• Que disent les sciences humaines et sociales de la place de l’irrationnel dans les sociétés contemporaines ? #irrationnel #sciences #fakenews #complotisme #altersciences

    https://sms.hypotheses.org/25099

    L’irrationnel peut être défini succinctement comme un mode de pensée qui se situe en dehors du domaine de la raison ou qui s’y oppose. Ce mode de pensée connaît depuis plusieurs années un essor important. En effet, il ne se passe pas un jour sans découvrir une remise en cause d’un vaccin, sans lire un article, voir un documentaire ou entendre une émission de radio dénonçant les supposés ravages de la rationalité scientifique.

    Certains essayistes en font même leur fonds de commerce vantant les mérites des médecines douces et de la méditation transcendantale, prétendant avoir découvert les causes de l’autisme, ou trouvant des raisons d’être dans la mise au jour de complots secrets internationaux. Dès lors, il était tentant de convoquer les sciences humaines et sociales pour étudier ces phénomènes dans les registres politiques, religieux, scientifiques et culturels et pour mettre au jour leurs mécanismes (...)

  • En Tunisie, un chatbot pour contrer le coronavirus
    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2020/06/02/en-tunisie-un-chatbot-pour-contrer-le-coronavirus_6041546_3212.html

    Le SAMU tunisien a en effet été saturé d’appels, de mi-mars à fin avril, avec des pics de 30 000 en une journée, selon les données de Samir Abdelmoumen, médecin urgentiste membre de la Commission nationale de lutte contre le coronavirus au sein du ministère de la santé : « En un mois et demi, nous avons eu pratiquement l’équivalent de dix-sept ans d’activité en matière d’appels. Au début, c’étaient des gens qui appelaient pour demander des informations ou dénoncer un voisin qui rentrait de l’étranger et sortait de chez lui. Ensuite, nous avons eu des appels plus spécifiques liés à la maladie. »

    #Covid-19#migrant#migration#diaspora#Tunisie#chatbot#information#fakenews#étranger#maladie#santé

  • Il complottismo è nato per scherzo, ma è ora di iniziare a capirlo - Wired

    Nato negli anni ’60 come poco più che una burla con l’operazione Mindfuck, il complottismo moderno è diventato mainstream. E al di là delle sue derive, l’immaginario del complotto spesso cerca di raccontare realtà che ci sfuggono (ed è bene che lo faccia)

    La nascita del complottismo, così come lo conosciamo oggi, si può far risalire alla fine degli anni ‘60 in America, e più precisamente a un’operazione di controcultura denominata operazione Mindfuck. Al tempo, gli Stati Uniti erano pervasi da movimenti hippie e situazionisti, che provavano a cambiare il mondo cercando di ribaltare l’ordine costituito e la narrazione dominante.

    A gettare le basi, più o meno inconsapevolmente, di quel fenomeno che solo qualche decennio dopo avrebbe fatto credere a 12 milioni di persone che il mondo è dominato da rettili umanoidi furono Greg Hill e Kerry Thornley. Ispirandosi al culto della dea greca del caos, Eris, fondarono il discordianesimo: una religione costruita sull’idea che l’ordine era solo un’illusione, una proiezione della mente umana, e che alla base di tutto ci fosse il caos.

    Se la religione organizzata era l’oppio dei popoli, pensavano Hill e Thornley, allora la loro religione disorganizzata sarebbe stata la marijuana della frangia lunatica. Decisero di raccogliere il loro pensiero in un libro, Principia Discordia, pubblicato nel ‘63.

    L’operazione Mindfuck nacque dal discordianesimo, e il suo obiettivo era quello di portare le persone a un tale stato di disorientamento e confusione da far crollare le loro rigide credenze, giungendo così a una sorta di illuminazione. Nella pratica però non funzionò proprio così, vista anche la tendenza di molti discordiani a scivolare nella schizofrenia paranoide. Almeno all’inizio, comunque, il discordianesimo voleva essere uno scherzo. Ma più lo scherzo andava avanti, più assumeva i contorni di una religione, e diventava difficile comportarsi come se fosse un semplice scherzo.

    Durante gli anni ‘70 il concetto di caos non venne solo abbracciato nei posti più disparati, ma venne teorizzato matematicamente dai dipartimenti di fisica e matematica delle università (vedi ad esempio il concetto di effetto farfalla). Le teorie del complotto create da Hill e Thorney attecchirono molto più di quanto i suoi creatori avrebbero mai immaginato. In particolare, presero piede tra alcuni redattori della rivista Playboy, che iniziarono a dedicare ampio spazio alle teorie di Hill, Thorney e dei discordiani in genere. Fra interviste, conigliette e paginoni centrali la rivista iniziò a ospitare lettere anonime che parlavano dell’omicidio di Kennedy. C’era chi sosteneva che fosse stata la Cia, altri la mafia, alcuni se la prendevano con Fidel Castro, e altri ancora le forze anti castriste. I due redattori dell’epoca, Robert Shea e Robert Anton Wilson, già sedotti dalle teorie discordiane e in contatto con Hill e Thorney, ci presero talmente gusto che alcuni anni più tardi scrissero Illuminatus!, una trilogia di romanzi sull’eterno conflitto tra Discordiani e Illuminati, una setta massonica creata con l’obiettivo di impadronirsi del mondo. I libri vennero pubblicati nel ‘75 e da allora sono sempre stati in ristampa.

    Fra i Principia Discordia e la trilogia degli illuminati passa la personificazione del conflitto. Se nel primo libro Hill e Thorney si erano limitati a teorizzare, sotto forma di religione, il caos alla base del quale pensavano si reggesse il mondo, nella trilogia Shea e Wilson fanno un passo ulteriore: gli illuminati diventano i paladini del caos, una forza oscura che vuole conquistare il mondo. La differenza sostanziale che passa fra i Principia Discordia e la trilogia Illuminatus è proprio questa. Nel libro di Hill e Thorney non ci sono buoni e cattivi, ma semplice paradosso e contraddizione. Mentre nella trilogia, sotto forma del conflitto fra discordiani e illuminati, ecco che il paradosso e la contraddizione prendono forma in un noi contro di loro.

    Il ragionamento dietro al complotto è sempre lo stesso, a ritroso. Date determinate premesse, si cerca qualsiasi evidenza o congettura che possa convalidare la tesi. È un circolo vizioso impossibile da spezzare, in cui una serie di coincidenze legate fra loro da eventi insignificanti vengono reinterpretate come prove a favore. I discordiani la definirono sincronicità, riprendendo il concetto già teorizzato da Jung all’inizio del secolo. Erano coincidenze significative, che non potevano essere spiegata dal semplice nesso di causa ed effetto. In altre parole, pensiero magico.

    Esiste una teoria del complotto per tutto. Pensiamo al più assurdo: in un sondaggio del 2013, il 4 per cento delle persone intervistate (un dato che, se esteso a tutta la popolazione degli Stati Uniti, equivale a 12 milioni di abitanti) ha dichiarato di pensare che “rettili mutaforma controllano il nostro mondo, assumendo sembianze umane e accaparrandosi il potere politico per manipolare le nostre società”. Un ulteriore 7 per cento ha dichiarato semplicemente di non averne ancora la certezza assoluta.

    Lo racconta lo psicologo Rob Brotherton nel suo libro intitolato: Menti sospettose, perché siamo tutti complottisti. Ma se la teoria dei rettiliani non permette di avere il polso della situazione, non bisogna fare l’errore di credere all’idea che le teorie del complotto siano una questione di nicchia, che interessa solamente una piccola frangia paranoica dell’umanità, fatta di “uomini di mezza età, depressi ed emarginati, outsider tutt’altro che stupidi con una stravagante mania per le ricerche”. E non è nemmeno una questione di poveri e ricchi, o di ignoranti e laureati. L’argomento principale di Brotherton è che tutti noi possediamo una mentalità cospirazionista in qualche misura, perché è radicata nelle nostre teste e dipende da come funziona il nostro cervello.

    Nel libro vengono raccontati diversi esempi ed esperimenti che descrivono in dettaglio le varie stranezze e scorciatoie psicologiche attuate dal nostro cervello. Uno di questi metteva di fronte a una classe di studenti queste due figure.
    Ovviamente, quasi tutti gli studenti individuavano la barca a vela nascosta nella prima figura, ma spesso riferivano di scorgere delle immagini anche là dove, in realtà, non vi erano altro che puntini e linee disposti a caso, come nell’immagine a destra. Per quanto possa essere affascinante, non esiste alcun legame fra i punti, oltre a quelli che raffigurano la barca. Il legame è mentale: uniamo i punti che preferiamo, per raccontarci la storia che ci suona più familiare. Perché il nostro cervello funziona così, si chiama euristica.

    Alcune teorie del complotto sono assurde se non grottesche, è vero: però si tratta del nostro modo di ragionare, e in questo senso la storia ci ha insegnato che spesso non solo è sano mettere in discussione quello che sappiamo del mondo, ma è anche un modo per svelare la complessità del reale. Perché se c’è una cosa che ci ha insegnato il complottismo, nelle sue forme migliori – penso a William Burroughs o Alan Moore – è che al di là delle caricature che vanno dai Savi di Sion al piano Kalergi, l’immaginario del complotto ha anche cercato di raccontare una realtà che, per un motivo o per un altro, spesso ci sfugge. E in questo senso il complotto non è più la narrazione più facile per spiegare il reale, quanto piuttosto quella più complicata. A farla semplice, è semmai il debunker che spiega che le cose stanno così come ti sono state raccontate e punto.

    Se esiste un paese in cui il complotto si è fatto storia, quello è il nostro. E in questo senso, il paradigma di verità fondato sulla distinzione fra debunker/complottisti, risponde a una logica pericolosa, perché mette in moto un meccanismo per cui tutto ciò che non fa parte della versione ufficiale e veritiera è paranoico dissenso senza alcun fondamento. E se ci trovassimo quindi nella posizione di criticare, a priori, l’euristica del pensiero critico come processo cognitivo spontaneo, sminuendolo a roba da rettiliani o altre fesserie? Quello che non si accetta di un certo modo di ragionare – oltre al fatto che si ritiene pericoloso – è che le teorie complottiste con il passare degli anni sono diventate espressione di un sentimento comune e complesso che crea identità.

    Nel suo discorso di ringraziamento all’Anti-Defamation League lo scorso novembre, l’attore Sacha Baron Cohen lo ha detto chiaro e tondo. Secondo lui, è finita l’era della ragione, il consenso scientifico è delegittimato, e alcuni demagoghi stanno facendo appello ai nostri peggiori istinti, per alimentare teorie del complotto che ormai sono diventate il mainstream. Per come la butta giù l’attore inglese, si tratta di una narrazione attraente: le grandi compagnie tech stanno distruggendo le democrazie. Ma forse è una spiegazione troppo semplice. Certo, quello delle teorie cospirazioniste è un mercato come tutti gli altri, con domanda e offerta. E la mano che lo muove è il denaro.

    Prima di andare oltre però, occorre una precisazione. Il concetto di propaganda è cambiato nel tempo. Propaganda significava storicamente indurre le persone a credere alle cose: ora significa indurle a mettere in discussione ciò in cui credono. Era propaganda il modo in cui l’amministrazione di Woodrow Wilson convinse gli americani a sostenere il coinvolgimento degli Stati Uniti nella Prima guerra mondiale. La propaganda raccontava la stessa storia attraverso così tanti canali mediatici contemporaneamente che sembrava esserci solo una storia: la necessità di prendere parte al conflitto, per il bene del pianeta. Oggi, tuttavia, l’obiettivo principale della propaganda governativa sembra essere quello di minare la nostra fiducia in tutto.

    In questo senso quindi è vero che le piattaforme dei social network hanno contribuito a decentralizzare quello che era il potere dei mezzi di comunicazione mainstream. E di conseguenza che abbiano alimentato i canali di comunicazioni non tradizionali, come quelli pseudoscientifici. Tuttavia ridurre il problema a questo implica non considerare come alla base della proliferazione di notizie false sui social non ci sia un problema di offerta, ma di domanda. L’idea che i social abbiano creato le condizioni del nostro rancore, della nostra paranoia e del nostro odio contro i poteri forti difficilmente regge. La radicalizzazione algoritmica, ovvero la teoria secondo cui siamo tutti imprigionati in una bolla informativa, in cui le notizie che non ci piacciono o con cui non siamo d’accordo vengono automaticamente filtrate rendendoci incapaci di cambiare idea, è d’altronde già stata messa in discussione.

    Facebook, Twitter e gli altri social hanno capito prima di altri che per attirare l’attenzione delle persone bisognava sfruttare il potere della comunità per creare identità. La polarizzazione che hanno generato è stata una dei motivi per cui in molti dicono che il sistema è truccato. Tuttavia, come scrive Richard Fletcher, Senior Research Fellow presso il Reuters Institute for the Study of Journalism dell’università di Oxford, “concentrarsi sulle filter bubble può farci fraintendere i meccanismi in gioco, e potrebbe anche distrarci da problemi un po’ più pressanti”.

    Preoccuparsi del fatto che una determinata affermazione sia vera o meno manca l’obiettivo: persuadere l’altra squadra a cambiare richieste, per convincerla che starebbe meglio con delle aspirazioni diverse. È un progetto politico. Ed è giusto quindi che venga trattato come tale; anche perché innalzare le big tech a capro espiatorio significa ridurre il tutto all’ennesimo complotto.

    https://www.wired.it/attualita/media/2020/06/01/complottismo-storia-operazione-mindfuck

    #complot #fakenews #wired

  • "Settlement of migrants in Serbia" and the corona virus: How the epidemic affects the spread of false news and anti-migrant attitudes" [Google Translate] 

    „Naseljavanje migranata u Srbiji" i korona virus: Kako epidemija utiče na širenje lažnih vesti i antimigrantskih stavova

    https://www.bbc.com/serbian/lat/srbija-52524776

    #Covid-19 #Migration #Migrant #Serbie #Xenophobie #Incident #Obrenovac #Fakenews

  • Corona Chroniques, #Jour49 - davduf.net
    http://www.davduf.net/corona-chroniques-jour49

    Ailleurs, un autre front se dessine : celui de qui parle, et de qui nomme. Après quatre jours sans trop rien dire, les sociétés de rédacteurs des principaux journaux réagissent enfin à la drôle d’idée du gouvernement, surgie en milieu de semaine : la labellisation des « sources d’informations sûres et vérifiées » en cette période de #Covid19 qui « favorise la propagation de #fakenews » (selon l’annonce de #Sibeth_Ndaye, grande pourvoyeuse en la matière, porte-parole du gouvernement, et auteure de l’inoubliable « J’assume de mentir pour protéger le président de la République »). Drôle, délétère et désespérée compilation de bons points sur le site officiel de #Matignon : qu’un gouvernement soit à ce point acculé pour appeler à la rescousse les services de fact checking de la presse en dit long. Sur lui, en premier lieu — mais aussi sur le monde des médias. Durant des décennies, l’essentiel exercice de fact checking consistait, dans les grandes rédactions anglo-saxonnes, à faire vérifier par d’autres leurs propres informations, avant de glisser en terrain de chasse aux rumeurs réseaux-sociales, vérificateurs-vitrines d’un journalisme de neutralité apparente, de moins en moins enclin à descendre dans l’arène, et se contenant d’en relater une partie des aventures, au point que certains, comme le philosophe #Alain_Cambier, parlent d’expédient efficace mais insuffisant.

    Au Figaro, #Arnaud_Benedetti déclare : « L’escalade de l’engagement, [c’est quand] une structure ne parvient plus à enrayer la mécanique de déni qu’elle a enclenché. Sa survie est alors indexée sur la perpétuation de ce déni. Ce n’est là plus l’État légal-rationnel mais une forme pathologique d’État. L’administration fédérale aux États-Unis savait dès 1965 qu’elle avait perdu la guerre au Vietnam, mais elle a préféré mentir à son opinion. C’est un peu la même chose avec la pénurie des masques qui n’a pas fini de fragmenter la réputation de l’exécutif et de démonétiser sa parole. »

    Demain, Après demain, ce terrain de la parole prise — comme on on prend position (tireur couché, ou franc tireur ; reporter ou copiste ; narrateur ou falsificateur) — sera probablement plus dévastateur que jamais, et #Debord plus spectaculaire qu’Avant (« Dans le monde réellement renversé, le vrai est un moment du faux. »). Et c’est Pendant que chacun fourbit ses armes — d’où la voracité à tout lire, tout le temps, dans nos dimanches de confinement et de tous les jours — c’est maintenant que se constitue notre arsenal d’Après, à coups de banderoles vers la rue, de carnets vers les siens ; à grands renforts de comités informels et de graffitis fugaces (aujourd’hui, sublime, vu sur Twitter : drone d’ambiance, cet État d’urgence).

  • Coronavirus : le site du gouvernement contre les « infox » irrite les médias
    https://www.lemonde.fr/economie/article/2020/05/03/coronavirus-le-site-du-gouvernement-contre-les-infox-irrite-les-medias_60385

    C’est un Tweet de Sibeth Ndiaye, qui a mis le feu aux poudres. « La crise du #COVID19 favorise la propagation de #fakenews, a écrit, jeudi 30 avril, la porte-parole du gouvernement sur le réseau social. Plus que jamais, il est nécessaire de se fier à des sources d’informations sûres et vérifiées. C’est pourquoi le site du @gouvernementFR propose désormais un espace dédié ».

    Un clic sur « Désinfox coronavirus », et l’on déroule effectivement un fil d’articles piochés dans les rubriques de fact-checking (vérification des faits) des médias – Les Décodeurs pour Le Monde, CheckNews de Libération, l’AFP Factuel AFP de l’Agence France-Presse, Fake Off de 20 Minutes ou Vrai ou fake de FranceTVInfo)
    […]
    L’initiative n’est pas du goût des rédactions concernées, qui découvrent alors qu’elles participent, pour ainsi dire à l’insu de leur plein gré, à une rubrique intitulée « S’informer sur la désinformation » créée, pour le site gouvernemental, sur la suggestion du SIG (Service d’information du gouvernement, qui dépend de Matignon). « Le Monde n’a pas été consulté en amont, et il va de soi que nous aurions refusé ce type de démarche », tweete alors Luc Bronner, directeur des rédactions.

    « Défiance et suspicion »
    Mise en ligne le 23 avril, la rubrique prospérait discrètement avant que Sibeth Ndiaye en fasse la promotion et crée ainsi la polémique. « Ces papiers diffusés sur nos différents médias se sont retrouvés utilisés, instrumentalisés, sur une plate-forme qui s’appelle gouvernement.fr », lance, scandalisé, Vincent Giret, le directeur de France Info.fr. Or « notre bien le plus précieux, c’est notre indépendance, corrobore Paul Quinio, directeur délégué de la rédaction de Libération. Ce genre d’opération ne peut qu’introduire de la défiance et de la suspicion quant aux relations entre la presse et le monde politique ». « Notre démarche partait d’une intention louable, se défend-on dans l’entourage du gouvernement.

  • Coronavirus et fake news : les 10 mythes les plus populaires - Geek Junior -
    https://www.geekjunior.fr/coronavirus-fake-news-mythes-plus-populaires-35409

    Quand survient une grande crise, les fake news ne sont jamais bien loin… Voici ici une liste recensée par le site NewsGuard des 10 mythes les plus populaires sur le Covid-19.

    #fakenews #EMI

  • Sensibiliser les élèves aux fake-news en période de confinement – Prof & Doc – Site des document listes de l’académie de Besançon
    http://documentation.ac-besancon.fr/sensibiliser-les-eleves-aux-fake-news-en-periode-de-confin

    Comprendre ce que sont les fake-news, comment elles se propagent.
    Développer son esprit critique face à l’information et des stratégies à adopter pour analyser une information.
    Connaître des outils qui permettent de vérifier une information.

    #EMI #fakenews

  • Covid-19 : fin de partie ?! - Anthropo-logiques
    http://jdmichel.blog.tdg.ch/archive/2020/03/18/covid-19-fin-de-partie-305096.html

    Telle était la tonitruante affirmation proférée le 26 février dernier par le meilleur infectiologue au monde (selon le classement expertscape), accueillie pourtant avec scepticisme et même sarcasmes par la communauté scientifique. Trois semaines plus tard, la réalité est en train de lui donner raison. Révélant au passage que nous aurions à peu près tout faux face au virus. Ce qui est en fait une excellente nouvelle !

    • Nous avons alors adopté des mesures absolument contraires aux bonnes pratiques : renoncer à dépister les personnes possiblement malades et confiner la population dans son ensemble pour enrayer la diffusion du virus. Mesures à vrai dire moyenâgeuses et problématique puisqu’elles ne ralentissent l’épidémie qu’au risque de phénomènes de rebond potentiellement encore pires. Et qu’elles enferment tout le monde alors qu’une faible minorité seulement est concernée. Toutes les recommandations en santé publique sont à l’inverse de dépister le plus de cas possibles, et de confiner uniquement les cas positifs le temps qu’ils ne soient plus contagieux.

    • En gros il reprend mot pour mot, en les justifiant, les aspects outranciers et contradictoires de Raoult.

      Le 26 février, il publiait donc une vidéo retentissante sur un canal en ligne (comprenant le mot « tube ») pour affirmer : « Coronavirus, fin de partie ! »

      Avant de s’étonner que :

      Il fut toutefois accueilli comme un cheveu sur la soupe, ses confrères dénigrant d’emblée sa proposition.

      Ben tu m’étonnes. Mais l’auteur précise tout de même :

      Nous savons la prudence requise face à de substances prometteuses et l’importance de ne rien avancer avant que la recherche confirme ou non une hypothèse La science n’est ni divination ni magie, elle est observation, test, puis le cas échéant validation.

      Alors entre titrer une vidéo « Fin de partie ! » avant ses tests cliniques, et « prudence », difficile de ne pas voir une grosse contradiction. Tu m’étonnes que ça n’a pas été super bien reçu.

      Pourtant, les données sont là : les affections respiratoires habituelles que nous vivons chaque année font bon an mal an 2’600’000 morts à travers le monde. Avec le Covid-19, nous en sommes, au quatrième mois de l’épidémie, à 7’000 décès, ce qui est statistiquement insignifiant. Je l’ai dit et je le répète : le même traitement politique ou journalistique appliqué à n’importe quel épisode de grippe saisonnière nous terrifierait tout autant que l’épidémie actuelle.

      Là il se contente de reprendre l’argument de Raoult, sans recul. L’Italie vient de perdre 2500 personnes en moins d’une semaine, alors que la grippe saisonnière y tue d’habitude dans les 10000 personnes par an. Ça n’a rien d’insignifiant pour ce pays. Surtout avec une courbe de progression qui est exponentielle (doublement tous les 4 ou 5 jours).

      Sa critique des estimations maximalistes est sans doute pertinente, mais dans le même temps, son texte énonce des estimations minimalistes, parfois au conditionnel avant de conclure de manière qui tend à être définitive. Par exemple de manière très visible tout à la fin :

      Un dernière info enfin, qui nous incitera tous je l’espère à la prudence : les dernières données infectiologiques tenderaient à confirmer que les enfants ne sont que très peu porteurs et/ou contaminateurs du SARS-CoV-2. Si cette hypothèse se confirme, la fermeture des écoles ne serait en fait pas nécessaire. Les données que je relaye ici sont tombées cette semaine. Au moment où la fermeture a été décidée, on les ignorait- comme je le précisais dans mon blog précédent- il s’agissait donc d’une mesure de précaution, en l’occurrence inutile. Il faut par ailleurs voir si elles sont prochainement corroborées, contredites ou contrastées par d’autres données.

      On a un paragraphe bourré de conditionnels, la dernière phrase rappel qu’il faudra voir si elles sont vérifiées ou non… mais la disparition du conditionnel dans le passage : « il s’agissait donc d’une mesure de précaution, en l’occurrence inutile » indique explicitement ce qu’il en pense déjà : c’était une mesure de précaution inutile. (Accessoirement, dire d’un trait que la fermeture des écoles est inutile dans le cas où les enfants ne transmettent pas le virus, c’est très discutable si tu es en train de tenter de limiter les contacts entre adultes, parce que la scolarisation des enfants est une raison principale des interactions entre adultes.)

      Enfin, il reprend la critique très claire du confinement, comme Raoult, c’est pour le coup intéressant ; mais dans le même temps explique très clairement pourquoi il n’y a pas le choix dans des pays qui ont détruit leur système de santé et qui n’ont pas anticipé le choc :

      En l’absence des moyens d’appliquer la meilleure stratégie (dépistage – confinement – traitement), recourir à un « lock-down » est une mesure archaïque et peu efficace, mais la seule qu’il était possible de prendre.

      C’est vraiment central, cette contradiction : si on a bien décrit le délabrement du système, si on a un peu admis que la France n’est même pas foutue d’avoir des masques pour ses personnels soignants, si on a bien décrit une situation où « l’absence de moyens », à quoi ça sert de jouer les victimes de l’irrationalité (« religiosité du débat ») de ses collègues ?

      (Et une nouvelle fois, il fait disparaître discrètement de son argumentaire la mention de la Chine, qui a imposé un confinement sévère depuis six semaines à sa population.)

      Un paragraphe illustre nettement sa position : après avoir conchié les confrères de Raoult, après avoir vanté la chloroquine et son « efficacité très probable », il conclut par une apparente position de sagesse :

      Si les résultats obtenus à Marseille et Chine se démentent, alors le cauchemar collectif dans lequel nous sommes engoncés se poursuivra, avec de très lourdes conséquences sur notre société, nos vies, notre santé physique et mentale. Si en revanche ils se confirment, on aura fait un pas de géant pour sortir de cette lourde gonfle, et ce sera alors bel et bien « Fin de partie ! pour le Covid ». Nous aurons appris bien des choses au passage.

      Quiconque a lu tout ce qui précède devrait être vraiment étonné par l’arrivée soudaine de cette précaution. Ne serait-ce que parce que, dès le chapeau, il proclame :

      Trois semaines plus tard, la réalité est en train de lui donner raison. Révélant au passage que nous aurions à peu près tout faux face au virus. Ce qui est en fait une excellente nouvelle !

      (Encore ce conditionnel annulé immédiatement par une affirmation définitive « ce qui en fait une… ».)

      Mais puisqu’on prend cette précaution, pourquoi ne pas poursuivre la question : « si les résultats se démentent », c’est quoi l’alternative ? On démarre les solutions « archaïques » avec encore plus de retard ?

      Et donc on retombe dans cette attitude contradictoire qui consiste à vanter une attitude évidemment contreproductive : aller sur Youtube clamer que « Fin de partie ! » alors que toute la communauté médicale, elle, s’attend à un choc majeur, prétendre que l’impact est « insignifiant » alors que le système de santé italien est dépassé et que les gens meurent de plus en plus rapidement, et aller dénoncer sur Youtube « la seule mesure possible », alors que cette mesure « peu efficace », n’a de chance d’être un peu efficace que si les gens y adhèrent.

    • L’Italie vient de perdre 2500 personnes en moins d’une semaine, alors que la grippe saisonnière y tue d’habitude dans les 10000 personnes par an.

      Je sais que c’est un calcule simple à la portée de tou·tes mais ca fait une moyenne de 200 morts par semaine pour la grippe (résultat qui ne tiens pas compte des saisons).

    • Même que la FDA a dû rapidement, non pas désavouer, mais disons rafraîchir les enthousiasmes sur la chloroquine.
      (on appréciera au passage les monstruosités de flagornerie du ministre de la Santé…)

      Coronavirus (COVID-19) Update : FDA Continues to Facilitate Development of Treatments | FDA
      http://www.fda.gov/news-events/press-announcements/coronavirus-covid-19-update-fda-continues-facilitate-development-treatments

      As part of those efforts, President Trump has directed the FDA to continue its work with the public and private sector to ensure the availability of potentially safe and effective life-saving drugs to patients who are in desperate need, including those infected with COVID-19.

      The FDA has been working closely with other government agencies and academic centers that are investigating the use of the drug chloroquine, which is already approved for treating malaria, lupus and rheumatoid arthritis, to determine whether it can be used to treat patients with mild-to-moderate COVID-19 to potentially reduce the duration of symptoms, as well as viral shedding, which can help prevent the spread of disease. Studies are underway to determine the efficacy in using chloroquine to treat COVID-19.

      President Trump’s aggressive response and bold actions to keep Americans safe from COVID-19 bought us precious time to advance therapeutics and other necessary tools,” said HHS Secretary Alex Azar. “Today’s actions show that HHS and the United States are leading the world in these efforts. Disseminating information about promising off-label uses of drugs we already have, investigating their effectiveness, and pursuing other therapeutics will help give American healthcare providers the tools they need to save lives. As we have always seen when America has faced a serious threat, American industry, academic institutions and government are coming together to deliver us what we need to win.
      […]
      While there are no FDA-approved therapeutics or drugs to treat, cure or prevent COVID-19, there are several FDA-approved treatments that may help ease the symptoms from a supportive care perspective.

  • InVID- | AFP.com
    InVID- https://www.afp.com/fr/lagence/medialab/invid

    Vérification de vidéos

    InVID est un outil de vérification de la fiabilité et de l’exactitude des vidéos dignes d’intérêt journalistique propagées sur les réseaux sociaux.

    #EMI #fakenews #info #invid

  • Clair, précis, cinglant

    La fake news de Madame Salamé
    http://www.regards.fr/economie/article/la-fake-news-de-madame-salame

    Ce qui est terrible quand on profère un mensonge en direct à la radio, c’est qu’il révèle aussi votre méthode de travail : cliquer sur le premier lien Google et lire la première phrase. Bernard Marx rétablit les faits.

    [...]

    En clair, le taux de pauvreté officiel aux États-Unis n’est pas calculé de la même manière qu’en France. Il est évalué là-bas sur la base d’un montant absolu de revenus, alors qu’en France il est évalué sur la base d’un pourcentage du revenu médian. 50 ou 60%.

    [...]

    si l’on veut comparer les taux de pauvreté aux États-Unis et en France, il faut les calculer de la même manière. Il n’y a pas à chercher très loin. Il suffit de taper « #taux_de_pauvreté par pays ». Le premier lien qui s’affiche est celui de l’OCDE. On tombe sur une page qui donne le taux de pauvreté calculé avec un seuil de 50% du revenu médian. Pour la ligne France cela donne 8,3% (en 2016) et pour la ligne États-Unis 17,8% (en 2017).

    [...]

    Si l’on prend le seuil de 60% du revenu médian, le taux de pauvreté aux USA est de près d’un quart (24,2%), soit 10 points de plus qu’en France selon l’Observatoire des Inégalités.

    #France_Inter #Économie #Comparaisons_Internationales #Inégalités #Journalisme #Fakenews #Léa_Salamé #Arrogance

  • James Le Mesurier: White Helmets backer found dead near his home in Istanbul | The Independent
    https://www.independent.co.uk/news/world/middle-east/james-le-mesurier-death-white-helmets-istanbul-fall-syria-spy-russia-

    Encore un coup des Russes ! insinue très fortement le Gardian...

    A former British army officer, who helped start the “White Helmets”, an emergency response group in Syria, has been found dead near his home in Istanbul, just days after the Russian foreign ministry menaced him, accusing him of being a spy.

    James le Mesurier, 43, was the director of Mayday Rescue charity that trained members of the Syria Civil Defence, nicknamed the White Helmets, playing a major role in its creation in Turkey in 2013.

    He was awarded an Order of the British Empire for his work helping Syrians three years later.

    The police have yet to confirm how Mr Mesurier died, but he is believed to have fallen from the balcony of his apartment in the Turkish city at dawn on Monday.

    His death comes just three days after he was publicly attacked by Maria Zakharova, Russia’s foreign ministry spokeswoman, who on Friday claimed he was a “former agent of Britain’s MI6, who has been spotted all around the world”.

    He and the White Helmets had been the subject of a disinformation campaign spearheaded by Moscow and their allies in Damascus for years.

    #faits_alternatifs #fakenews #Turquie

  • Hongkong : un homme blessé et un autre transformé en torche humaine - Le Point
    https://www.lepoint.fr/monde/hong-kong-la-police-tire-a-balles-reelles-sur-des-manifestants-11-11-2019-23

    Face à la contestation, les autorités durcissent le ton. La police de Hongkong a ouvert le feu contre des manifestants lundi, blessant au moins l’un d’entre eux, ont rapporté des médias locaux, alors que de nouveaux heurts ont éclaté dans la région administrative spéciale. Un manifestant a été blessé par balle par un policier, un homme transformé en torche humaine et la circulation paralysée dans toute la ville... Lundi a été l’une des journées les plus violentes et chaotiques en cinq mois de mobilisation pro-démocratie.

    Vous avez compris comme moi que l’homme transformé en torche humaine est une victime de la police ? En fait, si on relit attentivement, on s’aperçoit que ce n’est pas vraiment dit, juste insinué...

    Ca tombe bien parce que l’info semble en réalité assez différente :
    http://french.almanar.com.lb/1550144
    « Hong Kong : les manifestants pro-démocratie brûlent vif un homme qui les critiquait. »
    Et apparemment les témoignages sont clairs : « L’agression d’une violence rare a été filmée et diffusée sur les réseaux sociaux, dont les forums utilisés par les manifestants.
    Les trois vidéos de la scène qui y ont été postées montrent cet homme en t-shirt vert se disputant avec d’autres personnes sur une passerelle.
    Une des vidéos montre un homme en noir aspergeant la victime avec un liquide avant d’y mettre le feu, semant la panique chez les personnes autour. ».

    #médias #faits_alternatifs #fakenews

  • Les fausses nouvelles
    par le service de l’éducation artistique et culturelle de la BnF et le Centre pour l’éducation aux médias et à l’information (CLEMI)

    http://expositions.bnf.fr/presse/pedago/07.htm

    Désinformation, mensonge, canular, propagande, la « fausse nouvelle » a été remise au goût du jour sous l’appellation de « fake news » puis de« infox ». Mais elle ne date pourtant pas d’hier. La Bibliothèque nationale de France et le CLEMI (Centre pour l’éducation aux médias et à l’information) proposent de traiter cette question essentielle pour notre démocratie par l’étude des documents patrimoniaux. Cette exposition pédagogique en affiches propose des outils et des pistes de réflexion permettant de se repérer, de trier, d’identifier les sources et l’information pertinente pour cultiver l’exercice citoyen d’un doute méthodique. Les affiches sont à consulter et télécharger sur cette page.

    #EMI #expo #fakenews

  • Le pouvoir est pris dans une sale affaire de #missiles en #Libye

    Des missiles américains vendus à la France ont été retrouvés près de Tripoli dans une base militaire des troupes du général Haftar, l’homme fort de l’est du pays. Malgré les démentis de la ministre des armées, tout laisse penser que Paris a armé les troupes rebelles, en violation de l’embargo des Nations unies.

    Déjà fortement critiqué pour ses ventes d’armes à l’Arabie saoudite et leur utilisation dans la guerre au Yémen, voilà le gouvernement français engagé sur un nouveau front : la fourniture d’armes en Libye, en violation de l’embargo décrété par les Nations unies. Paris est en effet très fortement soupçonné d’armer les troupes rebelles du général Haftar. L’homme, qui tient l’est du pays et la région de Benghazi, a lancé depuis avril une violente offensive militaire pour prendre Tripoli. Selon l’ONU, elle a déjà provoqué plus de 1 000 morts et 5 500 blessés.

    Officiellement, la France dit parler en Libye avec « toutes les parties », le camp du général Haftar et le gouvernement de Tripoli, reconnu par les Nations unies. Dans les faits, Paris n’a cessé de soutenir le général Haftar, avec l’Égypte, l’Arabie saoudite et les Émirats arabes unis. Dès 2016, François Hollande avait reconnu la mort, dans un crash d’hélicoptère, de trois agents de la DGSE dépêchés auprès d’Haftar. Par la suite, le gouvernement français a reconnu avoir déployé des forces spéciales dans la région de Benghazi. Officiellement pour des missions « de lutte contre le terrorisme ».

    Mais cette fois un nouveau palier est franchi. Le New York Times a révélé le 9 juillet que des missiles antichar appartenant à la France ont été retrouvés le 26 juin à #Gharyan, dans une base militaire reprise par l’armée officielle aux forces rebelles du général Haftar. Gharyan, à une soixantaine de kilomètres au sud de Tripoli, a été le principal point d’appui d’Haftar pour mener son offensive sur la capitale libyenne. Armements, matériel et troupes étaient concentrés dans cette base reprise par surprise fin juin.

    Fait particulièrement gênant pour la France, ces missiles antichar – au nombre de quatre – ont été rapidement identifiés… par les États-Unis. Il s’agit de missiles Javelin, fabriqués par les groupes américains Raytheon et Lockheed Martin, et vendus par les États-Unis à la France en 2010. Paris avait alors acheté 260 missiles de ce type et leur équipement pour un contrat de 69 millions de dollars (soit 260 000 dollars l’unité).

    Voilà que quatre de ces missiles sont inopinément découverts dans ce qui fut le QG de campagne du général Haftar qu’il a dû abandonner en catastrophe à la suite de l’opération victorieuse de l’armée loyaliste de Tripoli ! L’enjeu est important pour le gouvernement français : une telle livraison d’armements aux troupes rebelles ne ferait pas que violer l’embargo international (par ailleurs massivement contourné par l’Égypte et les Émirats arabes unis). Elle violerait également l’accord commercial passé avec les États-Unis et qui interdit formellement la réexportation ou revente ou dissémination de ce type de missiles.

    D’où les explications particulièrement confuses de la ministre des armées, Florence Parly, depuis mardi 9 juillet. Contacté par Mediapart, le cabinet de la ministre s’en tient à une version en trois points :

    – « Ces armes étaient destinées à l’autoprotection d’un détachement français déployé à des fins de renseignement en matière de contre-terrorisme. »
    – « Endommagées et hors d’usage, ces munitions étaient temporairement stockées dans un dépôt en vue de leur destruction. Elles n’ont pas été transférées à des forces locales. »
    – « Détenues par nos forces pour leur propre sécurité, ces armes n’étaient pas concernées par les restrictions d’importation en Libye. »

    Ces explications sont bien peu crédibles et le ministère n’a pas souhaité répondre aux questions complémentaires posées mercredi 10 juillet par Mediapart. Florence Parly – hasard du calendrier – a été auditionnée à huis clos par la commission de défense de l’Assemblée nationale mercredi en fin d’après-midi au sujet des ventes d’armes de la France et de son rapport annuel au Parlement faussement transparent sur les exportations. C’est la troisième fois en trois mois que la ministre est entendue à ce sujet alors que les révélations s’enchaînent démontrant l’utilisation d’armements français dans des conflits comme dans la guerre au Yémen, « la pire crise humanitaire au monde », selon l’ONU.

    Interrogée par les députés, la ministre s’est très vite réfugiée derrière le « secret-défense » pour ne pas répondre aux questions. Elle s’est limitée à noter que les Français avaient constitué sur le terrain « un détachement de renseignement », sans préciser où, pendant combien de temps et avec quel matériel.

    Reprenons. Un détachement français aurait donc été présent à Gharyan dans la base militaire-QG du général Haftar situé pratiquement sur la ligne de front ? Ce serait reconnaître un engagement français sans précédent dans la guerre civile libyenne, d’autant que ce n’est pas sur une ligne de front et au plus fort des opérations militaires qu’on mène des opérations « antiterroristes ». Première incohérence.

    Tous les spécialistes l’affirment. Les forces spéciales font du renseignement, peuvent mener des opérations ponctuelles et limitées. Mais elles ne sont certainement pas équipées de missiles antichar, ce qui signifierait qu’elles se trouveraient directement engagées sur le champ de bataille. Deuxième incohérence.

    Des missiles « endommagés et hors d’usage », dit le ministère. Comment pouvaient-ils alors protéger les soldats français ? Ou alors, avaient-ils été déjà utilisés, par qui et dans quelles conditions ? Le silence du ministère rend absurde cet argument. Une autre hypothèse est que ces missiles auraient été oubliés ou abandonnés par les forces françaises dans un autre lieu puis récupérés par les forces du général Haftar et apportés à la base de Gharyan. Ce qui, là encore, est bien peu crédible. Et ce qui, dans ce cas, démontrerait que ces armes étaient bien sous le contrôle exclusif des « forces locales », contrairement aux affirmations du ministère.

    Contacté par Mediapart, Olivier Faure, premier secrétaire du PS et membre de la commission de défense, comptait interroger la ministre sur un tel scénario : « Comment les forces spéciales auraient-elles pu abandonner de telles armes ? Pourquoi en étaient-elles équipées ? Et surtout, pourquoi Haftar a-t-il récupéré ces missiles s’ils ne pouvaient pas servir ? ». A l’issue de l’audition d’une ministre muette, il ne masquait pas ses interrogations grandissantes. « La ministre a été extrêmement concise, pour le dire diplomatiquement, sur la Libye. Pour le reste elle s’est livrée à un long exposé sur la nécessité des ventes d’armes, enjeu stratégique dans la lutte contre le terrorisme... ».
    « La France mène une guerre secrète en Libye »

    Le député de La France insoumise Bastien Lachaud, également membre de la commission de défense, se pose les mêmes questions. Avec une obsession : « Mais que fait la France en Libye et que fait-elle avec ses armes ? » « Le gouvernement doit s’expliquer, insiste le parlementaire. Il nous doit la vérité car le bordel en Afrique notamment dans la bande sahélo-sahélienne est consécutif à la crise libyenne où la France tient une grande responsabilité depuis Sarkozy. »

    L’élu LFI déplore l’opacité du système français : « Nous auditionnons la ministre mais c’est un bien grand mot. Car c’est à huis clos et contrairement à nos pairs du Congrès américain, nous n’avons aucun droit de suite, ni de relance. En face, la ministre nous sert les mêmes éléments de langage que sur Twitter. » Les explications du ministère des armées le sidèrent : « Comment peut-on laisser de telles armes après une opération et comment finissent-elles sur une base pro-Haftar ? Et si elles étaient inutilisables, que faisaient-elles en Libye ? »

    Deux autres étrangetés, pour ne pas dire plus, peuvent être relevées. La première est une déclaration faite le 1er juillet sur Twitter par l’ambassade de France en Libye. Sous le hastag #Fakenews, l’ambassade « dément catégoriquement la présence de soldats ou de personnel militaire français à Gharyan ».

    La seconde étrangeté tient à l’équipement même des forces françaises. Les missiles Javelin avaient été achetés en 2010, dans l’attente d’un missile français de nouvelle génération produit par MBDA, le missile moyenne portée. Selon plusieurs spécialistes, le missile Javelin est pour partie obsolète, en tous les cas beaucoup moins performant que le missile MBDA. Comme le note le site spécialisé Opex360, ce missile français devait être déployé au Sahel d’ici la fin 2018. Ce qui renforce encore la suspicion d’une livraison aux forces « amies » du général Haftar de missiles Javelin moins performants.

    Dernier élément : les missiles Javelin ont été retrouvés à Gharyan, non pas dans un lieu isolé, mais dans des entrepôts où était stocké tout un arsenal des forces rebelles, dont des drones de fabrication chinoise, des armes de fabrication russe et des obus venant des Émirats arabes unis, comme le montre la photo ci-contre. Les missiles français ne bénéficiaient d’aucune protection particulière qui laisserait entendre qu’ils ne faisaient pas partie de l’arsenal rebelle.

    Dès lors, il est peu probable que le pouvoir français puisse en rester à des explications aussi imprécises. Les commissions spécialisées du Congrès américain pourraient se saisir de cette affaire et d’une éventuelle violation par la France d’un accord commercial. Les inspecteurs des Nations unies pourraient également intervenir et ont déjà documenté de multiples violations de l’embargo, en particulier par l’Égypte et les Émirats arabes Unis.

    Pour le chercheur Jalel Harchaoui, l’un des rares spécialistes de la crise libyenne aujourd’hui en France, « nous avons désormais avec la découverte de ces missiles une preuve indéniable de ce que l’on sait tous : la France mène une guerre secrète en Libye. Elle soutient Haftar même militairement. Elle souhaite que son poulain Haftar gagne, car elle est pour une dictature en Libye, elle voit en lui ce qu’elle aime en Égypte, un autoritarisme rigide sans aucune liberté individuelle ».

    Dans les rangs des ONG françaises aussi, cette information provoque des remous. Et on se pose les mêmes questions que les députés de l’opposition. « Pourquoi des missiles français se trouvent sur le territoire libyen pour assurer la protection des Français ? Ont-ils été déclarés auprès des Nations unies ? Ont-ils fait l’objet d’une autorisation du Congrès américain pour être utilisés en Libye ? Comment Haftar a eu accès à ces missiles ? Ces missiles sont, selon le gouvernement, inutilisables ? Qu’est-ce qui le prouve ? », lance Aymeric Elluin, chargé de plaidoyer à Amnesty International.

    Il rappelle l’affaire des #drones dits #MALE (moyenne endurance longue portée). Achetés en catastrophe à l’américain General Atomics, en 2013 pour être déployés dans la guerre au Mali et la bande sahélo-saharienne, ils ont été au cœur d’un feuilleton politico-industriel, Paris voulant s’éviter de passer devant le Congrès américain qui exige une autorisation pour toute nouvelle zone de déploiement. L’ONG, qui a transmis une douzaine de questions très précises aux députés en amont de l’audition de ce mercredi sur les ventes d’armes, se réjouit que cette affaire de missiles français sur le sol libyen survienne : « La France va devoir se plier au devoir de transparence. »

    https://www.mediapart.fr/journal/international/100719/le-pouvoir-est-pris-dans-une-sale-affaire-de-missiles-en-libye?onglet=full
    #armes #commerce_d'armes #USA #Etats-Unis #France #armement

  • #ZAD. Comment les gendarmes ont remporté la bataille de #NDDL - Bretagne
    #Paywall : https://www.letelegramme.fr/bretagne/zad-comment-les-gendarmes-ont-remporte-la-bataille-de-nddl-02-06-2019-1

    Libéré & archivé : https://web.archive.org/save/https://www.letelegramme.fr/bretagne/zad-comment-les-gendarmes-ont-remporte-la-bataille-de-nddl-02-06-2019-1

    //edit : J’ai donc pris le temps de le lire plusieurs fois : je voulais faire petite analyse rapide sauf que je ne peux m’empêcher de chercher textes et références, partant du principe que ce qui me semble évident ne l’est pas pour tout le monde.

    Un an de préparation : il est donc bien question d’une stratégie de guerre, envisagée avec tous les angles d’attaques possibles, de la négociation pseudo diplomatique et ses inévitables trahisons (https://seenthis.net/messages/783834) à l’opération militaire, du chantage (https://seenthis.net/messages/690816) aux fausses informations, dont une campagne de #fakenews distillée très à droite (Valeurs Actuelles puis JDD https://seenthis.net/messages/653494) et ampliié par sont plus grand représentant, Christophe Castaner... Bref, tout est permis ! Et il faut reconnaitre que la plupart des coups ont porté, au fur et à mesure que les #NIMB ont négocié, puis les paysans & historiques, puis certain-e-s zadistes désormais (et logiquement) plus attaché à leur lieu de vie qu’à une lutte présentée comme terminée et gagnée.

    La gendarmerie et seulement la gendarmerie. : décidément le torchon brûle sévère avec la police. #Maintien_de_l'ordre & désordres !

    Le test de la « route des Chicanes » : le coup du test, en vrai, JAMAIS il n’aurait dû fonctionner. Sauf qu’une grande partie des légalistes et des historiques ne rêvaient que d’une chose : le retour à "l’état de droit" et pouvoir reprendre leur vie comme "avant", refusant d’admettre publiquement que ça ne serait possible qu’au prix d’une trahison de la partie "Contre son monde" de la lutte. De la Zad (https://seenthis.net/messages/660245) jusqu’au Mexique (https://seenthis.net/messages/662829) énormément de voix se sont exprimées pour dénoncer le passage en force de la décision de lâcher la route #D281 (qui allait de facto devenir une voie royale pour les militaires) et les légitimes (et finalement lucides) craintes de #trahison. En six ans et plusieurs périodes de "calme" (relatif) l’ensemble du mouvement n’avait jamais trouvé de consensus quand à la remise "en l’état" de ce petit tronçon de route, devenu, qui plus est, le symbole absolu de la liberté frondeuse locale face à César et capable de le faire un peu plier. Non, le véritable test était : qui aura suffisamment peur de la guerre pour céder ? Et c’est bien la raison qui a fait qu’un des premiers lieux détruits était les Cent Noms, pourtant partie prenante des négociations. Dès ce jour là, tout le monde pouvait comprendre, à défaut de l’avoir fait avant, qu’il n’y avait aucune négociation qui tenait, juste le besoin d’une énorme opération de communication pour ne pas perdre la face face aux zadistes. Et plus il y aurait de souffrances et de pleurs, mieux ça serait !

    De 200 à plus de 500 éléments violents. : "à l’ouest, des agriculteurs (hostiles mais non violents) ; à l’est, des éleveurs jugés non dangereux et, au centre, les « irréductibles »."
    L’auto-censure m’empêche encore d’être précise et complète sur ce passage méga-caricatural et, par conséquent faux, même le passage "aucun renfort d’élus et d’agriculteurs" qui prouve cependant l’ampleur de la docilité ressentie lors les négociations. J’espère juste qu’au fur et à mesure, des témoignages diront enfin combien celles et ceux qui ont pensé sincèrement pouvoir réussir avec la stratégie des négociations ont été floués et manipulés.
    Je passe sur toute la logistique et le fric, ... j’arrive juste pas trop à comprendre par quel accord les militaires ont pu squatter un ancien centre de formation ERDF...

    Pas d’unités sur zone la nuit. : partiellement faux vu le nombre d’allées et venues militaires et de barbouzeries recensées sur les comptes-rendus de Radio Klaxon (ils sont tous à retrouver à la fin de celui-ci par exemple https://web.archive.org/save/https://nantes.indymedia.org/articles/41509) ... mais là dessus, je ne suis clairement pas la mieux placée pour en parler.

    Trois phases chaque jour. : on sent bien toute la jubilation du chef militaire qui explique doctement, au dessus d’une carte, l’habilité théorique attendue... et contredite, concernant le sens du vent, par beaucoup de vidéos d’Armelle que ça faisait bien marrer de voir les GM s’auto-gazer régulièrement (la plupart de ses lives facebook ont été libérés et sauvegardés par là : https://peertube.parleur.net/video-channels/46c997d4-5ab7-4891-b018-eea452b3d904/videos )

    La stratégie : casser le moral des zadistes. : l’art d’édulcorer et minorer pour se rendre supérieur : ce ne sont clairement pas les destructions de barricades qui ont "cassé le moral" mais bien plus la guerre, les grenades, les multiples blessures, la peur, les dissensions aussi...

    Un adversaire « grégaire », « peu offensif » et « peu organisé ». : dans ce cas, et puisque les militaires étaient tellement bien renseignés, et donc le savaient même lorsqu’ils faisaient croire à des zadistes sur-entrainé-e-s telles des Viet Cong, pourquoi utiliser des armes de guerre ?

    Beaucoup de femmes. : bon j’avoue on est plusieurs copines a avoir kiffé ce passage qui fait remonter plein de chouettes souvenirs tant du côté réseaux de communication que du côté terrain : koeurs koeurs sur vous les soeurs <3 (même si j’ai du mal à pas y voir un machisme qui accepterait de donner un petit peu d’importance aux meuf passque c’est moins dangereux... bref !)

    Catapulte géante et atelier de fabrication d’engins explosifs. / Guérilla Vietcong. / Blindé en feu. /Drone capturé. : bon alors là on est en plein dans le récit militaire... et toute son inventivité sur certains faits pour justifier tout et son contraire dans les exactions militaires.

    – La catapulte géante, par exemple, c’est sans doute pour faire penser à celle, reconstitution historique, que j’avais photographiée et qu’ils ont utilisée pour leur fakenews plus haut, alors que je pense qu’il s’agit plutôt du panier de basket "amélioré" façon lance-pierre (et très galère d’emploi comme de déplacement) qu’on voit ici https://web.archive.org/save/_embed/https://pbs.twimg.com/media/DabN7PrX0AAreNe.jpg et vu l’effort nécessaire pour son fonctionnement

    ... bref, ça leur évite de parler des #cacapultes pour mieux faire passer les #pipitov sous l’appellation d’"acide" contribuant à entretenir ce fumeux mythe. Parce que j’ai beau bien connaître les milieux militants nantais et zadistes, et malgré toutes nos embrouilles, je n’ai JAMAIS entendu la moindre personne se venter d’avoir balancé de l’acide, ni même avoir vu ça, et à chaque fois que des "preuves" sont montrées, il s’agit soit de bouteilles de maalox+eau, soit... d’urine !
    – Les "800 engins explosifs" sentent sérieusement le pétard tout aussi mouillé quand on sait que les récup de grenades servaient à prouver à quel point la zad était gazée. Mais la mythologie paranoïaque est tellement entretenue que lorsqu’une partie de ces grenades, vides et non dangereuses, ont été déposées devant la préfecture de Loire-Atlantique, il y a eut intervention du déminage et deux militantes ont été inculpées, puis relaxées... puis le procureur a fait appel : elles passaient ce matin devant la cours d’appel : https://zad.nadir.org/spip.php?article6539 ... et en fait j’ai même pas envie de commenter la suite tant ça sent la mythologie militaire... surtout si c’est pour en arriver à :

    Pas d’armes à feu. : "il n’y avait pas de volonté réelle de tuer" : BAH OUAI ! Et idem dans les manifs ! En fait, ce que les militaires comme les policiers ne veulent pas comprendre, en partie grâce à ces mythes entretenus, c’est que la population, même "zadiste", est dans sa très très très grande majorité pacifiste. Et que tout ce à quoi ils font face, c’est simplement de la défense, de l’auto-défense, de la légitime défense, qui les défonce parfois, très rarement, mais jamais pour les tuer (sinon y’aurait des morts depuis longtemps !).

    Etc, etc, etc, tout ça pour en venir à dire que finalement, au delà du coût de 700 000 € pour cette opération, "Ce chiffre de 16 000 grenades en quelques mois (près d’un millier par jour au début de l’évacuation d’avril) correspond à ce qui a été tiré… en une seule journée, lors de la manifestation des gilets jaunes du 1er décembre 2018 (14 500 grenades, 1 300 tirs de LBD) !" et un décompte qui met sur le même plan les blessés : "430 blessés. Du côté des forces de l’ordre, 130 gendarmes ont été blessés (dont 4 graves), contre 300 pour les adversaires (traumas sonores, polycriblage et une main arrachée)" quand on sait que la tendance est à compter le moindre ongle retourné quel que soit le contexte de leur côté, et à très fortement minorer de l’autre, les médics le rappellent à chaque fois. Voir parmi d’autres : https://zadresist.antirep.net/article79-Bilan-medic-Blessures-causees-par-les-armes-de-la-genda ...

    Mais peu de chance que toutes ces nuances plus réalistes soient enseignées lors des super formations qui seront désormais proposées aux militaires.

    Si, de votre côté, vous souhaitez vous remettre en tête ce qui se savait sur zone et ce qui était compréhensible dès ce moment là, y’a cet enregistrement d’habitant-e-s qui est assez super : https://seenthis.net/messages/676097

  • Je viens seulement de réaliser la présence d’un bandeau sur toutes les vidéos provenant de RT :

    RT est financée entièrement ou partiellement par le gouvernement russe.

    avec lien vers la page Wikipédia.

    À l’initiative de qui ?

    Va-t-on bientôt voir les vidéos de Guillaume Meurice, ornées d’un bandeau ?

    France Inter est financée entièrement ou partiellement par le gouvernement français.

    • C’est juste la mise en place du « code de bonne conduite » annoncé par Zuzu contre les #fakenews. Je m’en suis rendue compte y’a quelques jour avec un bandeau sous un des flux d’infos locales qui alimentent ma page « karacole » : @indymedianantes : ça montrait la traduction automatique du résumé Wikipedia anglais... qui met l’accent sur les raids judiciaires qui ont attaqué plusieurs collectifs...

    • L’outil de lutte contre les fakes news de Youtube fait un lien entre Notre-Dame et le 11 Septembre — RT en français
      https://francais.rt.com/france/61089-outil-lutte-contre-fakes-news-youtube-lien-notre-dame-11-septembr

      YouTube, qui appartient à Google, a introduit cette fonction l’année dernière dans l’optique de lutter contre la propagation des théories dites complotistes, notamment celles qui remettent en cause la version officielle des attentats du 11 septembre. « Ces bandeaux sont générés de manière algorithmique et nos systèmes peuvent parfois se tromper », s’est justifié un porte-parole de la plateforme de partage, cité par l’AFP. Cette nouvelle fonctionnalité est pour l’instant « uniquement disponible aux Etats-Unis et en Corée du Sud », a-t-il ajouté, précisant que le bandeau en question avait été enlevé.

      Présent donc depuis l’année dernière aux États-Unis et en Corée du Sud et maintenant « ouvert » en France depuis peu (article du 16 avril où ce n’était visiblement pas le cas).

      le tweet cité :
      @BenjaminNorton, 15 avril 2019
      https://twitter.com/BenjaminNorton/status/1117875121656619013

    • L’audiovisuel public français irrité par une nouvelle fonctionnalité de YouTube (02/05/2019)
      https://www.lemonde.fr/actualite-medias/article/2019/05/02/l-audiovisuel-public-francais-irrite-par-une-nouvelle-fonctionnalite-de-yout

      Pour prévenir tout risque de propagande, la plate-forme américaine avertira l’utilisateur quand un média est doté d’un financement public. Le service public craint d’être assimilé à des chaînes proches du pouvoir.

      A moins d’un mois des élections européennes, les grandes plates-formes en ligne multiplient les garde-fous pour empêcher que des campagnes de manipulation de l’opinion puissent altérer le résultat du scrutin. Facebook, Google et Twitter sont attendus au tournant, après les interférences russes dans l’élection présidentielle américaine de 2016 sur les réseaux sociaux, ou la diffusion massive de fausses informations sur la messagerie WhatsApp, propriété de Facebook, par des partisans du candidat élu Jair Bolsonaro pendant la dernière campagne présidentielle au Brésil.

      Après Facebook et Twitter, Google vient, lui aussi, de dévoiler son arsenal pour déjouer les opérations de désinformation et les tentatives d’ingérence étrangères. En France et dans plusieurs pays d’Europe, les utilisateurs de son service vidéo YouTube verront bientôt s’afficher un bandeau sous les vidéos des médias publics ou gouvernementaux. Ce « label de transparence », qui précise le financement de l’éditeur et renvoie vers sa page Wikipédia, doit permettre aux internautes de « mieux comprendre les sources des actualités qu’ils regardent », a expliqué Google sur son blog, le 24 avril. En clair, de les aider à repérer les campagnes de propagande, même si le géant américain tient à préciser qu’il « ne s’agit pas d’un commentaire de YouTube sur la ligne éditoriale de l’éditeur ou de la vidéo, ni sur l’influence du gouvernement sur le contenu éditorial ».

      Si cette mesure existe déjà depuis un an aux Etats-Unis, en Irlande, au Royaume-Uni et en Inde – où elle s’applique aux chaînes YouTube de Franceinfo, d’Arte ou de Radio France –, son arrivée en France suscite l’embarras de l’audiovisuel public. « On assimile des médias du service public dans des démocraties à des médias d’Etat dans des régimes autoritaires », se désole un cadre de France Télévisions, sous couvert d’anonymat, en citant sans détour les déclinaisons françaises de Russia Today (RT) et Sputnik, deux médias financés par le gouvernement russe et régulièrement soupçonnés d’être sous son influence.

      Dans les pays où cette fonctionnalité est déjà active, YouTube distingue bien les « services audiovisuels publics » des « médias financés entièrement ou en partie par un gouvernement ». Mais, pour un autre dirigeant de France Télévisions, « ce n’est pas suffisant ». Selon lui, le simple fait que cette démarche « englobe » ces deux types d’acteurs risque « d’induire en erreur » le public, pour qui « la subtilité institutionnelle du service public à la française n’est pas forcément très claire ».

      De son côté, la présidente de RT France, Xenia Fedorova, dénonce, au contraire, cette « hiérarchie ». « Nous avons toujours été transparents sur le fait que RT France est financé par la Russie, tout comme France 24 est financé par l’Etat français ou la BBC par l’Etat britannique. »

      France Médias Monde (France 24, RFI, Monte Carlo Doualiya), juge « essentiel » que son « indépendance par rapport au pouvoir politique soit prise en compte dans les dénominations utilisées dans toutes les langues ». Le groupe, dont une large partie de l’audience est réalisée sur YouTube à l’étranger, n’était pas concerné par le dispositif dans les premiers pays où il a été lancé, de même que TV5 Monde. Contacté par Le Monde, Google explique que cela devrait désormais être le cas pour ces deux chaînes, sans détailler la liste définitive des médias ciblés.

      Plusieurs acteurs concernés déplorent, par ailleurs, le manque de concertation avec l’entreprise californienne. « C’est nous qui nous sommes rapprochés de Google après avoir découvert cette annonce dans une dépêche, fustige-t-on au sein de France Télévisions. Tout ce qui permet davantage de transparence va dans le bon sens, mais cela ne peut pas se faire dans le dos des éditeurs. »

      Les critères retenus suscitent aussi l’incompréhension. « Pourquoi ne pas afficher le même message quand un média est détenu par un actionnaire privé ? », interroge un cadre du groupe public, qui regrette une « transparence à géométrie variable ».

      Parmi les mesures prévues par Google à l’approche des élections européennes, YouTube va également « renforcer la visibilité » des éditeurs « faisant autorité », lorsqu’un événement important se produit. Reste à savoir si cette mesure, en bénéficiant aux grands médias publics, suffira à apaiser leur mécontentement.

    • Deux poids, deux mesures : YouTube instaure une nouvelle fonctionnalité discriminant RT — RT en français (article du 17/05/2019, jour de l’entrée en fonction du dispositif)
      https://francais.rt.com/france/62164-deux-poids-deux-mesures-youtube-instaure-nouvelles-fonctionnalite

      YouTube labellise désormais les médias d’Etat sous leurs vidéos, mais avec une différence sémantique notable : RT France est ainsi « financée par le gouvernement russe », quand France 24 ou la BBC sont des « chaînes de service public ».

      Le 17 mai, YouTube a introduit une nouvelle fonctionnalité, en ajoutant un bandeau sous les vidéos des médias publics ou gouvernementaux. Ce « label de transparence », selon les termes de Google (à qui YouTube appartient), indique le financement de l’éditeur de la vidéo, et renvoie à la page Wikipédia qui lui est consacrée. Selon Google, le but est de permettre aux internautes de « mieux comprendre les sources des actualités qu’ils regardent ».

      Et Google de préciser qu’il ne s’agit en rien d’un commentaire de la part de YouTube sur la ligne éditoriale de l’éditeur ou de la vidéo, ni sur l’influence du gouvernement en question sur le contenu éditorial. En d’autres termes, il ne s’agirait que d’une information à caractère purement objectif.

      Pourtant à y regarder de plus près, tout le monde n’est pas logé à la même enseigne, suivant le pays d’origine de son financement. Ainsi, RT, qui n’a jamais caché être financé par la Russie, dispose désormais d’un bandeau indiquant qu’elle est « entièrement ou partiellement financée par le gouvernement russe ».

      Or la différence sémantique est notable concernant France 24 ou encore la BBC, dont le financement dépend respectivement de la France et du Royaume-Uni, qui sont elles qualifiées de « chaînes de service public » française et britannique.

      La présidente de RT France, Xenia Federova s’inquiète : « Nous sommes plus préoccupés par le deux poids, deux mesures qu’induit cette procédure. Nous avons constaté une inéquité dans l’application de ces bandeaux. Certains médias étant ainsi labellisés, tandis que d’autres, avec le même mode de financement, ne le sont pas. De plus, même parmi ceux qui sont labellisés, une hiérarchie persiste. Par exemple, le fait que BBC News soit qualifié de "service public", et non pas "financé par le gouvermenent", même s’il reçoit un financement substantiel directement du Royaume-Uni. »

      Elle rappelle également que « RT France n’a jamais caché la source de son financement ». Avant d’ajouter : « Nous étions, dès le début, très clairs et transparents sur le fait que RT France est financée par la Russie. Tout comme France 24 est financée par l’Etat français ou la BBC l’Etat britannique. Dans le même temps, le lancement de cette initiative en France juste avant les élections européennes pourrait semer la confusion pour le public en créant une opinion erronée selon laquelle les sources de financement provenant du secteur privé ou de grands groupes sont meilleures – plus légitimes, crédibles ou objectives – que d’autres, publiques. Le critère pour juger un média étant alors uniquement la source de financement et non la réalité de son travail ou la qualité des contenus. »

      Une inquiétude d’autant plus légitime que les bandeaux en question renvoient vers la fiche Wikipédia des médias concernés. Or, le moins que l’on puisse dire, c’est que l’objectivité de l’encyclopédie en ligne sur le sujet prête à débat. Concernant RT, Wikipédia donne en effet une définition générale qui fait froid dans le dos : « RT est généralement considéré par les médias et experts occidentaux comme un instrument de propagande au service du gouvernement russe et de sa politique étrangère, se livrant à la désinformation, proche de l’extrême droite sur internet, complotiste et antisémite. »

      On notera que l’avis repose donc sur les médias, qui par définition sont les concurrents de RT, et celui d’obscurs « experts occidentaux ». Le son de cloche est tout autre quand on s’intéresse à la fiche Wikipédia de la BBC qui dispose selon l’encyclopédie, « d’une réputation d’excellence culturelle ».

      Si l’intention de YouTube est louable – comprendre qui tient les cordons de la bourse dans le paysage médiatique permet effectivement d’en avoir une lecture plus avisée –, les mesures prises à l’heure actuelle par la plateforme risquent d’avoir l’effet opposé de celui recherché.

  • Prendre les professeurs des écoles et les journalistes pour des crétins ? (Roland Goigoux, Blog Mediapart)
    https://blogs.mediapart.fr/roland-goigoux/blog/110519/prendre-les-professeurs-des-ecoles-et-les-journalistes-pour-des-cret

    A la suite de la publication des résultats des évaluations CP-CE1, Roland Goigoux a examiné les publications du ministère de l’Education nationale pour comprendre comment on pouvait faire parler - et donc aussi faire mentir - les chiffres.

    Première partie : évaluations et remédiations (Roland Goigoux, Blog Mediapart)
    https://blogs.mediapart.fr/roland-goigoux/blog/110519/premiere-partie-evaluations-et-remediations

    Les évaluations CP-CE1 n’étaient que la première partie d’un dispositif plus vaste appelé « la réponse à l’intervention » (RAI). Roland Goigoux présente ici ce dispositif et l’analyse. Il examine ses conséquences pour la rentrée prochaine.

    #éducation #évaluations #FakeNewsGouvernementales

  • #internet est une utopie : les fausses promesses du numérique
    https://www.ladn.eu/tech-a-suivre/internet-developpe-une-culture-mediocrite

    Gueule de bois. C’est le sentiment que nombre d’entre nous avons aujourd’hui. Nous avons fait la fête sur les promesses d’un nouveau monde. Nous pensions que les technologies en général et l’Internet en particulier signaient la promesse d’une nouvelle espérance. Nous imaginions que la technologie était par essence porteuse de sens. Qu’elle pouvait se substituer aux règnes des idéologies déchues. Internet était prophétique. C’était la multiplication des petits pains avec le porno en plus. Puis vint l’impensable. — Permalink

    #fakenews #populisme

  • Grosse journée pour la #police #prédictive : convocation de Olivier Cyran pour un tweet moqueur et arrestation de 15 nantais-e-s qui préparaient des banderoles pour la manifestation de demain :

    Du côté d’Olivier Cyran :

    Surprise, surprise : je viens de recevoir une convocation à la direction de la police judiciaire dans le cadre d’une enquête préliminaire pour « provocation publique à la commission de destructions, dégradations et détériorations volontaires dangereuses pour les personnes ».
    https://twitter.com/OlivierCyran/status/1116687402041532416
    À l’origine de ce branle-bas de combat diligenté par le parquet de Paris, un tweet humoristique posté il y a trois mois :


    /.../ En ce sens, les services du procureur de Paris ne manquent pas d’humour (?#EspritCharlie). L’ennui, c’est que leur trait d’esprit m’expose, si j’en crois la loi, à cinq ans de taule et 45 000 euros d’amende, ce qui a tendance à provoquer chez moi une hilarité modérée. /.../

    A mettre dans la ligné des délits de création / artistiques / humoristiques précédents ( @lundimatin / #Nick_Conrad...)

    Du côté de #Nantes, une quinzaine d’arrestations dont des potes, certain-e-s sont encore en GàV lors d’un ATELIER BANDEROLES PUBLIC (!) contre la #Loi_Anticasseurs & limitations de manif !!!

    "C’était un rendez-vous public. On s’était donné rendez-vous pour un atelier créa. L’idée, c’était de fabriquer ensemble des banderoles pour la manif de demain. Cela avait été voté en AG publique #Gilets_Jaunes. On ne se cachait pas..."
    /.../
    Quinze ont été interpellées et quatorze placées en garde à vue pour "participation à un attroupement formé en vue de la préparation de violences volontaires ou de destructions et dégradations", ce vendredi soir, confirment les autorités, avant d’ajouter avoir découvert sur place « différents artifices et pétards artisanaux ».
    https://www.presseocean.fr/actualite/nantes-ils-setaient-reunis-a-la-veille-de-la-manif-quinze-interpellation

    La criminalisation des pétards et feux d’artifices, considérés à priori comme armes par destination, c’est complètement ouf... d’autant qu’il y a pas mal de teufs ce week-end dans le coin ! Rien ne prouve que les pétards et les bidouilles artisanales, trouvées sur place, et non en cours de fabrication, étaient destinées aux manifs... Pourtant, Ouest France fait une fois encore du #journalisme_de_préfecture en titrant initialement du faux scoop de flic, hélas encore visible dans l’adresse et les caches : « nantes-ils-preparaient-banderoles-et-petards-artisanaux-pour-la-manif-de-samedi-6307535 »

    Pour rappel, le « Journalisme de Préfecture » c’est une grande partie des #Infox & #FakeNews des autorités, de la police ou de la justice balancées sans aucune enquête par les rédactions des mainstream et d’extreme-droite. #Acrimed en parlait par là : https://www.acrimed.org/Medias-et-violences-policieres-aux-sources-du (et visiblement, on l’avait même pas #seenthissé !)

    Le « journalisme de préfecture » recouvre un ensemble de réflexes et de pratiques médiatiques qui conduisent à relayer, sans aucun recul, le discours « officiel » (celui des autorités, de la police ou de la justice) à propos d’opérations de « maintien de l’ordre ». Plusieurs éléments entrent en compte pour expliquer la prégnance de cette forme de journalisme dans le traitement des violences policières. Le premier concerne la proximité et la dépendance des journalistes vis-à-vis de leurs sources policières. Le second concerne une certaine conception du journalisme comme partie prenante du maintien de l’ordre social

  • J’archive cette histoire sur Les Suppliantes à la Sorbonne

    Facebook
    https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10157104979755902&set=a.434672170901&type=3&theater&comment

    Voici le texte rose-brun !
    Le texte touche pas à ma racine gréco romaine.
    Le texte qui défend (à raison) la liberté de création mais en profite pour taper sur l’antiracisme. Le texte signé par tant d’ami.e.s que j’en perds mon latin. Le texte pour la défense du blackface pensé comme acte de création (quel talent). Le texte qui te ferait passer la valeur d’égalité pour du politiquement correct, le respect pour de la soumission au communautarisme, La lutte contre le racisme pour de l’identitarisme et la culture pour toutes et tous pour de la servitude volontaire. Si je suis habitué à avoir des ennemi.e.s, il est plus nouveau d’avoir des ami.e.s parmi les signataires qui se trompent autant... ou peut être, simplement se dévoilent : elles et eux qui attendaient qu’un spectacle universitaire amateur soit bloqué par deux ou 3 abrutis (je les condamne pour l’action tout autant que je comprends leur colère) pour monter l’événement en épingle, bien faire mousser, et enfin s’allier aux « on peut plus rien dire-on peut bien rigoler-yapasd’mal à se peindre en bamboula-c’est ma liberté de création-mon point de vu perso est universaliste alors ta gueule sale communautariste » et finalement vomir leur fiel trop longtemps contenu contre l’antiracisme.
    Pour info, contrairement à ce qui est écrit en intro de ce texte, le Cran n’était même pas présent sur ce blocage et ne l’a donc pas appelé de ses vœux. Mais bon, ma bonne dame, on n’est pas à un mensonge près quand on est idéologue.
    Bande de blaireaux !
    Alors oui, cher.e.s signataires (et parmi vous mes potes) vous avez le droit de vous peindre en noir.e.s pour jouer des noir.e.s. si ça vous fait kiffer, si ça vous flatte la liberté. Et personne ne devrait bloquer un spectacle, c’est vrai. Mais moi j’ai aussi le droit de vous dire que le faire, se déguiser en noir, en asiatique, en arabe... aujourd’hui, dans le contexte qui est le nôtre, en pleine conscience... ça fait de vous des ordures.
    C’est politiquement correct ça ?

    #Suppliantes #Eschyle #PrintempsRépublicain #Antiracisme

    • Pour Eschyle » L’almanach » Autour
      https://www.theatre-du-soleil.fr/fr/guetteurs-tocsin/pour-eschyle-103

      L’UNEF n’est pas en reste, qui exige des excuses de l’université, en termes inquisitoriaux : « Dans un contexte de racisme omniprésent à l’échelle nationale dans notre pays, nos campus universitaires restent malheureusement perméables au reste de la société, perpétrant des schémas racistes en leur sein. » Le 28 mars, après les réactions fermes de La Sorbonne, des Ministères de l’Enseignement Supérieur et de la Culture ainsi que d’une partie de la presse, dénonçant une atteinte inacceptable à la liberté de création, les mêmes étudiants commissaires politiques ont sécrété un interminable communiqué en forme de fatwa, exigeant réparation des « injures », entre autres sous forme d’un « colloque sur la question du “blackface” en France » : un programme de rééducation en somme, déjà réclamé par Louis-Georges Tin.

      #Islamophobie #Racisme

    • L’offensive des obsédés de la race, du sexe, du genre, de l’identité…
      https://www.marianne.net/societe/l-offensive-des-obsedes-de-la-race-du-sexe-du-genre-de-l-identite

      Les signaux sont nombreux qui montrent qu’un nouveau militantisme antiraciste confinant au racisme se propage dans notre société. Universités, syndicats, médias, culture, partis politiques… Ce courant de pensée né aux Etats-Unis "colonise" tous les débats.
      Les « racisés » souffrent d’« invisibilisation », ce qui devrait pousser à s’interroger sur les « privilèges blancs » et le « racisme d’Etat » en France. Si la triple relecture de cette phrase ne suffit pas à vous extirper d’un abysse de perplexité, c’est que vous n’avez pas encore fait la connaissance de la mouvance « décoloniale ».

      Vous n’êtes donc probablement pas un familier des organisations de gauche. Depuis plusieurs années, dans un mouvement qui s’accélère ces derniers mois, une idéologie nouvelle gagne ces milieux militants, qu’ils soient universitaires, syndicaux, associatifs, politiques ou artistiques. Sa dernière apparition spectaculaire remonte au 25 mars dernier, à l’entrée de la Sorbonne, sous les bannières de trois associations de défense des droits des personnes noires. Elles ont empêché la représentation d’une adaptation des Suppliantes, la pièce du poète antique Eschyle, dont certains comédiens blancs ont été accusés d’arborer du maquillage et des masques noirs pour interpréter une armée venue d’Afrique. Un blackface, c’est-à-dire un grimage raciste pour moquer les Noirs, ont expliqué ces manifestants. Le metteur en scène, Philippe Brunet, a eu beau rappeler ses engagements humanistes ou plaider pour qu’on puisse « faire jouer Othello [le personnage africain de Shakespeare] par un Noir ou par un Blanc maquillé », rien n’y a fait. « Il n’y a pas un bon et mauvais blackface », a rétorqué Louis-Georges Tin, président d’honneur du Conseil représentatif des associations noires (Cran).

      Sans que le grand public y prête encore attention, ces activistes, dont l’antiracisme confine souvent au racisme, conquièrent régulièrement de nouvelles organisations, comme le Planning familial, Act Up, qui lutte contre le sida, ou le syndicat SUD. Il ressort de l’enquête de Marianne que ces militants pointent également le bout de leur doctrine au Mouvement des jeunes socialistes, à la CGT, à la Ligue des droits de l’homme, dans les médias « progressistes » et dans les départements universitaires de...

      #Paywall (ça vaut peut-être mieux)

    • L’irruption du « classe, race, genre » à la Sorbonne - Libération
      https://www.liberation.fr/debats/2019/04/02/l-irruption-du-classe-race-genre-a-la-sorbonne_1718913

      La mise en scène des Suppliantes peut-elle échapper à la question de l’inscription de cette pièce dans l’Histoire ? Les Suppliantes posent non seulement la question de la représentation des « Noirs » au théâtre, mais celle du désir avec des femmes qui décident d’échapper au pouvoir des mâles, à leur société et qui, s’exilant, se mettent en situation d’émigrées déclassées et fragilisées. Nous sommes donc placés de façon contemporaine devant la question de l’intersectionnalité « classe, race, genre ». Les spectateurs d’aujourd’hui à la Sorbonne ne sont pas les Athéniens de cette époque-là. Ils ne peuvent faire abstraction des traites négrières transatlantiques, du colonialisme, des conceptions racistes sur « les Noirs » de Gobineau jusqu’au nazisme et l’Amérique du Ku Klux Klan, sinon au prix d’une déshistoricisation, dont on voit avec les Euménides qu’elle est une illusion.

      L’appel du Cran à organiser un colloque ouvert à la Sorbonne semble donc une bonne proposition. Il faut entendre ce que nous disent ces étudiants de la Sorbonne.

    • « Blackface », une histoire de regard - Libération
      https://www.liberation.fr/debats/2019/04/10/blackface-une-histoire-de-regard_1720559

      Qui est représenté, par qui, et qui regarde ? C’est à ce nœud-là que renvoie l’affaire des Suppliantes d’Eschyle, spectacle annulé à la Sorbonne le 25 mars sous la pression d’associations noires et de l’Unef, au motif que les actrices jouant les Danaïdes, originaires d’Egypte, étaient grimées. Le metteur en scène, Philippe Brunet, aurait fait la sourde oreille aux alertes répétées des étudiants et des militants depuis un an, puis aurait proposé de remplacer le maquillage par des masques, geste qui s’inscrit dans la tradition grecque et qui permettait de signifier mieux que de représenter. Mais cette option aurait aussi été rejetée par les protestataires. Un certain nombre d’entre eux a empêché la pièce d’être jouée, en s’opposant à l’entrée des acteurs et des actrices dans leurs loges.

      Le Conseil représentatif des associations noires (Cran), et son président d’honneur, Louis-Georges Tin, avaient appelé au boycott de la pièce, ce qui est une façon - et un droit - de protester sans interdire. Mais barrer l’entrée à des artistes, comme l’a fait un petit groupe, c’est faire œuvre de censure, et torpiller d’emblée un débat pourtant très nécessaire en France.

      Ce débat interrogerait la survivance plus ou moins inconsciente ou perverse de l’orientalisme, et de pratiques injurieuses contemporaines de l’esclavage, hors de propos au XXIe ; il poserait aussi la question passionnante des effets du travestissement au théâtre, qui est l’espace par excellence où les plus grandes libertés avec les conventions et avec l’actualité du monde ont été prises. En pleine crise des migrants en Europe, ce débat que n’importe qui devrait appeler de ses vœux relève bien de l’art, de la liberté de création, et des choix politiques qui les accompagnent nécessairement. L’ouvrir et en déplier les enjeux permettrait peut-être de dépasser ce clivage entre un « universalisme de surplomb » (Merleau-Ponty) européo-centré tout aussi crispé idéologiquement que les débordements de la pensée décoloniale. Il autoriserait aussi, qui sait, à trouver une issue à ce constat formulé par Nelson Mandela : « Ce que vous faites pour nous, sans nous, est toujours contre nous. »

    • Isabelle Barbéris : « Eschyle censuré, ou quand la moralisation de l’art tourne au grotesque »
      http://www.lefigaro.fr/vox/culture/2019/03/28/31006-20190328ARTFIG00044-isabelle-barberis-on-censure-eschyle-pour-crimina

      En creux, cette polémique révèle aussi une stratégie de criminalisation souterraine de la culture gréco-latine, par rétroactivité pénale. C’est une attaque contre la culture humaniste, contre le processus d’émancipation par la relecture des classiques. C’est enfin le symptôme d’une moralisation des arts (l’ « artistiquement correct »), transformant ces derniers en scène de tribunal ou d’expiation, ce qui à terme ne peut que les détruire. Les artistes qui répondent à ces attaques en entrant dans la justification ne comprennent pas que les accusateurs se moquent complètement de leur projet artistique ! Parfois, ils sont même responsables d’enclencher ce cycle infernal : la surenchère actuelle d’œuvres à messages manichéens, à base de postures flagellantes et de bonnes intentions, ne peut que réveiller l’appétit des commissaires du peuple - qui seront toujours mieux pensants qu’eux - et se retourner en censure.

      #grand_remplacement #Printemps_Républicain

    • Irène Bonnaud - Les gens qui animent l’institut dont il est...
      https://www.facebook.com/irene.bonnaud/posts/1137833263058040

      Les gens qui animent l’institut dont il est question ci-dessous sont des nazis, des vrais de vrais. L’article du Monde que je partage est encore bien trop gentil. Et quant à nos ami.e.s qui auraient l’idée de se mettre au diapason d’un Jean-Yves Le Gallou pour déclarer que les militants antiracistes sont racistes, que les militants antifascistes sont fascistes, que le noir est blanc et le blanc est noir, et qu’il faut se dresser pour défendre Eschyle contre l’extrême-gauche, ils feraient mieux de lire cet article, de jeter un œil sur ce site (https://institut-iliade.com) et d’y réfléchir à deux fois. Combien de fois faudra-t-il répéter que les gens du Printemps Républicain travaillent, "à gauche", à l’hégémonie culturelle de l’extrême-droite, aussi sûrement que les néo-conservateurs américains nous ont conduit jusqu’à Trump ? On peut s’engueuler sur les modes et méthodes d’intervention de tel ou tel groupe militant, mais s’aligner sur les thèses du "grand remplacement", même quand elles sont enrobées de vernis culturel, reste inadmissible. Non, la culture gréco-latine n’est pas menacée par l’antiracisme politique. Se livrer aux mêmes manipulations intellectuelles que ces crapules (en feignant de croire par exemple qu’Eschyle était visé à la Sorbonne, alors qu’il s’agissait de choix de mise en scène), c’est leur offrir une aide inespérée.
      –—
      Marion Maréchal, Génération identitaire et les anciens du Grece réunis dans un colloque d’extrême droite
      L’ancienne députée du Front national a participé samedi à Paris au sixième colloque annuel de l’institut Iliade.
      Par Lucie Soullier / Le Monde
      Publié hier à 19h14, mis à jour à 06h24
      Ils doivent avoir vingt ans, ou à peine plus. Se connaissent par des prénoms qui ne sont pas toujours les leurs, parce qu’« on ne sait jamais ». Lui a même supprimé toutes les photos de profil qui pourraient trahir, en ligne, sa véritable identité. Méfiant ? « Prudent. »
      Tous les quatre se sont retrouvés à Paris, en ce samedi 6 avril ensoleillé, pour assister à un colloque d’extrême droite à la Maison de la chimie (7e arrondissement). Loin d’être un rendez-vous clandestin, le sixième colloque annuel de l’institut Iliade a pignon sur la très chic rue Saint-Dominique. A deux pas de l’Assemblée nationale. La file qui s’étire sur des dizaines de mètres peut même admirer la pointe de la Tour Eiffel, pour patienter jusqu’à l’entrée.
      Nos quatre jeunes gens tuent le temps avec quelques convenances. « Ça a été ton trajet ? », s’enquiert la Parisienne en rouge auprès de son ami venu de l’Est. Sac sous le bras, il lui répond « ça va, ça va » avec un « mais » très appuyé : « J’avais le choix de m’asseoir entre un Noir et une personne dirons-nous… marron. » Bras en écharpe et blouson noir, son voisin enchérit tout aussi excédé : « Ah moi, je suis venu en taxi avec un bon gros… » Il ne finira pas sa phrase ; tous quatre s’accordent sur le terme « guadeloupéen ». La fille en rouge soupire, tout en jugeant que « les Noirs des îles, ça va ».
      Différence entre les peuples
      Fouille à l’entrée. Une matraque télescopique repose sur une table, confisquée « juste pour la journée ». Une chouette et un glaive flottent sur les drapeaux, emblèmes de l’institut Iliade. Idéologiquement à l’extrême droite, tendance identitaire européenne, à majorité païenne mais pas que, Iliade est l’héritier du Grece (Groupement de recherche et d’études pour la civilisation européenne) pensé à la fin des années 1960 comme une « Nouvelle droite » identitaire et nationaliste prêchant la différence entre les peuples.
      Pour les fondateurs d’Iliade, la bataille culturelle est la mère de toutes les autres pour faire triompher ses idées. L’institut d’extrême droite organise donc formations, colloques et tente d’essaimer dans tous les milieux professionnel et politique qui peuvent lui permettre de diffuser son idéologie.
      Marion Maréchal était surtout venue soutenir son compagnon, Vincenzo Sofo, invité à discourir sur « les frontières ou les invasions barbares »
      Pas étonnant donc, finalement, d’y croiser Marion Maréchal, elle qui a tant utilisé la figure du penseur marxiste italien Antonio Gramsci – selon lequel toute victoire politique passerait d’abord par une conquête des esprits – pour expliquer sa décision de quitter la politique électorale en 2017, puis de fonder sa propre école de sciences politiques, à Lyon. En réalité, la jeune « retraitée » de la politique était surtout venue soutenir son compagnon, Vincenzo Sofo, un intellectuel de la Ligue italienne invité à discourir sur « les frontières ou les invasions barbares ».

      #Front_National #GRECE #ILIADE #Extrême_Droite #fascisme

    • Irène Bonnaud - En 2013, j’avais écrit une préface à ma traduction...
      https://www.facebook.com/irene.bonnaud/posts/1132136533627713

      En 2013, j’avais écrit une préface à ma traduction des Suppliantes d’Eschyle, et au texte de Violaine Schwartz, Io 467 (publiés aux Solitaires Intempestifs). Je la poste ici pour les très curieux, et aussi parce que je lis tant de bêtises, y compris accompagnées d’arguments d’autorité ("je suis professeur de Lettres Classiques, et je vous dis, moi, que c’est la culture qu’on assassine..."), que je suis obligée de réagir et d’apporter mon soutien aux étudiantes et étudiants de la Sorbonne qui, après s’être senti.e.s humilié.e.s par un système de représentation raciste, sont à présent insulté.e.s par les plus hautes autorités de l’Etat. Enfin, après 8 heures de Grand Débat avec des intellectuel.le.s, où personne n’a protesté avec la véhémence nécessaire contre l’augmentation de 1400% des droits d’inscription à l’Université pour les étudiant.e.s africain.e.s (parce que c’est de ça dont il s’agit), plus rien ne m’étonne.
      –—
      Passé / présent
      Des tragiques grecs dont on a conservé les pièces‚
      Eschyle est le seul à avoir vécu l’instauration de la
      démocratie à Athènes.
      Enfant‚ il vivait dans une cité qui était bourgade
      de province gouvernée par un despote‚ mais à 20 ans
      il vit Clisthène engager des réformes pour imposer
      le pouvoir des assemblées. À 35 ans il fut héroïque‚
      paraît-il‚ sur le champ de bataille de Marathon‚ puis
      à 45 ans triompha avec la flotte à Salamine : au géant
      perse qui venait envahir la Grèce‚ la petite Athènes‚
      forte de sa nouvelle démocratie et de ses navires‚ avait su
      résister et se retrouvait capitale d’un empire maritime.
      Huit ans plus tard‚ dans sa pièce Les Perses‚ racontant
      Salamine du point de vue des vaincus‚ Eschyle mit en
      scène leur stupéfaction devant ces Grecs « ni esclaves
      ni sujets d’aucun homme ». Et quand‚ en 461‚ Éphialte
      fit passer la réforme des institutions judiciaires pour
      ôter tout pouvoir politique au tribunal de l’Aréopage‚
      tenu par les aristocrates‚ Eschyle écrivit l’Orestie où
      Athéna vient appuyer ce coup de force de toute son
      autorité sacrée.
      Confiance provocatrice en la démocratie et confiance
      dans le théâtre pour raconter les histoires de son
      temps : les pièces d’Eschyle étaient aussi interventions
      directes dans les luttes intestines qui agitaient Athènes‚
      toujours sous la menace d’une restauration oligarchique
      ou d’une guerre civile.
      Les Exilées ne fait pas exception. Premier texte
      de l’histoire où apparaît l’alliance de mots « démocratie
       » pour décrire ce royaume d’Argos « où le
      peuple règne »‚ la pièce d’Eschyle transforme la ville
      des Pélages en démocratie modèle du ve siècle‚ avec
      assemblée des citoyens‚ parole qui persuade et vote à
      main levée. L’anachronisme est saisissant. Les filles de
      Danaos qui pensent s’adresser à un roi (« Seul ton vote
      compte / Un signe de tête suffit ») n’en croient pas leurs
      oreilles‚ avant d’être converties au nouveau système
      politique (« Peuple d’Argos / Conserve ton pouvoir
      sans trembler / Tu diriges la Cité avec prudence / Tu te
      soucies de l’intérêt de tous »).
      On s’est beaucoup trompé au sujet de la date des
      Exilées. De savants professeurs‚ et leurs commentaires
      repris ou réimprimés par beaucoup d’éditions bon
      marché‚ ont affirmé qu’il devait s’agir d’une pièce
      « primitive »‚ de la « jeunesse » de son auteur et des
      « balbutiements » du genre tragique. Pour l’esprit bourgeois
      des xviiie et xixe siècles‚ ce qui n’était pas théâtre
      des individus devait relever d’une « forme archaïque »
      de dramaturgie. Le rôle central du choeur dans la pièce‚
      le simple fait qu’un collectif puisse être au centre de
      l’action‚ paraissait inconcevable au goût littéraire de
      l’époque. C’était aussi le temps où on coupait les pièces
      de Shakespeare pour n’en garder que les tirades des
      protagonistes. Mais les théories sur l’« archaïsme » de
      la pièce d’Eschyle s’effondrèrent d’un coup quand‚
      un jour de 1951‚ un archéologue trouva un bout de
      papyrus au fond du désert égyptien : la pièce datait de
      463 av. J.‑C. et cette année-là‚ Eschyle avait 62 ans
      – comme Athènes‚ il était au sommet de son art.
      On était donc au printemps 463.
      Les démocrates athéniens s’agitaient pour faire
      passer leurs réformes‚ ils préconisaient une alliance
      sacrée avec Argos‚ la cité démocratique du Péloponnèse‚
      rivale de Sparte dans la région. Argos venait
      d’offrir l’asile à un héros d’Eschyle‚ Thémistocle‚ chef
      du parti démocratique au temps de sa jeunesse‚ l’homme
      qui avait osé vider Athènes de ses habitants pour attirer
      les Perses dans le piège de Salamine. Les aristocrates
      avaient poussé Thémistocle à l’exil et intriguaient pour
      qu’Argos livre son réfugié à Sparte‚ mais Argos‚ où
      la démocratie avait été restaurée l’année précédente‚
      tenait bon et ne cédait pas.
      Au même moment‚ en Égypte‚ occupée par l’Empire
      perse dont le gouverneur accablait d’impôts les
      paysans du delta‚ la révolte grondait. Inaros‚ chef des
      tribus libyennes‚ avait soulevé la population contre
      l’occupant et demandé l’aide d’Athènes contre l’oppresseur.
      Cette expédition se terminerait mal‚ mais
      pour l’heure‚ on se passionnait pour l’Égypte où les
      Grecs commerçaient depuis des siècles‚ où des villes
      grecques avaient été fondées dans le delta du Nil‚ où
      une déesse aux cornes de vache rappelait tant la légende
      de Io‚ et un dieu taureau‚ son fils Épaphos.
      Aucun événement historique de l’époque d’Eschyle
      n’apparaît de façon mécanique dans le texte‚ mais on
      voit bien comment un certain climat politique a pu
      le pousser à s’emparer de la légende des Danaïdes.
      Cinquante princesses noires du delta du Nil‚ persécutées
      dans leur pays‚ fuyant un mariage forcé avec
      leurs cousins‚ traversent la Méditerranée et viennent
      demander l’asile à Argos‚ patrie de leur aïeule‚ Io‚ qui
      a fui en sens inverse quelques générations plus tôt.
      Après avoir tergiversé‚ le roi prend fait et cause
      pour les étrangères et convainc les citoyens de voter un
      décret leur assurant asile et protection. On comprend à
      la fin du texte que l’hospitalité accordée à ces femmes
      « venues de loin pour demander l’asile »‚ comme le
      suggère le titre grec de la pièce‚ Hiketides‚ va déclencher
      une guerre entre Argos et les fils d’Égyptos.
      On ne sait pas grand-chose de la suite des événements
      car Les Exilées est la seule partie conservée de
      la trilogie d’Eschyle. D’après la légende et le résumé
      qu’en fait Prométhée dans Prométhée enchaîné‚ les
      fils d’Égyptos gagneront la guerre‚ le roi Pélasgos
      mourra au combat‚ Danaos‚ le vieux roi africain‚
      montera sur le trône d’Argos‚ et feignant de céder‚ il
      donnera ses filles en mariage à leurs ennemis. Mais la
      nuit de noces venue‚ chacune égorgera son chacun‚ à
      l’exception d’une seule qui préférera « être appelée
      lâche que sanguinaire ». Le couple survivant‚ amoureux‚
      héritera du trône d’Argos. C’est ce happy end
      sur fond de cadavres qui explique peut-être le seul
      passage conservé du reste de la trilogie‚ attribué à la
      déesse Aphrodite :
      Le ciel sacré veut pénétrer la terre
      Elle
      Prise de désir
      Attend son étreinte
      Il se couche sur elle
      Et du ciel tombe la pluie et engrosse la terre
      Pour les mortels
      Elle enfante
      Les prairies où paissent les troupeaux
      Les fruits de Déméter
      Et de leur étreinte humide
      Chaque printemps renaît la forêt
      De tout cela je suis la cause
      Le texte même des Exilées est objet de débats‚ des
      passages du manuscrit étant très corrompus : dans la
      scène entre l’éclaireur ennemi et les filles de Danaos
      ne surnagent que des mots épars et c’est comme si
      l’effondrement du texte mimait la panique ressentie
      et la violence de la scène. L’incertitude est grande aussi
      quant au final où le choeur paraît entrer en discussion‚
      et en contradiction‚ avec lui-même‚ peut-être pour
      annoncer l’heureux dénouement de la trilogie.
      Mais les incertitudes philologiques ne peuvent
      seules expliquer pourquoi la seule tragédie grecque
      ayant des femmes noires comme héroïnes est aussi
      l’une des plus méconnues et des moins jouées.
      Même si beaucoup de ses hypothèses sont sujettes
      à caution‚ on peut reconnaître à Martin Bernal et à sa
      Black Athena le mérite d’avoir rappelé l’idéologie
      raciste et coloniale des universités européennes aux
      xviiie et xixe siècles, au moment même où se constituaient
      les « sciences de l’Antiquité ». De la célébration
      des invasions doriennes au caractère « primitif » d’un
      chef-d’oeuvre d’Eschyle‚ la persistance diffuse de cette
      idéologie est d’autant plus grave qu’elle est inconsciente
      et invisible pour les non-spécialistes. Comment comprendre
      autrement que l’africanité du choeur‚ de Danaos‚
      de l’armée des fils d’Égyptos soit si souvent refoulée
      dans les traductions et les rares mises en scène de la
      pièce‚ alors que l’adjectif « noir » apparaît à plusieurs
      reprises et que Danaos‚ craignant un crime raciste‚
      exige une escorte pour entrer dans la ville ?
      Eschyle‚ qui avait déjà su faire parler les vaincus‚
      les barbares‚ les étrangers‚ dans Les Perses‚ confie
      le rôle principal à un choeur de femmes noires qui se
      défendent‚ argumentent‚ menacent‚ sans se laisser
      intimider ni par les conseils paternels (« parler haut
      ne convient pas aux inférieurs ») ni par les moqueries
      du roi d’Argos (« Vous vous pavanez avec des étoffes
      barbares / Des tissus dans les cheveux »).
      Un mariage forcé comme le refus de l’hospitalité
      sont‚ pour elles comme pour Eschyle‚ des impiétés
      qui mettront les dieux en colère :
      Comment serait pur
      Celui qui veut prendre une femme de force
      Contre son gré
      Celui qui fait cela
      Même mort et descendu chez Hadès
      Il sera encore accusé de crime
      Qu’importe les lois d’Égypte‚ puisqu’il s’agit d’une
      de ces « lois non écrites » voulues par les dieux. En
      lisant Eschyle‚ on comprend mal que les commentateurs
      de la pièce aient aussi consacré les trois quarts de leurs
      travaux à inventer les « vraies raisons » de la fuite des
      Danaïdes : rejet de la consanguinité‚ folie de naissance‚
      haine des hommes‚ complot de Danaos craignant un
      gendre assassin… Les hypothèses les plus fantasques
      ont été développées‚ sans qu’une seule ligne du texte
      ne vienne les soutenir‚ comme si le refus d’un mariage
      forcé et la crainte d’un viol n’étaient pas motifs suffisamment
      sérieux et qu’il fallait à toute force en trouver
      d’autres. Quand on compare Eschyle à certains de ses
      spécialistes‚ on s’interroge : qui notre contemporain‚
      qui à ranger au rayon des antiquités…

    • André Markowicz, le black face et le quant-à-soi de l’intelligentsia : Touraine Sereine
      http://tourainesereine.hautetfort.com/archive/2019/04/01/andre-markowicz-le-black-face-et-le-quant-a-soi-de-l-int

      Le blackface ? des dizaines de gens, à qui j’explique depuis plusieurs jours qu’il s’agissait d’une pratique courante dans les spectacles populaires français — au même titre que les publicités représentant des petits Africains se blanchir la peau grâce au savon des gentils Européens —, me rétorquent : « bah, on n’est pas aux Etats-Unis... »
      Bah oui, le racisme et la ségrégation, c’est Rosa Parks et Nelson Mandela. Ça n’a jamais existé chez nous.
      Ainsi, la manipulation à laquelle s’est livrée le metteur en scène Philippe Brunet, qui a tenté in extremis de remplacer par des masques plus conformes à l’esthétique antique le grimage racialiste et raciste d’actrices blanches, aura surtout montré la profonde inculture de l’intelligentsia française. On se sait de gauche, on s’est convaincu pour toujours de ne pas être raciste, et donc, même si des spécialistes de la question viennent vous rappeler que le grimage en noir, sur une scène théâtrale française, est une pratique analogue au black face, on dira que ce n’est pas vrai, que c’est de la censure.
      Notre pays n’a pas réglé sa dette vis-à-vis de son ancien Empire, ce qui permet notamment à la France de continuer à essorer ses anciennes colonies grâce au subterfuge scandaleux du franc CFA. C’est ce qui a permis à l’Etat français d’aider très efficacement au génocide rwandais en 1994. C’est ce qui permet aujourd’hui à tant d’universitaires et de gens de théâtre de s’asseoir sur l’histoire de la colonisation en taxant de « communautaristes » les opposants qui manifestent leur désapprobation quand un spectacle utilise une pratique indissociable d’un crime contre l’humanité.
      Et voilà comment des intellectuels, sans doute de bonne foi, se retrouvent, durant toute une semaine, à justifier le racisme institutionnel, aux cotés des Le Gallou et Zemmour dont ils se prétendent les adversaires.
      Cela me révolte et me révulse, mais cela n’a pas de quoi m’étonner : quoique je n’appartienne pas à une communauté racisée (ou que je ne fasse pas partie d’une minorité visible (aucune de ces formules ne me satisfait)), cela fait vingt-cinq ans que je travaille dans le domaine de la littérature africaine et que j’entends des collègues et des « intellectuels » tenir des propos d’un racisme souvent inconscient mais tout à fait audible. Il y a longtemps que des ami·es me demandent de raconter tout ce que j’ai entendu, mais ce serait le sujet d’une autre chronique.

    • Et encore...

      (1) Pièce d’Eschyle censurée : le contresens d’un antiracisme dévoyé - Libération
      https://www.liberation.fr/debats/2019/04/02/piece-d-eschyle-censuree-le-contresens-d-un-antiracisme-devoye_1718911

      Pièce d’Eschyle censurée : le contresens d’un antiracisme dévoyé
      Par Vigilance Universités

    • J’ai gardé le meilleur pour la fin

      TRIBUNE. Eschyle censuré : « l’UNEF est devenu un syndicat de talibans »
      https://www.nouvelobs.com/les-chroniques-de-pierre-jourde/20190409.OBS11306/tribune-eschyle-censure-l-unef-est-devenu-un-syndicat-de-talibans.html

      Totalitarisme de l’UNEF, qui réclame des camps de rééducation pour ces imbéciles de profs et d’employés universitaires, trop racistes, c’est bien connu, autrement dit la mise en place de « formations sur la question des oppressions systémiques ». Le crétin inculte veut toujours former plus intelligent que lui à son image.

      Je garde le meilleur pour la fin. La section de l’UNEF à la Sorbonne est dirigée par une femme voilée. L’obscurantisme religieux s’ajoute ici à l’obscurantisme culturel. N’oublions jamais que le voile est précisément exigé des femmes par des régimes religieux totalitaires qui leur refusent en même temps d’hériter, de conduire, de sortir seules d’avoir une vie libre et normale. Là-bas, on n’a pas le droit de ne pas le porter. Et les femmes qui cherchent à s’en libérer sont battues et fouettées, ou simplement agressées dans la rue, car une femme non voilée est une putain, bonne pour tout homme. Le voile en pays démocratique est une insulte à la lutte des femmes pour leur libération dans les pays où règne l’Islam le plus rétrograde. Le voile signifie que les cheveux de la femme sont impudiques. Que le corps de la femme est impudique car il risque de provoquer les hommes. On ne se contente pas toujours du voile, il faut que la femme soit entièrement empaquetée de noir jusqu’aux chevilles, et son visage même dissimulé. Ainsi elle n’agressera pas le désir des hommes (qui eux, bien sûr, sont libres d’aller tête nue). Voilée et inclusive à la fois ! Comprend qui peut.

      LIRE AUSSI > Comment peut-on être musulmane et féministe ?

      L’interdiction d’une grande pièce du répertoire antique est exigée par des étudiants à grands coups de fautes d’orthographe. L’égalité et le respect des Noirs sont défendus (hors de propos) par quelqu’un qui porte le signe de l’infériorité des femmes.

      Voilà où en est l’UNEF. Voilà où en sont les luttes étudiantes à la Sorbonne.

      #voile

    • Blackface : le Gouvernement et l’extrême droite sur la même ligne ? ‹ Le CRAN
      http://le-cran.fr/blackface-le-gouvernement-et-lextreme-droite-sur-la-meme-ligne

      « Nous soutenons les associations d’étudiant-e-s, qui demandent à ce qu’une rencontre soit organisée, entre le metteur en scène et le service culturel de la Sorbonne. Afin de s’assurer qu’il n’y aura plus de blackfaces et autres stéréotypes ou outils à connotations racistes, parmi les représentations soutenues ou accueillies par l’université », a déclaré Ghyslain Vedeux, le président du CRAN. M. Le chef du services culturel, mardi dernier (26 mars) a fait comprendre à des étudiants qu’il ne souhaitait pas s’entretenir avec eux. M. Riester et Mme Vidal apportent pourtant leur soutient, tout comme…l’extrême droite. C’est un signal inquiétant qui ne laisse aucun doute car certaines scènes, jouées en l’état, consciemment ou inconsciemment, renvoient à des représentations afrophobes et racistes », a poursuivi le président du CRAN.

      LIRE : Communique-final Réponse des Étudiantes et Étudiants de Sorbonne

      En effet, dans la même journée, plusieurs sites ultra comme « Résistance républicaine » avaient également apporté leur soutien embarrassant à Philippe Brunet. Et face à Louis-Georges Tin, président d’honneur du CRAN, Jean-Yves Le Gallou (ancien membre du FN, théoricien ayant élaboré le concept de « préférence nationale », et proche d’Henry de Lesquen), a affirmé qu’il rejoignait « les ministres macronistes ».

      #blackface #noirs #colonial

    • Blackface : le gouvernement « condamne fermement » l’annulation de la pièce Les Suppliantes - Le Figaro Etudiant
      https://etudiant.lefigaro.fr/article/a-sorbonne-universite-une-piece-de-theatre-antique-annulee-a-cause

      Dans un communiqué, la ministre de l’Enseignement supérieur Frédérique Vidal et le ministre de la Cuture Franck Riester estiment qu’il s’agit d’une « atteinte sans précédent à la liberté d’expression et de création dans l’espace universitaire ». Ils font part de leur soutien à l’université ainsi qu’au metteur en scène et aux comédiens. Une nouvelle représentation des Suppliantes sera organisée « dans les prochaines semaines et dans de meilleures conditions » au sein du grand amphithéâtre de la Sorbonne, ont-ils également annoncé.

      #Racisme_d'Etat

    • (2) Ligue de défense noire africaine - Accueil
      https://www.facebook.com/liguededefensenoirafricainefrance

      Pour nous La LDNA le problème n’est ni Eschyle ni les Suppliantes mais le metteur en scène qui sous couvert d’antiracisme voulait grimer ses actrices en femmes noires ; puis suite à nos protestations souhaitait leur faire porter des caricatures de masques totémiques qui n’avaient de remarquables que leur laideur !
      Les vraies questions de notre action sur La Sorbonne et la pièce d’Eschyle sont :
      1) pourquoi le metteur en scène a-t-il choisit que les solutions qui outrageaient ?
      2) Pourquoi n’a-t-il pas recruté des actrices noires ?
      3) Pourquoi n’a t il pas utilisé de jolis masques stylisés ?

    • J’avoue ma perplexité devant ce dernier lien et cette remarque sur la joliesse des masques. C’est quoi des « jolis masques stylisés » ?
      Pour cette troupe de théatre de la sorbonne il me semble que c’est des étudiantes qui jouent, en amatrice·urs au sein de leur fac. sachant ceci je ne voie pas comment recruté 50 femmes noires. Est-ce qu’il faut interdire cette pièce pour toutes les compagnies de théâtre qui ne disposent pas de 50 femmes noires ?

    • Pour les masques : ceux envisagés pour le spectacle n’avaient rien à voir avec des masques antiques (à mon sens, ils ressortaient plutôt du style « Y a bon banania », mais comme je n’ai jamais compris comment on collait une image sur seenthis, je ne peux pas le prouver...). Effectivement, des masques absolument abstraits genre Bauhaus / Oskar Schlemmer ou des copies des masques grecs de l’antiquité n’auraient pas provoqué ces réactions. Là, selon l’aveu du metteur en scène lui-même, il s’agissait « d’exagérer les traits du visage ». Quand un metteur en scène blanc avec des actrices blanches décident de représenter des Africaines à l’aide de masques « accentuant les traits du visage », on peut être inquiet du résultat...

      Personne n’a besoin de 50 femmes pour jouer Les Suppliantes - il peut y en avoir deux ou trois, aucune importance, ou 12, comme dans l’Antiquité. C’est du théâtre, pas une reconstitution exacte de la mythologie grecque pour la télé. Il y a beaucoup de débats ces dernières années sur l’invisibilisation des personnes racisées sur les scènes de théâtre - comme le metteur en scène a voulu faire cette pièce, comme il le dit, pour parler du racisme, de l’identité, etc (c’est l’histoire de demandeuses d’asile africaines en Grèce, pour résumer à l’extrême), c’est étrange qu’il n’ait pas songé à trouver 2 ou 3 étudiantes noires à la Sorbonne. Mais admettons qu’il n’y ait aucune étudiante noire à la Sorbonne. La pièce a été mise en scène récemment par Gwenaël Morin à Lyon avec de jeunes comédiennes de toutes les origines, et par Jean-Pierre Vincent avec des amatrices des quartiers de Marseille, et ça n’a suscité aucune protestation parce que personne n’était « grimé en noir ».

    • D’autres photos circulent sur twitter, vraiment pires. Apparemment il y a eu passage d’une version « grimée » l’an passé à une version « masquée » (cette année).

    • Blackface à la Sorbonne : victoire du CRAN et de ses partenaires ‹ Le CRAN
      http://le-cran.fr/blackface-a-la-sorbonne-victoire-du-cran-et-de-ses-partenaires

      A la suite de ce boycott lancé le 21 mars dernier par le CRAN et repris par ses partenaires, les étudiants ont interpellé Philippe Brunet, le metteur en scène de la pièce. Dans un premier temps, il a proposé de faire jouer les scènes concernées avec « un masque noir ». En s’appuyant sur le travail du CRAN (voir site internet www.stopblackface.fr), les étudiants ont aisément démontré que cela ne réglait pas le problème tant les masques restaient grossiers, perpétuant les stéréotypes afrophobes et racistes.

      Puis, dans une seconde tentative peu convaincante, Philippe Brunet s’est hasardé à proposer que la pièce soit jouée avec… « des masques dorés ». Ne se laissant pas amadouer, les étudiants ont demandé à voir ces fameux « masques dorés » ; Philippe Brunet fut bien en peine de leur montrer les objets en question, et finalement, il dut se résoudre à annuler cette représentation.

      « Après notre appel au boycott du 21 mars, relayé par les étudiants et les associations de la Sorbonne, nous avons été entendus. A présent, avec nos partenaires, nous souhaitons que se tienne très bientôt un colloque sur l’histoire du Blackface en présence de ce metteur en scène, de la direction du centre culturel et du doyen de cette université. Ce sera une sorte de réparation », a conclu Ghyslain Vedeux, le président du CRAN.

    • Il y a quelques photos sur le tweet de Rokhaya Diallo

      dont la première datée de 2017

      également ceci au Figaro


      Pour éviter de se grimer en noirs, les comédiens avaient proposé de porter des masques de couleurs.
      Crédits photo : Culture-sorbonne

      (note : le site du Point fonctionne (plus ou moins…))
      EDIT : je vois que tu as essayé de poster cette même image. Tu as mis l’adresse du tweet (ce qui permet de la retrouver), pour avoir l’image il faut l’adresse… de l’image que tu obtiens par un clic droit sur celle-ci.

    • Quel rapport entre la direction de Paris IV et la culture populaire américaine, je voudrais bien le savoir...(pardon, je parle toute seule)

      A propos du « blackface » : politique, mémoire et histoire. – Le populaire dans tous ses états
      https://noiriel.wordpress.com/2019/03/31/a-propos-du-blackface-politique-memoire-et-histoire

      Or les travaux historiques qui ont été publiés récemment sur le blackface montrent que ces spectacles ont toujours été « ambigus ». Pour illustrer ce point, je m’appuierai sur des écrits publiés par des auteurs qu’on ne peut pas soupçonner de la moindre complaisance à l’égard du racisme. Il s’agit du livre de l’historien américain William T. Lhamon, Raising Caïn. Blackface performance from Jim Crow to Hip-Hop, publié par Harvard University Press en 1998. Il a été traduit en français sous le titre Peaux blanches, masques noirs. Performances du blackface de Jim Crow à Michael Jackson, édition Kargo et L’Eclat, 2008, avec une préface du philosophe Jacques Rancière.

      Il est regrettable, mais logique (vu la position hégémonique qu’occupent aujourd’hui dans le champ intellectuel les identitaires de tous poils) que ce très beau livre n’ait pas rencontré plus d’écho dans notre espace public. Dans sa préface, Jacques Rancière a clairement indiqué les raisons pour lesquelles cet ouvrage était important. Les spectacles en blackface, concoctés au début du XIXe siècle par des comédiens blancs grimés en noir dans de petits théâtres populaires new-yorkais, étaient typiques d’une « culture sans propriété ». William Lhamon la définit en réhabilitant un vieux mot anglais : « lore », terme qu’il détache du terme « folk-lore », lequel s’est imposé par la suite pour assigner une culture à un peuple. Rancière enfonce le clou en soulignant qu’une culture n’est la propriété d’aucun groupe ethnique, car elle est « toute entière affaire de circulation ». La circulation d’une pratique culturelle permet non seulement de la faire partager à d’autres publics, mais elle aboutit toujours aussi à des formes d’appropriations multiples et contradictoires. Ce qui fut le cas au début du XIXe siècle, car le public qui assistait à ces représentations était composé d’esclaves et d’ouvriers (blancs et noirs) de toutes origines.

      Pourtant, dès le départ, le spectacle blackface « a fait l’unanimité de tous les bien pensants » contre lui, ajoute Rancière, résumant l’une des thèses centrales du livre. Non seulement les bourgeois cultivés le rejetaient car ils le trouvaient trop vulgaire, mais il était dénoncé également par les antiracistes de l’époque. « Les champions de l’émancipation des Noirs comme Frederick Douglass, relayés plus tard par la tradition de gauche, dénonçant cette appropriation des chants et danses du peuple noir, transformés en caricatures racistes d’un peuple enfoncé dans sa minorité. C’est récemment seulement que les historiens du blackface ont commencé à complexifier cette vision du spectacle de ménestrels comme une caricature issue du Sud esclavagiste donnée par des Blancs pour conforter le racisme de leurs semblables ».

    • Des masques derrière lesquels le racisme ne peut se cacher, de l’art derrière lequel le racisme ne peut se cacher... Le racisme ne peut se cacher, il s’exprime et se subit, c’est tout.
      Je pense aussi à ça :
      https://seenthis.net/messages/772108
      L’"artiste" a déclaré ne pas vouloir se justifier et a fait le lien avec les « Suppliantes ».
      https://france3-regions.francetvinfo.fr/occitanie/herault/sete/accuse-racisme-artiste-setois-herve-di-rosa-reagit-vive

    • À noter car @cie813 est trop modeste sa traduction s’intitule “Les Exilées” (aux éditions Solitaires intempestifs, 2013)
      https://www.solitairesintempestifs.com/livres/467-les-exilees-9782846813.html

      Les Exilées, Les Suppliantes sont à vrai dire le même texte d’Eschyle. Irène Bonnaud, metteur en scène et traductrice l’a revisité en le rattachant à l’histoire immédiate de l’Europe vis-à-vis des migrants du sud et en prenant comme texte d’origine le point de vue des femmes. Aujourd’hui, un migrant vient forcément du sud. C’est la tragique loi du système économique mondialisé qui ne cesse de déposer des corps épuisés, échoués après une traversée indicible de malheurs.

      Un extrait et une belle carte chez @vacarme
      https://vacarme.org/article2240.html

    • Oui, ça vient de @reka, bien sûr (je ne comprends pas que Vacarme ne l’ait pas crédité, c’est bizarre - il doit l’être dans la version papier, enfin j’espère). C’est le parcours de Io pourchassée par le taon, la ligne en pointillée c’est le trajet de ses descendantes, les héroïnes des « Suppliantes », qui viennent demander l’asile à Argos, royaume d’origine de leur arrière-arrière grand-mère.
      Mais arrivée dans le delta du Nil, la princesse grecque Io a mis au monde l’enfant de Zeus, Epaphos, qui est noir et fonde les dynasties africaines (d’où la polémique qui nous occupe).

      Eschyle dans « Prométhée enchaîné » (ma traduction aux Solitaires Intempestifs - comme @fil a commencé à faire de la pub, je continue) :

      Il est une cité
      Canope
      Qui se dresse au bout de la terre d’Égypte
      Sur un talus formé d’alluvions du Nil
      Là Zeus te caressera
      Doucement
      Sans te faire peur
      Le geste de sa main te rendra la raison
      Et ce même geste
      Sans étreinte
      Te fécondera
      Tu mettras au monde un fils au visage noir
      Épaphos
      L’enfant-né-d’une-caresse
      Il régnera sur les terres qu’arrose le Nil au large cours

      Eschyle dans « Les Suppliantes / Les Exilées » :

      Choeur.

      Mon récit sera bref
      Mes paroles claires
      Nous sommes d’Argos
      Nous descendons d’une génisse qui enfanta des rois
      C’est la vérité
      Nous pouvons le prouver

      Roi d’Argos.

      Comment vous croire
      Étrangères
      Comment pourriez-vous être d’Argos
      Vous ressemblez à des Libyennes
      Pas aux femmes de ce pays
      Le Nil nourrit des plantes dans votre genre
      Vos traits rappellent aussi les statues de femmes
      Que des sculpteurs fabriquent sur l’île de Chypre
      Et on raconte des histoires sur des Indiennes nomades
      Elles font attacher des selles à dossier sur des chameaux
      S’y prélassent en avançant aussi vite qu’à cheval
      Et se promènent ainsi jusqu’aux villes d’Éthiopie
      Le pays au visage brûlé par le soleil
      Si vous aviez des arcs et des flèches
      Je pourrais vous prendre pour des Amazones
      Les femmes sans hommes
      Mangeuses de chair crue
      Mais instruisez-moi
      Comment votre famille pourrait être d’Argos

      Choeur.
      Tu as entendu parler de Io
      Une jeune fille qui officiait au temple d’Héra
      Ici à Argos

      Roi d’Argos.
      Il y a beaucoup d’histoires à son sujet

      Choeur.
      On raconte que Zeus coucha avec elle

      Roi d’Argos.
      Et qu’Héra les surprit en pleine étreinte

      Choeur.
      Dispute chez les rois de l’Olympe
      Tu sais comment elle finit

      Roi d’Argos.
      La déesse transforma la jeune femme en génisse

      Choeur.
      Mais Zeus retourna la voir
      Elle avait de belles cornes

      Roi d’Argos.
      On le dit
      Zeus prit la forme d’un taureau saillisseur

      Choeur.
      Que fit alors son épouse
      Ivre de fureur

      Roi d’Argos.
      Pour surveiller la génisse
      Elle trouva un gardien aux yeux innombrables

      Choeur.
      Ce bouvier qui pouvait tout voir

      Roi d’Argos.
      S’appelait Argos car il était né de cette terre
      Mais Hermès le tua

      Choeur.
      Quelle torture inventa Héra contre la pauvre génisse

      Roi d’Argos.
      Une mouche qui la poursuivait sans cesse

      Choeur.
      Au bord du Nil
      On l’appelle un taon

      Roi d’Argos.
      Il la chassa d’ici
      L’entraîna dans une longue errance

      Choeur.
      On nous a raconté la même histoire

      Roi d’Argos.
      Enfin elle arriva en Égypte
      À Canope ou à Memphis

      Choeur.
      Et Zeus la caressa
      De sa main il engendra un enfant

      Roi d’Argos.
      Qui était-ce
      Ce fils d’un dieu et d’une génisse

      Choeur.
      Épaphos
      L’enfant né d’une caresse
      Le nom est bien trouvé
      D’Épaphos est née Libye
      Reine de l’Afrique
      Le plus grand des continents

    • Tiens, Lundi AM s’aligne sur les positions de Marianne, on aura tout vu...(le texte n’a pas l’air signé, mais ça doit être un ami d’"Hervé" puisqu’il l’appelle par son prénom)

      Polémique autour d’une représentation des Suppliantes d’Eschyle
      https://lundi.am/Polemique-autour-d-une-representation-des-Suppliantes-d-Eschyle

      Pour ce qui concerne les accusations de perpétuer les représentations associées à l’esclavage et au colonialisme, la polémique la plus célèbre, avant celles concernant la mise en scène des Suppliantes et la toile d’Hervé, était celle dont Brett Bailey, metteur en scène d’Exhibit B, fut la cible, des associations tentant même d’obtenir l’interdiction de l’œuvre en justice.

    • Je perds patience (pourquoi j’ai commencé à archiver ces trucs, je me demande)

      « Quand ils s’en prennent à la création, les anti- “blackfaces” tombent souvent dans le contresens, historique comme esthétique »
      https://www.lemonde.fr/idees/article/2019/03/29/quand-ils-s-en-prennent-a-la-creation-les-anti-blackfaces-tombent-souvent-da

      Comment qualifier ce qui s’est passé, lundi 25 mars, à la Sorbonne ? De grotesque ? D’affligeant ? D’inquiétant ? Des étudiants et des militants de la cause noire ont empêché par la force la tenue d’une pièce d’Eschyle, Les Suppliantes, au motif que des acteurs blancs portaient des masques sombres ou étaient grimés de noir. Le metteur en scène de la pièce entendait user d’un artifice ancré dans la tragédie grecque, mais aussi rendre hommage à l’influence de l’Afrique dans la Grèce antique. Mais pour les censeurs, ce blackface est raciste.
      Lire aussi A la Sorbonne, la guerre du « blackface » gagne la tragédie grecque
      Certains diront que ce n’est pas bien méchant, que c’était un spectacle confidentiel. C’est très grave. Pour de multiples raisons. La pièce devait se jouer dans la plus ancienne université française, un emblème de la Nation. Son metteur en scène, Philippe Brunet, est un helléniste respecté – il a essuyé des injures. Et puis cette entrave à la liberté de création n’a pas vraiment fait réagir les milieux culturels, pourtant épidermiques sur le sujet. Il a fallu près de deux jours, et des articles dans la presse, pour que les ministères de la culture et de l’enseignement supérieur publient un communiqué navré, promettant que la pièce se tiendra dans les semaines à venir.
      « Coup » prévisible 
      En fait les milieux culturels sont tétanisés. Ils font corps quand se dresse une censure venant de l’Etat, des cercles d’extrême droite ou catholiques. Mais là, leurs ennemis pourraient être leurs amis. Depuis quelques années, des communautés en France – ici des Noirs – adoptent une posture victimaire, estimant que l’Occident, par nature raciste, n’est pas légitime pour écrire leur histoire, passée et actuelle, et fustigent tout signe d’appropriation culturelle, qu’elle soit vernaculaire ou venant d’artistes blancs et dominants

    • Il ne manquait plus que lui pour notre série : "les bons anti-racistes sont les anti-racistes blancs, les autres sont des sauvages incultes"

      (20+) Eschyle, le « blackface » et la censure - Libération
      https://www.liberation.fr/politiques/2019/04/15/eschyle-le-blackface-et-la-censure_1721447

      Le metteur en scène, Philippe Brunet, proteste de ses convictions ouvertes et égalitaires. Mais c’est un individu éminemment louche puisqu’il est animé de valeurs humanistes et travaille depuis des lustres sur la langue grecque ancienne, cherchant à mettre en lumière – et à réhabiliter – les influences africaines sur la culture grecque de l’Antiquité. Un raciste qui s’ignore, donc, qui a eu la criminelle idée de rappeler que les « Suppliantes » avaient sans doute la peau cuivrée et qu’il a envisagé de leur brunir le visage avec un onguent, avant d’opter pour des masques de cuivre.

      #désinformation #fakenews

    • #merci @christopheld !

      @cie813, c’est effectivement assez désespérant mais la compilation est importante. D’ailleurs, il s’agit de
      • Michel Guerrin, rédacteur en chef au Monde (avec un #paywall)
      • Laurent Joffrin, directeur de la publication de Libération

      Par moment, je ne peux m’empêcher de comparer à la période de recomposition de l’échiquier politique des années 30, où la droite comme la gauche a eu à se situer vis-à-vis des fascismes mussolinien et hitlérien en démarrant des trajectoires qui ont débouché sur les attitudes pendant l’occupation. Aujourd’hui, c’est autour de l’islamophobie et de cette attaque de l’antiracisme que se recomposent droite et gauche. Quel en sera l’aboutissement ? Question plutôt angoissante…

      et donc #merci, @cie813

    • La présentation en partie fausse et lourdement orientée de France Culture (qui ne sait pas orthographier Libye par ailleurs)

      « Les Suppliantes » et le blackface : les nouvelles censures au théâtre
      https://www.franceculture.fr/emissions/signes-des-temps/les-nouvelles-censures-au-theatre


      Lundi 25 mars, la pièce d’Eschyle, Les Suppliantes montée par la compagnie Démodocos et programmée dans l’amphithéâtre Richelieu, à la Sorbonne, a été empêchée de jouer par une cinquantaine de militants de la Ligue de défense noire africaine (LDNA), de la Brigade anti-négrophobie, et du Conseil représentatif des associations noires (Cran), accusant la mise en scène de racisme. Motif : la pièce met en scène le peuple des Danaïdes venu d’Egypte et de Lybie demander asile aux Grecs de la ville d’Argos, les acteurs ont couvert leur visage d’un maquillage par-dessus lequel ils se sont couverts de masques cuivrés et non pas noirs, comme cela se faisait dans la Grèce antique. Cela a suffi pour que les militants crient au « blackface », du nom de ce genre de maquillage théâtral américain du 19ème siècle ou des acteurs blancs se maquillaient pour caricaturer les noirs, et décident d’agir.

      « C’est un procès d’intention et un contresens total », a aussitôt dénoncé la présidence de l’université. « Une partie de la troupe a été séquestrée par des excités venus là pour en découdre », a accusé, de son côté, le metteur en scène et directeur de la compagnie Philippe Brunet, qui dénonce par ailleurs des pressions physiques de la part des militants de la Ligue de défense noire et du Cran sur des actrices en larmes et envisage de porter plainte. Neuf mois après les débats provoqués notamment dans cette émission par les attaques contre la pièce du Canadien Robert Lepage Kanata accusée de racisme, voici que la polémique fait retour sur un nouveau cas de censure et de violence au théâtre.

    • Ah un texte intéressant sur cette affaire, et de quelqu’un qui a vraiment lu la pièce, contrairement à nos républicains qui veulent sauver la culture (et c’est écrit par une universitaire américaine, spécialiste en « gender studies » !)

      Classics at the Intersections : The (Black)Faces of Aeschylus’ Suppliants
      https://rfkclassics.blogspot.com/2019/03/the-blackfaces-of-aeschylus-suppliants.html

      Over the last two weeks, I’ve given a series of talks on Aeschylus’ play and asked myself the question of whether in its original context it was a play about welcoming refugees or about the benefits of the Athenian empire (and so ’colonialist propaganda), or if it was really about the threat and danger of immigrants to Athens. Because audiences aren’t monolithic, I think it probably can legitimately be interpreted as all three, depending on who is in your audience.

      I’ve been trying to think of the play within the context of Athens’ descent in the 460s and 450s into anti-immigrant policies and strict monitoring of citizenship. The play was performed around 463 BCE, around the time that the new category of ’metic’ (translated as ’immigrant’ or ’resident foreigner’) was created and only a decade before Athens began racializing its citizenship with the passage of the law requiring double Athenian parentage for citizenship and emphasizing its autochthonous birth.

      #colonialisme #métèques #migrants #blackface

    • Bon, c’est l’UNI (mais ce qui est inquiétant, c’est le nombre de gens qui s’alignent sur ces délires désormais)

      L’indifférence de militants de l’Unef devant Notre-Dame, ou le vrai visage des enfants de Bourdieu
      http://www.lefigaro.fr/vox/politique/l-indifference-de-militants-de-l-unef-devant-notre-dame-ou-le-vrai-visage-d

      C’est sous l’influence de cette idéologie que le syndicat défend désormais les séminaires en non-mixité, fait interdire la pièce de théâtre, les Suppliantes d’Eschyle, en se basant sur les concepts décolonialistes de « blackface » et « d’appropriation culturelle », ou encore lance une vaste campagne sur les campus français pour dénoncer « une société organisée pour les blanc.he.s » et « les programmes d’histoire occidentaux-centrés ».

    • « Masques cuivrés », « interdire », « une pièce d’Eschyle » - au concours du plus grand nombre de fake news au centimètre carré, la gagnante est...

      NOTRE-DAME ET LE BRASIER IDENTITAIRE – Caroline Fourest
      https://carolinefourest.wordpress.com/2019/04/25/notre-dame-et-le-brasier-identitaire

      Décidément, les membres de l’Unef méritent leur nouvelle réputation de talibans en culottes courtes. Quand il ne soutient pas le « hijab day » à Sciences-Po, le syndicat se bat pour faire interdire une pièce d’Eschyle à la Sorbonne parce que mettre des masques cuivrés pour raconter la tragédie des migrants – en l’occurrence des Danaïdes – serait un blackface ! Pire que les hébertistes qui brisaient les icônes pendant la Révolution, les iconoclastes d’aujourd’hui sont bigots quand il s’agit de religion et analphabètes quand il s’agit de culture. Exactement comme les identitaires racistes qu’ils dénoncent, mais à qui ils ressemblent comme des frères jumeaux sous un autre masque. A les lire, ce n’est pas seulement notre patrimoine et notre idéal universel qu’il faut protéger de leurs incendies, mais toute une culture politique qu’il faut rebâtir.

    • Pour dire la même chose, on peut compter sur Eugénie Bastié pour Le Figaro/Vox (avec #paywall : si quelqu’un l’a en entier ?)

      Pièce de théâtre interdite, Finkielkraut insulté  : ce sectarisme qui monte à l’université
      http://www.lefigaro.fr/vox/societe/eschyle-interdit-finkielkraut-insulte-sectarisme-a-l-universite-20190424

      Pièce de théâtre interdite, Finkielkraut insulté : ce sectarisme qui monte à l’université

    • Sylvie Chalaye, pédagogue

      Eschyle à la Sorbonne : pourquoi condamner le blackface ? | Africultures
      http://africultures.com/eschyle-a-la-sorbonne-pourquoi-condamner-le-blackface

      Les pratiques anciennes ne sont pas automatiquement légitimes. On doit pouvoir les reconsidérer à la lumière des expériences que l’humanité a traversées depuis cette époque. La traite, l’esclavage, la colonisation… sont passés par là. Ne pas reconnaître l’humiliation qui fait résurgence dans certains gestes dont on ne sait pas la portée et qui touchent les afrodescendants est un manque d’humilité dommageable.

    • « Blackface » ou le théâtre de la question raciale - Libération
      https://www.liberation.fr/debats/2019/05/06/blackface-ou-le-theatre-de-la-question-raciale_1725284

      Pourtant, cette conception de l’autorité créatrice qui fixe le sens de l’œuvre n’a-t-elle pas été remise en cause par la théorie littéraire depuis cinquante ans ? En 1968, Roland Barthes s’attaque à la critique qui « se donne pour tâche importante de découvrir l’Auteur (ou ses hypostases : la société, l’histoire, la psyché, la liberté) sous l’œuvre » ; il lui oppose l’écriture. Et de conclure : « La naissance du lecteur doit se payer de la mort de l’Auteur. » L’année suivante, Michel Foucault prolongera cette analyse de la « fonction-auteur », qui « est la figure idéologique par laquelle on conjure la prolifération du sens ».

      Pour trancher les conflits d’interprétation, on revient aujourd’hui à l’autorité du metteur en scène, relais de l’auteur. Pourquoi ce retour porte-t-il sur la question raciale ? C’est en réaction à l’évolution de nos conceptions du racisme et de l’antiracisme. Dans les années 80, la montée du FN pouvait s’interpréter selon une définition idéologique du racisme. Mais, à partir des années 90, la prise de conscience des discriminations systémiques amène à penser un racisme structurel. Il n’est plus possible de réduire le racisme à la seule intention ; à partir de ses conséquences, on appréhende le racisme en effet.

      Dès lors, la question n’est plus uniquement de savoir si tel ou telle, au fond, est raciste ; on considère les choses du point de vue des personnes dites « racisées », car assignées à leur couleur ou leur origine par des logiques de racialisation qui dépassent les intentions et idéologies, bonnes ou mauvaises. Pour combattre les violences de genre, on a fini par l’accepter, mieux vaut se placer dans la perspective des victimes. On commence à le comprendre, il en va de même du racisme : l’intention n’est pas tout.

    • Pour une liberté de création partagée par tous – sur l’affaire des Suppliantes | AOC media - Analyse Opinion Critique
      https://aoc.media/opinion/2019/05/03/liberte-de-creation-partagee-laffaire-suppliantes

      THÉÂTRE
      Pour une liberté de création partagée par tous – sur l’affaire des Suppliantes
      Par Bérénice Hamidi-Kim

      SOCIOLOGUE DU THÉÂTRE
      Fin mars à la Sorbonne, des manifestants ont interrompu une représentation des Suppliantes d’Eschyle. En soutien au metteur en scène, l’helléniste Philippe Brunet, de nombreux artistes et intellectuels ont, à l’initiative du Théâtre du Soleil, co-signé une tribune récusant les accusations de blackface. Et si l’on en profitait pour amorcer un débat dans lequel il serait possible d’imaginer davantage que deux points de vue qui s’affrontent ?
      Qu’est-ce qui a eu lieu le 25 mars 2019 à Paris ? « Les faits sont connus », présuppose d’emblée la tribune intitulée « Pour Eschyle » initiée par le théâtre du Soleil, qui parle de « censure » et d’« agression grave », après l’interruption par des manifestants d’une mise en scène des Suppliantes à la Sorbonne. Mais le sont-ils vraiment ? On peut en douter, tant les faits sont en l’occurrence pris à parti pour servir de preuve et d’arme dans un conflit qui oppose, avec une violence assez spectaculaire, deux camps. Et justement, la présentation et la mise en récit des événements joue un rôle décisif pour chacun de ces camps, qui s’en sert pour asseoir la légitimité de sa position et pour qualifier ou plutôt disqualifier le camp adverse. Politique, le conflit est aussi un conflit de valeurs et un conflit de légitimité qui se joue également sous la forme d’un conflit de narrations. Comme au théâtre, justement, le sens découle de la manière de cadrer l’action, de distribuer les rôles, de raconter l’histoire, ou ici, l’Histoire.

      Pour le Soleil et ses soutiens, l’affaire est simple et la cause est entendue. L’événement qui a eu lieu ce jour-là consiste dans l’interruption d’une représentation d’un projet théâtral innocent et même bien intentionné sur les questions raciales : la mise en scène par l’helléniste Philippe Brunet des Suppliantes d’Eschyle, dans le cadre d’un atelier de théâtre antique soucieux de restituer la part méditerranéenne et africaine de l’auguste civilisation grecque et de son théâtre. Et cette agression est doublement brutale, parce qu’elle a recouru à la force physique et parce qu’elle aurait eu lieu sans sommation.

      Au contraire, pour ceux qui se sont opposés au spectacle, et parmi eux ceux qui ont assumé de vouloir empêcher la bonne tenue de la représentation, cette opposition se justifie par le refus de dialoguer dont aurait fait preuve le metteur en scène depuis… un an. Car tout ne se superpose pas de manière aussi simple et binaire que la tribune tend à le faire croire, et les moyens d’action ont fait débat au sein du camp des opposants. L’opposition se justifie aussi par le refus catégorique du metteur en scène d’accréditer leur qualification de son geste artistique : un blackface. Comprendre : que des personnes blanches se maquillent le visage en noir pour caricaturer des personnes noires, les diaboliser ou les tourner en dérision, en tout cas les déshumaniser.

      Pour le Soleil, il ne s’agit pas de blackface pour deux raisons. La première raison est que la mise en scène recourt à des masques – à quoi les opposants rétorquent que dans une première étape de la création, celle qui avait mis (discrètement alors) le feu aux poudres, il s’agissait uniquement de maquillage. Ce n’est de fait que dans un second temps que le metteur en scène a ajouté le port de masques noirs et cuivrés (ornés, en guise de cheveux, d’extensions capillaires de couleur noire) ce qui, pensait-il, était de nature à apaiser les choses. La seconde raison est que le blackface ne serait pas affaire de geste mais d’intention. D’où l’idée, que l’on retrouve dans plusieurs autres textes de soutien à Philippe Brunet, que les opposants feraient un « contresens » total sur le texte d’Eschyle et sur le projet du metteur en scène.

      L’opposition serait donc aussi entre personnes dotées de capacités d’intellection et de culture, et personnes incultes. Pourtant, comme les opposants, le Parlement Européen choisit de ne pas considérer l’intention et de s’en tenir au geste, quand il déclare que « la pratique consistant à se noircir le visage perpétue des idées préconçues bien ancrées au sujet des personnes d’ascendance africaine, et peut ainsi exacerber les discriminations », et manifeste « la persistance de stéréotypes discriminatoires ». Pourquoi ? A cause de ce fait historique qui est que « les injustices à l’égard des Africains et des personnes d’ascendance africaine qui ont jalonné l’histoire, comme la réduction en esclavage, le travail forcé, la ségrégation raciale, les massacres et les génocides qui se sont produits dans le contexte du colonialisme européen et de la traite transatlantique des esclaves, sont très peu reconnues et prises en compte par les institutions des Etats membres ».

      C’est donc à ces institutions – et donc notamment aux institutions culturelles – que le Parlement européen en appelle quand il « invite les Etats membres à dénoncer et à décourager le maintien de traditions racistes et afrophobes ». Un texte émanant des institutions politiques européennes, écrit au nom des valeurs démocratiques, et qui condamne l’usage du blackface quelles que soient les intentions de qui y recourt… voilà qui pourrait ébranler quelques certitudes quant à la simplicité axiologique de la répartition des camps. Avec ce texte, les élus politiques cherchent à agir sur le cours de l’histoire, car c’est à cela aussi que peuvent servir les politiques publiques. Et pour cela, elles s’appuient souvent, faut-il le rappeler, sur les luttes menées auparavant par les mouvements d’émancipation : mouvement ouvrier, suffragettes, Front Populaire, mouvement des droits civiques etc… sans ces luttes et les femmes et les hommes qui se sont battus parfois au péril de leurs vies, pas de droit du travail, pas de droit de vote des femmes, pas de décolonisation, pas de politiques de lutte contre les discriminations, pas d’actualisation des valeurs démocratiques.

      Bref, c’est peu dire que toute cette affaire est complexe. Il faudrait donc prendre le temps d’investiguer les faits, les concepts (blackface[1], mais aussi appropriation culturelle, censure, boycott, liberté de création/d’expression) et plus largement, les formes qu’a pris ce conflit de narration et de légitimité, ce qu’il révèle, et ce qu’il cache. Pour l’heure, je voudrais m’attacher précisément à la tribune rédigée par le Soleil. Pourquoi ? Elle a rassemblé un nombre impressionnant de signataires, artistes et universitaires dont la liste produit un effet de légitimité incontestable – même si une des particularités notables de cette tribune est que parmi les signataires se côtoient des gens qui ont à dire vrai peu de raisons de se rassembler, tant ils tiennent sur les questions brûlantes des discriminations – du racisme, du sexisme et de l’homophobie – des positions divergentes. Serait-ce justement le signe que « l’affaire est grave » et mérite donc un front uni, en l’occurrence un front démocratique et républicain ? Face à quoi ?

      Revendiquant de parler « pour », la tribune est de fait surtout écrite contre. Un premier trouble vient de l’omniprésence d’une rhétorique que le texte dit dénoncer mais qu’il reprend à son compte. « Vocabulaire digne d’un tribunal ecclésiastique médiéval », « juges autoproclamés du Bien et du Mal » : le texte érige comme menace principale sur la démocratie l’intégrisme, mêlant l’intégrisme religieux (le texte cite les mouvements catholiques ayant demandé l’interdiction du spectacle de Castellucci mais parle aussi de « fatwa ») ou l’intégrisme politique, qui serait à l’œuvre ici, au motif que la « logique identitaire » serait « la même » – ce qui reste à démontrer. Il agite aussi en toile de fond d’autres repoussoirs, certains venus du passé : le stalinisme (« commissaire politique ») voire le nazisme (« autodafés »), et un autre qui serait propre à notre présent, « le catéchisme de la société prétendument « inclusive », qui en réalité fixe et cloître chacun dans une « identité » d’appartenance et dicte aux uns et aux autres la place qu’ils ne doivent pas quitter ».

      Dire que le camp d’en face est celui des barbares – littéralement, ceux qui ne comprennent pas notre langue ou celle d’Eschyle, mais aussi, ceux qui sont des « autres », des étrangers aux valeurs de « notre » communauté, n’est-ce pas une façon bien commode de se mettre dans le camp du bien ? Et une façon bien problématique de binariser les oppositions : démocrates contre barbares, esprits des lumières contre obscurantistes, universalistes contre identitaires, laïques contre intégristes, cultivés contre ignares, Printemps républicain contre Parti des Indigènes de la République… nous contre eux…

      Ce qui m’a gênée dans cette tribune, c’est qu’elle m’a semblé faire exactement ce qu’elle dénonce, usant du ton d’un tribunal, condamnant sans souci des faits, et sans même accorder aux accusés un procès équitable. C’est également le fait que ceux qui ont initié la tribune m’ont semblé pour tout dire juge et partie, le spectacle Kanata mis en scène par Robert Lepage avec la troupe du Soleil ayant été au cœur d’une autre polémique – des associations d’artistes autochtones avaient estimé que le spectacle relevait d’une forme « d’appropriation culturelle »[2] puisqu’il représentait leur histoire, et ce faisant se l’appropriait et en tirait des bénéfices économiques et symboliques, sans les inclure et sans les consulter.

      C’est enfin, c’est surtout que les auteurs comme les signataires, dont la liste et les titres ne peuvent qu’impressionner, sont en position de force pour imposer leur conception du partage des rôles et des positions – et font comme s’ils ne le savaient pas. En bref, c’est le fait que cette tribune construit un espace énonciatif d’intimidation, qui empêche et même interdit de penser. S’y exprime un « nous » en majesté et en mode majeur, qui dit défendre la liberté d’expression et de création mais use de tactiques autoritaires, et cherche à faire taire tout doute et toute objection. Je voudrais précisément formuler à présent deux objections, relatives à la caractérisation du « eux » repoussé et à une contradiction dans les valeurs défendues et dans l’appel à la liberté de création en général et du théâtre public en particulier.

      « Le théâtre est le lieu de la métamorphose, pas le refuge des identités. » Philippe Brunet en une phrase exprime l’enjeu de cet art – de tout art : pouvoir se sentir être autre que « soi-même » – à travers des personnages, des histoires, et rejoindre ainsi toute l’humanité », dit la tribune. Or, justement, c’est précisément ce que réclament nombre d’artistes noirs et plus largement non blancs aujourd’hui : d’avoir le droit, eux aussi, de pouvoir incarner l’humanité et de ne pas se voir cantonnés à des rôles stéréotypés toujours dévalorisants[3], écrits et mis en scène par des personnes qui n’ont aucune idée de leurs expériences de vie. Quel mépris, que de dire à ces personnes qu’elles n’auraient rien compris au théâtre. Quelle violence, que de faire semblant de ne pas comprendre qu’il s’agit justement de réclamer le droit à la même part de liberté, à la même possibilité que le théâtre devienne le lieu de la métamorphose, et non une autre scène où se répètent et se redoublent la domination et les discriminations.

      Car le vrai scandale est là : la persistance de discriminations raciales insupportables, dans la société, et donc aussi, bien sûr, dans les mondes artistiques, et dans les représentations. C’est ce scandale qui justifie la recommandation du Parlement Européen, et qui explique sans doute la véhémence du ton de ceux qui subissent ces injustices, parce qu’il n’est jamais facile d’oser prendre la parole en tant que victime, d’autant plus quand sa parole individuelle et collective est si violemment et si continument discréditée. Être noir, aujourd’hui – comme être femme, être homosexuel – renvoie non pas à une identité génomique mais à un statut social : cela signifie être assigné à résidence identitaire, être relégué au rang de l’altérité et du particulier, et ne pouvoir prétendre être intégré au cœur de la communauté qu’à la condition de performer justement sa différence et ses particularismes, comme le montre si bien dans ses travaux Réjane Sénac[4], et jamais en tant que semblable, en tant qu’égal. Et ce n’est pas une situation qui émane de ces « sous »-groupes particuliers, tout simplement parce qu’ils ne sont pas en position d’établir les normes ! Car l’« universel » est encore trop souvent le cache-misère d’une domination par des personnes qui ont la peau blanche et qui sont des hommes, qui pensent pouvoir justement incarner l’humanité toute entière alors qu’ils sont eux aussi, comme les autres, dans une position particulière… une position dont on comprend qu’ils ne veuillent pas la quitter, d’ailleurs, car c’est une position fort plaisante : une position de pouvoir. Pouvoir économique, mais aussi bien sûr pouvoir symbolique : pouvoir d’établir les catégories, de décider (ce) qui est particulier, (ce) qui est raciste et (ce) qui est universel, d’édicter les normes. Etre renvoyé au fait qu’on n’incarne pas l’universel mais la domination est désagréable à entendre, sans doute. Reste que le pointer n’est pas formuler une revendication identitaire. C’est au contraire demander que se concrétisent les valeurs universalistes.

      La tribune nie l’existence des discriminations, de leur histoire, comme elle nie l’histoire des représentations racistes, donc. Mais elle fait également fi de l’histoire théâtrale, traversée de querelles qui ont presque toujours mêlé enjeux esthétiques et enjeux politiques, et où la question de l’autonomie de l’œuvre et de l’artiste à l’égard du contexte dans lequel il crée est complexe. Car c’est bien pour sa valeur politique, civique, que cet art est devenu un « théâtre public » financé avec l’argent de la collectivité. Cette mission politique du théâtre est même une antienne que l’on retrouve dans toutes les plaquettes de saison, dans le discours des artistes comme dans les textes de loi des pouvoirs publics[5]. Le théâtre public se veut un théâtre politique, et se veut même un mode d’action politique. Par les questions qu’il soulève, par le cadre collectif de la représentation qui fait des spectateurs un public qui débat de la chose publique, avec elle-même, par sa capacité à opérer, à l’occasion, comme contre-pouvoir.

      Comment oublier les combats militants menés par Mnouchkine elle-même, dans ses œuvres mais aussi avec d’autres outils de lutte (manifestations, grève de la faim, occupation d’églises) contre les politiques migratoires, contre l’inaction des pouvoirs publics face à la guerre en ex-Yougoslavie, contre la Loi travail ? Elle incarne par là le mythe du théâtre public, qui a construit sa légitimité depuis un demi-siècle en tant qu’il serait une des formes de l’espace public, autrement dit, une des institutions vitales de la démocratie et de la République française. D’où le caractère incongru de la ligne de défense de Brunet consistant à dire « qu’on est libres de se grimer en noir, en cuivre, en rose » et que « le théâtre n’a pas à correspondre à des règles de bienséances morales »[6], comme s’il était question d’une querelle esthétique sans cause ni effet dans le réel d’aujourd’hui. A revendiquer que l’art du théâtre n’a aucun compte à rendre au présent.

      Pour finir, je voudrais en venir à la fameuse « liberté d’expression et de création » que la tribune entend défendre, et à laquelle les opposants au spectacle contreviendraient, faisant donc acte de « censure ». Pour rappeler d’abord, s’agissant du dernier mode d’action choisi par les opposants au spectacle, à savoir la perturbation physique de la représentation, que ce geste, pas plus que l’appel au boycott, ne constitue de manière évidente une entrave à la liberté de création et un acte de censure. Tout simplement car pour censurer, il faut être en position de pouvoir institutionnel. Il peut d’ailleurs sembler étonnant que ce point ait échappé à Ariane Mnouchkine, fondatrice en 1979 de l’AIDA (Association Internationale de Défense des Artistes victimes de la répression dans le monde).

      Certes, certains plaident aujourd’hui pour une redéfinition de la notion de censure, qu’ils voudraient plus ajustée aux menaces qui pèseraient spécifiquement dans nos démocraties, gangrénées par des « censures légales ». L’Observatoire de la liberté de création, créé par la Ligue des Droits de l’Homme, considère ainsi que « censurer la création, c’est porter atteinte à la faculté de chacun de pouvoir jouir des arts et des œuvres, et porter atteinte au débat et à la faculté critique ». Mais ne peut-on discuter cette définition qui fait l’économie de la qualification de ce qui « porte atteinte au débat et à la faculté critique », et de la précision de qui est habilité à juger de ces atteintes ?

      Dans Nouvelles morales, nouvelles censures, le juriste Emmanuel Pierrat en appelle lui aussi à une extension du domaine de la censure, du fait d’un « paradoxe » qui selon lui envahirait nos démocraties, où certaines demandes d’égalité formulées par des groupes discriminés – il donne en exemple les personnes victimes de sexisme (des femmes, donc) et de racisme (des personnes non blanches, donc), pourraient aboutir à des demandes de « censure morale ». Demandes de censure, concède-t-il toutefois, et non acte de censure en soi. Car ces demandes d’élargissement de ce que censurer veut dire butent sur le fait que pour qu’il y ait censure, il faut tout de même que ceux qui cherchent à empêcher l’œuvre ou leurs alliés en aient les moyens légaux. La censure ne peut donc jamais être totalement « privatisée », pour reprendre l’expression de Pierrat, elle doit passer par des personnes morales dotées du pouvoir d’établir des normes et des lois et de les faire appliquer, autrement dit, la censure implique des institutions – l’Etat et/ou l’Eglise par exemple[7].

      Par ailleurs, la tribune choisit d’en appeler non à la simple liberté d’expression mais à la liberté de création, tout en refusant de réfléchir à l’enjeu essentiel de cette création juridique fort récente, consacrée par la loi du 7 juillet 2016. Il faut commencer par rappeler que, comme la liberté d’expression avec laquelle elle présente beaucoup – et, pour de nombreux juristes, trop – de points communs, la liberté de création souffre en France des limites légales, qui interdisent la formulation publique de certains discours racistes, antisémites, sexistes, homophobes, d’apologie du terrorisme, d’incitations à la discrimination, qui ne sont pas de simples opinions mais des délits. Ces limites, qui n’existent pas par exemple aux Etats-Unis, où prévaut le caractère sacré d’une liberté individuelle n’admettant aucune entrave, ont été formulées par le législateur français précisément au nom des valeurs républicaines. Ce qui fait que, par exemple, ce serait un contresens juridique – et une contravention à ces principes – que de considérer qu’une demande d’interdiction d’une œuvre au motif qu’elle serait raciste, serait un acte de censure.

      Par ailleurs, tout l’apport de cette notion tient à ce en quoi elle diffère légèrement de la simple liberté d’expression. Non par le fait que les artistes auraient une liberté d’expression supérieure ou plus sacrée que le reste des citoyens, ce qui serait assez contraire aux valeurs démocratiques. Mais le fait qu’il n’est plus seulement question de la liberté d’expression du sujet individuel professionnellement habilité à créer (l’artiste donc), mais aussi de la liberté collective du public ou plutôt des publics. Car cette loi a aussi et surtout été pensée comme une loi de rénovation des politiques culturelles et, dans la continuité de la loi NOTRe de 2015, elle incorpore – d’une manière que l’on pourrait d’ailleurs discuter – cette norme jusque là absente des politiques culturelles à la française que sont les droits culturels. Or, ceux-ci entendent insister sur le droit du public, c’est-à-dire des différentes composantes de la population, à prendre part à la vie culturelle, comme bénéficiaires, mais aussi comme créateurs. Autrement dit, cette norme juridique renforce la légalité des revendications de celles et ceux qui ne se sentent pas assez représentés dans les œuvres, et qui estiment qu’il y a là un problème.

      Les valeurs au cœur de ces différents textes sont-elles en contradiction ? Qui peut en juger ? Toutes ces questions sont ouvertes. Alors, oui, bien sûr que, comme le demandent les opposants, et y compris pour leur apporter la contradiction, il faut des colloques, il faut des espaces de réflexion et des espaces de débat intellectuel et politique. Réunissant universitaires, artistes et professionnels de la culture, militants, et élus politiques. Un débat où puissent se faire entendre des voix plurielles, bien au-delà des deux camps certes commodément médiatiques, en phase avec l’ère du « clash » où une idée ne vaut que si elle tient en deux mots et si elle est caricaturale, et s’oppose caricaturalement à une autre. Nous avons besoin d’un débat où plus de deux points de vue s’expriment. Et s’affrontent, bien sûr, le cas échéant. Car la démocratie, c’est le débat, musclé, si besoin, agonistique. Mais ce ne saurait être la réduction et la disqualification méprisante des positions avec lesquelles on n’est pas d’accord. Ne pouvons-nous nous accorder sur ce point ? Et sur le fait que cette affaire soulève des questions parmi les plus urgentes de notre présent historique et que, de notre capacité, avant même de chercher des réponses et des solutions, à formuler les questions et les problèmes, dépendra notre possibilité de faire société ? Si oui, au travail. Il est temps.

      [1] W.T. Lhamon Jr Peaux blanches, masques noirs, Paris, L’Eclat, 2008 (Raising Cain. Blackfaces from Jim Crow to hip hop, Harvard University Press, 1998). Voir aussi, sur cette pratique, Sylvie Chalaye, « Eschyle à la Sorbonne : pourquoi condamner le blackface ? », Africultures, 18 avril 2018.

      http://africultures.com/eschyle-a-la-sorbonne-pourquoi-condamner-le-blackface

      [2] Sur les enjeux de la notion d’appropriation culturelle, voir notamment Eric Fassin, « L’appropriation culturelle, c’est lorsqu’un emprunt entre les cultures s’inscrit dans un contexte de domination », entretien, Le Monde, 2 novembre 2018 et Aureliano Tonet, « Dans la culture, des identités sous contrôle », Le Monde, 18 avril 2019.

      [3] Voir à ce sujet Aïssa Maïga (dir.), Noire n’est pas mon métier, Le Seuil, 2018 et le documentaire d’Amandine Gay, La Mort de Danton, Mille et une films, 2011.

      [4] Voir Réjane Sénac, L’égalité sous condition, Presses de Sciences Po, 2015 et L’Egalité sans condition, L’Echiquier, 2019.

      [5] Sur ce point je me permets de renvoyer à mon livre, Les Cités du théâtre politique en France depuis 1989, préface de Luc Boltanski, Montpellier, 2013. Voir aussi Olivier Neveux, Contre le théâtre politique, Paris, La Fabrique, 2019.

      [6] Philippe Brunet in Léa Mormin-Chauvac, « Philippe Brunet, masque de protection », Libération, 18 avril 2019.

      [7] Voir à ce sujet la recension par Jean-Baptiste Amadieu de Robert Darnton, De la censure. Essai d’histoire comparée, Paris, nrf Gallimard, 2016. Jean-Baptiste Amadieu, « Dialogue avec les censeurs », La Vie des idées, 2 mai 2016, ISSN : 2105-3030. URL : http://www.laviedesidees.fr/Dialogue-avec-les-censeurs.html

    • Racisme dans les arts : Lipanda Manifesto, tribune des 343 racisé·e·s | Le Club de Mediapart
      https://blogs.mediapart.fr/les-invites-de-mediapart/blog/270419/racisme-dans-les-arts-lipanda-manifesto-tribune-des-343-racise-e-s

      Les médias se sont formidablement illustrés ces derniers temps comme vitrine des arguments pleurnichards de réactionnaires blancs bourgeois, qui persistent à faire la sourde oreille et aller à l’encontre des revendications féministes et antiracistes, tout en faisant leur pain sur les systèmes de privilèges. On se souvient de la tribune des 100 femmes défendant la « liberté d’importuner ». Cette fois-ci, c’est à la « liberté de création » que s’accrochent misérablement les arguments de la tribune prétendument pour Eschyle.

      Personne n’est libre tant que d’autres personnes sont opprimées. C’est ce dont parle Audre Lorde en 1981 dans son discours L’Utilité de la colère : les femmes répondent au racisme*. Liberté d’importuner, liberté de création, liberté d’expression : génération je fais ce que je veux, quand je veux, comme je veux, et personne n’a le droit de me contredire. Mais quelle est cette liberté qui s’appuie sur le dos de celle.ux qui n’en disposent pas ? On pourrait croire à une mauvaise farce tant ça devient redondant, et pourtant.

      Et pourtant aujourd’hui encore, le monde de l’art et de la culture française s’assoit sur les revendications des personnes racisées.

      Aujourd’hui, nous sommes outré·e·s, mais surtout fatigué·e·s. Nous n’avons pas l’énergie de vous rappeler que la censure est un outil d’Etat, et non pas le fait de quelques militant·e·s usant de leur droit à la protestation et à l’insurrection face à des représentations négrophobes et racistes.

      Nous sommes épuisé·e·s de dire que la tentative d’inversion des responsabilités qui consiste à transformer l’action légitime des militants en « grave agression » est une pratique bien rodée des instances de pouvoir. Et au cas où, la militante britannique Munroe Bergdorf nous le rappelle : « Drawing attention to a social divide is not the same thing as creating one. Activists are often considered to be divisive or troublemakers by those who have become accustomed to the privileges that social divides provide them. »

      Aujourd’hui, nous sommes lassé·e·s de devoir constamment démonter vos hypocrisies : non, pour nous, personnes racisé·e·s, le théâtre n’est pas le « lieu de la métamorphose » pour nous, lorsque nous sommes constamment empêché·e·s de créer par les mécanismes discriminatoires et éliminatoires de ce milieu.

      Oui, nos identités sont des cloîtres, lorsque, montant sur un plateau, nos corps sont des objets exotiques venant d’ailleurs. Non, nous ne pouvons pas créer librement, lorsque l’on nous dénie la possibilité d’être neutre, et que nous sommes perpétuellement et violemment renvoyé·es à la réalité de notre racisation par le système. Oui, le théâtre est « refuge des identités » : lorsque nos scènes françaises sont occupées majoritairement par des spectacles créés par des hommes blancs, avec des hommes blancs, regardés, critiqués ou acclamés par d’autres hommes blancs, on peut clairement parler de communautarisme. Une communauté qui ne se dit, ni ne se voit comme telle, et qui pourtant, monopolise nos scènes, nos récits, et verrouillent les portes à toutes celleux qui n’appartiennent pas à leur monde.

      Aujourd’hui, nous sommes usé·e·s de constater que ce théâtre est celui de privilégié·es, où s’amuser à singer « l’Autre » est un loisir, tout en retirant à cet “autre” son droit légitime — si ce n’est son devoir — de s’insurger contre le spectacle de son identité tournée en mascarade. Ce même théâtre qui se proclame « intellectuel, humaniste, helléniste ». Un théâtre qui a le culot de croire, et de se faire croire, que la culture blanche bourgeoise est universelle. Qu’elle touche à ce qu’il y a de commun en chaque être humain. Mais comment n’avez-vous pas remarqué que vos salles de théâtres étaient si vides de diversité ? Se peut-il sérieusement que vous persistiez à ne pas voir que votre théâtre n’intéresse que celles et ceux à qui il ressemble, cell.eux qui y sont représentés, celle.eux qui peuvent s’y identifier ? Qui sont les citoyen·nes que vous prétendez servir ?

    • Islamo-gauchisme, décolonialisme, théorie du genre... Le grand noyautage des universités
      http://www.lefigaro.fr/actualite-france/enseignement-superieur-le-grand-laboratoire-de-la-deconstruction-20190510

      ENQUÊTE - Infiltrées par les syndicats d’étudiants, noyautées par des groupuscules « indigénistes », paralysées par la lâcheté de la hiérarchie de l’enseignement supérieur, les facultés et certaines grandes écoles sont aujourd’hui le théâtre d’un bras de fer idéologique. Les pressions et menaces y sont fréquentes et tous les coups semblent permis.
      (...)
      Dans un autre registre, Olivier Beaud, professeur de droit public à Panthéon-Assas, vient de dénoncer la campagne d’un groupe d’universitaires et d’étudiants de l’EHESS contre leurs collègues « coupables » d’avoir participé au grand débat organisé le 18 mars à l’Elysée par Emmanuel Macron. En novembre 2018, Le Point a publié un texte dans lequel 80 intellectuels décrivaient le « décolonialisme » comme une « stratégie hégémonique » à l’œuvre dans l’enseignement supérieur. Parmi les signataires, Elisabeth Badinter, Alain Finkielkraut, Pierre Nora et Mona Ozouf. Leur appel a eu bien peu d’écho, tant auprès de Frédérique Vidal que du corps enseignant.
      La ministre n’a pas eu un mot de soutien pour Laurent Bouvet, par exemple, quand ce professeur de science politique à l’université de Versailles-Saint-Quentin-en-Yvelines a eu l’imprudence de tweeter en mai 2018 à propos du voile islamique porté par une dirigeante de l’Unef qui commentait les blocages des facs : « A l’Unef, la convergence des luttes est bien entamée. C’est la présidente du syndicat à l’université Paris-Sorbonne qui le dit. » Aussitôt, l’Unef a sorti un communiqué condamnant « un déferlement de haine raciste, sexiste et islamophobe » et demandant que Laurent Bouvet soit sanctionné. Une vidéo a même circulé, montrant une AG où près de 200 étudiants vociféraient « Ta gueule, Bouvet ! » pendant de longues minutes.

      L’institution marche sur des œufs

      Le politologue, cofondateur du Printemps républicain, est l’une des cibles privilégiées des indigénistes pour avoir théorisé l’« insécurité culturelle » française et dénoncé l’obsession racialiste de la « gauche identitaire ». Le président de l’université l’a assuré de sa sympathie en privé, mais n’a rien fait pour le soutenir publiquement. Aucun de ses collègues ne s’est d’ailleurs manifesté. L’Unef profite de cette lâcheté généralisée pour militer activement en faveur des thèses indigénistes. Récemment, elle s’est jointe à d’autres associations pour empêcher une représentation de la pièce d’Eschyle Les Suppliantes à la Sorbonne. De son côté, le CRAN (Conseil Représentatif des associations noires de France) de Louis-Georges Tin, maître de conférences à l’université d’Orléans, a appelé au boycott de la pièce. Motif : des acteurs blancs portaient des masques noirs, ce que les contestataires assimilaient à la pratique du « blackface » visant à ridiculiser les Noirs. Pour une fois, l’université a condamné la tentative de censure.

    • Deux mois après la polémique sur le « blackface », la pièce « Les Suppliantes » se déroule dans le calme
      https://www.franceculture.fr/theatre/deux-mois-apres-la-polemique-sur-le-blackface-la-piece-les-suppliantes

      « C’est la victoire de l’art, de la liberté d’expression sur la bêtise au front bas, se félicite l’écrivain Pierre Jourde. Ils utilisent une cause juste, l’antiracisme, à des fins stupides. La preuve, c’est que de grands metteurs en scène ont pris la défense de Philippe Brunet. »

      encore une fois #ta-gueule-jourde

    • Je vous ai épargné jusque-là les 6 ou 7 posts d’André Markowicz sur FB, mais vous pourrez les retrouver aisément grâce à cette réponse (en commentaire).

      André Markowicz
      https://www.facebook.com/andre.markowicz

      Adeline Rosenstein :
      Excusez-moi : vous ne vivez donc pas avec des artistes ou des étudiant.e.s qui vous parlent du racisme subi dans les milieux culturels ? Vous ne ressentez pas la colère de vous retrouver impuissant à les défendre tellement les gens bien intentionnés ne voient pas de quoi s’alarmer ? Pourquoi mettre tout votre savoir écrire au service de leur décrédibilisation ? Vous, justement, traducteur, savez mieux que les autres, pourquoi parfois on crie, vous savez tendre l’oreille quand les experts et autres assis discréditent la personne qui apporte une information gênante. Vous savez mieux qu’un autre qu’on dit de la victime qu’elle exagère quand on ne veut pas l’accueillir, qu’elle menace, quand on veut la faire taire, qu’elle est un danger physique, quand on veut que les gendarmes nous en débarrassent. Une injustice hurle à votre porte, demande votre attention et vous la ridiculisez ? ses représentants parlent mal ? mais cette question devrait vous intéresser immédiatement ; vous ne voulez quand-même pas parler comme ce que vous avez toujours combattu : l’ordre - non ?Observez le dédain que vous exprimez à l’endroit de personnes qui en ont juste marre d’être caricaturées sur scène et tenues à l’écart de toute discussion. Comment est-ce possible ? Observons et racontez- moi comment ça marche, comment ça marche, ce scandale, votre dédain, qu’avec Mnouchkine et Vinaver, enfants de l’exil sans accent, vous vous retrouviez côté CRS, ministres, amphi, je ne le conçois pas. C’est pourquoi je vous prie de reconsidérer cette position au nom de tous les personnages que vous avez traduits alors qu’en France, considérant qu’ils ne « savaient pas aligner deux phrases », on voulait les anéantir - on n’avait rien compris, vous vous rappelez ? Reconsidérez ces doutes « ils nous font douter » mais oui car pour moi c’est ça, penser, c’est penser contre soi mais surtout contre le groupe ou l’amphi qui nous enferme avec ministres dedans, d’où on ne on veut pas entendre la plainte. C’était un spectacle d’étudiants mais il y a un autre problème, vous savez, notre environnement, notre lenteur à changer, vous parlez d’une gauche en danger et je vous parle de sa difficulté historique à reconnaître ses erreurs. Les militants antiracistes et les victimes du racisme en milieu culturel ne s’adressent pas à des ennemis politiques mais à des gens de theatre qui veulent pouvoir se dire antiracistes à leur tour et disent je combats à tes côtés, tiens-toi bien là, attends, ôte-toi, ne dis rien, laisse-moi faire, je vais leur dire, laisse-moi finir mon verre, ma blague, mon rôti, ma sieste, mon spectacle antiraciste, mon interview, mes conférences, mes mémoires, ma vie sans toi et je viendrai te chercher.

    • Ce qui est dit ci-dessous n’a pas été raconté sérieusement par aucun journaliste (si j’ai bien compris, on est passé, grâce au rapport de forces instauré par les militants, du grimage noir aux masques noirs grotesques, puis aux masques dorés/cuivrés, etc.) Mais ce qui n’est pas dit, c’est que cette représentation « d’art officiel », déplaçant le fameux spectacle dans le Grand Amphithéâtre de la Sorbonne, avec deux ministres de sortie et les CRS qui vont avec, applaudie par le tout Paris intellectuel bourgeois blanc, d’A.Bastié à A.Mnouchkine, de R.Enthoven à O.Rollin, est le symptôme de l’hégémonie toujours plus forte de la pensée d’extrême-droite au nom de « la liberté d’expression » ou de « la liberté artistique ». Après la défense forcenée des pires unes de Charlie et la campagne contre les « islamogauchistes », à présent haro sur « les identitaires d’extrême-gauche » et « le fascisme des antifascistes » (comme on l’a entendu en Italie au moment du Salon du Livre de Turin et à l’occasion des meetings chahutés de Salvini).

      Blackface à la Sorbonne. Hier soir, Philippe... - Louis-Georges Tin
      https://www.facebook.com/louisgeorges.tin/posts/10161903836565644?hc_location=ufi

      Blackface à la Sorbonne. Hier soir, Philippe Brunet a joué son spectacle à la Sorbonne, les Suppliantes d’Eschyle. Mais cette fois, pas de déguisements raciaux, pas de Blackface, pas de maquillage en noir pour représenter les Africains : juste des masques dorés. M. Brunet qui avait fièrement clamé qu’il rejouerait son spectacle avec du maquillage en noir a finalement tiré les leçons de l’expérience. Le CRAN qui avait appelé au boycott du spectacle (non au blocage) se réjouit donc de cette victoire collective et définitive. Malgré un mois d’hystérie générale, nous avons tenu bon, et finalement, nous avons obtenu gain de cause. La voix des premiers concernés a été entendue.

    • Quelle salade - selon le Figaro/Vox, voilà l’université menacée par le danger islamo-féministe...

      Carole Talon-Hugon : « Une nouvelle prohibition étend son contrôle sur l’art »
      http://www.lefigaro.fr/vox/culture/carole-talon-hugon-une-nouvelle-prohibition-etend-son-controle-sur-l-art-20

      Traditionnellement, les agents de censure sont politiques ou religieux. Ils sont récemment sournoisement devenus économiques (impératifs d’insertion professionnelle, de recherche appliquée, etc.). Ce qui se passe avec les affaires Chénier ou Eschyle, c’est l’arrivée très préoccupante d’un risque venu d’ailleurs que de ces foyers classiques ou plus récents : de groupes de pression et d’associations communautaires. La liberté académique ne doit certes pas être sans contrôle ; elle est « liberté de poursuivre sa recherche professionnelle à l’intérieur d’une matrice de normes de la discipline définies et appliquées par ceux qui sont compétents pour comprendre et appliquer de telles normes » (O. Beaud). Ce qui revient à dire qu’elle ne connaît qu’une forme de censure légitime, celle réalisable par des pairs à l’intérieur d’un domaine d’expertise partagé, et que toutes celles venues d’ailleurs sont usurpatoires et sapent les fondements de l’université.

    • Une bonne tribune du Monde qui a tout à voir avec ce qui précède

      https://www.lemonde.fr/idees/article/2019/08/28/le-marxisme-culturel-fantasme-prefere-de-l-extreme-droite_5503567_3232.html

      C’est là le lien avec ce que la droite radicale entendra bientôt par « marxisme culturel ». Le terme prend alors une valeur péjorative : il désigne la prétendue volonté des disciples de l’école de Francfort de nuire à la culture occidentale et de s’attaquer à la société traditionnelle en se servant du féminisme, de l’homosexualité et du multiculturalisme. « Au tournant des années 1990, alors que le communisme vient de s’effondrer, les milieux ultra-conservateurs américains voient dans la mondialisation une menace pour l’Occident chrétien, remarque Jérôme Jamin, politiste et philosophe belge, spécialiste des populismes. Ils s’inquiètent aussi de la montée, sur les campus universitaires, du “politiquement correct” qu’ils assimilent à une attaque contre la liberté d’expression ayant pour but d’empêcher les discours ne reconnaissant pas la pleine égalité entre les hommes et les femmes, les Noirs et les Blancs, les hétérosexuels et les homosexuels, etc. » Le terme se diffuse au sein des milieux extrémistes de droite.

  • Lecture : « Du trop au faux »
    https://archive.org/details/DuTropAuFaux

    Du trop au faux. Chronique d’un premier avril 2019. Le président de la république affirmant qu’une vielle femme de 73 ans victime de plusieurs fractures et commotions cérébrales après une charge de CRS n’a « jamais été en contact avec les forces de l’ordre » alors même que les faits sont docum....This item has files of the following types : Archive BitTorrent, Columbia Peaks, Item Tile, JPEG, JPEG Thumb, Metadata, Ogg Vorbis, PNG, Spectrogram, VBR MP3, Windows Media Audio

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