asiatici e africani nel gotha del capitalismo globale e, conseguentemente, nel sistema produttivistico e consumistico generale. Se questo per un verso ha sollevato gran parte della popolazione di quei paesi dalla fame e dalla miseria, ha nel contempo determinato un impegno produttivo, in alcuni casi monocolturale, che ha avuto conseguenze dirette sul piano ambientale, sociale e politico.
    Il grano e l’Africa

    L’area dell’Africa centrale, ad esempio, ha visto aumentare la produzione agricola in alcuni casi anche del 70%. Eppure, nel contempo, si è registrato un aumento di circa il 30% di malnutrizione nella sua popolazione. Ciò è dovuto ad un’azione produttiva privata, incentivata da fondi finanziari internazionali e governativi, che ha aumentato la produzione senza redistribuzione. Questa produzione d’eccedenza è andata a vantaggio dei fondi speculativi, dell’agrobusiness o è risultata utile per la produzione occidentale, ma non ha sfamato la popolazione locale, in particolare di quella tradizionalmente esposta alla malnutrizione e alla fame. Un esempio emblematico riguarda l’Etiopia e i suoi 5 milioni circa di cittadini malnutriti. Questo paese dipende ormai interamente dagli aiuti alimentari e umanitari. Allo stesso tempo, migliaia di tonnellate di grano e di riso etiope sono esportate ogni anno in Arabia Saudita per via del land grabbing e degli accordi economici e finanziari sottoscritti. In Sudan si registra il medesimo fenomeno. Il locale governo ha infatti ceduto 1,5 milioni di ettari di terra di prima qualità agli Stati del Golfo, all’Egitto e alla Corea del Sud per 99 anni, mentre risulta contemporaneamente il paese al mondo che riceve la maggiore quantità di aiuti alimentari, con 6 milioni di suoi cittadini che dipendono dalla distribuzione di cibo. Basterebbe controllare i piani di volo degli aeroporti di questi paesi per rendersi conto di quanti aerei cargo decollano giornalmente carichi di verdura fresca e rose, con destinazione finale gli alberghi degli Emirati Arabi e i mercati di fiori olandesi. Come ha affermato l’ex direttore dell’ILC (International Land Coalition), Madiodio Niasse: «La mancanza di trasparenza rappresenta un notevole ostacolo all’attuazione di un sistema di controllo e implementazione delle decisioni riguardo alla terra e agli investimenti ad essa inerenti».

    L’Angola ha varato un piano di investimenti così ambizioso da attrarre sei miliardi di dollari esteri nel solo 2013. Prima dello scoppio del conflitto civile, durato trent’anni, questo paese riusciva a nutrire tutti i suoi abitanti ed esportava caffè, banane e zucchero. Oggi, è costretto a comprare all’estero metà del cibo destinato al consumo interno, mentre solo il 10% della sua superficie arabile è utilizzata. Ciò nonostante, ha ritenuto legittimo incentivare l’accaparramento dei propri terreni agricoli da parte di multinazionali dell’agrobusiness e fondi finanziari di investimento. Ragioni analoghe guidano Khartoum a negoziare migliaia di ettari con i paesi del Golfo. Tra il 2004 e il 2009, in soli cinque paesi, Mali, Etiopia, Sudan, Ghana e Madagascar circa due milioni e mezzo di ettari coltivabili sono finiti nel portafoglio finanziario di multinazionali e dei fondi sovrani.
    Non solo Ucraina

    Quanto descritto serve per superare un’ottica monofocale che tende a concentrarsi, per ciò che riguarda il tema della terra e del grano, esclusivamente sull’Ucraina. Nello scacchiere globale della produzione e dell’approvvigionamento rientrano, infatti, numerosi paesi, molti dei quali per anni predati o raggirati mediante accordi capestro e obblighi internazionali che hanno fatto del loro territorio un grande campo coltivato per i bisogni e i consumi occidentali.
    Il ruolo della Russia

    Anche la Russia, in quest’ambito, svolge un ruolo fondamentale. Mosca, infatti, ha deciso di conservare per sé e in parte per i suoi alleati, a fini strategici, la propria produzione cerealicola, contribuendo a generare gravi fibrillazioni sui mercati finanziari di tutto il mondo. Nel 2021, ad esempio, il paese governato da Putin era il primo esportatore di grano a livello mondiale (18%), piazzandosi sopra anche agli Stati Uniti. Questa enorme quantità di grano esportato non risulta vincolata come quello occidentale, ma riconducibile al consumo interno e al bilanciamento dei relativi prezzi per il consumatore russo che in questo modo paga meno il pane o la carne rispetto ad un occidentale. Non è però tutto “rose e fiori”. Sulla Russia incidono due fattori fondamentali. In primis, le sanzioni occidentali che limitano i suoi rapporti commerciali e impediscono a numerose merci e attrezzature di entrare, almeno in modo legale, per chiudere la filiera produttiva e commerciale in modo controllato. Secondo, l’esclusione della Russia dai mercati finanziari comporta gravi conseguenze per il paese con riferimento alla situazione dei pagamenti con una tensione crescente per il sistema finanziario, bancario e del credito. Non a caso recentemente essa è stata dichiarata in default sui circa 100 milioni di dollari di obbligazioni che non è riuscita a pagare. In realtà, il default non avrà un peso straordinario almeno per due ragioni. In primo luogo perché il paese è da molto tempo economicamente, finanziariamente e politicamente emarginato. Secondo poi, il fallimento sarebbe dovuto non alla mancanza di denaro da parte della Russia, ma alla chiusura dei canali di trasferimento da parte dei creditori. A completare il quadro, c’è una strategica limitazione delle esportazioni di grano da parte ancora della Russia nei riguardi dei paesi satelliti, come ad esempio l’Armenia o la Bielorussia. Ciò indica la volontà, da parte di Putin, di rafforzare le scorte per via di un conflitto che si considera di lungo periodo.
    Il grano “bloccato”

    A caratterizzare questa “battaglie globale del grano” ci sono anche altri fattori. Da febbraio 2020, ad esempio, circa 6 milioni di tonnellate di grano ucraino sono bloccati nel porto di Mikolaiv, Odessa e Mariupol. È una quantità di grano enorme che rischia di deperire nonostante lo stato di crisi alimentare in cui versano decine di paesi, soprattutto africani. Sotto questo profilo, i paesi occidentali e vicini all’Ucraina dovrebbero trovare corridoi speciali, militarmente difesi, per consentire l’esportazione del cereale e successivamente la sua trasformazione a tutela della vita di milioni di persone. D’altra parte, sui prezzi intervengo fattori non direttamente riconducibili all’andamento della guerra ma a quelli del mercato. Ad esempio, l’aumento del costo delle derrate cerealicole si deve anche all’aumento esponenziale (20-30%) dei premi assicurativi sulle navi incaricate di trasportarlo, attualmente ferme nei porti ucraini. Su questo aspetto i governi nazionali potrebbero intervenire direttamente, calmierando i premi assicurativi, anche obtorto collo, contribuendo a calmierai i prezzi delle preziose derrate alimentati. Si consideri che molti industriali italiani del grano variamente lavorato stanno cambiando la loro bilancia di riferimento e relativi prezzi, passando ad esempio dal quintale al chilo e aumentando anche del 30-40% il costo per allevatori e trasformatori vari (fornai e catene dell’alimentare italiano).
    Le ricadute di una guerra di lungo periodo

    Una guerra di lungo periodo, come molti analisti internazionali ritengono quella in corso, obbligherà i paesi contendenti e i relativi alleati, a una profonda revisione della produzione di grano. L’Ucraina, ad esempio, avendo a disposizione circa 41,5 milioni di ettari di superficie agricola utile, attualmente in parte occupati dai carri armati russi e da un cannoneggiamento da artiglieria pesante e attività di sabotaggio, vende in genere il 74% della sua produzione cerealicola a livello globale. Non si tratta di una scelta politica occasionale ma strategica e di lungo periodo. L’Ucraina, infatti, ha visto aumentare, nel corso degli ultimi vent’anni, la sua produzione di grano e l’ esportazione. Si consideri che nel 2000, il grano ucraino destinato all’esportazione era il 60% di quello prodotto. La strategia ovviamente non è solo commerciale ma anche politica. Chi dispone del “potere del grano”, infatti, ha una leva fondamentale sulla popolazione dei paesi che importano questo prodotto, sul relativo sistema di trasformazione e commerciale e sull’intera filiera di prodotti derivati, come l’allevamento. Ed è proprio su questa filiera che ora fa leva la Russia, tentando di generare fibrillazioni sui mercati, azioni speculative e tensioni sociali per tentare di allentare il sostegno occidentale o internazionale dato all’Ucraina e la morsa, nel contempo, delle sanzioni.

    Esiste qualche alternativa alla morsa russa su campi agricoli ucraini? Il terreno ucraino seminato a grano e risparmiato dalla devastazione militare russa, soprattutto lungo la linea Sud-Ovest del paese, può forse rappresentare una speranza se messo a coltura e presidiato anche militarmente. Tutto questo però deve fare i conti con altri due problemi: la carenza di carburante e la carenza di manodopera necessaria per concludere la coltivazione, mietitura e commercializzazione del grano. Su questo punto molti paesi, Italia compresa, si sono detti pronti ad intervenire fornendo a Zelensky mezzi, camion, aerei cargo e navi ove vi fosse la possibilità di usare alcuni porti. Nel frattempo, il grano sta crescendo e la paura di vederlo marcire nei magazzini o di non poterlo raccogliere nei campi resta alta. Ovviamente queste sono considerazioni fatte anche dai mercati che restano in fibrillazione. Circa il 70% dei carburanti usati in agricoltura in Ucraina, ad esempio, sono importanti da Russia e Bielorussia. Ciò significa che esiste una dipendenza energetica del paese di Zelensky dalla Russia, che deve essere superata quanto prima mediante l’intervento diretto dei paesi alleati a vantaggio dell’Ucraina. Altrimenti il rischio è di avere parte dei campi di grano ucraini pieni del prezioso cereale, ma i trattori e le mietitrici ferme perché prive di carburante, passando così dal danno globale alla beffa e alla catastrofe mondiale.

    Una catastrofe in realtà già prevista.
    Un uragano di fame

    Le Nazioni Unite, attraverso il suo Segretario generale, Antonio Guterres, già il 14 marzo scorso avevano messo in guardia il mondo contro la minaccia di un “uragano di fame” che avrebbe potuto generare conflitti e rivolte in aree già particolarmente delicate. Tra queste ultime, in particolare, il Sudan, l’Eritrea, lo Yemen, e anche il Medio Oriente.

    Gutierres ha parlato addirittura di circa 1,7 miliardi di persone che possono precipitare dalla sopravvivenza alla fame. Si tratta di circa un quinto della popolazione mondiale, con riferimento in particolare a quarantacinque paesi africani, diciotto dei quali dipendono per oltre il 50% dal grano ucraino e russo. Oltre a questi paesi, ve ne sono altri, la cui tenuta è in tensione da molti anni, che dipendono addirittura per il 100% dai due paesi in guerra. Si tratta, ad esempio, dell’Eritrea, della Mauritania, della Somalia, del Benin e della Tanzania.

    In definitiva, gli effetti di una nuova ondata di fame, che andrebbe a sommarsi alle crisi sociali, politiche, ambientali e terroristiche già in corso da molti anni, potrebbero causare il definitivo crollo di molti paesi con effetti umanitari e politici a catena devastanti.
    Il caso dell’Egitto

    Un paese particolarmente sensibile alla crisi in corso è l’Egitto, che è anche il più grande acquirente di grano al mondo con 12 milioni di tonnellate, di cui 6 acquistate direttamente dal governo di Al Si-si per soddisfare il programma di distribuzione del pane. Si tratta di un programma sociale di contenimento delle potenziali agitazioni, tensioni sociali e politiche, scontri, rivolte e migrazioni per fame che potrebbero indurre il Paese in uno stato di crisi permanente. Sarebbe, a ben osservare, un film già visto. Già con le note “Primavere arabe”, infatti, generate dal crollo della capacità di reperimento del grano nei mercati globali a causa dei mutamenti climatici che investirono direttamente le grandi economie del mondo e in particolare la Cina, Argentina, Russia e Australia, scoppiarono rivolte proprio in Egitto (e in Siria), represse nel sangue. L’Egitto, inoltre, dipende per il 61% dalla Russia e per il 23% dall’Ucraina per ciò che riguarda l’importazione del grano. Dunque, questi due soli paesi fanno insieme l’84% del grano importato dal paese dei faraoni. Nel contempo, l’Egitto fonda la sua bilancia dei pagamenti su un prezzo del prezioso cereale concordato a circa 255 dollari a tonnellata. L’aumento del prezzo sui mercati globali ha già obbligato l’Egitto ad annullare due contratti sottoscritti con la Russia, contribuendo a far salire la tensione della sua popolazione, considerando che i due terzi circa dei 103 milioni di egiziani si nutre in via quasi esclusiva di pane (chiamato aish, ossia “vita”). Secondo le dichiarazioni del governo egiziano, le riserve di grano saranno sufficienti per soddisfare i relativi bisogni per tutta l’estate in corso. Resta però una domanda: che cosa accadrà, considerando che la guerra in Ucraina è destinata ad essere ancora lunga, quando le scorte saranno terminate?

    Anche il Libano e vari altri paesi si trovano nella medesima situazione. Il paese dei cedri dipende per il 51% dal grano dalla Russia e dall’Ucraina. La Turchia di Erdogan, invece, dipende per il 100% dal grano dai due paesi coinvolti nel conflitto. Ovviamente tensioni sociali in Turchia potrebbero non solo essere pericolose per il regime di Erdogan, ma per la sua intera area di influenza, ormai allargatasi alla Libia, Siria, al Medio Oriente, ad alcuni paesi africani e soprattutto all’Europa che ha fatto di essa la porta di accesso “sbarrata” dei profughi in fuga dai loro paesi di origine.
    Anche l’Europa coinvolta nella guerra del grano

    Sono numerosi, dunque, i paesi che stanno cercando nuovi produttori di cereali cui fare riferimento. Tra le aree alle quali molti stanno guardando c’è proprio l’Unione europea che, non a caso, il 21 marzo scorso, ha deciso di derogare temporaneamente a una delle disposizioni della Pac (Politica Agricola Comune) che prevedeva di mettere a riposo il 4% dei terreni agricoli. Ovviamente, questa decisione è in funzione produttivistica e inseribile in uno scacchiere geopolitico mondiale di straordinaria delicatezza. Il problema di questa azione di messa a coltura di terreni che dovevano restare a riposo, mette in luce una delle contraddizioni più gravi della stessa Pac. Per anni, infatti, sono stati messi a riposo, o fatti risultare tali, terreni non coltivabili. In questo modo venivano messi a coltura terreni produttivi e fatti risultare a riposo quelli non produttivi. Ora, la deroga a questa azione non può produrre grandi vantaggi, in ragione del fatto che i terreni coltivabili in deroga restano non coltivabili di fatto e dunque poco o per nulla incideranno sull’aumento di produzione del grano. Se il conflitto ucraino dovesse continuare e l’Europa mancare l’obiettivo di aumentare la propria produzione di grano per calmierare i prezzi interni e nel contempo soddisfare parte della domanda a livello mondiale, si potrebbe decidere di diminuire le proprie esportazioni per aumentare le scorte. Le conseguenze sarebbero, in questo caso, dirette su molti paesi che storicamente acquistano grano europeo. Tra questi, in particolare, il Marocco e l’Algeria. Quest’ultimo paese, ad esempio, consuma ogni anno circa 11 milioni di tonnellate di grano, di cui il 60% importato direttamente dalla Francia. A causa delle tensioni politiche che nel corso degli ultimi tre anni si sono sviluppate tra Algeria e Francia, il paese Nord-africano ha cercato altre fonti di approvvigionamento, individuandole nell’Ucraina e nella Russia. Una scelta poco oculata, peraltro effettuata abbassando gli standard di qualità del grano, inferiori rispetto a quello francese.
    L’India può fare la differenza?

    Un nuovo attore mondiale sta però facendo il suo ingresso in modo prepotente. Si tratta dell’India, un paese che da solo produce il 14% circa del grano mondiale, ossia circa 90 milioni di tonnellate di grano. Questi numeri consentono al subcontinente indiano di piazzarsi al secondo posto come produttore mondiale dopo la Cina, che ne produce invece 130 milioni. L’India del Presidente Modhi ha usato gran parte della sua produzione per il mercato interno, anch’esso particolarmente sensibile alle oscillazione dei prezzi del bene essenziale. Nel contempo, grazie a una produzione che, secondo Nuova Delhi e la Fao, è superiore alle attese, sta pensando di vendere grano a prezzi vantaggiosi sul mercato globale. Sotto questo profilo già alcuni paesi hanno mostrato interesse. Tra questi, ad esempio, Iran, Indonesia, Tunisia e Nigeria. Anche l’Egitto ha iniziato ad acquistare grano dall’India, nonostante non sia di eccellente qualità per via dell’uso intensivo di pesticidi. Il protagonismo dell’India in questa direzione, ha fatto alzare la tensione con gli Stati Uniti. I membri del Congresso statunitense, infatti, hanno più volte sollevato interrogativi e critiche rispetto alle pratiche di sostegno economico, lesive, a loro dire, della libera concorrenza internazionale, che Nuova Delhi riconosce da anni ai suoi agricoltori, tanto da aver chiesto l’avvio di una procedura di infrazione presso l’Organizzazione mondiale per il Commercio (Omc). Insomma, le tensioni determinate dal conflitto in corso si intersecano e toccano aspetti e interessi plurimi, e tutti di straordinaria rilevanza per la tenuta degli equilibri politici e sociali globali.

    https://www.leurispes.it/grano-una-guerra-globale

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  • Affaire Blessing : le Procureur Général confirme le déni de vérité et de justice

    Communiqué de presse de Tous Migrants et Border Forensics du 30 juin 2022

    Le 27 mai 2022, l’association TOUS MIGRANTS et la sœur de Blessing MATTHEW ont introduit une demande de réouverture de l’information judiciaire sur charges nouvelles auprès du Procureur de la République.

    Il sera en effet rappelé qu’un non-lieu avait été prononcé le 18 juin 2020 en dépit des circonstances tout à fait troubles du décès de Blessing MATTHEW. Ce non-lieu est intervenu ab initio, soit sans investigations complémentaires et donc de manière tout à fait singulière.

    Ce non-lieu a été confirmé le 9 février 2021 par la chambre de l’instruction de la cour d’appel, en dépit des nombreuses contradictions mises en avant par les parties civiles qui ont également contesté l’impartialité de la procédure.

    Or, postérieurement à cette décision, un certain nombre d’éléments nouveaux et déterminants sont apparus.

    D’une part, à la lumière du travail technique considérable réalisé par BORDER FORENSICS, des incohérences inédites dans les déclarations des gendarmes ont été mises en exergue.

    D’autre part, l’association TOUS MIGRANTS est parvenue à recueillir la parole d’un témoin direct des faits, dont la situation n’avait pas permis d’être entendu physiquement par les enquêteurs de façon sereine.

    Contre toute attente, le 23 juin 2022, les Conseils des parties civiles ont été rendus destinataires d’un courrier du Procureur Général indiquant qu’il n’envisageait pas de saisir la chambre de l’instruction. ,

    Ce refus, particulièrement succinct, se fonde sur deux arguments :

    - « Les contradictions évoquées dans le mémoire entre les différentes déclarations des gendarmes quant au déroulement de la recherche dans le village de La Vachette des trois personnes en fuite n’apparaissent pas pertinentes, dès lors que chaque gendarme décrit son intervention et son positionnement ».

    - « L’existence du témoin prénommé Hervé était connue… et les enquêteurs avaient eu deux contacts téléphoniques avec lui les 14 et 15 mai 2018 et il n’avait pas évoqué de guet-apens. La chambre d’instruction avait expressément indiqué que son audition n’était pas utile à la manifestation de la vérité. »

    Cette décision du Procureur Général, qui tient en quelques lignes et qui a été prise en très peu de temps, balaye tous les éléments nouveaux apportés par notre enquête.

    Pas plus que les décisions précédentes, celle-ci n’apporte aucun élément concret permettant de lever les contradictions, incohérences et zones d’ombre que nous avons mises en évidence. Qui plus est, le Procureur refuse d’entendre le principal témoin qui, pour la première fois, révélait l’existence d’un véritable guet-apens.

    Cette décision prive les parties civiles d’obtenir toute la vérité sur les circonstances de la mort de Blessing MATTHEW. La justice n’a pas eu le courage suffisant pour accepter la remise en cause de l’enquête qui avait été réalisée par le Procureur, soit en l’absence d’un magistrat indépendant.

    Cette décision est d’autant plus inconcevable que les obligations de la France en matière d’enquête sont censées être renforcées en cas de décès. L’association TOUS MIGRANTS voit dans cette décision un refus de faire la lumière sur une affaire mettant en cause les forces de l’ordre avec la circonstance que la victime est une exilée.

    En réaction aux circonstances de la mort de sa sœur, Happy MATTHEW nous a dit : “Ils ont juste laissé une personne mourir parce qu’elle n’est pas blanche comme eux, elle n’est pas Française comme eux.” Le déni de vérité et de justice que confirme le Procureur perpétue le traitement discriminatoire et inhumain de Blessing MATTHEW après sa mort.

    De manière plus générale, cette décision est symptomatique d’une absence de véritable contrôle de la Justice face aux très graves violations des droits de l’Homme subies par les personnes exilées.

    Dans un contexte de militarisation croissante de la frontière depuis 2015, et dans un climat politique délétère, où les personnes exilées et les humanitaires qui les accompagnent se voient dénier l’accès aux droits fondamentaux et sont traités comme des citoyens de seconde zone, cette décision doit servir de sursaut.

    Rien n’arrêtera notre demande de « vérité et justice pour Blessing ».

    reçu via la mailing-list Migreurop, le 30.06.2022

    #Blessing_Matthew #justice (well...)

    voir aussi ce fil de discussion :
    https://seenthis.net/messages/962473

    • Mort d’une Nigériane dans les Alpes : la justice refuse de rouvrir l’enquête

      La justice n’envisage pas de rouvrir l’enquête sur la mort d’une Nigériane en 2018 dans les Hautes-Alpes, a déploré jeudi 30 juin l’association de défense des migrants qui en avait fait la demande avec la sœur de la victime.

      Blessing Matthew, 21 ans au moment des faits, avait été retrouvée noyée le 9 mai 2018 dans la Durance, après avoir franchi la frontière en provenance d’Italie. L’enquête sur les circonstances du décès, portant notamment sur un contrôle de gendarmerie survenu deux jours plus tôt à la frontière, avait d’abord été classée sans suite par le parquet de Gap. La sœur de la victime, Christiana Obie Darko, avait déposé plainte avec constitution de partie civile et une information judiciaire avait été ouverte. Elle a conclu à un non-lieu prononcé le 18 juin 2020 et confirmé, le 9 février 2021, par la chambre de l’instruction de la cour d’appel de Grenoble.

      Le 13 juin dernier, l’association Tous Migrants et la sœur de l’exilée ont déposé une demande de réouverture d’information judiciaire à la lumière d’un nouveau témoignage de nature, selon elles, « à rebattre totalement les cartes ». Mais dix jours plus tard, le procureur général de Grenoble leur a fait savoir, dans un courrier dont l’AFP a pris connaissance, qu’il n’envisageait pas de saisir la chambre de l’instruction à cette fin. Les requérants ont condamné, dans un communiqué de presse diffusé jeudi, « cette décision qui tient en quelques lignes et qui a été prise en très peu de temps ». « Elle est parfaitement inconcevable au vu du caractère déterminant du témoignage recueilli. Elle participe à accroître un sentiment de défiance envers la justice lorsque toutes les conditions de l’indépendance ne sont pas remplies et que des forces de l’ordre sont mises en cause », a ajouté leur avocat, Me Vincent Brengarth.

      Selon la sœur de la victime et le collectif de soutien aux migrants, le témoignage, fourni par un membre du « groupe d’exilés pourchassés par les gendarmes », révélait pour la première fois « l’existence d’un véritable guet-apens ». Pour le procureur général, « l’existence du témoin était connue » : « les enquêteurs avaient eu deux contacts téléphoniques avec lui, les 14 et 15 mai 2018, et il n’avait pas évoqué de guet-apens », écrit le magistrat dans sa réponse. « La chambre de l’instruction avait expressément indiqué que son audition n’était pas utile à la manifestation de la vérité », ajoute-t-il. L’association Tous Migrants estime que la situation personnelle de ce témoin direct des faits, à l’époque, ne lui avait pas permis « d’être entendu physiquement par les enquêteurs de façon sereine ».

      https://www.lefigaro.fr/flash-actu/mort-d-une-nigeriane-dans-les-alpes-la-justice-refuse-de-rouvrir-l-enquete-

    • Mort d’une Nigériane dans les Alpes : la justice refuse de rouvrir l’enquête

      Malgré la demande de l’association Tous migrants et de la sœur de la victime, le procureur général de Grenoble a indiqué dans un courrier qu’il n’envisageait pas de saisir la chambre de l’instruction pour rouvrir l’enquête sur la mort Blessing Matthew, une jeune Nigériane décédée en 2018 dans les Alpes.

      Près d’un mois après la demande de réouverture de l’enquête sur la mort de Blessing Matthew par sa sœur Christiana Obie Darko et l’association Tous migrants, la justice a décliné cette requête. Tous migrants a déploré, jeudi 30 juin, dans un communiqué, la décision du procureur général de Grenoble de ne pas saisir la chambre de l’instruction dans le but de relancer les investigations sur la mort de la jeune femme.

      Blessing Matthew, 21 ans au moment des faits, avait été retrouvée noyée le 9 mai 2018 dans la Durance, après avoir franchi la frontière en provenance d’Italie. L’enquête sur les circonstances du décès, portant notamment sur un contrôle de gendarmerie survenu deux jours plus tôt à la frontière, avait d’abord été classée sans suite par le parquet de Gap.

      La sœur de la victime, Christiana Obie Darko, avait déposé plainte avec constitution de partie civile et une information judiciaire avait été ouverte. Elle a conclu à un non-lieu prononcé le 18 juin 2020 et confirmé, le 9 février 2021, par la chambre de l’instruction de la cour d’appel de Grenoble.

      Mais, fin mai, Tous migrants et Christiana Obie Darko ont annoncé avoir demandé la réouverture de l’enquête après avoir pu mettre en lumière des incohérences dans les témoignages des gendarmes impliqués dans le drame. Ils souhaitaient également faire valoir les éléments apportés par un nouveau témoin. Ce dernier, Hervé S., a affirmé avoir assisté à la poursuite de Blessing Matthew par un gendarme, l’avoir entendue tomber à l’eau et avoir vu le gendarme ne pas lui porter secours.

      « Je l’ai entendue crier : ’Help me, help me !’ [’Aidez-moi, aidez-moi !’] Au fur et à mesure qu’elle criait, sa voix s’éloignait… Ensuite, le gendarme est allé dire à ses collègues qu’elle était tombée dans la rivière mais qu’elle avait peut-être traversé. Ils n’ont pas appelé les secours. Des gendarmes sont allés [essayer de] chercher Blessing de l’autre côté », avait confié Hervé S. à Médiapart qui l’avait rencontré et interrogé en avril dernier.

      Selon la sœur de la victime et le collectif de soutien aux migrants, le témoignage d’Hervé S. révélait pour la première fois « l’existence d’un véritable guet-apens ».
      « L’existence du témoin était connue »

      Le procureur général de Grenoble a fait savoir aux requérants, dans un courrier dont l’AFP a pris connaissance, qu’il n’envisageait pas de saisir la chambre de l’instruction dans le but de rouvrir l’enquête.

      Tous migrants cite dans son communiqué les deux motifs invoqués par le procureur pour motiver son refus. Le magistrat ne juge pas « pertinentes » "les contradictions évoquées dans le mémoire entre les différentes déclarations des gendarmes quant au déroulement de la recherche dans le village de La Vachette des trois personnes en fuite [...] dès lors que chaque gendarme décrit son intervention et son positionnement".

      Par ailleurs, le procureur assure que « l’existence du témoin prénommé Hervé était connue » et que « les enquêteurs avaient eu deux contacts téléphoniques avec lui les 14 et 15 mai 2018 » lors desquels « il n’avait pas évoqué de guet-apens ».

      « Cette décision du Procureur Général, qui tient en quelques lignes et qui a été prise en très peu de temps, balaye tous les éléments nouveaux apportés par notre enquête », déplore Tous migrants qui entend poursuivre les démarches dans cette affaire.

      https://www.infomigrants.net/fr/post/41611/mort-dune-nigeriane-dans-les-alpes--la-justice-refuse-de-rouvrir-lenqu

  • Nous pouvons (et devons) stopper la crise sur les marchés internationaux – Fondation FARM
    https://fondation-farm.org/crise-alimentaire-securite-mondiale

    Bien sûr, la guerre en Ukraine n’a rien arrangé. Cette région du monde (Ukraine + Russie) produit une part significative du blé et du maïs exporté sur les marchés internationaux (environ 20%) et il en est de même pour les huiles végétales (notamment celle de tournesol) et pour les engrais azotés. Pour l’instant, ce n’est pas tant la production qui est compromise que les exportations (qui se faisaient traditionnellement par les ports de la mer Noire).
    Mais l’essentiel de la hausse des prix s’est produit avant la guerre en Ukraine. Et il ne s’agit pas là d’un détail. Car si les prix alimentaires, notamment ceux du maïs, du blé et des huiles végétales, ont fortement augmenté depuis la mi-2020, c’est parce qu’ils ont été entraînés à la hausse par le prix des énergies fossiles (pétrole et gaz naturel). Ce qui est en cause, c’est donc notre modèle de production agricole basé sur l’utilisation intense de ces énergies : intrants chimiques (notamment les engrais azotés fabriqués avec du gaz naturel), mécanisation, transport à grande distance. Ce qui est en cause, c’est surtout notre utilisation massive de produits alimentaires pour fabriquer du carburant, surtout aux Etats-Unis (maïs) et dans l’Union européenne (colza). Une utilisation qui lie très fortement le prix des céréales (maïs et blé) et des huiles végétales aux prix des énergies fossiles.
    Alors bien sûr la guerre en Ukraine a prolongé et amplifié la crise mais lui en attribuer l’entière responsabilité est factuellement inexact. Nous (Européens et Américains du nord) avons aussi notre (grande) part de responsabilité et il nous revient de l’assumer.

    #marchés_céréales #crise_ukraine #biocarburant

  • Le système alimentaire mondial menace de s’effondrer

    Aux mains de quelques #multinationales et très liée au secteur financier, l’#industrie_agroalimentaire fonctionne en #flux_tendu. Ce qui rend la #production mondiale très vulnérable aux #chocs politiques et climatiques, met en garde l’éditorialiste britannique George Monbiot.

    Depuis quelques années, les scientifiques s’évertuent à alerter les gouvernements, qui font la sourde oreille : le #système_alimentaire_mondial ressemble de plus en plus au système financier mondial à l’approche de 2008.

    Si l’#effondrement de la finance aurait été catastrophique pour le bien-être humain, les conséquences d’un effondrement du #système_alimentaire sont inimaginables. Or les signes inquiétants se multiplient rapidement. La flambée actuelle des #prix des #aliments a tout l’air du dernier indice en date de l’#instabilité_systémique.

    Une alimentation hors de #prix

    Nombreux sont ceux qui supposent que cette crise est la conséquence de la #pandémie, associée à l’#invasion de l’Ukraine. Ces deux facteurs sont cruciaux, mais ils aggravent un problème sous-jacent. Pendant des années, la #faim dans le monde a semblé en voie de disparition. Le nombre de personnes sous-alimentées a chuté de 811 millions en 2005 à 607 millions en 2014. Mais la tendance s’est inversée à partir de 2015, et depuis [selon l’ONU] la faim progresse : elle concernait 650 millions de personnes en 2019 et elle a de nouveau touché 811 millions de personnes en 2020. L’année 2022 s’annonce pire encore.

    Préparez-vous maintenant à une nouvelle bien plus terrible : ce phénomène s’inscrit dans une période de grande #abondance. La #production_alimentaire mondiale est en hausse régulière depuis plus de cinquante ans, à un rythme nettement plus soutenu que la #croissance_démographique. En 2021, la #récolte mondiale de #blé a battu des records. Contre toute attente, plus d’humains ont souffert de #sous-alimentation à mesure que les prix alimentaires mondiaux ont commencé à baisser. En 2014, quand le nombre de #mal_nourris était à son niveau le plus bas, l’indice des #prix_alimentaires [de la FAO] était à 115 points ; il est tombé à 93 en 2015 et il est resté en deçà de 100 jusqu’en 2021.

    Cet indice n’a connu un pic que ces deux dernières années. La flambée des prix alimentaires est maintenant l’un des principaux facteurs de l’#inflation, qui a atteint 9 % au Royaume-Uni en avril 2022 [5,4 % en France pour l’indice harmonisé]. L’alimentation devient hors de prix pour beaucoup d’habitants dans les pays riches ; l’impact dans les pays pauvres est beaucoup plus grave.

    L’#interdépendance rend le système fragile

    Alors, que se passe-t-il ? À l’échelle mondiale, l’alimentation, tout comme la finance, est un système complexe qui évolue spontanément en fonction de milliards d’interactions. Les systèmes complexes ont des fonctionnements contre-intuitifs. Ils tiennent bon dans certains contextes grâce à des caractéristiques d’auto-organisation qui les stabilisent. Mais à mesure que les pressions s’accentuent, ces mêmes caractéristiques infligent des chocs qui se propagent dans tout le réseau. Au bout d’un moment, une perturbation même modeste peut faire basculer l’ensemble au-delà du point de non-retour, provoquant un effondrement brutal et irrésistible.

    Les scientifiques représentent les #systèmes_complexes sous la forme d’un maillage de noeuds et de liens. Les noeuds ressemblent à ceux des filets de pêche ; les liens sont les fils qui les connectent les uns aux autres. Dans le système alimentaire, les noeuds sont les entreprises qui vendent et achètent des céréales, des semences, des produits chimiques agricoles, mais aussi les grands exportateurs et importateurs, et les ports par lesquels les aliments transitent. Les liens sont leurs relations commerciales et institutionnelles.

    Si certains noeuds deviennent prépondérants, fonctionnent tous pareil et sont étroitement liés, alors il est probable que le système soit fragile. À l’approche de la crise de 2008, les grandes banques concevaient les mêmes stratégies et géraient le risque de la même manière, car elles courraient après les mêmes sources de profit. Elles sont devenues extrêmement interdépendantes et les gendarmes financiers comprenaient mal ces liens. Quand [la banque d’affaires] Lehman Brothers a déposé le bilan, elle a failli entraîner tout le monde dans sa chute.

    Quatre groupes contrôlent 90 % du commerce céréalier

    Voici ce qui donne des sueurs froides aux analystes du système alimentaire mondial. Ces dernières années, tout comme dans la finance au début des années 2000, les principaux noeuds du système alimentaire ont gonflé, leurs liens se sont resserrés, les stratégies commerciales ont convergé et se sont synchronisées, et les facteurs susceptibles d’empêcher un #effondrement_systémique (la #redondance, la #modularité, les #disjoncteurs, les #systèmes_auxiliaires) ont été éliminés, ce qui expose le système à des #chocs pouvant entraîner une contagion mondiale.

    Selon une estimation, quatre grands groupes seulement contrôlent 90 % du #commerce_céréalier mondial [#Archer_Daniels_Midland (#ADM), #Bunge, #Cargill et #Louis_Dreyfus]. Ces mêmes entreprises investissent dans les secteurs des #semences, des #produits_chimiques, de la #transformation, du #conditionnement, de la #distribution et de la #vente au détail. Les pays se divisent maintenant en deux catégories : les #super-importateurs et les #super-exportateurs. L’essentiel de ce #commerce_international transite par des goulets d’étranglement vulnérables, comme les détroits turcs (aujourd’hui bloqués par l’invasion russe de l’Ukraine), les canaux de Suez et de Panama, et les détroits d’Ormuz, de Bab El-Mandeb et de Malacca.

    L’une des transitions culturelles les plus rapides dans l’histoire de l’humanité est la convergence vers un #régime_alimentaire standard mondial. Au niveau local, notre alimentation s’est diversifiée mais on peut faire un constat inverse au niveau mondial. Quatre plantes seulement - le #blé, le #riz, le #maïs et le #soja - correspondent à près de 60 % des calories cultivées sur les exploitations. La production est aujourd’hui extrêmement concentrée dans quelques pays, notamment la #Russie et l’#Ukraine. Ce #régime_alimentaire_standard_mondial est cultivé par la #ferme_mondiale_standard, avec les mêmes #semences, #engrais et #machines fournis par le même petit groupe d’entreprises, l’ensemble étant vulnérable aux mêmes chocs environnementaux.

    Des bouleversements environnementaux et politiques

    L’industrie agroalimentaire est étroitement associée au #secteur_financier, ce qui la rend d’autant plus sensible aux échecs en cascade. Partout dans le monde, les #barrières_commerciales ont été levées, les #routes et #ports modernisés, ce qui a optimisé l’ensemble du réseau mondial. On pourrait croire que ce système fluide améliore la #sécurité_alimentaire, mais il a permis aux entreprises d’éliminer des coûts liés aux #entrepôts et #stocks, et de passer à une logique de flux. Dans l’ensemble, cette stratégie du flux tendu fonctionne, mais si les livraisons sont interrompues ou s’il y a un pic soudain de la demande, les rayons peuvent se vider brusquement.

    Aujourd’hui, le système alimentaire mondial doit survive non seulement à ses fragilités inhérentes, mais aussi aux bouleversements environnementaux et politiques susceptibles de s’influencer les uns les autres. Prenons un exemple récent. À la mi-avril, le gouvernement indien a laissé entendre que son pays pourrait compenser la baisse des exportations alimentaires mondiales provoquée par l’invasion russe de l’Ukraine. Un mois plus tard, il interdisait les exportations de blé, car les récoltes avaient énormément souffert d’une #canicule dévastatrice.

    Nous devons de toute urgence diversifier la production alimentaire mondiale, sur le plan géographique mais aussi en matière de cultures et de #techniques_agricoles. Nous devons briser l’#emprise des #multinationales et des spéculateurs. Nous devons prévoir des plans B et produire notre #nourriture autrement. Nous devons donner de la marge à un système menacé par sa propre #efficacité.

    Si tant d’êtres humains ne mangent pas à leur faim dans une période d’abondance inédite, les conséquences de récoltes catastrophiques que pourrait entraîner l’effondrement environnemental dépassent l’entendement. C’est le système qu’il faut changer.

    https://www.courrierinternational.com/article/crise-le-systeme-alimentaire-mondial-menace-de-s-effondrer

    #alimentation #vulnérabilité #fragilité #diversification #globalisation #mondialisation #spéculation

  • Mort de #Blessing, 20 ans, à la frontière : un témoin sort de l’ombre pour accuser les gendarmes

    La Nigériane #Blessing_Matthew a été retrouvée noyée dans les Alpes en 2018, après que des gendarmes ont tenté de l’interpeller. Alors qu’un non-lieu a été prononcé, un témoin clé parle aujourd’hui pour la première fois et met en cause les forces de l’ordre. Mediapart l’a rencontré. Une sœur de Blessing et l’association Tous migrants demandent la réouverture du dossier. Révélations.

    https://www.mediapart.fr/journal/france/300522/mort-de-blessing-20-ans-la-frontiere-un-temoin-sort-de-l-ombre-pour-accuse
    #décès #morts_aux_frontières #asile #migrations #frontières #Hautes-Alpes #Briançon #La_Vachette #Briançonnais #France #gendarmes #border_forensics #mourir_aux_frontières #Blessing

    Une enquête à laquelle je suis très fière d’avoir contribué :-)

    voir aussi ce fil de discussion :
    https://seenthis.net/messages/957606

    • L’enquête sur le site de Border Forensics :
      Introduction

      La mort de Blessing Matthew - Une contre-enquête sur la violence aux frontières alpines

      Le 9 mai 2018, le corps d’une jeune femme noire est découvert dans la rivière de la Durance, bloquée par la retenue d’eau du barrage de Prelles, situé sur la commune de Saint-Martin-de-Queyrières en aval de Briançon, dans les Hautes-Alpes françaises.

      Une enquête a été ouverte, permettant d’identifier la jeune femme quelques jours plus tard comme étant Blessing Matthew, âgée de 21 ans et originaire du Nigeria. Elle avait été vue pour la dernière fois le 7 mai alors que la gendarmerie mobile tentait de l’interpeler avec ses deux compagnons de route, Hervé S. et Roland E, dans le village de La Vachette, à 15 kilomètres de la frontière franco-italienne.

      Au-delà de la douleur de sa famille et de ses deux compagnons de route, la mort de Blessing a suscité une vive émotion dans le Briançonnais. Elle a concrétisé les craintes, exprimées à plusieurs reprises par la société civile, concernant la militarisation de la frontière haute-alpine et ses conséquences dangereuses pour les personnes en migration. C’est le premier cas documenté de personne en exil décédée depuis 2015 dans le Briançonnais - 2 autres personnes y ont trouvé la mort depuis.

      Le 14 mai 2018, Tous Migrants, une association défendant les droits des migrant·es dans le Briançonnais, a transmis un signalement concernant la mort de Blessing au procureur de la République de Gap, en lui exposant les faits rapportés par une des personnes qui l’accompagnaient le jour de sa disparition. Ce signalement a été suivi d’une plainte, déposée le 25 septembre 2018 par une des sœurs de Blessing, Christiana Obie, auprès du procureur de la République de Gap pour « mise en danger de la vie d’autrui » et « homicide involontaire ».

      Le 10 décembre 2018, l’officier de police judiciaire en charge de l’enquête a transmis au tribunal de Gap la synthèse des résultats de celle-ci, qui conclut que les éléments constitutifs des infractions alléguées ne sont pas démontrés.

      Le 3 mai 2019, la sœur de Blessing et Tous Migrants se sont constitués partie civile dans une nouvelle plainte. Le 18 juin 2020, le tribunal de Gap a déclaré la plainte irrecevable et prononcé un non-lieu ab initio. L’ordonnance du juge d’instruction a été confirmée par la chambre d’instruction de la cour d’appel de Grenoble le 9 février 2021.

      Jusqu’à ce jour, le processus judiciaire n’a pas permis de faire la lumière sur les circonstances qui ont mené à la mort de Blessing, ni de déterminer qui en est responsable. Mais la famille de Blessing n’a pas abandonné sa quête de vérité et de justice : selon les mots de Christiana Obie, « ma sœur continuera à hurler » tant que la vérité ne sera pas connue et que la justice n’aura pas été faite.

      C’est pour soutenir cette demande de vérité et de justice de la famille de Blessing que Border Forensics a mené une contre-enquête, en collaboration avec Tous Migrants et grâce à la contribution d’un de ses compagnons de route, Hervé. Les enjeux de notre enquête vont également au-delà du cas de Blessing. Son décès représente un cas parmi les 46 mort·es en migration à la frontière franco-italienne répertorié·es depuis 2015. Or, comme pour Blessing, aucune responsabilité n’a été déterminée pour ces morts. Les pratiques de mise en danger à la frontière des personnes en exil ont ainsi pu être perpétuées sans entraves. C’est également pour contribuer à mettre fin à cette impunité, et pour que ces pratiques cessent, que nous avons mené cette enquête.

      https://www.borderforensics.org/fr/investigations/blessing-investigation

      Avec 3 #vidéos produites :

      1) le témoignage in situ d’un des compagnons de route de Blessing, Hervé :
      https://vimeo.com/714978117

      2) une interview des deux soeurs de Blessing et Hervé :
      https://vimeo.com/715094941

      3) une partie de la vidéo qui reconstruit les déclarations contradictoires des gendarmes :
      https://vimeo.com/715020037

      #Alpes #montagne #frontière_sud-alpine #violent_borders #reconstitution

    • Une émission de A l’air libre dédiée à l’enquête :
      Mort de Blessing Matthew : les gendarmes mis en cause

      Le 7 mai 2018, la jeune migrante Blessing Matthew est morte noyée près de Briançon. La justice a prononcé un non-lieu à l’égard des gendarmes. De nouveaux éléments mis au jour par Border Forensics pourraient aboutir à une réouverture de l’enquête.

      https://www.youtube.com/watch?time_continue=175&v=uYFiMVXFY28&feature=emb_logo

      https://www.mediapart.fr/journal/france/300522/mort-de-blessing-matthew-les-gendarmes-mis-en-cause

    • Newsletter de Tous Migrants, 30.05.2022

      Quatre ans après sa mort,
      nous demandons toujours vérité et justice pour Blessing !

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      Le 9 mai 2018, le corps d’une jeune femme est découvert dans la Durance au barrage de Prelles, une dizaine de kilomètres en aval de Briançon (Hautes-Alpes, France). La jeune femme est identifiée quelques jours plus tard comme étant Blessing Matthew, âgée de 21 ans et originaire du Nigeria. Elle avait été vue pour la dernière fois le 7 mai, entre 4 heures et 5 heures du matin, alors que des gendarmes mobiles tentaient de l’interpeler avec ses deux compagnons de route, Hervé S. et Roland E, dans le hameau de La Vachette, situé au pied du col de Montgenèvre, à proximité de la frontière franco-italienne.
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      ­Au-delà de la douleur de sa famille et de ses deux compagnons de route, la mort de Blessing a suscité une vive émotion dans le Briançonnais. Elle a concrétisé les craintes, maintes fois exprimées par la société civile, concernant la militarisation de la frontière haute-alpine et ses conséquences dangereuses pour les personnes exilées. C’est le premier cas documenté de personne exilée décédée dans le Briançonnais, depuis la décision du gouvernement français de rétablir les contrôles fixes aux frontières en 2015.
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      Ce drame intervient dans un contexte de très vives tensions.

      Le 22 avril 2018, alors que le groupuscule suprémaciste Génération Identitaire occupe le col de l’Échelle, trois personnes venues manifester leur solidarité avec les personnes exilées sont arrêtées et placées en détention provisoire. Le même jour, le ministre de l’Intérieur, Gérard Collomb, décide de l’envoi de renforts immédiats des forces de l’ordre à la frontière. C’est ainsi qu’est déployé dans le Briançonnais, le 24 avril, un escadron de gendarmerie mobile de Drancy dont plusieurs membres seraient impliqués dans la poursuite et la chute dans la Durance de Blessing Matthew.

      Les témoignages des personnes exilées recueillis à Briançon attestent fréquemment de pratiques de course-poursuites, de mise en danger, et de violences physiques et verbales de la part des gendarmes mobiles, de la police aux frontières et des militant·es de Génération Identitaire. C’est dans ce contexte que survient la disparition de Blessing Matthew, le 7 mai 2018, puis la découverte de son corps deux jours plus tard.

      Le 14 mai 2018, suite à la mort de Blessing, Tous Migrants adresse un signalement auprès du Procureur de la République de Gap, exposant les faits rapportés par les personnes qui l’accompagnaient le jour de sa disparition, ainsi que les possibles infractions des forces de l’ordre : mise en danger délibérée de la vie d’autrui, homicide involontaire, violence volontaire, non-assistance à personne en danger, discrimination d’une personne en raison de son apparence. Ce signalement est suivi par le dépôt d’une plainte, le 25 septembre 2018, par la famille de Blessing.

      Un an plus tard, un communiqué de presse du procureur de Gap, transmis le 7 mai 2019, informe que le parquet a classé sans suite cette enquête au motif d’absence d’infraction. Suite à cela, l’association Tous Migrants se constitue partie civile pour soutenir la demande de vérité et de justice de la famille de Blessing. Le 15 novembre 2019, le procureur de Gap prend des réquisitions de non-recevabilité de cette constitution de partie civile, et de non-lieu ab initio concernant la plainte de la sœur de Blessing. Ces réquisitions sont confirmées par l’ordonnance du 18 juin 2020 du doyen des juges d’instruction du tribunal de Gap, puis par la décision du 9 février 2021 de la chambre d’instruction de la cour d’appel de Grenoble.

      La démarche en justice de Tous Migrants aux côtés de la famille de Blessing a au moins permis à l’association de prendre connaissance du dossier d’enquête du procureur, et notamment des déclarations des gendarmes mobiles. Tous Migrants a analysé ces déclarations et constaté leurs nombreuses incohérences, contradictions et zones d’ombres, notamment au regard de la topographie des lieux, des conditions de visibilité et du déroulement des événements. L’association a également constaté que les gendarmes enquêteurs ne semblent pas avoir examiné en détail ces incohérences et contradictions, ni cherché à clarifier les zones d’ombre, ni tenté de reconstituer le déroulement précis des faits et gestes des gendarmes mobiles. Bien au contraire, ils ont délivré un récit qui nous parait occulter ces incohérences, contradictions et zones d’ombre au profit d’un plaidoyer pro domo.

      Tous Migrants a alors contacté Border Forensics afin que leur équipe de chercheur·es puisse mobiliser les méthodes d’analyse spatio-temporelle développées dans le cadre des enquêtes déjà menées auparavant, notamment en Méditerranée. Border Forensics a mené sa propre contre-enquête, en collaboration avec Tous Migrants et grâce à la contribution fondamentale d’un des compagnons de route de Blessing Matthew, Hervé S. L’analyse de Border Forensics, a permis, grâce au témoignage précis et cohérent d’Hervé S. in situ, de confirmer et de préciser la reconstitution des événements. Selon ce témoignage, en poursuivant Blessing, les gendarmes l’ont mise en danger, menant à sa chute dans la Durance et à sa mort.

      De plus, Border Forensics a réalisé une analyse spatio-temporelle des déclarations des gendarmes qui a fait émerger les nombreuses omissions, contradictions et zones d’ombre de l’enquête de police judiciaire concernant les conditions qui ont mené à la mort de Blessing. L’analyse produite remet ainsi en cause les conclusions de l’enquête de police judiciaire disculpant les gendarmes.

      Le témoignage d’Hervé S. et l’analyse spatio-temporelle des déclarations des gendarmes mobiles, constituent des éléments nouveaux qui permettent à la famille de Blessing de demander la réouverture de l’instruction judiciaire, ce que vient de faire Maître Vincent Brengarth.

      Seule la réouverture de l’instruction pourra déterminer de manière définitive les événements ayant mené à la mort de Blessing et d’établir les responsabilités. Quatre ans après le drame, il est urgent que la justice française réponde enfin à la demande de vérité et justice de la famille de Blessing. « Ma soeur continuera de hurler et hurler » tant que justice ne sera pas faite, dit sa soeur Christiana Obie.

      Nous rappelons qu’à ce jour, que ce soit pour la mort de Blessing ou pour d’autres personnes exilées décédées à cette frontière, aucune responsabilité n’a été déterminée. Les pratiques de mise en danger à la frontière des personnes en exil par les forces de l’ordre ont ainsi pu être perpétrées sans entrave.

      Une dizaine de jours après la disparition de Blessing Matthew, le 18 mai 2018, une seconde personne exilée a été trouvée morte à quelques kilomètres seulement de La Vachette : il s’agit de Mamadi Condé, un homme de 43 ans, de nationalité guinéenne. Depuis la mort de Blessing et de Mamadi, et du fait de l’aggravation de la politique de militarisation de la frontière et de refoulements systématiques des personnes exilées aux mépris de leurs droits, cinq autres décès et une disparition certaine sont survenues dans le même secteur, entre les Hautes-Alpes françaises et la Vallée de Suse côté italien : Mohamed Fofana (25 mai 2018), Douala Gakou (15 novembre 2018), Tamimou Derman (7 février 2019), Mohamed Ali Bouhamdi (7 septembre 2019), Mohammed Mahayedin (22 juin 2021), Fathallah Belafhail (2 janvier 2022), Ullah Rezwan Sheyzad (26 janvier 2022). S’ajoutent toutes les personnes gravement blessées, parfois mutilées et handicapées à vie.

      C’est également pour que cessent les pratiques mortifères de contrôle des frontières, et l’impunité pour celles-ci, que nous nous battons pour que que justice soit rendue pour la mort de Blessing.
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    • Décès de Blessing Matthew : sa famille, Tous Migrants et Border Forensics réclament justice

      (Revue de Presse) Lundi 30 mai, Tous Migrants et Border Forensics ont organisé une conférence de presse au Centre International de Culture Populaire, avec l’appui de VoxPublic, afin de réclamer vérité et justice autour du décès de Blessing Matthew. Nigériane et âgée de 21 ans, la jeune migrante avait été retrouvée morte le 9 mai 2018 dans la Durance, en amont de Briançon (Hautes-Alpes). Elle avait été vue pour la dernière fois le 7 mai 2018, alors que des gendarmes mobiles tentaient de l’interpeller. Tous Migrants s’était alors immédiatement constituée partie civile, mais le procureur de Gap avait classé l’affaire sans suite.

      Aujourd’hui, Tous Migrants avec la famille de Blessing Matthew demandent la réouverture de l’enquête, sur la base d’un nouveau témoignage à même de rebattre toutes les cartes. Leur avocat, Me Vincent Brengarth, a déposé vendredi 27 mai une demande de réouverture de l’instruction. Partenaire de Tous Migrants dans ce combat, l’ONG Border Forensics a comparé les différentes versions des gendarmes et le témoignage, et a annoncé, reconstitutions à l’appui, avoir repéré de nombreuses incohérences et contradictions dans les dépositions des gendarmes et dans le dossier . Pour la toute première fois, des associations réunies ont réussi à documenter la possible responsabilité des forces de l’ordre dans le décès d’une personne exilée.

      La conférence de presse, tenue en présentiel au CICP et retransmise en ligne, a réuni pas moins de 70 à 80 personnes dont une quinzaine de journalistes, ainsi que des responsables associatifs, et politiques ainsi que des universitaires et chercheurs. Avec beaucoup d’émotion, Tous Migrants et Border Forensics ont présenté leurs revendications et les éléments avancés pour la réouverture du dossier. Christiana Oboe, la sœur de Blessing, était présente par visioconférence et a délivré un message poignant à une assemblée bouleversée par la force de ses propos. Elle demande la vérité, la justice, et formule le vœu que de tels drames ne se reproduisent plus.

      https://www.voxpublic.org/Sa-famille-Tous-Migrants-et-Border-Forensics-reclament-justice-pour-Bless

      déjà signalé par @simplicissimus ici :
      https://seenthis.net/messages/962883

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      sur la même page, la revue de presse tenue par Vox Public...

    • Mort d’une exilée à la frontière franco-italienne : un témoignage pointe la responsabilité des forces de l’ordre

      Un témoignage inédit pourrait relancer l’enquête sur la mort de Blessing Matthew, jeune réfugiée nigériane décédée dans des circonstances troubles dans les Alpes. Sa famille et l’association Tous Migrants espèrent la réouverture du dossier.

      En mai 2018, Blessing Matthew, jeune femme nigériane, est retrouvée noyée dans la Durance, à quelques pas de la frontière entre la France et l’Italie. Elle est la première personne exilée décédée dans le Briançonnais (Hautes-Alpes). Âgée de seulement 21 ans, elle essayait de fuir les forces de l’ordre lorsqu’elle est tombée dans la rivière, qui, près de sa source, prend des allures de torrent avant de traverser les Alpes provençales. Jusqu’à présent, les circonstances de la noyade de la jeune femme restaient troubles, sans que l’on sache si les forces de l’ordre présentes dans les environs ont directement joué un rôle.

      Depuis ce jour, sa famille et l’association Tous Migrants tentent de retracer les événements qui ont conduit à son décès. « Un parcours du combattant pour obtenir la vérité », regrette Vincent Brengarth, leur avocat. L’enjeu est de savoir si les forces de l’ordre ont été témoins de la scène, ou même si elles peuvent être tenues responsables de la noyade. Dans le dossier, clos définitivement en février 2021, les récits des agents présents divergent, tant sur les lieux que sur l’heure de la tentative de contrôle. Entre ces témoignages contradictoires et une enquête pénale close hâtivement, connaître le fin mot de l’affaire semblait vain.

      Jusqu’à ce dernier rebondissement : le compagnon de route de Blessing, Hervé, décide de témoigner sur les circonstances de sa mort. Le 30 mai 2022, l’association Tous Migrants et Border Forensics – organisation de recherche de preuves dans des cas de morts aux frontières – organisent une conférence de presse pour présenter de nouveaux éléments. Non seulement le témoignage d’Hervé est inédit, mais il vient appuyer les analyses spatiales et temporelles de Border Forensics. Tout semble coller. Les gendarmes pourraient être tenus responsable de la mort de la Nigériane de 21 ans. Reste à rouvrir le dossier pénal.
      Un témoignage clé sur la responsabilité des forces de l’ordre

      Même avec cette avancée de taille, quatre ans plus tard, l’affaire est toujours aussi douloureuse à répéter. La voix de Michel Rousseau, de Tous Migrants, tremble en racontant la nuit des événements : « Le 7 mai 2018, entre 4 et 5 heures du matin, trois personnes exilées marchent sur la route en direction de Briançon. À l’entrée du hameau de La Vachette, des torches s’allument dans la nuit. Puis, des cris : « Police, police ». Elles courent en direction de l’église. L’un arrive à se cacher. Blessing était poursuivie par des gendarmes. Elle a traversé un jardin où Hervé était lui aussi caché. Il la voit, elle fuit, éclairée par les torches des gendarmes. Et puis, elle s’est retrouvée bloquée par la rivière ... » Sa voix s’arrête dans un sanglot.

      En partenariat avec Tous Migrants, l’organisation Border Forensics publie le 30 mai une analyse fine et complète des événements. Le dossier, particulièrement détaillé, est le fruit d’un an de travail. Dans l’une des vidéos publiées, ses équipes retournent dans le petit village de La Vachette avec Hervé. L’homme, sous couvert d’anonymat et capuche sur la tête, parcourt le village, racontant chaque étape de cette course-poursuite nocturne. Arrivé dans un jardin près de l’église, il se serait caché dans les herbes hautes.

      Blessing, elle, était encore poursuivie par deux gendarmes. Il raconte les entendre crier : « Arrête toi, si tu t’arrêtes pas, on va tirer. » Elle court jusqu’au bout du jardin, jusqu’à la rivière, où il entend la jeune femme dire « Leave me, leave me » (« Lâchez-moi, lâchez-moi »), puis tomber. Il l’entend de nouveau. Son cri, « Help me, help me » (« Aidez-moi, aidez-moi »), se fait de plus en plus lointain, comme emporté par le courant. Cette nuit-là, aucun secours n’a été appelé, aucun des gendarmes ne semble avoir tenté de secourir Blessing. Son corps sera retrouvé 13 km en aval, bloqué dans une retenue d’eau.

      Le témoignage d’Hervé est, selon l’avocat de la famille de Blessing et de Tous Migrants, « de nature à rebattre totalement les cartes ». « Son récit éclaire les incohérences du dossier, ajoute l’avocat Vincent Brengarth. On comprend mieux les contradictions des témoins. » Si l’on en croit ce déroulé, les gendarmes pourraient alors être accusés de « non-assistance à personne en danger », si ce n’est d’ « homicide involontaire ».
      « Blessing a été traitée comme une citoyenne de seconde zone »

      Hervé n’a pas été entendu dans le dossier. L’homme, sans papiers, ne s’est pas présenté aux forces de l’ordre. « C’est compliqué pour une personne exilée de faire confiance à la police », euphémise Michel Rousseau, pour expliquer ce silence de quatre ans. L’avocat Vincent Brengarth complète : « La justice n’était même pas en capacité de le convoquer, aucun élément dans le dossier ne donnait son identité précise. » Son témoignage, couplé aux éléments réunis par Border Forensics, pourraient constituer un motif de réouverture de l’enquête. La demande a été déposée auprès du procureur de la République ce 27 mai.

      « C’est un dossier exceptionnel, d’une exceptionnelle gravité, souligne l’avocat. Blessing a été traitée comme une citoyenne de seconde zone. Comme si le devoir de vérité n’était pas le même pour tout le monde. » Dans ce dossier, c’est la première fois que l’on renseigne la possible implication de la police ou de la gendarmerie dans la mort d’une personne exilée. Un premier espoir pour faire justice dans les 46 morts de migrants - décomptées par Border Forensics - à la frontière franco-italienne depuis 2015. « On veut montrer qu’on peut documenter ces morts aux frontières, que c’est possible, que l’on peut obtenir vérité et justice », espère Agnès Antoine, de Tous Migrants.

      La sœur de Blessing vient interpeller les journalistes présents ce 30 mai. Christiana Obie se tient droite devant son écran d’ordinateur, mais sa webcam peine à cacher ses joues brillantes de larmes. « Ma sœur n’est plus. Elle est morte. Mais je veux travailler à ce que ce la prochaine victime ne soit pas la vôtre. Je veux éviter à d’autres de ressentir la douleur que ressent ma famille aujourd’hui. »

      Blessing a été la première victime des politiques répressives aux frontières, mais elle n’a malheureusement pas été la dernière. Quelques jours après la découverte de son corps, Mamadi Condé, guinéen de 43 ans, est retrouvé mort, non loin de La Vachette. La liste est longue, et elle ne prend pas en compte les blessés, handicapés à vie et traumatisés par cette traversée dangereuse. Dès décembre 2017, des associations, via le Collectif Citoyen de Névache, écrivaient au président de la République leurs craintes et leur colère quant au traitement des migrants : « Devons nous attendre des morts pour que nos institutions réagissent humainement ? »

      Un appel dans le vide. Les années suivantes, dans les Hautes-Alpes et sur le versant italien des montagnes, ont été meurtrières, du fait de la répression et de la militarisation de la zone. Les associations s’accordent pour dire que 2018 a marqué l’apogée de ces épisodes de répression aveugle et de traitements « inhumains ». « Les vols, les violences envers les exilés, c’était quotidien en 2018 », dénonce la militante associative Agnès Antoine. Comme elle, beaucoup ont observé ce durcissement sur le terrain, lors des maraudes. « Cette politique ne pouvait qu’aboutir à ce genre de drame. »

      Cristina Del Biaggio, enseignante-chercheuse spécialiste des migrations et collaboratrice de Border Forensics dans leurs recherches, ajoute : « La mort de Blessing n’est pas un cas isolé, elle est le fait d’une conjoncture entre politiques et pratiques policières. »

      Lorsque la jeune nigériane les a franchies, les Alpes étaient déjà devenues une zone « transformée en environnement hostile par nos politiques migratoires ». Elles le sont toujours. Rien qu’en janvier 2022, les montagnes ont encore vu deux victimes. Fathallah Belafhail, marocain de 31 ans, et Ullah Rezwan Sheyzad, 15 ans, venu d’Afghanistan, sont décédés en essayant de rejoindre une nouvelle vie.

      https://basta.media/mort-de-Blessing-Matthew-a-la-frontiere-franco-italienne-un-temoignage-poin

    • La mort neuve de Blessing Matthew

      Personne ne fera revenir Blessing Matthew à la vie. Elle est morte noyée dans la Durance le 7 mai 2018 après avoir été coursée par les gendarmes. Une mort « accidentelle » d’après la justice qui avait, le 9 février 2021 déclarée un « non lieu » pour clore le procès intenté aux gendarmes par par sa famille et l’association « Tous Migrants » pour homicide involontaire, en quelque sorte une mort sans responsable, une mort anonyme parmi les 46 migrant.es décédé.es sur la frontière depuis la militarisation de celle-ci.
      Blessing Matthew était nigériane, elle portait un nom anglais que l’on pourrait traduire par « celle qui est bénie », ou encore par « bénédiction ». Elle était migrante et recherchait une terre « bénie ». Elle n’a trouvé ni liberté, ni égalité, ni fraternité encore moins de bénédiction. La mort, glaçante d’effroi, horrible dans sa suffocation nocturne, l’attendait au hameau de la Vachette.
      Un « non-lieu » comme une immense injustice. Pourtant, il y avait un lieu, la Durance. Pourtant, il y avait lieu, matière à poursuivre, rien qu’en considérant les témoignages contradictoires des gendarmes : elle est passée par là, non par ici et nous ailleurs ! Il y avait un témoin, son camarade de fuite mais il n’a pas pu parler, refoulé sans ménagement en Italie. L’Italie en tant que « non-lieu » pour l’oubli, un ailleurs voulu comme définitif sans un « au revoir » possible.
      « La seule chose que je veux, c’est la justice » affirme lors de la conférence de presse du 30 mai, la sœur de Blessing. « Que la justice se remette en route » demande Michel Rousseau au nom de « Tous Migrants ». Rouvrir l’instruction pour mettre la justice dans son cheminement véritable, celui de l’enquête impartiale. Des faits nouveaux le permettent.
      D’abord, le témoignage d’Hervé, celui qui fuyait avec elle, aussi apeuré qu’elle, mais qui a réussi à se cacher. Un témoin capital pour donner une « mort neuve » à Blessing Matthew. Ensuite, le travail méthodique, digne d’une enquête policière, mené par « Border Forensics » suit, point par point, les recoupements, les contradictions entre les récits des gendarmes et celui d’Hervé. Cette enquête est visible sur leur site : https://www.borderforensics.org.
      Le parquet de Gap a tous les éléments pour rouvrir l’instruction. Le fera-t-il ? Le devoir de justice le réclame : il est impossible de voler une deuxième fois la réalité de sa mort à Blessing Matthew.

      https://alpternatives.org/2022/06/02/la-mort-neuve-de-blessing-matthew

    • Réouverture de l’instruction dans l’affaire Blessing Matthew : le parquet de Gap ne se considère pas « compétent »

      Proches et association de la jeune nigériane morte noyée dans la Durance en mai 2018, à Val-des-Prés, espèrent rouvrir l’instruction judiciaire avec des « charges nouvelles ».

      dimanche 12 juin, le procureur de la République de Gap a fait savoir au Dauphiné Libéré « qu’après étude de la demande », il « considère que le parquet de Gap n’est pas compétent pour traiter la requête en réouverture d’une information judiciaire sur charges nouvelles » dans l’affaire de la mort de Blessing Matthew.

      Le 27 mai dernier, les avocats de la sœur de la jeune exilée, morte noyée dans la Durance le 7 mai 2018 à La Vachette (Val-des-Prés), et de l’association Tous migrants avaient déposé auprès du parquet gapençais une demande de « reprise de l’information judiciaire sur charges nouvelles ». Blessing Matthew, une Nigériane de 20 ans, était décédée après une tentative d’interpellation par des gendarmes mobiles alors qu’elle tentait de rejoindre Briançon depuis l’Italie avec deux autres personnes migrantes.

      Des nouveaux éléments à charge contre les gendarmes selon les proches de la victime

      Les proches de Blessing Matthew et Tous migrants ont toujours pointé l’action des forces de l’ordre comme étant responsable du décès de la jeune femme. Néanmoins, après une plainte classée sans suite, la chambre d’instruction de la cour d’appel de Grenoble avait confirmé en février 2021 un non-lieu dans cette affaire.

      Fin mai, association et proche espéraient rouvrir l’instruction avec le témoignage – inédit jusqu’ici – d’Hervé S., l’un des migrants présents la nuit du drame ; et avec une contre-enquête menée par l’ONG Border Forensics.

      « Seul le procureur général est compétent »

      Cependant, le procureur de Gap Florent Crouhy a décidé de ne pas trancher lui-même la réouverture ou non de l’instruction. « En effet, ce dossier a fait l’objet d’un non-lieu par arrêt de la chambre de l’instruction de la cour d’appel de Grenoble en date du 9 février 2021, rappelle-t-il.

      https://www.ledauphine.com/faits-divers-justice/2022/06/12/reouverture-de-l-instruction-dans-l-affaire-blessing-matthew-le-parquet-

      #compétence

    • Mort de Blessing Matthew : le procureur de Gap se dit incompétent pour rouvrir une information judiciaire

      La migrante nigériane avait été retrouvée morte dans la Durance en 2018 lors d’un contrôle de gendarmerie après avoir franchi la frontière italienne. La justice a décidé par deux fois de prononcer un non-lieu dans ce dossier.

      Me Vincent Brengarth a annoncé la couleur fin mai, évoquant « un témoignage de nature à rebattre totalement les cartes » dans l’affaire Blessing Matthew. L’avocat de la sœur de la migrante nigériane, qui s’était noyée dans la Durance (Hautes-Alpes) lors d’un contrôle de gendarmerie en 2018, affirme avoir retrouvé un des témoins de la scène, dont le récit inédit diffère de la version des forces de l’ordre.

      À la lumière de ce témoignage, l’avocat a effectué une « demande de réouverture d’information judiciaire » auprès du procureur de la République de Gap. Interrogé par BFM DICI, Florent Crouhy a indiqué ce dimanche qu’il se déclarait incompétent pour traiter la requête émise par Me Vincent Brengarth, rappelant que ce dossier « a fait l’objet d’un non-lieu par arrêt de la chambre de l’instruction de la cour d’appel de Grenoble en date du 9 février 2021 ».

      La justice a à deux reprises estimé qu’aucun élément ne permettait d’étayer les accusations d’homicide involontaire, de mise en danger de la vie d’autrui et de non-assistance à personne en danger visant les gendarmes.

      L’avocat redirigé vers le procureur de la cour d’appel

      Selon Florent Crouhy, « seul le procureur général est compétent pour apprécier l’opportunité d’une réouverture sur charges nouvelles et en saisir la chambre de l’instruction ». Le procureur de la République de Gap précise ainsi avoir invité Me Vincent Brengarth à se rapprocher du procureur général de la cour d’appel de Grenoble pour lui faire part du nouveau témoignage.

      Celui-ci provient d’Hervé, un membre du « groupe d’exilés pourchassés par les gendarmes » après avoir été expulsés vers l’Italie, a annoncé Me Vincent Brengarth lors d’une conférence de presse suivie par l’Agence France-Presse (AFP) au moment du dépôt de la requête.

      « Il a vu que Blessing Matthew cherchait à se cacher. Il y a eu de façon évidente un contact avec l’un des gendarmes. (...) Il dit : ’J’ai vu le (gendarme) la saisir par le bras, elle se débattait, ils se tiraillaient’ », a-t-il développé.

      « Que justice soit rendue »

      Des paroles qui jettent à ses yeux une lumière sur « les différentes incohérences » qui se dégagent des récits des gendarmes. Et l’avocat de surenchérir : « On a le sentiment que les investigations n’ont jamais véritablement été menées à leur terme ».

      Christiana Obie Darko, la sœur de la victime, s’était également exprimée au cours de cette conférence de presse, fin mai : « Tout ce que je veux, c’est que justice soit rendue pour ma sœur, pour qu’elle puisse reposer en paix ».

      Avant l’apparition de la version d’Hervé, le parquet de Gap avait affirmé que « les circonstances précises dans lesquelles (Blessing Matthew) aurait chuté dans la Durance demeurent inconnues en l’absence de témoignage direct ».

      https://www.bfmtv.com/bfm-dici/mort-de-blessing-matthew-le-procureur-de-gap-se-dit-incompetent-pour-rouvrir-

  • #Pénurie de blé : vers une crise alimentaire
    https://www.blast-info.fr/articles/2022/penurie-de-ble-vers-une-crise-alimentaire-lRx6WAYdTsuByxceQKoDKg

    Dérèglement climatique, pandémie de Covid-19, hausse démographique : les causes de la crise alimentaire actuelle étaient déjà nombreuses. Depuis le mois de février, s’ajoute désormais le conflit entre la Russie et l’Ukraine, deux pays majeurs dans la…

    #Alimentation #Blé #Inflation
    https://static.blast-info.fr/stories/2022/thumb_story_list-penurie-de-ble-vers-une-crise-alimentaire-lRx6WAY

  • 5 questions à Roland Riachi. Comprendre la #dépendance_alimentaire du #monde_arabe

    Économiste et géographe, Roland Riachi s’est spécialisé dans l’économie politique, et plus particulièrement dans le domaine de l’écologie politique. Dans cet entretien, il décrypte pour nous la crise alimentaire qui touche le monde arabe en la posant comme une crise éminemment politique. Il nous invite à regarder au-delà de l’aspect agricole pour cerner les choix politiques et économiques qui sont à son origine.

    https://www.carep-paris.org/5-questions-a/5-questions-a-roland-riachi
    #agriculture #alimentation #colonialisme #céréales #autosuffisance_alimentaire #nationalisation #néolibéralisme #Egypte #Soudan #Liban #Syrie #exportation #Maghreb #crise #post-colonialisme #souveraineté_nationale #panarabisme #militarisme #paysannerie #subventions #cash_crop #devises #capitalisme #blé #valeur_ajoutée #avocats #mangues #mondialisation #globalisation #néolibéralisme_autoritaire #révolution_verte #ouverture_du_marché #programmes_d'ajustement_structurels #intensification #machinisation #exode_rural #monopole #intrants #industrie_agro-alimentaire #biotechnologie #phosphates #extractivisme #agriculture_intensive #paysans #propriété_foncière #foncier #terres #morcellement_foncier #pauvreté #marginalisation #monoculture #goût #goûts #blé_tendre #pain #couscous #aide_humanitaire #blé_dur #durum #libre-échange #nourriture #diète_néolibérale #diète_méditerranéenne #bléification #importation #santé_publique #diabète #obésité #surpoids #accaparement_des_terres #eau #MENA #FMI #banque_mondiale #projets_hydrauliques #crise_alimentaire #foreign_direct_investment #emploi #Russie #Ukraine #sécurité_alimentaire #souveraineté_alimentaire

    #ressources_pédagogiques

    ping @odilon

  • Mai 2018 Hautes-Alpes : un corps qui pourrait être celui d’une migrante découvert dans la #Durance

    –-> je refais ici un fil de discussion (pour archivage) autour de la mort de #Blessing_Matthew (son identité à été dévoilée quelques jours après la découverte du cadavre)

    Le parquet n’exclut pas qu’il s’agisse d’une migrante. La victime ne correspond à aucune disparition inquiétante.

    Macabre découverte dans la Durance (Hautes-Alpes). Le corps d’une jeune femme noire a été découvert, mercredi 9 mai, dans la rivière, annonce le parquet de Gap. « Cette découverte ne correspond pas à une disparition inquiétante. Pour le moment, nous n’avons aucun élément qui permette d’identifier la personne et donc de dire s’il s’agit d’une personne migrante », a précisé le procureur de la République de Gap, Raphaël Balland.

    Une enquête judiciaire a été ouverte par le parquet et confiée à la gendarmerie afin de déterminer les circonstances du décès. « N’ayant pas en l’état d’éléments susceptibles d’être de nature criminelle, l’enquête a été ouverte du chef de ’recherche des causes de la mort’ », a indiqué le magistrat. Une autopsie sera réalisée lundi matin à l’institut médico-légal de Grenoble. « Les empreintes digitales seront exploitées afin de tenter de déterminer l’identité de la personne », a ajouté le procureur, invitant toute personne ayant des informations pouvant permettre de l’identifier à se manifester auprès de la gendarmerie.

    https://www.francetvinfo.fr/monde/europe/migrants/hautes-alpes-le-corps-d-une-jeune-femme-noire-decouvert-dans-la-durance

    Ce que craignait les professionnels de la montagne est en train de se réaliser ? Des cadavres qui font surface à la fonte des neiges ?

    https://seenthis.net/messages/688734#message693469

    #frontières #mourir_aux_frontières_alpines #morts #décès #migrations #asile #réfugiés #Alpes #montagne #mourir_aux_frontières #violent_borders #frontière_sud-alpine #Saint-Martin-de-Queyrières
    –—

    ajouté à la liste des personnes en situation migratoire mortes dans les #Hautes-Alpes :
    https://seenthis.net/messages/800822

    elle-même ajoutée à la métaliste sur les mort·es aux frontières alpines :
    https://seenthis.net/messages/758646

    • Elle s’appelait #Mathew_Blessing...
      Communiqué de presse de Tous Migrants, 14.05.2018

      Lundi 7 mai, aux alentours de 5h du matin, un groupe composé de trois personnes étrangères, dont deux hommes et une jeune femme, marchaient en suivant la nationale 94 en direction de Briançon. La jeune femme marchait difficilement du fait de douleurs aux jambes et était souvent aidée par les deux jeunes hommes. À la hauteur du hameau de La Vachette, 5 policiers dissimulés dans les fourrés ont surgis brusquement sur la route nationale en allumant des torches électriques et en criant « police, police ». Les 3 personnes étrangères se sont alors enfuies à travers champ en direction du village où elles se sont dispersées, poursuivies par les policiers. L’un des deux hommes est interpellé vers l’Eglise. Les policiers sillonnent ensuite le village pendant plusieurs heures. La jeune femme ne donne plus aucune nouvelle d’elle depuis ce jour. En toutes hypothèses, les 5 policiers sont les dernières personnes à avoir vu vivante la jeune femme disparue. Mercredi 9 mai, le corps d’une jeune femme est retrouvée dans la Durance une dizaine de kilomètres plus en aval.
      La jeune femme disparue depuis lundi 7 mai s’appelle Mathew BLESSING. Elle est âgée de 21 ans et de nationalité nigériane.
      Les informations que nous avons recueillies font ressortir plusieurs éléments précis et circonstanciés qui pourraient relever des infractions suivantes :
      ➢ Mise en danger délibéré de la vie d’autrui par le manquement à une obligation particulière de sécurité ou de prudence, en l’espèce en organisant de nuit une poursuite à l’encontre de personnes de nationalités étrangères dans une zone dangereuse. Faits prévus et réprimés par l’article 223-1 du Code Pénal.
      ➢ Homicide involontaire par imprudence, négligence, ou manquement à une obligation de sécurité, en l’espèce en ayant conscience du danger de mort encouru par une chute dans la rivière, faits prévus et réprimés par l’article 221-6 du Code Pénal.
      ➢ Violence volontaire ayant entrainé la mort sans intention de la donner, faits prévus et réprimés par l’article 221-6 du Code Pénal.
      ➢ Non-assistance à personne en danger, en l’espèce en ayant omis de signaler aux services de secours la disparition d’une personne dans un environnement dangereux, faits prévus et réprimés par l’article 223-6 du Code Pénal.
      ➢ Discrimination d’une personne en raison de son physique ou de son apparence, faits prévus et réprimés par l’article 225-1 du Code Pénal.
      Les manquements aux obligations de sécurité et de prudence précédemment invoqués se déduisent des obligations propres des fonctionnaires de police résultant, notamment, du Code de Déontologie de la Police Nationale.
      Aux termes de l’article R. 434-10 du Code de déontologie de la police et de la gendarmerie Nationale, codifié dans la partie réglementaire du Code de Sécurité Intérieure :
      « Le policier ou le gendarme fait, dans l’exercice de ses fonctions, preuve de discernement.
      Il tient compte en toutes circonstances de la nature des risques et menaces de chaque situation à laquelle il est
      confronté et des délais qu’il a pour agir, pour choisir la meilleure réponse légale à lui apporter ».
      L’article R.434-19 du même code dispose également que :
      « Lorsque les circonstances le requièrent, le policier ou le gendarme, même lorsqu’il n’est pas en service, intervient de sa propre initiative, avec les moyens dont il dispose, notamment pour porter assistance aux personnes en danger ».
      Un signalement auprès du Procureur de la République, reprenant tous ces éléments, vint d’être déposé au nom de notre association par l’intermédiaire de nos avocats, afin que la justice fasse toute la lumière sur les circonstances ayant abouties à ce drame.

      Notre Mouvement citoyen ne cesse de dénoncer, notamment dans nos communiqués et alertes, les pratiques policières reposant sur des guets-apens et des courses poursuites. Ces pratiques révoltantes, désavouées par nombre de policiers et gendarmes eux-mêmes, ont déjà occasionné plusieurs accidents parfois très graves, à l’exemple de celui survenu dans la nuit du 18 au 19 aout dernier.
      Pratiquement toutes les nuits, des accidents sont évités de justesse au prix de souffrances nouvelles et parfois de blessures. Les dangers sont aggravés depuis ces dernières semaines par la débâcle, le renforcement de la présence policière et la présence active des « identitaires » qui collaborent avec la Police pour traquer les personnes migrantes en pleine montagne, sur les chemins et les routes.
      Rappelons que le village de La Vachette est traversée par la Durance qui, en cette période de l’année, connaît un débit très important, avec une température de l’eau de quelques degrés seulement. Toute chute d’une personne dans la rivière constitue un danger fatal.
      Rappelons que les demandeurs d’asile ne sont pas des personnes en situation irrégulière, pas plus que les mineurs isolés.
      Rappelons que le fait pour une personne étrangère d’être en situation irrégulière ne constitue pas un délit.
      Nous refusons que la Côte d’Azur, le littoral calaisien, le canal de la Villette et aujourd’hui nos montagnes, constituent pour les migrants un nouvel obstacle mortel après l’enfer libyen, le cimetière Méditerranéen, et tous ces murs de la honte qui s’érigent de par le monde.
      Nous exigeons l’interdiction des pratiques policières de guets-apens et de chasses à l’homme, ainsi que leurs avatars actuellement mis en oeuvre par le groupuscule suprémaciste Génération Identitaire.
      Nous exigeons le rétablissement de l’Etat de Droit et le plein respect des personnes étrangères qui frappent à notre porte et de leurs droits.
      Nous exigeons le respect par tous de notre devise « liberté, égalité, fraternité », à commencer par les représentants de l’Etat et les forces de l’ordre.
      Briançon, le 14 mai 2018

      https://www.facebook.com/tousmigrants/posts/2151764471721787

    • Le corps retrouvé dans la Durance serait celui d’une migrante qui fuyait la police

      Selon une association, la jeune femme marchait en direction de Briançon lorsqu’elle a été surprise par des policiers.

      L’enquête se poursuit pour déterminer les circonstances de la mort d’une jeune femme noire retrouvée dans la Durance (Hautes-Alpes) le 9 mai. Selon le procureur de Gap, Raphaël Balland, le corps n’a pas encore été « formellement » identifié.

      Mais pour l’association « Tous Migrants », qui vient en aide aux réfugiés dans la région depuis des mois, la jeune victime est une Nigériane de 21 ans qui voyageait avec deux hommes, également étrangers.
      Des policiers « dissimulés dans les fourrés »

      D’après « Tous Migrants », le 7 mai dernier, à l’aube, tous les trois marchaient sur une route nationale en direction de Briançon, lorsqu’ils auraient été surpris.

      Cinq policiers « dissimulés dans les fourrés » auraient fait irruption, provoquant la dispersion du groupe et une course-poursuite dans un village traversé par la Durance. Un des hommes y a été interpellé mais la jeune femme n’a plus donné signe de vie depuis, selon la même source.

      L’association, qui dénonce « les pratiques policières reposant sur des guets-apens », indique dans un communiqué avoir signalé ces éléments au parquet « afin que la justice fasse toute la lumière sur les circonstances de ce drame ».

      http://www.leparisien.fr/faits-divers/le-corps-retrouve-dans-la-durance-serait-celui-d-une-migrante-qui-fuyait-

    • Hautes-Alpes : la jeune noyée noire était-elle poursuivie par la police ?

      Mathew Blessing, 21 ans, Nigériane, n’a plus donné de nouvelles après avoir été poursuivie par la police le 7 mai, vers 5 heures du matin à La Vachette, hameau de la commune de Val-des-Prés (Hautes-Alpes). L’endroit se situe à 1 400 mètres d’altitude, juste sous le col frontalier de Montgenèvre qui constitue l’un des axes de passage importants des migrants d’Italie vers la France, malgré une importante présence policière.

      Deux jours plus tard, à quinze kilomètres en aval et de l’autre côté de la ville de Briançon, le corps d’une jeune femme noire a été retrouvé dans la Durance, sur un petit barrage. L’autopsie a établi qu’elle « serait décédée à la suite d’une noyade » selon le procureur de la République de Gap, Raphaël Balland, qui précise que « la jeune femme n’a pas encore été formellement identifiée » malgré l’appel à témoin lancé la semaine dernière.

      Le collectif briançonnais Tous migrants, qui regroupe les citoyens de la vallée engagés dans le soutien aux migrants, et notamment ceux qui vont leur porter assistance en altitude, n’a « quasiment aucun doute » sur le fait que la disparue et la noyée sont la même personne, dit l’un de ses membres, Michel Rousseau. Selon le communiqué de Tous migrants publié lundi soir, la jeune femme disparue marchait en direction de Briançon, après avoir réussi à passer la frontière, en compagnie de deux hommes dont les témoignages amènent l’association à redouter le pire : une noyade de la jeune femme lors de sa tentative d’échapper aux policiers. « La jeune femme marchait difficilement du fait de douleurs aux jambes […]. Cinq policiers dissimulés dans les fourrés ont surgi brusquement sur la route nationale en allumant des torches électriques et en criant "police, police". Les trois personnes étrangères se sont alors enfuies à travers champs en direction du village où elles se sont dispersées, poursuivies par les policiers. L’un des deux hommes est interpellé vers l’église. Les policiers sillonnent ensuite le village pendant plusieurs heures. La jeune femme ne donne plus aucune nouvelle d’elle depuis ce jour. En toutes hypothèses, les cinq policiers sont les dernières personnes à avoir vu vivante la jeune femme disparue. »

      Tous migrants, en raison « d’un faisceau d’indices concordants », a déposé lundi soir un signalement auprès du procureur de Gap. L’association soupçonne l’existence de délits de « mise en danger délibéré de la vie d’autrui », « homicide involontaire par imprudence, négligence ou manquement à une obligation de sécurité », « violence volontaire ayant entraîné la mort sans intention de la donner », « non-assistance à personne en danger », « discrimination d’une personne en raison de son physique ou de son apparence », ainsi que manquements au code de déontologie des policiers. Michel Rousseau est catégorique : « La gendarmerie dispose de tous les éléments que nous communiquons, nous ne sommes pas là pour faire une justice parallèle » et le parquet de Gap annonce qu’il « ne communiquera plus d’éléments sur les investigations en cours » d’ici la fin de l’enquête.

      Tous migrants exige solennellement « l’interdiction des pratiques policières de guet-apens et de chasse à l’homme » et « le rétablissement de l’Etat de droit et le plein respect des personnes étrangères qui frappent à notre porte ». Avec d’autres associations, elle appelle à une veillée funèbre ce mercredi soir à La Vachette. Face aux eaux tumultueuses et glaciales de la Durance, gonflées par la fonte des neiges.

      http://www.liberation.fr/france/2018/05/15/hautes-alpes-la-jeune-noyee-noire-etait-elle-poursuivie-par-la-police_165

    • Texte reçu par email, via @isskein, qui l’a reçu par une personne qu’elle ne connaît pas.
      Un texte poignant, qui vaut la peine d’être relayé :

      15 mai à 22:26
      Hautes-Alpes : Collomb envoi des renforts, un mort !
      Ou Génération Identitaire l’avait rêvé, les policiers l’ont fait.

      Ca y’ est, c’est sur toutes les lèvres... ce qui devait arriver, arriva. Ou devrait-on plutôt dire que c’est ce qu’ils ont décidé qui vient d’ arriver : la mort. Une jeune fille nigérianne a perdu la vie suite à une course poursuite avec la police lundi dernier 7mai, vers les 5h du matin, au niveau de la Vachette (pied du col de Montgenèvre). Son corps a été retrouvé immergé dans la Durance au barrage de Prelles, 10 km en aval, 3 jours plus tard.

      La militarisation de la Haute Vallée ne peut conduire qu’à des drames comme celui-ci. En plus d’empêcher illégalement des exilés de demander l’asile en France, elle leur ôte la vie, les traquant comme des animaux.

      NON la Haute Durance ne deviendra pas un tombeau à ciel ouvert.

      Pendant tout l’hiver, des dizaines de maraudeurs, de militants ont empêché la mort de frapper dans nos montagnes. Nous ne laisserons ni la police, ni les identitaires transformer la vallée en cimetière.

      Nous appelons à deux RENDEZ-VOUS ce MERCREDI 16 MAI

      11h30 devant le poste de police de Montgenèvre pour une assemblée, discussion, repas.
      20h30 à la Vachette (au croisement avec la route nationale), lieu du départ de la course poursuite meurtrière pour une veillée funèbre (ramenez des bougies et des fleurs, rassemblement en noir) pour les exiléEs.

      Nous demandons donc sans délais :
      – Le retrait immédiat des forces de police à la frontière.
      – La liberté de circulation pour toutes et tous.

    • Briançon • Elle s’appelait Mathew Blessing…

      A dix kilomètres de Briançon, une jeune femme nigériane, Mathew Blessing, âgée de 21 ans, a disparu le 7 mai dernier autour de 5h du matin. Son corps a été retrouvé dans la Durance, à proximité directe d’une prise d’eau du barrage de Prelles, sur la commune de Saint-Martin-de-Queyrières…

      Une coordination solidaire a été constituée, afin d’éclaircir les conditions du décès de Mathew, de suivre les résultats d’autopsie, de rechercher des proches éventuels, ainsi qu’organiser une commémoration et le retour de son corps vers son pays.

      Notre ami et collègue Sadık Çelik fait partie de cette coordination, en tant qu’automédia, et nous a fait parvenir le communiqué publié.

      Il nous fait aussi savoir qu’aujourd’hui des proches étaient arrivéEs sur place. Il y aura une enquête complémentaire indépendante à l’endroit où la jeune femme a été retrouvée morte. Un procureur de Gap a été saisi de l’affaire et a annoncé jusqu’alors un “décès par noyade”. Une plainte est déposée à la gendarmerie, et le communiqué de presse a suivi.

      Un rassemblement se déroulera demain, à 8h30, le 16 mai, à la mémoire de Mathew.

      Rappelons que ce n’est pas la première victime de cette chasse à l’homme aux frontières. En octobre, une enquête ouverte après la chute de deux migrants dans un ravin, au col de l’Echelle au-dessus de Briançon, survenue en août, fut classée sans suite. Ils avaient fuit une patrouille de gendarmerie…

      –-------

      Voici le communiqué de presse publié le 14 mai 2018, par “Tous migrants” sur leur page Facebook.
      Elle s’appelait Mathew Blessing…
      COMMUNIQUE DE PRESSE

      Lundi 7 mai, aux alentours de 5h du matin, un groupe composé de trois personnes étrangères, dont deux hommes et une jeune femme, marchaient en suivant la nationale 94 en direction de Briançon. La jeune femme marchait difficilement du fait de douleurs aux jambes et était souvent aidée par les deux jeunes hommes. À la hauteur du hameau de La Vachette, 5 policiers dissimulés dans les fourrés ont surgis brusquement sur la route nationale en allumant des torches électriques et en criant”police, police”. Les 3 personnes étrangères se sont alors enfuies à travers champ en direction du village où elles se sont dispersées, poursuivies par les policiers. L’un des deux hommes est interpellé vers l’Eglise. Les policiers sillonnent ensuite le village pendant plusieurs heures. La jeune femme ne donne plus aucune nouvelle d’elle depuis ce jour. En toutes hypothèses, les 5 policiers sont les dernières personnes à avoir vu vivante la jeune femme disparue. Mercredi 9 mai, le corps d’une jeune femme est retrouvée dans la Durance une dizaine de kilomètres plus en aval.

      La jeune femme disparue depuis lundi 7 mai s’appelle Mathew BLESSING. Elle est âgée de 21 ans et de nationalité nigériane.

      Les informations que nous avons recueillies font ressortir plusieurs éléments précis et circonstanciés qui pourraient relever des infractions suivantes :

      Mise en danger délibéré de la vie d’autrui par le manquement à une obligation particulière de sécurité ou de prudence, en l’espèce en organisant de nuit une poursuite à l’encontre de personnes de nationalités étrangères dans une zone dangereuse. Faits prévus et réprimés par l’article 223-1 du Code Pénal.
      Homicide involontaire par imprudence, négligence, ou manquement à une obligation de sécurité, en l’espèce en ayant conscience du danger de mort encouru par une chute dans la rivière, faits prévus et réprimés par l’article 221-6 du Code Pénal.
      Violence volontaire ayant entrainé la mort sans intention de la donner, faits prévus et réprimés par l’article 221-6 du Code Pénal.
      Non-assistance à personne en danger, en l’espèce en ayant omis de signaler aux services de secours la disparition d’une personne dans un environnement dangereux, faits prévus et réprimés par l’article 223-6 du Code Pénal.
      Discrimination d’une personne en raison de son physique ou de son apparence, faits prévus et réprimés par l’article 225-1 du Code Pénal.

      Les manquements aux obligations de sécurité et de prudence précédemment invoqués se déduisent des obligations propres des fonctionnaires de police résultant, notamment, du Code de Déontologie de la Police Nationale.

      Aux termes de l’article R. 434-10 du Code de déontologie de la police et de la gendarmerie Nationale, codifié dans la partie réglementaire du Code de Sécurité Intérieure :

      Le policier ou le gendarme fait, dans l’exercice de ses fonctions, preuve de discernement.
      Il tient compte en toutes circonstances de la nature des risques et menaces de chaque situation à laquelle il est
      confronté et des délais qu’il a pour agir, pour choisir la meilleure réponse légale à lui apporter.

      L’article R.434-19 du même code dispose également que :

      Lorsque les circonstances le requièrent, le policier ou le gendarme, même lorsqu’il n’est pas en service, intervient de sa propre initiative, avec les moyens dont il dispose, notamment pour porter assistance aux personnes en danger

      Un signalement auprès du Procureur de la République, reprenant tous ces éléments, vint d’être déposé au nom de notre association par l’intermédiaire de nos avocats, afin que la justice fasse toute la lumière sur les circonstances ayant abouties à ce drame.

      Notre Mouvement citoyen ne cesse de dénoncer, notamment dans nos communiqués et alertes, les pratiques policières reposant sur des guets-apens et des courses poursuites. Ces pratiques révoltantes, désavouées par nombre de policiers et gendarmes eux-mêmes, ont déjà occasionné plusieurs accidents parfois très graves, à l’exemple de celui survenu dans la nuit du 18 au 19 aout dernier.

      Pratiquement toutes les nuits, des accidents sont évités de justesse au prix de souffrances nouvelles et parfois de blessures. Les dangers sont aggravés depuis ces dernières semaines par la débâcle, le renforcement de la présence policière et la présence active des “identitaires” qui collaborent avec la Police pour traquer les personnes migrantes en pleine montagne, sur les chemins et les routes.

      Rappelons que le village de La Vachette est traversée par la Durance qui, en cette période de l’année, connaît un débit très important, avec une température de l’eau de quelques degrés seulement. Toute chute d’une personne dans la rivière constitue un danger fatal.

      Rappelons que les demandeurs d’asile ne sont pas des personnes en situation irrégulière, pas plus que les mineurs isolés.

      Rappelons que le fait pour une personne étrangère d’être en situation irrégulière ne constitue pas un délit.
      Nous refusons que la Côte d’Azur, le littoral calaisien, le canal de la Villette et aujourd’hui nos montagnes, constituent pour les migrants un nouvel obstacle mortel après l’enfer libyen, le cimetière Méditerranéen, et tous ces murs de la honte qui s’érigent de par le monde.

      • Nous exigeons l’interdiction des pratiques policières de guets-apens et de chasses à l’homme, ainsi que leurs avatars actuellement mis en oeuvre par le groupuscule suprémaciste Génération Identitaire.

      • Nous exigeons le rétablissement de l’Etat de Droit et le plein respect des personnes étrangères qui frappent à notre porte et de leurs droits.

      • Nous exigeons le respect par tous de notre devise “liberté, égalité, fraternité”, à commencer par les représentants de l’Etat et les forces de l’ordre.

      Briançon, le 14 mai 2018

      –-------

      Entre les “arrestations” musclées et récurrentes dans les gares de la région, les destructions de moyens de survie, les poursuites judiciaires contre les “aidants”, l’abandon cet hiver en haute montagne, et l’acceptation tacite de l’aide de milices fascistes et identitaires dans leur chasse à l’homme, on aurait beaucoup de difficultés à reconnaître une “politique d’accueil et d’asile”, pourtant vantée dans un nouveau texte de loi récent en cours de vote vers le Sénat.

      Là encore, les “forces de l’ordre” font un travail d’Etat au service d’une idéologie de repli identitaire, électoralement dirigé. Le libéralisme économique destructeur de droits sociaux s’accompagne d’une politique répressive à l’encontre de celles et ceux qui résistent, et s’acharne contre les plus faibles, qui fuient la prédation économique et les guerres. L’alliance contre nature du suprématisme et du libéralisme est “en marche”, concernant les politiques migratoires…

      Rappelons que cette idéologie n’est pas majoritaire en France, comme le prouve d’ailleurs l’accueil qui est fait aux marcheurs, partis de la région, en route pour Calais et Londres, via Paris.

      Le décès de la jeune Mathew Blessing est la conséquence directe de cette guerre anti-migrants qui s’avance masquée derrière les rictus hypocrites des politiciens entrés en compétition avec l’extrême droite…

      https://www.youtube.com/watch?v=TiWCo6EeNoI&feature=emb_logo

      https://www.kedistan.net/2018/05/15/briancon-elle-mathew-blessing

    • Briançon • Chronique d’une mort annoncée

      Un récit traduit de l’Italien, fait par Le “Rifugio Autogestito Chez Jesus”, et paru dans le Quotidien Piémontais, qui précise et complète l’article d’hier, à propos du décès d’une jeune migrante près de Briançon.

      Une semaine a passé depuis la mort de B. Cinq jours depuis que le cadavre d’une jeune femme “peut-être migrante” a été retrouvé, dans le fleuve qui passe sous Briançon, la Durance.

      Voici les faits.

      Un groupe d’une petite dizaine de personnes part de Clavière pour rejoindre Briançon à pied. Nous sommes dimanche soir, et comme chaque nuit les exilé·e·s qui tentent d’arriver en France se trouvent obligé·e·s d’éviter la route autant que possible et de passer par la montagne pour éviter les contrôles d’identité.

      Le groupe commence son chemin, et puis se sépare : la femme a des difficultés à marcher et a besoin d’aide et de soutien. Deux personnes restent avec elle, et les trois se détachent du groupe. Ils marchent sur la route, en se cachant dès qu’ils aperçoivent des lumières de phares ou entendent des bruits.

      La police a mis en place une véritable chasse aux migrant·e·s, plus féroce que jamais ces derniers jours. Ils se cachent sur les sentiers, pour surprendre, torches en main, ceux qui tentent la traversée, et font des rondes en voiture sur les routes. Ils se postent aussi aux entrées de Briançon, et à côté des carrefours, mettant en place de réels postes de blocage.

      Les trois personnes marchent pendant une quinzaine de kilomètres et se trouvent alors à 4 ou 5 kilomètres de Briançon. A la hauteur de la Vachette, cinq agents de la police nationale les attendent. Ils surgissent de derrière les arbres à gauche de la route. Il est entre quatre et cinq heures du matin, lundi 7 Mai. Les policiers se mettent à leur courir après. Le groupe se met en fuite, et entre dans le village de la Vachette. Un des trois réussit à se cacher, et les deux autres, un homme et une femme, courent sur la route. L’homme court plus vite, il cherche à attirer la police, qui parvient à l’attraper et le ramène directement en Italie.

      La femme, elle, disparaît.

      La police continue ses recherches dans le village de la Vachette pendant quatre heures. La rivière est en crue, et les policiers concentrent leurs recherches sur les rives de la Durance et autour du pont. Puis ils s’en vont. Cette façon de faire est tout à fait différente des pratiques habituelles de la police, pendant ces nuits de contrôle : en général, après avoir attrapé quelques personnes, ils ne recherchent les fugitifs et fugitives restant·e·s que durant quelques dizaines de minutes. Les recherches concentrées dans la zone du fleuve indiquent clairement que les policiers avaient compris que quelque chose de très grave avait eu lieu.

      50 heures plus tard, Mercredi 9 Mai, un cadavre de femme est retrouvé bloqué à la digue de Prelles, à 10 km au Sud de Briançon. Il s’agit d’une femme d’un mètre 60, aux longs cheveux noirs tressés. Des cicatrices sur le dos, un collier serti d’une pierre bleue.

      Le Procureur de la République de Gap, Raphaël Balland, a annoncé la nouvelle le jour suivant, en précisant que “Cette découverte ne correspond à aucune disparition inquiétante. Pour le moment, nous n’avons aucun élément qui nous permette d’identifier la personne et donc de dire si il s’agit d’une personne migrante”.

      Lourde déclaration du procureur. Les disparitions de personnes exilées ne sont donc pas inquiétantes, sous prétexte qu’on ne les signale pas ? Les soutiens de B. étaient au contraire très inquiets : mais comment se tourner vers la police pour déclarer des disparus, quand ils risquent d’être maltraités, et leurs soutiens réprimés ?

      De plus, le procureur ment, car la police savait qu’une femme avait disparue après une poursuite.

      Très peu de journaux ont relevé la nouvelle. Il semblerait que personne n’ait souhaité publier celle-ci. L’intérêt est d’ensevelir cette histoire, pour éviter un scandale face aux violences policières. Deux cas de femmes enceintes refoulées avaient déclenché des réactions publiques en mars dernier.

      Une enquête judiciaire a été ouverte et confiée à la gendarmerie afin de déterminer les circonstances du décès. Le magistrat a annoncé que “n’ayant pas d’éléments qui font penser à la nature criminelle du décès, une enquête a été ouverte pour déterminer les causes de la mort”. Mais cela aussi est faux. La nature du décès est criminelle.

      Ce n’est pas une mort accidentelle, ce n’est pas une erreur. Ceci est un homicide. Celui d’une jeune femme nigérianne de 21 ans. Cinq policiers les ont poursuivis. Cette femme, B, est morte à cause d’eux et de la politique qui dirige, contrôle et légitime leurs actions.

      B. est morte parce que la frontière ne peut pas être traversée en sécurité par les personnes sans papiers.

      B. n’est pas morte à cause de la montagne, par erreur, elle n’est pas morte dans la neige cet hiver. Elle est morte parce qu’elle était en train d’essayer d’échapper à la police, qui s’adonne de façon toujours plus violente à la chasse aux migrant·e·s.

      Elle a été tuée par ces cinq agents, comme le système de la frontière le leur ordonne.

      Il s’agit d’un homicide avec des mandataires et des exécutants.

      Le Procureur de Gap et la préfète sont autant responsables que les policiers qui l’ont tuée, compte tenu des directives assassines qu’ils donnent.

      Les responsables sont aussi la magistrature et le tribunal, qui criminalisent les solidaires qui cherchent à éviter ces morts en rendant la traversée la plus sûre possible. Les responsables sont tous les politiciens qui fondent leur campagne électorale sur la différence de couleur de peau et de nationalité des personnes.

      Si cela continue, les morts se multiplieront.

      14 maggio, Rifugio Autogestito Chez Jesus

      https://www.kedistan.net/wp-content/uploads/2018/05/briancon-chez-jesus-refugies-sadik-celik-1.jpg
      https://www.kedistan.net/2018/05/16/briancon-chronique-mort-annoncee

    • LA FRONTIERA UCCIDE

      La militarizzazione è la sua arma.

      Una donna è morta. Un cadavere ancora senza nome è stato ritrovato mercoledì all’altezza della diga di Prelles, nella Durance, il fiume che scorre attraverso Briançon.

      Una donna dalla pelle nera, nessun documento, nessun appello alla scomparsa, un corpo senza vita e senza nome, come le migliaia che si trovano sul fondo del Mediterraneo.

      Questa morte non è una disgrazia inaspettata, non è un caso, non è “strana” per tanti e tante. Non c’ entra la montagna, né la neve o il freddo.

      Questa morte è stata annunciata dall’inverno appena passato, dalla militarizzazione che in questi mesi si è vista su queste montagne e dalle decine di persone finite in ospedale per le ferite procuratesi nella loro fuga verso la Francia. È una conseguenza inevitabile della politica di chiusura della frontiera e della militarizzazione.

      Questa morte non è una fatalità. È un omicidio, con mandanti e complici ben facili da individuare.

      In primis i governi e le loro politiche di chiusura della frontiera, e ogni uomo e donna in divisa che le porta avanti.

      Gendarmi, polizia di frontiera, chasseurs alpins, e ora pure quei ridicoli neofascisti di Géneration Idéntitaire, pattugliano i sentieri e le strade a caccia dei migranti di passaggio da questi valichi alpini. Li inseguono sui sentieri e nella neve sulle motoslitte; li attendono in macchina in agguato lungo la strada che porta a Briançon e quelle del centro città. Molti i casi quest’inverno di persone ferite e finite all’ospedale in seguito alle cadute dovute alle fughe dalla polizia.

      Quella donna era una delle decine di migranti che ogni giorno tentano di andare in Francia per continuare la propria vita. Per farlo, ha dovuto attraversare nella neve, a piedi, quella linea immaginaria che chiamano frontiera. Perché i mezzi di trasporto, sicuri, le erano preclusi data la mancanza di documenti e per la politica razziale di controllo che attuano al confine. Poi è scesa sulla strada, quei 17 chilometri che devono percorrere a piedi per raggiungere la città. È lungo quel tratto che deve essere inceppata in un blocco della polizia, come spesso viene raccontato dalle persone respinte. Probabilmente il gruppo di persone con cui era, che come lei tentava di attraversare il confine, si è disperso alla vista di Polizia o Gendarmerie alla ricerca di indesiderati da acchiappare e riportare in Italia, nel solito gioco dell’oca che questa volta ha ucciso.

      Questa donna senza nome deve essere scivolata nel fiume mentre tentava di scappare e nascondersi, uccisa dai controlli poliziesci. L’ autopsia avverà a Grenoble nella giornata di lunedì, solo allora sarà possibile avere maggiori dettagli sulla causa della morte.

      La frontiera separa e uccide.

      Non dimentichiamo chi sono i responsabili.

      Texte vu sur la page FB du refuge Chez Jesus : https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=373079166510819&id=362786637540072
      Repris ici aussi : https://hurriya.noblogs.org/post/2018/05/12/frontiera-uccide-militarizzazione-sua-arma

    • "La migrante morta per scappare ai gendarmi è mia sorella: fatemela vedere"

      “Quello a Briançon è il corpo di mia sorella Blessing, ma i gendarmi mi impediscono di vederla”. È arrabbiata la sorella di #Blessing_Mathew, la giovane nigeriana, morta cadendo nella Durance, il fiume che da Montgenevre scorre verso il sud della Francia, mentre cercava di scappare dai gendarmi che pattugliano il confine per impedire ai migranti di valicarlo. “Sono andata dai poliziotti francesi al confine, volevo vedere mia sorella per aver conferma che fosse morta, ma me lo hanno impedito perché dicono che non ho i documenti per entrare nel loro Paese”.

      La donna ha un regolare permesso di soggiorno italiano, ma la sua carta d’identità non è valida per l’espatrio. Per questo ora si trova in Italia, a Claviere, negli spazi occupati sotto la chiesa del paese dal collettivo solidale con i migranti, in attesa di poter identificare il corpo di sua sorella. “Mi hanno prelevato del Dna per paragonarlo con quello del cadavere – racconta – Ma dicono ci vorranno 15 giorni per i risultati. Poi mi hanno interrogato a lungo, ma non mi hanno permesso di andare a vederla. Ho dato ai gendarmi anche le foto di mia sorella, non ci sono dubbi che sia lei. Poco lontano da dove è caduta hanno trovato una borsa con i suoi documenti”.
      Da Bari la donna ieri è arrivata a Torino per cercare di capire cosa fosse successo a sua sorella Blessing, 21 anni, scomparsa all’alba di lunedì 7 maggio. Il gruppo che era con la giovane si è sfaldato all’altezza di Vachette, il paese che si trova al fondo della lunga discesa da Montgenevre. Una pattuglia di gendarmi li ha sorpresi nel buio mentre cercavano di raggiungere Briançon e li ha inseguiti fin dentro l’abitato. Tre sono rimasti indietro, uno è stato catturato e rispedito in Italia, uno è riuscito a scappare ed è arrivato al centro Tous Migrants che è diventato il punto di riferimento per i migranti che usano la rotta alpina per raggiungere la Francia. Di Blessing però nessun traccia, se non quella borsa trovata lungo il fiume.
      Secondo il racconto di alcuni testimoni gli uomini delle forze dell’ordine francese hanno battuto le rive per alcune ore, prima di rinunciare. Segno che forse avevano capito cos’era accaduto. Il suo corpo è stato trovato solo tre giorni dopo nella diga di Prelles, a Saint Martin de Queyrières. Ancora oggi i gendarmi non hanno confermato né l’identità, né la dinamica della morte, su cui indaga la procura di Gap. “L’altro giorno qualcuno ha contattato mia madre in Nigeria dicendo che mia sorella aveva avuto un incidente – ricorda – Così ho chiamato la polizia e saputo cos’era successo. I gendarmi mi hanno fatto vedere i suoi vestiti, ma non so se fossero suoi perché non abitiamo insieme. Lei stava in un centro d’accoglienza a Torino”.

      Proprio da questo documento si è risaliti all’identità della giovane, ma il sospetto dei militanti del collettivo Chez Jesus – che per oggi hanno convocato un presidio al posto di confine di Claviere - è che le forze dell’ordine non vogliano confermare l’identità subito per far scemare la
      tensione che sta creando la notizia di una migrante morta al confine mentre cercava di fuggire dalla gendarmerie. “Ho chiesto loro cosa fosse successo, chi c’era con lei quando è caduta in acqua, quanto tempo ci è rimasta e chi l’ha trovata, ma non mi hanno risposto – attacca la sorella di Blessing – Voglio sapere cosa è accaduto a mia sorella e poterla salutare prima della sepoltura, non capisco perché me lo impediscano”.


      http://torino.repubblica.it/cronaca/2018/05/16/news/_la_migrante_morta_per_scappare_ai_gendarmi_e_mia_sorella_fatemela

    • Ce midi devant la PAF à Montgenèvre, #Benoît_Ducos, un citoyen solidaire s’est adressé aux forces de l’ordre.

      A MESDAMES ET MESSIEURS LES POLICIERS ET GENDARMES

      "Mesdames, messieurs les Policiers et Gendarmes,

      Nous ne voulons pas qu’après l’enfer libyen et le cimetière méditerranéen, le passage de cette frontière se transforme en un nouvel obstacle meurtrier pour les exilés qui souhaitent venir en France.

      Nous vous demandons de cesser immédiatement les méthodes de cow-boys que vous employez ainsi que cette stratégie de la peur, de l’intimidation et de la répression des solidarités à laquelle vous jouez en mettant en pratique guets-apens, course-poursuites et chasses à l’homme envers des personnes parce qu’elles sont noires de peau ou qu’elles font preuve d’humanité.
      Nous ne sommes plus aujourd’hui dans la bavure isolée mais dans la répétition systématique de graves atteintes aux droits fondamentaux des personnes de la part de fonctionnaires en charge normalement de protéger l’intérêt public.

      Un policier ou un gendarme se doit, dans l’exercice de ses fonctions de faire preuve de discernement.
      Où est il ce discernement lorsque vous osez poursuivre l’été dernier des jeunes exilés entre deux tunnels, dans la nuit noire, et que deux d’entre eux tombent dans un ravin, échappant à la mort par miracle mais dont l’un deux demeure gravement handicapé ?
      Où est il ce #discernement lorsque vous osez poursuivre en pleine nuit des exilés épuisés par la route et poussez l’un deux vers les eaux glaciales d’une rivière gonflées par la fonte des neige ?
      Où est il ce discernement lorsqu’une femme enceinte de 9 mois est interceptée ici même et que l’un d’entre vous ose lui rétorquer « ma mère à moi a bien accouché dans la neige, tu peux donc bien le faire aussi et même si c’est là devant la PAF ça ne me dérange pas » ?
      Où est il ce discernement lorsque des mineurs, isolés de surcroit, sont systématiquement refoulés. Où est il ce discernement lorsque des exilés pour vous échapper racontent qu’ils ont du traverser la rivière en crue à plusieurs reprises au péril de leur vie.
      Où est il ce discernement lorsque des personnes prônant la haine raciale vous remettent en main des exilés qu’ils ont intercepté et que vous osez les remercier pour le bon boulot qu’ils ont fait ?

      Un policier ou un gendarme se doit, même hors de l’exercice de ses fonctions, de porter assistance aux personnes en danger.

      Tous vous avez trainé vos guêtres sur les bancs de l’école. Je pense qu’un certain gouvernement de Vichy collaborant avec l’Allemagne nazie pour exterminer les juifs vous dit quelque chose. Rappelez vous, pendant cette période des solidaires et des fonctionnaires ont pris des risques pour les protéger et ont été traqués eux aussi.

      J’espère que vous faîtes le lien avec ce qui se passe aujourd’hui et que vous voyez de quelle machine vous êtes les serviteurs.
      La France en vous demandant d’agir ainsi ne respecte ni ses engagements internationaux ni les droits fondamentaux des êtres humains.

      Nous avons tous honte de cette situation et de ce qui se passe ici, certains d’entre vous aussi. Nous le savons parce qu’ils nous l’ont confié.

      Serons nous, un jour, comme ces femmes tunisiennes qui refusent désormais d’aller à la pêche parce les poissons qu’elles ramènent dans leurs filets se sont nourris de la chair de leur enfants ? N’oserons nous plus boire l’eau de nos sources ni mettre un pied sereinement en montagne parce que nous savons que des amis exilés y ont laissé leur vie, traqués comme du gibier.

      Mesdames, messieurs les policiers et gendarmes, posez vous simplement cette question car ce n’est pas un scénario improbable : que voudriez vous que l’on fasse pour vous si vous étiez un jour dans la situation de ces gens qui fuient leur pays ? Si un jour, vous deviez tout abandonner, si un jour vous deviez marcher pour échapper à la mort.
      Osez, vous poser cette question et allez jusqu’au bout du raisonnement. Que souhaiteriez-vous tous que l’on vous fasse, hormis du bien.
      Si vous n’êtes pas responsable du bien que vous ne faites pas, vous êtes par contre entièrement responsable du mal que vous faîtes.

      Les vrais femmes et hommes libres sont celles et ceux qui osent aller chercher leur rêve au bout du chemin, celles et ceux qui veillent contre les injustices.
      En acceptant d’obéir à des directives et des injonctions inhumaines vous trahissez chaque jour les valeurs que vous êtes sensés servir et qui sont la liberté, l’égalité et la fraternité. Elles font pourtant la fierté de vos drapeaux sur lesquels sont inscrits ’République Française’. Chaque jour bafouées, elles font de vous les véritables personnes en situation irrégulière.
      Posez vos képis et cessez cette mascarade car vous n’êtes que les serviteurs de lois injustes et nombre d’entre vous le savent déjà.
      Si vous vous demandez encore << mais pourquoi le ferais-je >>, dites vous que parfois désobéir c’est se couvrir d’honneur.
      Pour Blessing, pour tous ceux qui souffrent au passage de cette frontière, pour tous ceux qui arrivent pour demander de l’aide et un peu de paix, pour nous tous, pour que nous n’ayons plus honte de notre pays, Mesdames, Messieurs les Policiers et Gendarmes, ayez le courage de le faire."

      Montgenèvre le 16 mai 2018

      https://www.facebook.com/tousmigrants/posts/2152643054967262

    • La frontière tue

      elle s’appelait
      elle s’appelle elle s’appellera

      silence

      parfois il vaut mieux le silence
      que de parler à travers ou au travers
      d’appeler au calme
      de parler au nom

      la frontière
      les papiers
      ses agents armés
      la traque
      la peur
      la rivière
      la mort

      fascistes État le travail est le même
      l’histoire sait

      administration
      uniforme
      banal

      expulsions
      déportations
      colonisation

      la terreur c’est l’État
      la Justice son sacre

      balland bigot macron collomb
      ce sont eux que la rivière devrait emporter
      ça ne suffira pas

      soyons la crue et non la berge
      soyons les sources qui percent la roche
      que nos larmes forment un torrent de rage

      elle est morte en passant par la montagne
      tuée par la frontière
      et ceux qui la défende

      ne confondons pas le torrent
      et ceux qui nous poussent
      à l’eau

      https://valleesenlutte.noblogs.org/post/2018/05/14/la-frontiere-tue

    • SO SORRY
      Que la terre lui soit légère

      Ce soir à la Vachette, au bord de la Durance ces quelques mots adressés à la famille de Blessing.

      Comment vous dire ? / So Sorry

      A vous les sœurs de Blessing, à vous tous les membres de sa famille et tous ses amis, qui avez perdu le sourire de Blessing, comment vous dire notre tristesse, notre désarroi, notre colère de savoir que c’est dans notre pays, dans nos montagnes que Blessing s’est perdue à jamais ?
      Comment vous dire combien chacun d’entre nous voudrait s’associer profondément à votre chagrin de l’avoir perdue si jeune, en plein espoir d’une vie meilleure ?

      Mais nous avons si honte des sombres événements qui se produisent dans nos montagnes depuis de nombreux mois, que nous osons à peine vous adresser ces quelques mots de compassion.
      Certains d’entre nous sillonnent les montagnes pour tenter de vous protéger contre ces drames nocturnes, d’autres vous accueillent dans les refuges solidaires ou dans leurs maisons, et vous accompagnent dans vos longs et douloureux périples, parfois à leurs risques et périls.
      Mais comment vous dire notre impuissance à permettre que vous soyez toujours accueillis dans le respect et la dignité, malgré toute notre bonne volonté ?

      Nous ne connaissions pas Blessing mais chacun de nous peut se reconnaître en elle, qui aspirait simplement à construire sa vie.
      Comment vous dire que nous saluons le courage qu’il lui a fallu, ainsi qu’à vous tous, pour tout quitter et arriver jusqu’à nous, dans l’espoir d’un possible que vous ne trouvez plus chez vous ?

      La mort de Blessing, nous la portons tous en nous, non seulement comme un drame personnel, mais aussi comme un échec de notre France soit-disant des droits de l’homme, de notre Europe qui ne sait pas ouvrir ses portes.
      Comment vous dire que nous ne voulons pas que sa mort soit vaine, que nous nous battrons pour qu’elle ne tombe pas dans l’oubli, et pour que les lois changent ou soient appliquées ?

      Comment vous dire que chacune des fleurs, chacune des bougies que nous allumons ce soir pour Blessing, est un désir de s’associer à votre peine, un chuchotement de réconfort à votre oreille.

      Comment vous dire que jamais plus nous ne pourrons regarder les belles rivières de nos vallées : La Clarée, la Durance, sans penser à Blessing, à vous tous, au combat de solidarité qui est le nôtre ?

      Puisse Blessing nous donner la force de ne jamais baisser les bras.

      https://www.facebook.com/tousmigrants/posts/2152699918294909

    • La noyée de la Durance serait bien la migrante Nigériane de 21 ans

      Le procureur de la République de Gap a confirmé que la jeune femme retrouvée noyée mercredi 9 mai dernier au barrage de Prelles serait bien Blessing Matthew, une migrante nigériane.
      Dans un communiqué cette après-midi, le procureur de la République de Gap Raphaël Balland a confirmé que la jeune femme retrouvée noyée mercredi 9 mai dernier au barrage de Prelles (Saint-Martin-de-Queyrières) serait bien Blessing Matthew, une migrante nigériane.

      « En l’absence d’élément formel d’identification de la jeune femme décédée par noyade et retrouvée dans la Durance le 9 mai 2018, une expertise génétique a été effectuée par l’IRCGN [Institut de recherche criminelle de la Gendarmerie nationale, NDLR] par comparaison du profil génétique de cette jeune femme avec celui d’une femme de nationalité nigériane, vivant en Italie, et qui s’était présentée auprès des enquêteurs le 15 mai 2018 comme étant possiblement sa sœur qu’elle n’avait plus revue depuis environ 10 ans », précise le magistrat.

      Il poursuit : « Ce jour, cette expertise a conclu à une très forte probabilité qu’il s’agissait effectivement de sa sœur (2000 fois plus probable que par rapport à une personne qui ne serait pas sa sœur). Il s’agirait donc de Blessing Matthew, autrement appelée Blessing Obie. »

      Cette comparaison de profil génétique s’ajoute à d’autres éléments recueillis par les gendarmes ces derniers jours, selon Raphaël Balland, dont des témoignages et « la découverte le 7 mai 2018 par les gendarmes d’un sac contenant un certificat médical au nom de Blessing Matthew à proximité de la Durance sur la commune de Val-des-Prés ».

      « Les investigations [...] se poursuivent pour compléter les éléments d’identité de cette jeune femme et tenter de connaître les circonstances précises de ce décès », conclu le magistrat gapençais.


      https://www.ledauphine.com/hautes-alpes/2018/05/18/la-noyee-de-la-durance-serait-bien-la-migrante-nigeriane-de-21-ans

    • COMMUNIQUE DE PRESSE de Tous Migrants du 22.05.2019

      MAMADOU, BLESSING
      Deux morts à en dix jours à la frontière franco-italienne
      Protégeons les humains, pas les frontières

      Ce vendredi 18 mai en fin d’après-midi, des randonneurs ont découvert le corps de Mamamdou, un migrant mort d’épuisement en tentant de passer la frontière franco-italienne. Son compagnon d’infortune a lui aussi frôlé le drame.

      Il y a 10 jours, une jeune femme Nigériane, Blessing Matthew avait été retrouvée noyée dans la Durance. Elle avait été effrayée en amont par un contrôle de police.

      Depuis des mois des habitants du Briançonnais sont mobilisés pour accueillir les personnes exilées dignement et pour tenter d’éviter les drames. Chaque nuit, des solidaires, traqués eux aussi par la Police, ont veillé et porté secours aux exilés en grande difficulté dans la neige et le froid… pour que les Alpes ne soient pas une autre Méditerranée, un cimetière à ciel ouvert.
      Déjà deux drames de trop depuis la fonte des neiges… deux drames qui ne sont pas des accidents, mais bien la conséquence d’une politique mortifère.

      Aujourd’hui, c’est la politique toujours plus répressive du gouvernement, l’envoi de renforts de gendarmerie, le non-respect de la loi et le bafouement des droits humains qui obligent ces hommes et ces femmes à prendre toujours plus de risques pour éviter les contrôles de police et qui conduit à ces drames.

      Rappelons que les demandeurs d’asile ne sont pas des personnes en situation irrégulière, pas plus que les mineurs isolés.
      Rappelons que le fait pour une personne étrangère d’être en situation irrégulière ne constitue pas un délit.
      Nous refusons que nos montagnes constituent pour les migrants un nouvel obstacle mortel après l’enfer libyen, la traversée de la Méditerranée, et tous ces murs de la honte qui s’érigent de par le monde.

      Nous exigeons le rétablissement de l’Etat de Droit et le respect des droits des personnes étrangères qui frappent à notre porte.
      Nous exigeons le respect par tous de notre devise « liberté, égalité, fraternité », à commencer par les représentants de l’Etat et les forces de l’ordre.

      Que les morts reposent en paix. Que les vivants soient protégés. Sans relâche.

      https://www.facebook.com/tousmigrants/posts/2155513458013555:0

    • Deux migrants morts mais pas de coupable pour le parquet

      Le procureur de la République de Gap vient de classer “sans suite” les enquêtes judiciaires relatives aux décès de Blessing Matthew et Mamadi Conde survenus en 2018 dans le Briançonnais. Pour le parquet, aucune infraction n’a été commise par les forces de l’ordre pourtant pointées du doigt par les associations de défense des migrants.

      https://www.ledauphine.com/hautes-alpes/2019/05/08/deux-migrants-morts-mais-pas-de-coupable-pour-le-parquet

    • Blessing, migrante noyée dans la Durance : des mois de silence et un dossier en souffrance

      Il y a un an, le corps de Blessing Matthew était retrouvé contre un barrage des Hautes-Alpes. La Nigériane, qui venait de franchir la frontière, fuyait une patrouille de gendarmes. Le parquet a écarté lundi leur responsabilité, ce que contestent sa sœur et l’association Tous migrants.

      C’était il y a un an. Le 7 mai 2018, Blessing Matthew s’est noyée dans la Durance à La Vachette (Hautes-Alpes), un lieu-dit de Val-des-Prés situé sur la route de Briançon. Cette Nigériane de 20 ans venait juste de passer la frontière franco-italienne, de nuit, en groupe et par les sentiers, dans le secteur du col de Montgenèvre. Selon ses compagnons de traversée, la dernière fois qu’elle a été vue, peu avant l’aube, elle était poursuivie par les forces de l’ordre, boitillante, épuisée et terrifiée, sur les berges du torrent en crue printanière. Le 9 mai, son corps est retrouvé à dix kilomètres en aval, flottant contre un barrage EDF du village de Prelles. La jeune femme ne porte plus que sa culotte, un anneau d’argent et un collier avec une pierre bleue. C’est le premier cadavre retrouvé depuis le début de l’afflux de migrants à la frontière des Hautes-Alpes, en 2016. Depuis, les corps de trois autres Africains ont été découverts dans la montagne. L’histoire de Blessing est pourtant une tragédie à part. Parce que c’était une femme, alors qu’elles sont ultra-minoritaires sur la frontière, parce que c’était la première victime, et parce que les conditions de sa mort restent troubles.

      Le 25 septembre 2018, sa sœur aînée, Christina, qui vit en Italie, pays dont elle a la nationalité, porte plainte « contre X, pouvant être les représentants de l’autorité publique » pour « homicide involontaire, mise en danger de la vie d’autrui et non-assistance à personne en danger ». Depuis, le parquet de Gap, à l’exception d’une demande d’identité de témoins cités dans la plainte, ne s’était plus manifesté. Sept longs mois de silence donc. Jusqu’au classement sans suite, lundi soir, par le procureur de la République de Gap, Raphaël Balland, de l’enquête « pour recherche des causes de la mort » ouverte à la découverte du corps.

      Confiée aux gendarmes de Briançon et à ceux de Marseille pour la partie « tentative d’interpellation » de Blessing, l’enquête a conclu « à l’absence d’infraction » de la part des gendarmes mobiles. La plainte de Christina, reçue « en phase de clôture de l’enquête » n’a pas changé sa nature, ni donné lieu à la saisine de l’Inspection générale de la gendarmerie, détaille le procureur : « Les gendarmes n’ont distingué que trois silhouettes dans la nuit, sans déceler qu’il y avait une femme » et « n’ont pas entamé de course-poursuite mais ont mis en œuvre un dispositif de recherche des trois migrants dans la zone de fuite. »

      Trop tard et trop peu pour Christina et l’association briançonnaise Tous migrants : elles se sont constituées partie civile auprès du doyen des juges d’instruction du tribunal de Gap, comme le permet la loi lorsque le parquet ne donne pas suite à une plainte dans un délai de trois mois. Maeva Binimelis, du barreau de Nice, signe la nouvelle plainte au nom des trois avocats de Christina et de Tous migrants.

      L’ouverture d’une instruction, désormais incontournable, permettra aux parties civiles d’avoir accès à l’enquête : « J’ai des doutes sur sa qualité. Le parquet a-t-il fait tout ce qui était en son pouvoir ? » interroge l’avocate. Christina, « terriblement choquée », veut « éclaircir les zones d’ombre. Que s’est-il passé cette nuit-là ? Est-ce un accident ? Quel rôle ont joué les forces de l’ordre ? »
      Lampes torches

      La nouvelle plainte s’appuie sur une version différente de celle des enquêteurs, établie par le travail des militants de Tous migrants, mobilisés dès la découverte du corps. Ils retrouvent Roland, l’un des compagnons de Blessing, Nigérian lui aussi, au principal lieu d’accueil de Briançon, celui de l’association Refuges solidaires qui a accueilli 8 550 migrants depuis juillet 2017. Roland leur raconte que Blessing, épuisée, Hervé (un troisième Nigérian) et lui-même ont été surpris par cinq « policiers » vers 5 heures du matin après avoir marché toute la nuit. Lampes torches allumées près d’eux, ils crient « police ! » Les trois Nigérians détalent vers La Vachette, en contrebas. Roland se cache à l’entrée du hameau, voit les autres s’enfuir et les forces de l’ordre patrouiller longuement avant de partir. Si Roland n’a pas été arrêté, Hervé a été interpellé ce matin-là puis reconduit à la frontière, selon le monde opératoire classique dans les Hautes-Alpes : 1 899 « non-admissions » en 2017, 3 409 en 2018, et 736 déjà en 2019 selon la préfecture, en application de la règle européenne prévoyant que les demandes d’asile doivent être faites dans le premier pays d’arrivée.

      Gisèle Peyronel est une des trois personnes qui viennent entretenir sa tombe. Photo Eric Franceschi

      Tous migrants localise Hervé dans un camp de Turin et son témoignage, recueilli par l’avocat italien de Christina, confirme et précise celui de Roland. Les « policiers » qui « leur courent après » ont leurs armes à la main et menacent de tirer, assure-t-il. Caché en contrebas de l’église, au-dessus de la Durance, il aperçoit Blessing sur l’autre rive, accroupie dans un pré, des lampes torches allumées non loin d’elle. Repéré, il s’enfonce dans des taillis et ne la voit plus, mais il l’entend crier et appeler à l’aide pendant plusieurs minutes. Puis plus rien. Les « policiers » continuent à chercher sur la rive.

      Un troisième témoin rencontré par Tous migrants, J., séjournant dans un gîte à proximité, a été réveillé au petit matin par un « déploiement impressionnant » : des ordres sont criés, trois utilitaires de la gendarmerie sont stationnés dans la rue, une dizaine de gendarmes fouillent les jardins, les abords de la rivière. Michel Rousseau, pilier de Tous migrants, détaille ce recueil de témoignages, mission habituelle de l’association : « Ces témoins, choqués mais clairs dans leurs propos, nous ont parlé en toute connaissance de cause. Nous avons vérifié leurs récits sur les lieux. Tout se tient. » Dès le 14 mai 2018, l’association alerte le procureur, par signalement. Ses militants, puis Roland, sont ensuite entendus par les gendarmes. L’association, en parallèle, dénonce publiquement « les pratiques policières révoltantes reposant sur des guets-apens et des courses poursuites ». Ce signalement auprès du procureur avait été le premier. Depuis, Tous migrants, sous l’égide de Me Binimelis, en a déposé huit autres, reprochant aux forces de l’ordre violences, délaissements de personnes vulnérables, faux en écriture publique, destructions de documents, vols, injures à caractère racial… Deux victimes ont même porté plainte pour « violences aggravées » et « vol aggravé ».

      L’avocate explique que le parquet ne lui a fait part d’aucune prise en compte de ces signalements et plaintes. « Il y a pour moi deux poids et deux mesures : pour les militants solidaires, la machine pénale va jusqu’au bout, mais lorsqu’on suspecte des représentants de la force publique, aucune suite ne semble être donnée. » Depuis un an, 10 militants solidaires ou maraudeurs ont été condamnés à Gap pour « aide à l’entrée d’étrangers en situation irrégulière sur le territoire », dont deux, à de la prison ferme.
      « Mise en danger »

      Contacté par Libé , le procureur de Gap assure que « la totalité des signalements et plaintes a été traitée », donnant lieu soit « à des vérifications auprès des services potentiellement concernés », soit « à l’ouverture d’enquêtes préliminaires », dont il ne précise pas la nature, soit à leur ajout« à d’autres procédures en cours ». Il déplore la « posture » de Tous migrants qui consiste à lui fournir des « éléments quasi inexploitables : des témoignages anonymes, ne permettant pas d’identifier les forces de l’ordre visées ».

      Hervé, le témoin clé concernant Blessing, n’a ainsi pas été entendu, explique le procureur qui regrette que Tous migrants ne lui ait pas communiqué « les éléments du témoignage » de cet homme et son identité complète. Les enquêteurs l’avaient joint par téléphone au début de l’enquête mais il avait « refusé de revenir en France pour témoigner », dit le procureur…

      Sur la même période, les témoignages d’infractions commises par les forces de l’ordre, en particulier de par la police aux frontières, se sont multipliés. Les chasses à l’homme - ou « chasses au Noir », comme le lâche Maeva Binimelis - n’ont par ailleurs jamais cessé. « C’est tous les jours, à pied, en quad ou à motoneige, avec des jumelles infrarouges et même des chiens parfois », détaille un maraudeur briançonnais. La Commission nationale consultative des droits de l’homme, institution officielle venue en inspection à Briançon, a invité l’Etat, en juillet, à « prendre immédiatement les mesures qui s’imposent à la frontière franco-italienne pour mettre fin aux violations des droits fondamentaux et aux pratiques inhumaines », à « sortir du déni » et à « modifier radicalement sa politique responsable de la mise en danger d’êtres humains ». La préfecture des Hautes-Alpes indique que « ce rapport à portée nationale n’appelait pas de réponse locale, même si certains faits, appréciations et interprétations pourraient être discutés ».

      Treize ONG, menées par Amnesty et l’Anafé, ont lors d’une mission en octobre récolté « de nombreux témoignages de violation des droits […] et de menaces proférées par les policiers » et déposé 11 référés-liberté, dont 8 pour des mineurs isolés refoulés. La préfecture fustige ce rapport « outrancier et erroné », assurant que les forces de l’ordre « exercent leurs missions dans le strict respect de la loi » et ont « pour consigne constante de considérer en toutes circonstances l’état de vulnérabilité des personnes ». Elle ajoute que signalements et plaintes sont du ressort de la justice et qu’elle n’en a « pas été destinataire ». Michel Rousseau gronde : « Ce qui se passe ici révèle la violence directe, brutale et barbare de notre système. »

      Dans un recoin du cimetière de Prelles, à l’écart, Blessing repose sous un tumulus de terre. Il y a toujours des fleurs fraîches sur sa tombe.

      https://www.liberation.fr/france/2019/05/07/blessing-migrante-noyee-dans-la-durance-des-mois-de-silence-et-un-dossier-en-souffrance_1725550/?redirected=1&redirected=1

    • 12.01.2021

      Hautes-Alpes : Un avocat tente de relancer l’affaire de la migrante retrouvée morte

      Classée sans suite, l’affaire de la migrante retrouvée morte noyée dans les Hautes-Alpes est en passe d’être relancée

      Classée sans suite en 2019 par le parquet de Gap, l’enquête sur le décès d’une migrante nigériane de 21 ans, retrouvée noyée peu après avoir franchi la frontière franco-italienne, pourrait être relancée à la faveur d’un nouvel épisode judiciaire.​

      La chambre de l’instruction de la cour d’appel de Grenoble a examiné mardi les arguments de Me Vincent Brengarth, l’avocat de l’association Tous migrants, qui avait interjeté appel après l’ordonnance de non-lieu rendue en juin 2020 par le juge d’instruction chargé du dossier.

      Pourchassée dans la forêt

      L’association avait déposé une plainte avec constitution de partie civile auprès du doyen des juges d’instruction de Gap en mai 2019 après le classement sans suite, espérant ainsi l’ouverture d’une information judiciaire et une reprise d’enquête. « L’ordonnance de non-lieu a été rendue par le juge d’instruction sans même instruire le dossier. Il s’est contenté de reprendre à son compte l’enquête préliminaire », regrette Me Brengarth.

      L’avocat rappelle que la seule enquête réalisée l’a été « sous le contrôle du procureur de Gap », qui n’est, assure-t-il, « pas indépendant ». Il pointe également des « incohérences et des contractions » dans les déclarations des gendarmes sur le déroulement des faits. « Un témoin confirmant qu(e la migrante) a été pourchassée dans la forêt n’a pas été entendu », déplore-t-il également. Blessing Matthew, une Nigériane de 21 ans, avait été retrouvée noyée à Saint-Martin-de-Queyrières, le 7 mai 2018, peu après avoir franchi la frontière en provenance de l’Italie.

      https://www.20minutes.fr/justice/2951195-20210112-hautes-alpes-avocat-tente-relancer-affaire-migrante-retro

    • Hautes-Alpes : le délibéré de l’appel pour relancer l’affaire Blessing Matthew fixé au 9 février

      Chaque hiver, des migrants tentent de franchir la frontière à pied dans le froid glacial des nuits montagnardes. Depuis une semaine, presque chaque nuit, des interventions de secours ont lieu à la frontière franco-italienne du Briançonnais. Samedi soir, sept personnes « en transit » étaient activement recherchées vers Cervières. Plus tôt, quatre autres migrants étaient secourus à Montgenèvre. Lundi dernier, une dizaine d’entre eux étaient retrouvés en situation de péril au col de Montgenèvre.

      Si la problématique migratoire est bien moins importante aujourd’hui, elle ne cesse d’être présente au quotidien dans les Hautes-Alpes à travers les secours à personne, l’accueil solidaire ou les dossiers en justice.

      A ce titre, l’affaire Blessing Matthew pourrait bien être relancée par l’avocat de l’association Tous migrants. Le dossier, classé sans suite par le parquet de Gap en 2019, a été examiné mardi dernier par la chambre de l’instruction de la cour d’appel de Grenoble. Maître Vincent Brengarth avait interjeté appel après l’ordonnance de non-lieu rendue en juin 2020. L’association Tous migrants avait déposé une plainte avec constitution de partie civile auprès du doyen des juges d’instruction de Gap en mai 2019 après le classement sans suite. Selon l’avocat, la seule enquête réalisée l’a été « sous le contrôle du procureur de Gap qui n’est pas indépendant ». De même, un témoin a affirmé que « la migrante a été pourchassée dans la forêt » et n’a pas été entendu.
      Pour mémoire, Blessing Matthew était une jeune Nigériane de 21 ans qui avait été retrouvée noyée à Saint-Martin-de-Queyrières le 7 mai 2018 après avoir traversé la frontière. Elle a été inhumée dans le cimetière du village de Prelles.

      Maître Vincent Brengarth attend maintenant le 9 février prochain, date à laquelle sera rendu le délibéré qui pourrait ou non relancer l’affaire :

      https://www.dici.fr/actu/2021/01/18/hautes-alpes-delibere-de-l-appel-relancer-l-affaire-blessing-matthew-fixe-9-fev

    • Mort d’une jeune Nigériane en 2018 : l’avocat de Tous migrants veut relancer l’affaire

      #Blessing_Matthew avait été retrouvée noyée le 9 mai 2018, au barrage de Saint-Martin-de-Queyrières, dans les Hautes-Alpes. Le parquet de Gap avait, un an plus tard, classé l’affaire de la mort de la jeune femme sans suite. Au grand dam de l’association #Tous_migrants qui n’a, depuis, de cesse de la relancer.

      Classée sans suite en 2019 par le parquet de Gap , l’enquête sur le décès d’une migrante nigériane de 21 ans, retrouvée noyée peu après avoir franchi la frontière franco-italienne, pourrait être relancée à la faveur d’un nouvel épisode judiciaire.

      L’affaire devant la cour d’appel de Grenoble

      La chambre de l’instruction de la cour d’appel de Grenoble a examiné mardi les arguments de Me #Vincent_Brengarth, l’avocat de l’association Tous migrants, qui avait interjeté appel après l’ordonnance de non-lieu rendue en juin 2020 par le juge d’instruction chargé du dossier. L’association avait déposé une #plainte avec constitution de partie civile auprès du doyen des juges d’instruction de Gap en mai 2019 après le #classement_sans_suite, espérant ainsi l’ouverture d’une information judiciaire et une reprise d’enquête.

      « L’ordonnance de non-lieu a été rendue par le juge d’instruction sans même instruire le dossier. Il s’est contenté de reprendre à son compte l’enquête préliminaire », regrette Me Brengarth. L’avocat rappelle que la seule enquête réalisée l’a été « sous le contrôle du procureur de Gap », qui n’est, assure-t-il, « pas indépendant ». Il pointe également des « incohérences et des contractions » dans les déclarations des gendarmes sur le déroulement des faits.

      « Un témoin confirmant [que la migrante] a été pourchassée dans la forêt n’a pas été entendu », déplore-t-il également.

      Elle venait de franchir la frontière

      Blessing Matthew, une Nigériane de 21 ans, avait été retrouvée noyée à #Saint-Martin-de-Queyrières, le 7 mai 2018, peu après avoir franchi la frontière en provenance de l’Italie. Sa sœur avait alors porté plainte en accusant les gendarmes d’avoir tendu un « véritable #guet-apens » au groupe dans lequel Blessing Matthew figurait.

      Décision le 9 février

      L’enquête avait déterminé que les gendarmes mobiles « s’étaient identifiés à haute voix » avant un contrôle, provoquant la fuite de la jeune femme et de ses deux compagnons.

      Selon le parquet de Gap, « les circonstances précises dans lesquelles [elle] aurait chuté dans la Durance demeurent inconnues en l’absence de témoignage direct ». La section de recherches de Marseille avait finalement « conclu à l’absence d’infraction susceptible d’être retenue à l’encontre des gendarmes mobiles », avait relevé le parquet. La décision a été mise en délibéré au 9 février.

      https://www.ledauphine.com/faits-divers-justice/2021/01/13/mort-d-une-jeune-nigeriane-en-2018-l-avocat-de-tous-migrants-veut-relanc

  • How Russia’s War In Ukraine Threatens Wheat Shortages, Rising Food Prices - Bloomberg
    https://www.bloomberg.com/news/features/2022-04-05/will-russia-s-war-in-ukraine-cause-wheat-shortages-raise-food-prices-more

    Disruptions in the flows of grains and oilseeds — staples for billions of people and animals across the world — are sending prices soaring. Countries fearing potential food shortages are scrambling to find alternative suppliers and new trades are emerging.

    #ukraine_food via Filou

    • Stanze – di Gianluca e Massimiliano De Serio – Videoinstallazione – Italia 2010

      Il diritto d’asilo calpestato, poesia civile sulle tracce delle “catene poetiche” della tradizione orale somala. E i muri, e le vicende, dell’ex caserma La Marmora di via Asti, a Torino, autentica «centrifuga» simbolica della storia d’Italia.

      «Quanto è sconnessa la terra sotto i miei piedi,/ quanto è vasta la sabbia,/ andavo avanti sballottato e dappertutto le dune si moltiplicavano».

      «Mi hanno preso le impronte, non sono più come i miei coetanei./ Mi hanno reso povero in tutto, sono senza prospettiva di vita qui in via Asti./ Chi ci ha respinto ci ha fatto restare sul marciapiede in mezzo a una strada, ci ha relegato a dormire lungo i muri./ Ci obbligano a tornare indietro,/ non possono capire che il trattato di Dublino è il colonialismo: a chi possiamo denunciarlo?».

      In Stanze si respira la vertigine deserto, si intuisce la fatica del viaggio. Si ascolta una madre che teme per il figlio emigrato. Si sente sotto i piedi la lastra nera del mare. Si impara che cosa sia il bisogno di fuggire da una terra invivibile, ma anche la disillusione per essere finiti in un Paese diverso da come lo si sognava. Si diventa testimoni della miseria e dell’indifferenza vissuti in Italia. E si è inchiodati alla denuncia: «Gli italiani non hanno mantenuto la promessa fatta», quella di un’accoglienza che dia un minimo di sostanza al diritto d’asilo concesso sulla carta.

      Nato come videoinstallazione, Stanze è stato girato con un gruppo di giovani rifugiati somali che sono stati “ospiti” degli spogli locali dell’ex caserma La Marmora di via Asti, a Torino. Le riprese, senza luce artificiale, si sono svolte in un’unica giornata ma la preparazione è durata mesi, in collaborazione con la mediatrice culturale e scrittrice Suad Omar. In questo «film di parola e non di azione» (è la definizione dei fratelli De Serio) gli attori, a turno, narrano le loro storie per circa un’ora, fermi davanti alla camera da presa, in versi somali con sottotitoli in italiano.

      La forma recupera e riattualizza il genere della “catena poetica” (una serie di liriche collegate fra loro, strumento di dibattito pubblico e politico nella tradizione orale della Somalia). Mentre, nei contenuti, la cronaca e la testimonianza si fanno poesia civile, con un’asprezza senza tempo che ricorda a tratti i salmi più scabri e le denunce più dure dei profeti dell’Antico Testamento.

      Una parte dei testi proposti dal gruppo di giovani rifugiati non si limitano alla situazione del diritto d’asilo ma “interpretano” anche la storia dell’ex caserma La Marmora, decifrando in quelle mura «una vera e propria centrifuga della storia italiana», come ricorda l’associazione di “mutuo soccorso cinematografico” Il Piccolo Cinema di Torino: «Fondata durante il primo periodo coloniale italiano nel corno d’Africa, la caserma è poi diventata sede, durante il fascismo, della Guardia nazionale repubblicana e vi si sono consumate torture e fucilazioni dei partigiani prigionieri». Da qui la ripresa in Stanze (stanze come strofe poetiche, stanze di mattoni) di alcuni stralci degli atti del processo che, nel 1946, vide alla sbarra alcuni fascisti che “lavorarono” in via Asti. Ancora Il Piccolo Cinema: «Nel film gli ex abitanti della caserma, attraverso un percorso di sdoppiamento storico ed esistenziale, si fanno carico della nostra stessa storia e delle sue mancanze».

      Prodotto per la prima edizione del “Premio Italia Arte Contemporanea” del Maxxi di Roma, Stanze ha ottenuto la menzione speciale della giuria «per l’uso innovativo del linguaggio filmico nel rappresentare la condizione umana di sofferenza e di oppressione che attraversa la nostra storia».

      Alcune scene e una presentazione del video da parte di Gianluca e Massimiliano De Serio sono presenti su You Tube: https://www.youtube.com/watch?v=GvWW0Ui7Nr0

      Il sito Internet dei fratelli De Serio è: www.gmdeserio.com
      https://viedifuga.org/stanze

    • Intervista a Gianluca e Massimiliano De Serio - Quella stanza fuori dall’Africa

      Quella stanza fuori dall’Africa Teresa Macri ROMA Incontro con i gemelli De Serio, menzione speciale della giuria per il Premio Italia Arte Contemporanea al Maxxi. «Abbiamo girato un film-catena poetica che recupera la tradizione orale somala, prima dell’avvento della scrittura. Nel nostro caso, la narrazione orchestrata dalla poetessa Suad Omar è declinata da alcuni rifugiati politici che interpretano le loro storie di esiliati» Gianluca e Massimiliano De Serio con il mediometraggio Stanze, si sono aggiudicati una menzione speciale da parte della giuria e una passione smodata da parte del pubblico. Sarebbe stato un esemplare epilogo se, nel catastrofico crinale italiano come quello che stiamo attraversando, la giuria avesse inviato un chiaro segno politico puntando sul loro film che riesce a coagulare paradigma storico, displacement, soggettività e funzione del linguaggio poetico attraverso i racconti di alcuni politici somali in Italia. Comunque sia i fratelli De Serio (Torino, 1978) sono stati appena premiati alla 28ma edizione di Torino Film Festival con il documentario Bakroman sui ragazzi di strada del Burkina Faso. Fin dal 1999, i gemelli indagano senza tregua e senza alcun rigurgito ideologico sui temi dell’identità culturale, «negoziata», fluida e in divenire nell’epoca tardo-capitalista, sui conflitti tra urbanità e minoranze etniche che stanno ridefinendo le nostre società occidentali. La loro è una ricerca «etica», indirizzata sullo scontro degli spazi sociali e sul disagio dell’estetica, nei confronti della politica. Una ricerca in con-trotendenza con l’immaginario simulacra-le così ripercorso dalla loro stessa I-Generation. Ragione dei numerosissimi riconoscimenti internazionali ricevuti finora: Nastro d’Argento per il miglior cortometraggio (2004), il festival di Edimburgo (2006), Oberhausen (2006), Stoccarda (2005), Vendó me (2005 e 2006) e, come miglior film italiano, per tre anni consecutivi al Tff. L’asserzione dell’artista Francis Alys «a volte fare qualcosa dl poetico può diventare politico e a volte fare qualcosa dl politico può diventare poetico» sembra descrivere li vostro film. Come è nata e si è sviluppata l’idea dl «Stanze»? Poesia e politica non sono per forza estranee. Al contrario. Cosl come l’estetica può veicolare un contenuto etico, il rapporto fra le due sfere deve essere il più coerente possibile. In particolare, Stanze è un lavoro che si sviluppa in entrambe le direzioni. E un film/catena poetica che recupera la tradizione orale somala prima dell’avvento della scrittura. La poesia era lo strumento di discussione etica e politica della società somala, con essa si creavano catene poetiche attraverso le quali si dibatteva: venivano apprese a memoria dalla società e servivano per un dibattito pubblico, sublimato dalla bellezza e dal rigore della metrica. Nel nostro caso, le poesie, create sotto la maestria della poetessa Suad Omar, sono declinate da un gruppo di rifugiati politici che interpretano le loro storie di esiliati e si fanno carico della nostra storia e delle nostre mancanze.
      «Stanze» è centrato sulle forme di potere autoritarie: dal colonialismo italiano In Africa al fascismo del ventennio fino all’attuale stato dl diritto discrezionale... Il film è un lento scivolare dalla diaspora dei somali all’inadeguatezza del nostro paese nell’accoglierli secondo le regole internazionali. Progressivamente, i rifugiati arrivano ad interpretare stralci del processo, del 1946 nella caserma di via Asti di Torino, in cui vennero condannate alcune guardie nazionali repubblicane fasciste, colpevoli di sevizie, di torture e uccisioni di numerosi partigiani (tutti amnistiati, creando in questo modo un vuoto storico e giudiziario). I somali, figli indiretti della nostra storia e delle colpe coloniali e fasciste e oggi rifiutati dalla nostra società, prendono la voce dei testimoni del processo, attuando una sorta di sdoppiamento storico ed esistenziale che incolpa prima di tutto l’Italia e ne riempie il vuoto morale e politico. I luoghi di ogni «stanza poetica» sono alcune sale della tremenda caserma di via Asti, che paradossalmente è stata un provvisorio posto di accoglienza di centinaia di rifugiati politici somali nel 2009, alcuni dei quali protagonisti del film. Lo sradicamento del soggetto post-coloMale è al centro delle vostre analisi sia In «Zakarla» che in «Stanze». In ciò conta molto l’humus torinese dove vivete? Torino è una città che ha visto nascere i movimenti di potere, ma anche di protesta e di avanguardia in Italia. E un luogo di spe:
      * rimentazione sociale dove si cerca di supplire alle mancanze del govemo in materia di rifugiati politici. Molte delle nostre storie nascono e si creano nel nostro quartiere o nella nostra città. Qui ha sede il Centro Studi Africani, dove ha avuto inizio la ricerca per realizzare Stanze. Il presidente, ora purtroppo scomparso, era Mohamed Aden Sheickh, ex ministro somalo che è stato sei anni in cella di isolamento sotto la dittatura di Siad Barre ed è a lui e ai rifugiati politici che dedichiamo il lavoro. Grazie a lui abbiamo incontrato Abdullahi, Suad Omar e tutti i rifugiati politici protagonisti. La necessità dl ritornare su accadimenti passati della storia Italiana (come II film dl Martone "Nol credevamo») è un meccanismo dl presa di coscienza del presente attraverso una di logica della memoria? Il nostro è un tentativo di creare una nuova immagine del presente, fuori da ogni formato e da ogni cliché, capace di farsi carica di significato e di aprirsi a riflessioni future e a ri-letture del passato, sotto una nuova estetica e rinnovati punti di vista. Stanze, per esempio, parte dalle storie della diaspora presente, dalle torture in Libia e dai respingimenti, dai non diritti dei rifugiati, che si perpetuano tutti i giorni tra Africa e Italia, fin dentro il nostro stesso paese. Questa diaspora ha radici profonde e interpella la nostra storia più nera, sconosciuta o opportunisticamente dimenticata, quella del colonialismo, degli eccidi in Somalia da parte degli italiani, delle colpe dei fascisti, mai pagate fino in fondo come ci insegna via Asti. C’è nella vostra ricerca una attenzione alla struttura metrica che stabilisce anche Il ritmo del film. II riferimento è alla catena poetica dl Stanze», alla rima del rappers in «Shade ? Da anni onnai lavoriamo sul tentativo, di volta di volta diverso, di creare una «nuova oralità». La trilogia dedicata a Shade era un lungo flusso di coscienza in freestyle, che abbandonava le classiche regole del genere per farsi nuova parola e immagine, icona, memoria di se stessa. In Stanze abbiamo spazializzato il suono, lo abbiamo reso scultura, capace di riflettersi su un’immagine aderente al concetto di catena poetica e in grado di farsi bella, perfetta, ipnotica, sia nella metrica e nel suono, ma anche nei colori e nelle luci. Solo così crediamo si possa restituire la dignità e il coraggio di mettersi in gioco dei nostri protagonisti: ognuno con i suoi strumenti, in un dialogo continuo che si fa scambio, dialettica, alleanza.
      PREMIO ITALIA ARTE Rossella Biscotti presenta il suo «Processo» dopo il 7 aprile L’artista Rossella Biscotti è la vincitrice della prima edizione del Premio Italia Arte Contemporanea, curato da Bartolomeo Pietromarchi e organizzato dal Mani per sostenere e promuovere l’arte italiana rigosamente under 40. «II Processo», realizzato dalla Biscotti (Molfetta, 1978, ma vive in Olanda) consta in una installazione molto formale di architetture residuali in cemento armato ispirate alla conversione logistica subita dalla razionalista palestra della scherma realizzata da Luigi Moretti al Foro Italico in aula bunker durante i processi politici degli anni di piombo, tra cui quelli legati al caso Moro. Parallelamente e più pregnantemente un audio, disseminato nel museo, invia le registrazioni del famoso processo .7 Aprile». A colpire la giuria è stata «l’intensità del lavoro e il forte legame che l’artista ha saputo costruire fra l’architettura del museo e quella dell’opera». L’installazione sarà acquisita dal Marci e verrà pubblicata una monografia dell’artista. Tre gli altri finalisti in lizza: Rosa Barba (Agrigento, 1972) con il suo museo nascosto» nei depositi; Piero Golia (Napoli 1974) che cerca di confondere lo spettatore spostando continuamente il punto di vista, e i gemelli De Serio, menzione speciale per il loro mediometraggio «Stanze».

      https://archive.ph/Ob2nj#selection-68.0-68.2

    • Italy’s De Serio Brothers on CineMart-Selected Colonial-Era Drama ‘Prince Aden’ (EXCLUSIVE)

      Gianluca and Massimiliano De Serio, the Italian directing duo best known internationally for their Locarno premiere “Seven Acts of Mercy,” are developing a colonial-era drama that they’re presenting during the Rotterdam Film Festival’s CineMart co-production market.

      “Prince Aden” begins in 1935, when a 16-year-old Somali boy passes the test to become a dubat, a soldier in the Italian army that has invaded Ethiopia on the orders of Mussolini. Aden Sicré is sent to the frontlines, but after being injured on his first day of service he’s forced to return home – where he is unexpectedly hailed as a war hero by the Fascist regime.

      Five years later, Aden is recruited to take part in a recreation of the daily life of an African village at the newly built Mostra d’Oltremare exhibition center in Naples. But when Italy enters the Second World War, the “human zoo” suddenly closes, stranding Aden and the other African inhabitants for three years as Allied bombs destroy the city around them.

      Inspired by the book “Partigiani d’Oltremare,” by the Italian historian Matteo Petracci, the film follows the unexpected turns in the years after, as Aden and other African fighters play a pivotal role in the partisan struggle against fascism in Europe, and the would-be shepherd is hailed as the film’s titular prince.

      “Prince Aden” sheds light on an “unknown story” that helped shape the course of Italy in the 20th century, according to Gianluca. Yet it’s a story that’s become increasingly relevant against the backdrop of modern-day Europe.

      “We found that this story is not so far from those of thousands of young people who leave their homeland and come to Italy and Europe to find a new life today,” he said. “There is a kind of mirror” with current events.

      Massimiliano said that “this story is a contemporary story, not only a story of our recent past,” which reflects how events between the colonial era and the present day are connected.

      “We need to talk about not only our origin [as colonizers and fascists], but also we need to talk about the importance of Africa to our story, and also the importance of the Italian story to the African one,” he added. “The film will not only be a film about colonialism, because everything starts from there, but also about post-colonialism.”

      The De Serio Bros. addressed similar topics in their 2010 film installation “Stanze” (Rooms) (pictured), which looked at issues of colonialism, post-colonialism and their consequences on the condition of migrants today.

      Central to “Prince Aden” will be an interrogation of the ways in which the Fascist regime exploited the image of its young African hero for its own purposes. The brothers will also examine the role played by the Mostra d’Oltremare, as well as the Italian film industry, in promoting the propaganda of the Fascist government, raising questions of how history is staged and narratives framed.

      It’s a timely subject in an era when previously marginalized voices across the world are struggling to reclaim their own stories. Massimiliano noted how an increasing number of young Italian writers, artists and musicians with African roots have in recent years begun to produce art that echoes their own experiences as second- and third-generation Italians.

      However, he said, “there is not a real debate in Italy’s culture about our colonialism and the ashes of this colonialism after the ‘60s” similar to how the Black Lives Movement has cast fresh light on race history in the U.S.

      That lack of accountability or reflection extends to cinema, which “didn’t really face up to colonialism” after the fall of the fascist regime, Massimiliano said. That, in turn, has had a profound effect on Italian culture today.

      “Cinema works with images. It gives visibility to something, and it hides something else,” said Gianluca. “For us, cinema is a responsibility…. It’s a choice. It’s close to the work of archaeologists: going under the surface and looking for pieces of our identity that are hidden not only in the past, also in the present.”

      The De Serio Brothers’ debut feature, “Seven Acts of Mercy,” made a splash on the festival circuit after premiering in competition in Locarno in 2011. The brothers later premiered in the Venice Film Festival in 2016 with the documentary “River Memories,” about one of the largest shanty towns in Europe. Two years ago, they bowed “The Stonebreaker,” starring “Gomorrah’s” Salvatore Esposito, in the festival’s Venice Days strand.

      “Prince Aden” is produced by Alessandro Borrelli for La Sarraz Pictures. As the filmmakers search for potential co-producing partners during CineMart, Massimiliano stressed that their film is inherently a “European project” that is “important for Europe.”

      “We are the doors of Europe in the Mediterranean today,” he said, “and I think that this project could be a way for Europe to understand better the European roots that are not only the European, Christian roots, but also the roots of our tragic and somehow also beautiful links [and] violent links with Africa. The film will be violent and tender at the same time.”

      https://variety.com/2022/film/global/rotterdam-cinemart-de-serio-brothers-prince-aden-1235167410

    • La macabra storia dell’ex Caserma La Marmora di Torino

      Ormai in disuso, la vecchia Caserma La Marmora dal ’43 al ’45 fu luogo di detenzione e di tortura, dove persero la vita molti italiani.

      Al giorno d’oggi, al civico numero 22 di via Asti a a Torino si trova l’ex #Caserma_Dogali, ora Caserma La Marmora.

      La struttura militare fu il centro di terribili atti di tortura e fucilazione durante il Secondo conflitto mondiale.

      Alle origini, la caserma di via Asti divenne la sede di un Reggimento di fanteria.

      Costruita dal 1887 al 1888, il progetto della struttura fu opera del capitano del Genio, #Giuseppe_Bottero.

      Inizialmente, all’inaugurazione si scelse il nome di caserma “Dogali” di Torino (solo in futuro poi prenderà il nome “La Marmora”).

      Questa denominazione in particolare, richiama l’infausta battaglia di Dogali, la quale ebbe luogo in corrispondenza della costruzione dell’edificio.

      Al tempo, il corpo si spedizione italiano era impegnato nel Corno d’Africa, in Eritrea, per portare avanti le pretese coloniali del governo #Depretis.

      Risaputa è la sconfitta dell’esercito italiano, che proprio durante la battaglia di Dogali del 26 gennaio del 1887 venne piegato da un’impensabile esercito etiope.

      La disfatta coprì di vergogna l’Italia agli occhi delle potenze mondiali.

      In seguito, il ministro Depretis diede le dimissioni a distanza di poche settimane.

      Indubbiamente, il catastrofico evento generò clamore in tutta la penisola.

      Nel capoluogo piemontese si prese la decisione di intitolare una via con il nome del tenente colonnello Tommaso De Cristoforis, casalese di origini che perse la vita durante la campagna africana.

      Mentre, invece la nuova caserma prese il nome dell’infima battaglia.

      Come primo impiego militare, si ospitarono al suo interno due reggimenti di fanteria.

      Mentre dal luglio del 1912, fu sede del comando del Battaglione Aviatori della neo-aeronautica militare italiana.

      Nel 1920, su richiesta dell’Alto Comando militare, la caserma ospitò un reggimento di Bersaglieri, il IV.

      Mentre l’anno successivo cambiò nome, diventando Caserma “La Marmora”, in onore di #Alfonso_La_Marmora, generale e politico de Regno di Sardegna, ideatore dell’unità dei bersaglieri.

      Purtroppo, nel 1943 la Caserma La Marmora divenne il centro di terribili avvenimenti.

      Dopo l’armistizio dell’ 8 settembre 1943, i partigiani, grazie all’appoggio degli alleati, misero a ferro e fuoco il Piemonte.

      Così si decise di riconvertire la caserma come quartier generale dell’#Ufficio_Politico_Investigativo (l’#Upi).

      Sotto la gestione della #Guarda_Nazionale della neo-nata #Repubblica_Sociale.

      Il nuovo incarico era quello di reprimere ed eventualmente annichilire ogni forma di lotta clandestina partigiana, con ogni maniera necessaria.

      Nelle camere della caserma, sotto il comando del colonnello #Giovanni_Cabras e del maggiore #Gastone_Serloreti, si rinchiudevano e si interrogavano i partigiani catturati.

      Gli interrogatori venivano portati avanti attraverso spietate torture psicologiche e fisiche.

      Che si concludevano con la fucilazione o con la deportazione in Germania dei ribelli, in accordo con i nazisti.

      Tra la notte del 27 e del 28 gennaio però, un’incursione partigiana, comandata da #Livio_Scaglione, riuscì ad occupare la caserma e liberare i prigionieri.

      Con la fine della guerra, l’ex struttura militare cadde inevitabilmente nella desuetudine, che continua fino ai giorni nostri.

      Tuttavia nel 1962, in ricordo degli eroi che persero la vita, venne posta una lapide nella caserma, esattamente nel luogo in cui avvennero le esecuzioni.

      https://mole24.it/2021/05/05/la-macabra-storia-dellex-caserma-la-marmora-di-torino
      #partisans

  • Difficult Heritage

    The Royal Institute of Art in Stockholm and the University of Basel are collaborating in the organization of the international summer program Difficult Heritage. Coordinated by the Decolonizing Architecture Course from Sweden and the Critical Urbanism course from Switzerland, the program takes place at #Borgo_Rizza (Syracuse, Italy) from 30 August to 7 September 2021, in coordination with Carlentini Municipality, as well as the local university and associations.
    The program is constituted by a series of lectures, seminars, workshop, readings and site visits centered around the rural town of Borgo Rizza, build in 1940 by the ‘#Ente_della_colonizzazione’ established by the fascist regime to colonize the south of Italy perceived as backward and underdeveloped.
    The town seems a perfect place for participants to analyze, reflect and intervene in the debate regarding the architectural heritage associated to painful and violent memories and more broadly to problematize the colonial relation with the countryside, especially after the renew attention due the pandemic.
    The summer program takes place inside the former ‘entity of colonization’ and constitutes the first intensive study period for the Decolonizing Architecture Advanced Course 2020/21 participants.

    https://www.youtube.com/watch?v=x0jY9q1VR3E

    #mémoire #héritage #Italie #Sicile #colonialisme #Italie_du_Sud #fascisme #histoire #architecture #Libye #Borgo_Bonsignore #rénovation #monuments #esthétique #idéologie #tabula_rasa #modernisation #stazione_sperimentale_di_granicoltura #blé #agriculture #battaglia_del_grano #nationalisme #grains #productivité #propagande #auto-suffisance #alimentation #Borgo_Cascino #abandon #ghost-town #villaggio_fantasma #ghost_town #traces #conservation #spirale #décolonisation #défascistisation #Emilio_Distretti

    –-
    ajouté à la métaliste sur le colonialisme italien :
    https://seenthis.net/messages/871953

    via @cede qui l’a aussi signalé sur seenthis : https://seenthis.net/messages/953432

    • Architectural Demodernization as Critical Pedagogy: Pathways for Undoing Colonial Fascist Architectural Legacies in Sicily

      The Southern question

      In 1952, #Danilo_Dolci, a young architect living and working in industrial Milan, decided to leave the North – along with its dreams for Italy’s economic boom and rapid modernization – behind, and move to Sicily. When he arrived, as he describes in his book Banditi a Partinico (The Outlaws of Partinico, 1956), he found vast swathes of rural land brutally scarred by the war, trapped in a systematic spiral of poverty, malnutrition and anomie. After twenty years of authoritarian rule, Italy’s newly created democratic republic preserved the ‘civilising’ ethos established by the fascist regime, to develop and modernize Sicily. The effect of these plans was not to bridge the gap with the richer North, but rather, to usher in a slow and prolonged repression of the marginalised poor in the South. In his book, as well as in many other accounts, Dolci collected the testimonies of people in Partinico and Borgo di Trappeto near Trapani, western Sicily.1, Palermo: Sellerio Editore, 2009.] Living on the margins of society, they were rural labourers, unemployed fishermen, convicted criminals, prostitutes, widows and orphans – those who, in the aftermath of fascism, found themselves crushed by state violence and corruption, by the exploitation of local notables and landowners, and the growing power of the Mafia.

      Dolci’s activism, which consisted of campaigns and struggles with local communities and popular committees aimed at returning dignity to their villages, often resulted in confrontations with the state apparatus. Modernization, in this context, relied on a carceral approach of criminalisation, policing and imprisonment, as a form of domestication of the underprivileged. On the one hand, the South was urged to become like the North, yet on the other, the region was thrown further into social decay, which only accelerated its isolation from the rest of the country.

      The radical economic and social divide between Italy’s North and South has deep roots in national history and in the colonial/modern paradigm. From 1922, Antonio Gramsci branded this divide as evidence of how fascism exploited the subaltern classes via the Italian northern elites and their capital. Identifying a connection with Italy’s colonisation abroad, Gramsci read the exploitation of poverty and migrant labour in the colonial enterprise as one of ‘the wealthy North extracting maximum economic advantage out of the impoverished South’.2 Since the beginning of the colonisation of Libya in 1911, Italian nationalist movements had been selling the dream of a settler colonial/modern project that would benefit the underprivileged masses of southern rural laborers.

      The South of Italy was already considered an internal colony in need of modernization. This set the premise of what Gramsci called Italy’s ‘Southern question’, with the southern subalterns being excluded from the wider class struggle and pushed to migrate towards the colonies and elsewhere.3 By deprovincialising ‘the Southern question’ and connecting it to the colonial question, Gramsci showed that the struggle against racialised and class-based segregation meant thinking beyond colonially imposed geographies and the divide between North and South, cities and countryside, urban labourers and peasants.

      Gramsci’s gaze from the South can help us to visualise and spatialise the global question of colonial conquest and exploitation, and its legacy of an archipelago of colonies scattered across the North/South divide. Written in the early 1920s but left incomplete, Gramsci’s The Southern Question anticipated the colonizzazione interna (internal colonization) of fascism, motivated by a capital-driven campaign for reclaiming arable land that mainly effected Italy’s rural South. Through a synthesis of monumentalism, technological development and industrial planning, the fascist regime planned designs for urban and non-urban reclamation, in order to inaugurate a new style of living and to celebrate the fascist settler. This programme was launched in continuation of Italy’s settler colonial ventures in Africa.

      Two paths meet under the roof of the same project – that of modernization.

      Architectural colonial modernism

      Architecture has always played a crucial role in representing the rationality of modernity, with all its hierarchies and fascist ramifications. In the Italian context, this meant a polymorphous and dispersed architecture of occupation – new settlements, redrawn agricultural plots and coerced migration – which was arranged and constructed according to modern zoning principles and a belief in the existence of a tabula rasa. As was the case with architectural modernism on a wider scale, this was implemented through segregation and erasure, under the principle that those deemed as non-modern should be modernized or upgraded to reach higher stages of civilisation. The separation in the African colonies of white settler enclaves from Indigenous inhabitants was mirrored in the separation between urban and rural laborers in the Italian South. These were yet another manifestation of the European colonial/modern project, which for centuries has divided the world into different races, classes and nations, constructing its identity in opposition to ‘other’ ways of life, considered ‘traditional’, or worse, ‘backwards’. This relation, as unpacked by decolonial theories and practices, is at the core of the European modernity complex – a construct of differentiations from other cultures, which depends upon colonial hegemony.

      Taking the decolonial question to the shores of Europe today means recognising all those segregations that also continue to be perpetuated across the Northern Hemisphere, and that are the product of the unfinished modern and modernist project. Foregrounding the impact of the decolonial question in Europe calls for us to read it within the wider question of the ‘de-modern’, beyond colonially imposed geographical divides between North and South. We define ‘demodernization’ as a condition that wants to undo the rationality of zoning and compartmentalisation enforced by colonial modern architecture, territorialisation and urbanism. Bearing in mind what we have learned from Dolci and Gramsci, we will explain demodernization through architectural heritage; specifically, from the context of Sicily – the internal ‘civilisational’ front of the Italian fascist project.

      Sicily’s fascist colonial settlements

      In 1940, the Italian fascist regime founded the Ente di Colonizzazione del Latifondo Siciliano (ECLS, Entity for the Colonization of the Sicilian Latifondo),4 following the model of the Ente di Colonizzazione della Libia and of colonial urban planning in Eritrea and Ethiopia. The entity was created to reform the latifondo, the predominant agricultural system in southern Italy for centuries. This consisted of large estates and agricultural plots owned by noble, mostly absentee, landlords. Living far from their holdings, these landowners used local middlemen and hired thugs to sublet to local peasants and farmers who needed plots of land for self-sustenance.5 Fascism sought to transform this unproductive, outdated and exploitative system, forcing a wave of modernization. From 1940 to 1943, the Ente built more than 2,000 homesteads and completed eight settlements in Sicily. These replicated the structures and planimetries that were built throughout the 1930s in the earlier bonifica integrale (land reclamation) of the Pontine Marshes near Rome, in Libya and in the Horn of Africa; the same mix of piazzas, schools, churches, villas, leisure centres, monuments, and a Casa del Fascio (fascist party headquarters). In the name of imperial geographical unity, from the ‘centre’ to the ‘periphery’, many of the villages built in Sicily were named after fascist ‘martyrs’, soldiers and settlers who had died in the overseas colonies. For example, Borgo Bonsignore was named after a carabinieri (military officer) who died in the Battle of Gunu Gadu in 1936, and Borgo Fazio and Borgo Giuliano after Italian settlers killed by freedom fighters in occupied Ethiopia.

      The reform of the latifondo also sought to implement a larger strategy of oppression of political dissent in Italy. The construction of homesteads in the Sicilian countryside and the development of the land was accompanied by the state-driven migration of northern labourers, which also served the fascist regime as a form of social surveillance. The fascists wanted to displace and transform thousands of rural laborers from the North – who could otherwise potentially form a stronghold of dissent against the regime – into compliant settlers.6 Simultaneously, and to complete the colonizing circle, many southern agricultural workers were sent to coastal Libya and the Horn of Africa to themselves become new settlers, at the expense of Indigenous populations.

      All the Sicilian settlements were designed following rationalist principles to express the same political and social imperatives. Closed communities like the Pontine settlements were ‘geometrically closed in the urban layout and administratively closed to farmers, workmen, and outside visitors as well’.7 With the vision of turning waged agrarian laborers into small landowners, these borghi were typologically designed as similar to medieval city enclaves, which excluded those from the lower orders.

      These patterns of spatial separation and social exclusion were, unsurprisingly, followed by the racialisation of the Italian southerners. Referring to a bestiary, the propaganda journal Civiltà Fascista (Fascist Civilisation) described the Pontine Marshes as similar to ‘certain zones of Africa and America’, ‘a totally wild region’ whose inhabitants were ‘desperate creatures living as wild animals’.8 Mussolini’s regime explicitly presented this model of modernization, cultivation and drainage to the Italian public as a form of warfare. The promise of arable land and reclaimed marshes shaped an epic narrative which depicted swamps and the ‘unutilised’ countryside as the battlefield where bare nature – and its ‘backward inhabitants’ – was the enemy to be tamed and transformed.

      However, despite the fanfare of the regime, both the projects of settler colonialism in Africa and the plans for social engineering and modernization in the South of Italy were short-lived. As the war ended, Italy ‘lost’ its colonies and the many Ente were gradually reformed or shut down.9 While most of the New Towns in the Pontine region developed into urban centres, most of the fascist villages built in rural Sicily were meanwhile abandoned to a slow decay.

      Although that populationist model of modernization failed, the Sicilian countryside stayed at the centre of the Italian demographic question for decades to come. Since the 1960s, these territories have experienced a completely different kind of migration to that envisaged by the fascist regime. Local youth have fled unemployment in huge numbers, migrating to the North of Italy and abroad. With the end of the Second World War and the colonies’ return to independence, it was an era of reversed postcolonial migration: no longer white European settlers moving southwards/eastwards, but rather a circulatory movement of people flowing in other directions, with those now freed from colonial oppression taking up the possibility to move globally. Since then, a large part of Sicily’s agrarian sector has relied heavily on seasonal migrant labour from the Southern Hemisphere and, more recently, from Eastern Europe. Too often trapped in the exploitative and racist system of the Italian labour market, most migrants working in areas of intensive agriculture – in various Sicilian provinces near the towns of Cassibile, Vittoria, Campobello di Mazara, Caltanissetta and Paternò – have been forced out of cities and public life. They live isolated from the local population, socially segregated in tent cities or rural slums, and without basic services such as access to water and sanitation.

      As such, rural Sicily – as well as vast swathes of southern Italy – remain stigmatised as ‘insalubrious’ spaces, conceived of in the public imagination as ‘other’, ‘dangerous’ and ‘backward’. From the time of the fascist new settlements to the informal rural slums populated by migrants in the present, much of the Sicilian countryside epitomises a very modern trope: that the South is considered to be in dire need of modernization. The rural world is seen to constitute an empty space as the urban centres are unable to deal with the social, economic, political and racial conflicts and inequalities that have been (and continue to be) produced through the North/South divides. This was the case at the time of fascist state-driven internal migration and overseas settler colonial projects. And it still holds true for the treatment of migrants from the ex-colonies, and their attempted resettlement on Italian land today.

      Since 2007, Sicily’s right-wing regional and municipal governments have tried repeatedly to attain public funding for the restoration of the fascist settlements. While this program has been promoted as a nostalgic celebration of the fascist past, in the last decade, some municipalities have also secured EU funding for architectural restoration under the guise of creating ‘hubs’ for unhoused and stranded migrants and refugees. None of these projects have ever materialised, although EU money has financed the restoration of what now look like clean, empty buildings. These plans for renovation and rehousing echo Italy’s deepest populationist anxieties, which are concerned with managing and resettling ‘other’ people considered ‘in excess’. While the ECLS was originally designed to implement agrarian reforms and enable a flow of migration from the north of the country, this time, the Sicilian villages were seen as instrumental to govern unwanted migrants, via forced settlement and (an illusion of) hospitality. This reinforces a typical modern hierarchical relationship between North and South, and with that, exploitative metropolitan presumptions over the rural world.

      The Entity of Decolonization

      To imagine a counter-narrative about Sicily’s, and Italy’s, fascist heritage, we presented an installation for the 2020 Quadriennale d’arte – FUORI, as a Decolonizing Architecture Art Research (DAAR) project. This was held at the Palazzo delle Esposizioni in Rome, the venue of the Prima mostra internazionale d’arte coloniale (First International Exhibition of Colonial Art, 1931), as well as other propaganda exhibitions curated by the fascist regime. The installation aims to critically rethink the rural towns built by the ECLS. It marks the beginning of a longer-term collaborative project, the Ente di Decolonizzazione or Entity of Decolonization, which is conceived as a transformative process in history-telling. The installation builds on a photographic dossier of documentation produced by Luca Capuano, which reactivates a network of built heritage that is at risk of decay, abandonment and being forgotten. With the will to find new perspectives from which to consider and deconstruct the legacies of colonialism and fascism, the installation thinks beyond the perimeters of the fascist-built settlements to the different forms of segregations and division they represent. It moves from these contested spaces towards a process of reconstitution of the social, cultural and intimate fabrics that have been broken by modern splits and bifurcations. The project is about letting certain stories and subjectivities be reborn and reaffirmed, in line with Walter D. Mignolo’s statement that ‘re-existing means using the imaginary of modernity rather than being used by it. Being used by modernity means that coloniality operates upon you, controls you, forms your emotions, your subjectivity, your desires. Delinking entails a shift towards using instead of being used.’10 The Entity of Decolonization is a fluid and permanent process, that seeks perpetual manifestations in architectural heritage, art practice and critical pedagogy. The Entity exists to actively question and contest the modernist structures under which we continue to live.

      In Borgo Rizza, one of the eight villages built by the Ente, we launched the Difficult Heritage Summer School – a space for critical pedagogy and discussions around practices of reappropriation and re-narrativisation of the spaces and symbols of colonialism and fascism.11 Given that the villages were built to symbolise fascist ideology, how far is it possible to subvert their founding principles? How to reuse these villages, built to celebrate fascist martyrs and settlers in the colonial wars in Africa? How to transform them into antidotes to fascism?

      Borgo Rizza was built in 1940 by the architect Pietro Gramignani on a piece of land previously expropriated by the ECLS from the Caficis, a local family of landowners. It exhibits a mixed architectural style of rationalism and neoclassical monumentalism. The settlement is formed out of a perimeter of buildings around a central protected and secured piazza that was also the main access to the village. The main edifices representing temporal power (the fascist party, the ECLS, the military and the school) and spiritual power (the church) surround the centre of the piazza. To display the undisputed authority of the regime, the Casa del Fascio took centre stage. The village is surrounded on all sides by eucalyptus trees planted by the ECLS and the settlers. The planting of eucalyptus, often to the detriment of indigenous trees, was a hallmark of settler colonialism in Libya and the Horn of Africa, dubiously justified because their extensive roots dry out swamps and so were said to reduce risks of malaria.

      With the end of the Second World War, Borgo Rizza, along with all the other Sicilian settlements, went through rapid decay and decline. It first became a military outpost, before being temporarily abandoned in the war’s aftermath. In 1975, the ownership and management of the cluster of buildings comprising the village was officially transferred to the municipality of Carlentini, which has since made several attempts to revive it. In 2006, the edifices of the Ente di Colonizzazione and the post office were rehabilitated with the intent of creating a garden centre amid the lush vegetation. However, the garden centre was never realised, while the buildings and the rest of the settlement remain empty.

      Yet despite the village’s depopulation, over the years the wider community of Carlentini have found an informal way to reuse the settlement’s spaces. The void of the piazza, left empty since the fall of fascism, became a natural spot for socialising. The piazza was originally designed by the ECLS for party gatherings and to convey order and hierarchy to the local population. But many locals remember a time, in the early 1980s, before the advent of air-conditioned malls that offered new leisure spaces to those living in peri-urban and rural areas, when people would gather in the piazza for fresh air amid summer heatwaves. The summer school builds on these memories, to return the piazza to its full public function and reinvent it as a place for both hospitality and critical pedagogy.

      Let’s not forget that the village was first used as a pedagogical tool in the hands of the regime. The school building was built by the ECLS and was the key institution to reflect the principles of neo-idealism promoted by the fascist and neo-Hegelian philosophers Giovanni Gentile and Giuseppe Lombardo Radice. Radice was a pedagogue and theoretician who contributed significantly to the fascist reforms of the Italian school system in the 1930s. Under the influence of Gentile, his pedagogy celebrated the modern principle of a transcendental knowledge that is never individual but rather embodied by society, its culture, the party, the state and the nation. In the fascist ideal, the classroom was designed to be the space where students would strive to transcend themselves through acquired knowledge. A fascist education was meant to make pupils merge with the ‘universal’ embodied by the teacher, de facto the carrier of fascist national values. In relation to the countryside context, the role of pedagogy was to glorify the value of rurality as opposed to the decadence wrought by liberal bourgeois cultures and urban lifestyles. The social order of fascism revolved around this opposition, grounded in the alienation of the subaltern from social and political life, via the splitting of the urban and rural working class, the celebration of masculinity and patriarchy, and the traditionalist nuclear family of settlers.

      Against this historical background, our summer school wants to inspire a spatial, architectural and political divorce from this past. We want to engage with decolonial pedagogies and encourage others to do the same, towards an epistemic reorganisation of the building’s architecture. In this, we share the assertion of Danilo Dolci, given in relation to the example of elementary schools built in the fascist era, of the necessity for a liberation from the physical and mental cages erected by fascism:

      These seemed designed (and to a large extent their principles and legacies are still felt today) to let young individuals get lost from an early age. So that they would lose the sense of their own existence, by feeling the heavy weight of the institution that dominates them. These buildings were specifically made to prevent children from looking out, to make them feel like grains of sand, dispersed in these grey, empty, boundless spaces.12

      This is the mode of demodernization we seek in this project: to come to terms with, confront, and deactivate the tools and symbols of modern fascist colonization and authoritarian ideologies, pedagogy and urbanism. It is an attempt to fix the social fabric that fascism broke, to heal the histories of spatial, social and political isolation in which the village originates. Further, it is an attempt to heal pedagogy itself, from within a space first created as the pedagogical hammer in the hands of the regime’s propagandists.

      This means that when we look at the forms of this rationalist architecture, we do not feel any aesthetic pleasure in or satisfaction with the original version. This suggests the need to imagine forms of public preservation outside of the idea of saving the village via restoration, which would limit the intervention to returning the buildings to their ‘authentic’ rationalist design. Instead, the school wants to introduce the public to alternative modes of heritage-making.

      Architectural demodernization

      In the epoch in which we write and speak from the southern shores of Europe, the entanglement of demodernization with decolonization is not a given, and certainly does not imply an equation. While decolonization originates in – and is only genealogically possible as the outcome of – anti-colonialist struggles and liberation movements from imperial theft and yoke, demodernization does not relate to anti-modernism, which was an expression of reactionary, anti-technological and nationalist sentiment, stirred at the verge of Europe’s liberal collapse in the interwar period. As Dolci explained for the Italian and Sicilian context, there is no shelter to be found in any anachronistic escape to the (unreal and fictional) splendours of the past. Or, following Gramsci’s refusal to believe that the Italian South would find the solutions to its problems through meridionalism, a form of southern identitarian and essentialist regionalism, which further detaches ‘the Southern question’ from possible alliances with the North.

      Demodernization does not mean eschewing electricity and wiring, mortar and beams, or technology and infrastructure, nor the consequent welfare that they provide, channel and distribute. By opposing modernity’s aggressive universalism, demodernization is a means of opening up societal, collective and communal advancement, change and transformation. Precisely as Dolci explains, the question it is not about the negation of progress but about choosing which progress you want.13

      In the context in which we exist and work, imagining the possibility of an architectural demodernization is an attempt to redraw the contours of colonial architectural heritage, and specifically, to raise questions of access, ownership and critical reuse. We want to think of demodernization as a method of epistemic desegregation, which applies to both discourse and praxis: to reorient and liberate historical narratives on fascist architectural heritage from the inherited whiteness and ideas of civilisation instilled by colonial modernity, and to invent forms of architectural reappropriation and reuse. We hold one final aim in mind: that the remaking of (post)colonial geographies of knowledge and relations means turning such fascist designs against themselves.

      https://www.internationaleonline.org/research/decolonising_practices/208_architectural_demodernization_as_critical_pedagogy_pathway

      #Partinico #Borgo_di_Trappeto #Italie_du_Sud #Italie_meridionale #Southern_question #colonizzazione_interna #colonisation_interne #Ente_di_Colonizzazione_de_Latifondo_Siciliano (#ECLS) #Ente_di_Colonizzazione_della_Libia #modernisation #bonifica_integrale #Pontine_Marshes #Borgo_Bonsignore #Borgo_Fazio #Borgo_Giuliano #latifondo #Pietro_Gramignani #Caficis

  • Soignantes, le grand épuisement
    https://disclose.ngo/fr/article/soignantes-le-grand-epuisement

    A l’hôpital, les infirmières et les aides-soignantes sont les plus touchées par les accidents du travail, et les plus exposées aux risques cancérogènes. Des soignantes doivent encore se battre pour faire reconnaître leurs maladies professionnelles. Lire l’article

  • Food crisis looms as Ukrainian wheat shipments grind to halt
    Prices soar as Black Sea ports at virtual standstill amid Russian assault.

    At this time of year, Kees Huizinga is normally busy planting wheat, barley and corn on his farm in central Ukraine. But, having lost workers to the frontline, the Dutch national left his grain silos to sound the alarm about the impact of the Russian invasion on global wheat supply.

    Russia and Ukraine supply almost a third of the world’s wheat exports and since the Russian assault on its neighbour, ports on the Black Sea have come to a virtual standstill. As a result, wheat prices have soared to record highs, overtaking levels seen during the food crisis of 2007-08.

    “If farmers in Ukraine don’t start planting any time soon there will be huge crisis to food security. If Ukraine’s food production falls in the coming season the wheat price could double or triple,” said the Dutch national, who has been farming for two decades in Cherkasy, 200km south of Kyiv. He is part of a farming union, whose 1,100 members cover just under 10 per cent of the country’s farmland.

    While well stored wheat, such as that on Huizinga’s farm, can last several months, agricultural experts and policymakers have warned of the impact of delayed shipments on countries reliant on the region for wheat, grain, sunflower oil and barley.

    “They’re going to have to find different suppliers and all that means higher prices,” said Joseph Glauber, the former chief economist at the US Department of Agriculture and a senior fellow at agricultural policy think-tank IFPRI.

    The surge in prices will fuel soaring food inflation — already at a seven-year high of 7.8 per cent in January — and the biggest impact will be on the food security of poorer grain importers, warned analysts and food aid organisations.

    Ukraine accounts for 90 per cent of Lebanon’s wheat imports and is a leading supplier for countries including Somalia, Syria and Libya. Lebanon is “really struggling with an already high import bill and this is only going to make things worse,” said James Swanston, emerging market economist at Capital Economics.

    Russia also provides its Black Sea neighbour Turkey with more than 70 per cent of its wheat imports, according to the International Trade Centre. Even before the Russian invasion of Ukraine, inflation in Turkey had had hit a 20-year high of 54.4 per cent in February. “The war is only going to exacerbate the cost of food,” said Ismail Kemaloglu, the former head of the state Turkish Grain Board and now the director of the consultancy IK Tarimussu.

    “What’s critical here is that the Black Sea offers a logistical and price advantage . . . Costs will rise significantly when [Turkey] buys from the US or Australia,” he said. “Even if the war ends tomorrow, Ukraine’s planting season has already been disrupted and it will impact the 2022 harvest regardless.”

    The UN World Food Programme, which procures grains and food to distribute to poorer countries, bought just under 1.4m tonnes of wheat last year of which 70 per cent came from Ukraine and Russia.

    Prior to the invasion it was already facing a 30 per cent increase in the cost of wheat, because of poor harvests in Canada, the US and Argentina. The latest surge in grain prices would further curtail its ability to provide aid, it said.
    “This is an unnecessary shock of mega proportions,” said Arif Husain, chief economist at the WFP.

    High prices could trigger unrest, analysts said.

    The last time wheat prices spiked to these levels in 2007 and 2008 because of severe production declines in leading producing countries such as Australia and Russia, protests spread through nearly 40 countries from Haiti to the Ivory Coast, while a jump in grain prices in 2009-10 is regarded as one of the triggers of the Arab Spring uprisings in the Middle East.

    Russia accounts for two-thirds of Egypt’s wheat imports. Egyptian authorities say their wheat inventories will last until mid June and the Egyptian local harvest should start coming in by mid April. Any rise in subsidised bread prices and further increase in food inflation in Egypt “increases the threat of social unrest,” said Swanston.

    It is also unclear how long the crisis will last, said analysts, a fact that is boosting prices. “The market is worried that this is not a problem that’s going to be solved any time soon,” said Tim Worledge at Agricensus, the agricultural data and pricing agency.

    Wheat inventories are tight everywhere and as Chinese and South Korean buyers of Ukrainian corn, used to feed livestock, sought sellers elsewhere, EU agricultural ministers on Wednesday discussed allowing farmers to boost production using the 10 per cent of land they usually leave fallow in response to the war in Ukraine.

    In the short term, Ukrainian farmers contending with a war may struggle to spread fertilisers and pesticides and plant seeds for the spring crop. The next crop is due in the European summer. That harvest will depend on how long the Russian invasion lasts and for how long exports via the ports will be blocked.

    Sitting in his friend’s house in Siret close to the Romania-Ukraine border, Huizinga said the main question raised during a call with 75 fellow Ukrainian farmers was whether to plant or not to plant. They may struggle to get fertiliser and crop protection and it is unclear whether they could actually harvest and ship the crop. “The supply chain is broken,” he said.

    Some of the 400 staff on his 15,000 hectare farm have gone to fight and Huizinga has posted videos on social media of fellow farmers in the bomb shelters and villagers slaughtering pigs to deliver food to those in Kyiv and in the army. The difficulty, he said, could soon extend way beyond Ukraine. “We can face a huge problem, especially the poor people, who will have difficulty getting bread.”

    https://www.ft.com/content/457ba29e-f29b-4677-b69e-a6e5b973cad6

    #crise_alimentaire #blé #Ukraine #guerre #prix #Russie #Liban #Somalie #Syrie #Libye #Turquie #impact #Mer_Noire #mondialisation #globalisation #Egypte #inflation #pain

  • Une file des billets à twitter d’Emma Ducros

    https://twitter.com/emma_ducros/status/1500389735700774916

    Deux très mauvaises nouvelles pour le marché mondial du blé cette nuit.

    Les cours sont à 400 € la tonne, du jamais vu. Ça peut s’aggraver.
    –la Chine (1er producteur mondial, mais pas autosuffisant) craint la pire récolte de son histoire

    –la Hongrie arrête ses exportations.
    1/x

    #nourriture #nutrition #alimentation #blé #Ukraine #Russie #Hongrie #Europe et au-delà

  • Livreurs UberEats ou Deliveroo, ils risquent leurs vies pour un burger | Lina Rhrissi
    https://www.streetpress.com/sujet/1646309485-livreurs-ubereats-deliveroo-morts-route-accident-uberisation

    Poussés par des algorithmes, les livreurs UberEats et Deliveroo risquent leurs peaux, forcés d’aller toujours plus vite pour des revenus de plus en plus bas. Depuis trois ans, 11 sont morts sur les routes. Et les blessés se comptent par milliers. Source : StreetPress

  • Moscou promet une riposte « forte » et « douloureuse » aux sanctions américaines

    « Il ne doit pas y avoir de doute : il y aura une riposte forte aux sanctions, pas forcément symétrique, mais bien calculée et douloureuse pour la partie américaine », a assuré ce mercredi le ministère russe des Affaires étrangères, dans un communiqué.

    En Ukraine on n’extrait pas de pétrole mais on y cultive du blé. Nous risquons d’entrer dans une #crise_alimentaire avant que se produisent les chocs du changement climatique.

    https://www.novethic.fr/actualite/environnement/agriculture/isr-rse/conflit-en-ukraine-derriere-la-crise-energetique-le-ble-arme-geopolitique-d

    Alors que le bruit des bottes résonne aux portes de l’Europe, en Ukraine, c’est l’extrême dépendance des Européens au gaz russe qui a été au cœur de l’actualité ces dernières semaines. Or, un autre levier d’influence crucial est passé sous les radars, celui du blé. En seulement 20 ans, la Russie est devenue une championne céréalière. De 36 millions de tonnes de blé produites en 2001, elle est passée à 80 millions en 2020. Surtout, ses exportations pèsent 35 millions de tonnes soit 20 à 23 % des exportations mondiales de blé.

    « Le blé est une arme géopolitique. Après l’armement et le gaz, la Russie a cherché à se reclasser sur la scène internationale », explique Sébastien Abis, chercheur à l’Iris et directeur du club Demeter. La Russie n’est pas devenue seule une puissance agricole. C’est toute la région de la mer Noire qui a pris une place d’ampleur sur le marché des grains. Aujourd’hui, Moscou et Kiev représentent un tiers des exportations de blé. « L’Ukraine a toujours été convoitée », note Sébastien Abis.

  • #Gluten, l’ennemi public ?

    En abordant le sujet de l’explosion contemporaine d’#intolérance au gluten, ce film raconte en fait d’une bataille menée par certaines des sociétés les plus puissantes de la planète contre la science libre et notre #santé à nous tous. En jeu, en plus, est la survie de millions de petits agriculteurs, tout autour de la planète, qui risquent d’être chassés du marché. Comment ces choses peuvent être liées entre elles ?

    http://www.film-documentaire.fr/4DACTION/w_fiche_film/62747_1
    #industrie_agro-alimentaire #gluten #film #documentaire #film_documentaire #blé #céréales #alimentation #gluten-free #allergie #intolérances_alimentaires #business #alimentation #blé #coeliaquie #industrie_chimique #CIMMYT #Fondation_Rockfeller #engrais #engrais_chimiques #Norman_Borlaug #Sonora_64 #révolution_verte #agriculture #industrialisation #glyphosate #ABCD (#Archer_Daniels_Midland, #Bunge, #Cargill, #Louis_Dreyfus_Company) #agriculture_intensive #OGM #Monsanto #herbicide #microbiome #roundup #OMC #barrières_non-tarifaires #protectionnisme #capitalisme

    voir aussi, via @odilon :
    https://seenthis.net/messages/911865

  • Kutia
    https://www.cuisine-libre.org/kutia

    Plat biélorusse à base de grains, traditionnellement préparé pour le repas de Noël orthodoxe du 7 janvier. Bien rincer les grains de blé, plusieurs fois (jusqu’à ce que l’eau soit claire). Verser dans une casserole, couvrir d’eau à environ 1 pouce au-dessus du niveau des grains et faire bouillir pendant 1 heure. Les grains doivent rester croquants : ne les faites pas trop cuire. Égoutter, rincer et réserver. Faire bouillir les graines de pavot à feu vif pendant 3 minutes, puis égoutter et réserver.… #Graines_de pavot, #Blé_entier, #Mueslis_et bouillies, #Raisins_secs, #Russie, #Cerneaux_de noix / #Végétarien, #Sans œuf, Sans (...)

    #Sans viande

  • 30.10.2021 : Un migrant ivoirien électrocuté sur le toit d’un train à la frontière franco-italienne

    Un Ivoirien de 31 ans a été gravement brûlé par une électrocution alors qu’il se trouvait sur le toit d’un train en gare de #Menton Garavan. Le jeune homme aurait cherché à échapper à un contrôle policier. Il a été évacué par les sapeurs-pompiers vers l’hôpital Pasteur de Nice, puis vers le service des grands brûlés de Marseille.

    Un nouveau drame aux frontières. Un jeune migrant a été électrocuté, samedi 30 octobre, en gare de Menton Garavan (Alpes-Maritimes), tout près de la frontière franco-italienne, a rapporté, mardi 2 novembre, Nice matin (https://www.nicematin.com/faits-divers/un-jeune-migrant-electrocute-sur-le-toit-dun-train-en-gare-de-menton-gara). Selon le procureur de la République de Nice, Xavier Bonhomme, cet Ivoirien de 31 ans se trouvait dans le train en provenance de Vintimille et serait monté sur le toit pour échapper à un contrôle de police.

    Le procureur a annoncé l’ouverture d’une enquête, confiée au commissariat de Menton.

    Il aurait reçu une très importante décharge et serait tombé sur le quai. D‘après les informations de Nice matin, le jeune Ivoirien a reçu des premiers secours des CRS puis a été pris en charge par les sapeurs-pompiers. Il a été envoyé à l’hôpital Pasteur de Nice puis transféré vers le service des grands brûlés de l’hôpital de Marseille.
    Pas de décès formellement confirmé

    Le média en ligne italien Riviera 24 déclarait dimanche que « certaines sources confirm[aient] la mort de l’homme, tandis que d’autres parl[aient] même de deux étrangers qui seraient morts électrocutés par la ligne à haute tension qui alimente les voies » (https://www.riviera24.it/2021/10/migrante-folgorato-su-treno-tra-ventimiglia-e-mentone-723772).

    Néanmoins, il n’était pas encore possible, mercredi matin, de confirmer formellement le décès du jeune migrant.

    « Le trafic ferroviaire est resté interrompu une grande partie de l’après-midi, jusqu’à 18h, le temps de procéder aux constatations », précise Nice matin.

    « La frontière tue encore et encore, une électrocution sur le toit d’un train », a dénoncé dans un communiqué, l’association Roya citoyenne (https://www.roya-citoyenne.fr/2021/11/la-frontiere-tue-encore-et-encore-une-electrocution-sur-le-toit-dun-t).

    Au moins 20 morts à la frontière italienne

    Le drame de samedi n’est pas le premier à la frontière franco-italienne par où tentent de passer de nombreux migrants qui souhaitent poursuivre leur parcours d’exil vers la France ou l’Allemagne.

    Le 29 août dernier, un jeune Bangladais de 17 ans avait déjà trouvé la mort près de Vintimille (https://www.infomigrants.net/fr/post/34747/un-migrant-meurt-electrocute-a-la-frontiere-italofrancaise). Il avait été lui aussi électrocuté en tentant de monter sur un train.

    Pour éviter d’autres accidents, l’édile de Vintimille, Gaetano Scullino, a demandé à la ligne ferroviaire italienne de mettre en place une « équipe pour contrôler les trains à l’arrivée et au départ de la ville, en collaboration avec la police des chemins de fer ».

    Des milliers de migrants tentent chaque année de rejoindre la France depuis l’Italie voisine, en montant dans des trains ou en marchant le long des voies ou de l’autoroute. Ces tentatives de traversée de la frontière peuvent parfois être fatales. Ces dernières années, au moins 20 exilés sont morts dans cette zone frontalière.

    https://www.infomigrants.net/fr/post/36195/un-migrant-ivoirien-electrocute-sur-le-toit-dun-train-a-la-frontiere-f

    #mourir_aux_frontières #frontière_sud-alpine #asile #migrations #réfugiés #Alpes #Vintimille #Italie #France #frontières #blessé #blessé_grave #électrocution

    –-> mort ou blessé grave ? Les sources divergent...

    –—

    ajouté au fil de discussion sur les morts à la frontière de Vintimille :
    https://seenthis.net/messages/784767

    lui-même ajouté à la métaliste sur les morts aux frontières alpines :
    https://seenthis.net/messages/758646

    • Migrante folgorato su treno tra Ventimiglia e Mentone

      Alcune fonti parlano addirittura di due stranieri morti

      Un uomo è rimasto folgorato nel pomeriggio di ieri sul treno “80046” partito da Ventimiglia alle 13,30 e diretto in Francia. Si tratterebbe di un migrante trovato alla stazione ferroviaria di Menton Garavan. La notizia trapela soltanto ora e la dinamica di quanto accaduto non è ancora del tutto certa. Alcune fonti confermano il decesso dell’uomo, mentre altre parlano addirittura di due stranieri morti folgorati dall’alta tensione che alimenta i convogli.

      Al momento è certo che la circolazione ferroviaria è rimasta interrotta per circa cinque ore: i treni sono ripresi a viaggiare soltanto intorno alle 18,15.

      Secondo quanto ricostruito fino ad ora, il migrante sarebbe rimasto folgorato alla prima stazione francese dopo il confine, quella di Garavan, appunto, forse aggrappandosi ai cavi dell’alimentazione nel tentativo di scendere dal tettuccio del vagone sul quale si era rifugiato.

      https://www.riviera24.it/2021/10/migrante-folgorato-su-treno-tra-ventimiglia-e-mentone-723772/?share_from=facebook

    • La Frontière tue encore et encore une électrocution sur le toit d’un train, 30/10/21 – MENTON FIN DU VOYAGE

      On meurt à « Menton, perle de la Côte d’Azur ». On meurt dans les montagnes de Briançon, on meurt à Calais, on meurt à Hendaye… Les meurtriers qui nous gouvernent savent bien qu’en érigeant des murs toujours plus haut, toujours plus hérissés de pointes, en multipliant de patrouilles de vigiles payés pour vous traquer, ils vous tuent.

      Silence, on tue. En Europe, en Italie, en Espagne, en France… C’est devenu un mode d’action gouvernemental envers les personnes exilé.e.s, une « gestion des flux migratoires ».

      Rappelons cette litanie sinistre égrénée sur le site de ADN (Association pour la Démocratie à Nice), qui n’en finit pas de s’alourdir : http://ademonice06.com/frontiere-de-dangers

      Voir l’article : Riviera 24 : Migrant électrocuté sur un train entre Vintimille et Menton : https://www.riviera24.it/2021/10/migrante-folgorato-su-treno-tra-ventimiglia-e-mentone-723772

      https://www.roya-citoyenne.fr/2021/11/la-frontiere-tue-encore-et-encore-une-electrocution-sur-le-toit-dun-t

    • Mentone, migrante folgorato mentre scende dal tetto di un treno partito da Ventimiglia

      L’uomo, per fortuna, è rimasto soltanto ferito

      Un migrante è rimasto folgorato alla stazione ferroviaria di Menton Garavan. L’uomo, per fortuna, non è rimasto ucciso ma solo ferito dopo aver toccato i cavi dell’alta tensione mentre stava tentando di scendere dal tetto del treno Regionale 80046, partito da Ventimiglia alle 13.30. La circolazione dei convogli, interrotta per diverse ore per permettere i soccorsi, è ripresa solo nel tardo pomeriggio.

      Un incidente del tutto analogo nella dinamica a quello avvenuto lo scorso 29 agosto. Quella volta, però, l’esito fu fatale per un ragazzo originario del Bangladesh che morì a causa della scossa elettrica presa sul tetto del treno.

      https://telenord.it/mentone-migrante-folgorato-mentre-scende-dal-tetto-di-un-treno-partito-da-v

    • Menton : un migrant ivoirien meurt électrocuté en voulant échapper à un contrôle d’identité

      Encore un drame à la frontière italienne. Un migrant ivoirien âgé de 31 ans est décédé, électrocuté sur le toit d’un train en gare de Menton Garavan, la plus proche gare française après la frontière italienne de Vintimille. L’homme n’a en effet pas survécu à ses brûlures, survenues le 4 novembre 2021 après-midi alors qu’il tentait d’échapper à un contrôle d’identité. Selon le procureur de la République de Nice, Xavier Bonhomme, le jeune trentenaire «  semble-t-il à bord  », se serait hissé sur le toit du train après avoir aperçu les policiers. Il se serait alors électrocuté en s’accrochant aux câbles électriques pour quitter le toit du wagon. Un drame du même ordre s’était produit le 29 août 2021. Un jeune bangladais, âgé de 17 ans avait perdu la vie en se hissant sur le toit d’un train à destination de Menton, depuis Vintimille.

      https://www.monacohebdo.mc/actualites/societe/mort-migrant-ivoirien-train-menton

      –-> dans cet article on parle d’un accident survenu le 4 novembre 2021, alors que les autres articles parlent d’un accident qui a eu lieu le 30 octobre. Pourtant les infos sur l’homme décédé semblent coïncidé : dynamique de l’accident, âge, pays d’origine

  • Courge rôtie au bleu
    https://www.cuisine-libre.org/courge-rotie-au-bleu

    Préchauffer le #Four à 215°C/420°F.

    Chemiser une plaque de papier cuisson. Laver, épépiner, peler et couper la courge en cubes moyens, de la taille d’une bouchée. Répartir sur la plaque de cuisson. Éplucher l’ail, couper chaque gousse en deux dans la longueur et répartir entre les morceaux de courge. Arroser d’huile. Saler, poivrer et saupoudrer de cannelle. Émietter la sauge et le thym. Concasser grossièrement les noix. Saupoudrer sur la courge. Enfourner et cuire 35 à 40 minutes. Avant de servir,… #Fromages_à pâte_persillée, #Bleue_de Hongrie, #Légumes_rôtis / #Végétarien, #Sans œuf, #Sans gluten, #Sans viande, Four

  • Bleu-blanc-bouges. Nantes, 15 juillet 2021. #jeudiphoto #picoftheday #trespasnation
    https://www.flickr.com/photos/valkphotos/51313051097

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