• The Policy Initiative - Tourism and remittances are not a panacea for Lebanon’s financial woes
    https://www.thepolicyinitiative.org/article/details/177/tourism-and-remittances-are-not-a-panacea-for-lebanons-financia

    The flow of foreign currency, either in the form of remittance transfers or tourist receipts, will not save Lebanon. This belief that foreign capital can reverse the tide has grown out of the disillusionment in the state’s capacity to develop clear and concrete steps for economic and financial recovery or provide proper social protection schemes. 

    When analyzing the financial crisis, it is common to look back at the postwar economic model and reflect on how deep it has cut through Lebanon’s contemporary social order. But the reality is that a more destructive economic paradigm is on the rise. By widening income gaps between those with access to foreign currency and those without, the postwar model is re-inventing itself through newer, more aggressive, and far-reaching mechanisms which further exacerbate inequality.

    #Liban #transferts_d’argent #expatriés #tourisme

  • Hezbollah chief vows ’no one’ will extract gas, oil from maritime zones if Lebanon unable to do so | Reuters
    https://www.reuters.com/world/middle-east/hezbollah-chief-vows-no-one-will-extract-gas-oil-maritime-zones-if-lebanon-

    Nasrallah threatened “Karish and beyond Karish,” echoing a statement he made a few weeks before a month-long conflict with Israel in 2006 when he threatened “Haifa and beyond Haifa.”

    The group subsequently launched rocket attacks on Haifa. Wednesday marked the 16-year anniversary of the start of the 2006 conflict.

    Nasrallah also insisted that Lebanon had a “golden opportunity” in the next two months to secure its maritime rights before Israel completed work at Karish.

    He urged Lebanese officials use his group as leverage, saying #Hezbollah was Lebanon’s “only strong point.”

    “The resistance is telling you, make use of me. Take advantage of me... Tell the Americans that these guys don’t answer to anyone, they’re uncontrollable – say whatever you want. Say it,” Nasrallah said.

    #Liban

    • L’histoire des drones et les réactions

      Liban–Israël, des frontières maritimes inflammables - Doha Chams
      https://orientxxi.info/magazine/liban-israel-des-frontieres-maritimes-inflammables,5756

      Mais le samedi 2 juillet 2022, Israël a annoncé avoir intercepté trois drones lancés par le Hezbollah au-dessus du champ contesté de Karish, dans lequel il avait commencé des opérations de forage sous ce qui apparaît désormais comme une protection euro-américaine.

      Dans un communiqué, le parti a confirmé avoir lancé des drones « non armés » en reconnaissance : « La mission a été accomplie et le message délivré ». Un acte qui vient confirmer les mises en garde du secrétaire général du Hezbollah Hassan Nasrallah, qui avait annoncé vouloir « empêcher l’ennemi de diriger l’extraction active de pétrole et de gaz du champ de Karish avant la fin des négociations », celles-ci devant inclure une clause « permettant aux entreprises internationales de travailler dans tous les champs libanais, jusqu’à la frontière avec la Syrie ». Cette opération n’a pas manqué de provoquer la colère des Américains qui ont estimé, par l’intermédiaire de leur ambassade à Beyrouth, que cette ingérence du Hezbollah pouvait menacer les négociations. Washington a ainsi exigé une condamnation officielle du Liban, qu’elle a obtenue le 4 juillet 2022, lorsque le premier ministre Najib Mikati a publié une déclaration où il estime que « toute action qui n’est pas menée par l’État libanais est inacceptable », notant que les négociations en cours avec Hochstein « ont atteint un stade avancé ». Une réaction qui a semble-t-il provoqué l’agacement du président de la République Michel Aoun.

      Quant à Israël, il a averti par l’intermédiaire de son ministre de la défense que l’envoi de drones risque de « saper les négociations et l’accord qui se dessine ». Un accord que le journal Al-Akhbar a qualifié de « contraire aux intérêts du Liban », estimant que « les instances internationales, profitant de son état d’effondrement, cherchent à le lui imposer ».

    • Liban : le chef du Hezbollah menace Israël de guerre s’il exploite le champ gazier de Karish
      Publié le : 14/07/2022 | RFI | Avec notre correspondant à Beyrouth, Paul Khalifeh
      https://www.rfi.fr/fr/moyen-orient/20220714-liban-le-chef-du-hezbollah-menace-isra%C3%ABl-de-guerre-s-il-exploite-l

      Le chef du Hezbollah a explicitement menacé d’une guerre si Israël commençait l’extraction du gaz du champ de Karish, disputé par le Liban, sans accord préalable sur le tracé de la frontière maritime entre les deux pays. Ces menaces prononcées mercredi 13 juillet au soir, lors d’une intervention télévisée, interviennent une douzaine de jours après la destruction par Israël de trois drones de reconnaissance non armés lancés par le parti chiite vers la plateforme gazière. Celle-ci est située à la limite des zones d’exclusivité économique des deux pays.

  • Grano : una guerra globale

    Secondo molti osservatori internazionali, la guerra in corso in Ucraina si esprimerebbe non solo mediante l’uso dell’artiglieria pesante e di milizie ufficiali o clandestine, responsabili di migliaia di morti, stupri e deportazioni. Esisterebbero, infatti, anche altri campi sui quali il conflitto, da tempo, si sarebbe spostato e che ne presuppongono un allargamento a livello globale. Uno di questi ha mandato in fibrillazione gli equilibri mondiali, con effetti diretti sulle economie di numerosi paesi e sulla vita, a volte sulla sopravvivenza, di milioni di persone. Si tratta della cosiddetta “battaglia globale del grano”, i cui effetti sono evidenti, anche in Occidente, con riferimento all’aumento dei prezzi di beni essenziali come il pane, la pasta o la farina, a cui si aggiungono quelli dei carburanti, oli vari, energia elettrica e legno.
    La questione del grano negli Stati Uniti: il pericolo di generare un tifone sociale

    Negli Stati Uniti, ad esempio, il prezzo del grano tenero, dal 24 febbraio del 2022, ossia dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, al Chicago Mercantile Exchange, uno dei maggiori mercati di riferimento per i contratti cerealicoli mondiali, è passato da 275 euro a tonnellata ai circa 400 euro dell’aprile scorso. Un aumento esponenziale che ha mandato in tensione non solo il sistema produttivo e distributivo globale, ma anche molti governi, legittimamente preoccupati per le conseguenze che tali aumenti potrebbero comportare sulle loro finanze e sulla popolazione. In epoca di globalizzazione, infatti, l’aumento del prezzo del grano tenero negli Stati Uniti potrebbe generare un “tifone sociale”, ad esempio, in Medio Oriente, in Africa, in Asia e anche in Europa. I relativi indici di volatilità, infatti, sono ai massimi storici, rendendo difficili previsioni di sviluppo che si fondano, invece, sulla prevedibilità dei mercati e non sulla loro instabilità. Queste fibrillazioni, peraltro, seguono, in modo pedissequo, le notizie che derivano dal fronte ucraino. Ciò significa che i mercati guardano non solo agli andamenti macroeconomici o agli indici di produzione e stoccaggio, ma anche a quelli derivanti direttamente dal fronte bellico e dalle conseguenze che esso determinerebbe sugli equilibri geopolitici globali.
    I processi inflattivi e la produzione di grano

    Anche secondo la Fao, per via dell’inflazione che ha colpito la produzione di cereali e oli vegetali, l’indice alimentare dei prezzi avrebbe raggiunto il livello più alto dal 1990, ossia dall’anno della sua creazione.

    Le origini della corsa a questo pericoloso rialzo sono molteplici e non tutte direttamente riconducibili, a ben guardare, alla sola crisi di produzione e distribuzione derivante dalla guerra in Ucraina. I mercati non sono strutture lineari, dal pensiero algoritmico neutrale. Al contrario, essi rispondono ad una serie molto ampia di variabili, anche incidentali, alcune delle quali derivano direttamente dalle ambizioni e dalle strategie di profitto di diversi speculatori finanziari. I dati possono chiarire i termini di questa riflessione.

    Il Pianeta, nel corso degli ultimi anni, ha prodotto tra 780 e 800 milioni di tonnellate di grano. Una cifra nettamente superiore rispetto ai 600 milioni di tonnellate prodotte nel 2000. Ciò si deve, in primis, alla crescita demografica mondiale e poi all’entrata di alcuni paesi asiatici e africani nel gotha del capitalismo globale e, conseguentemente, nel sistema produttivistico e consumistico generale. Se questo per un verso ha sollevato gran parte della popolazione di quei paesi dalla fame e dalla miseria, ha nel contempo determinato un impegno produttivo, in alcuni casi monocolturale, che ha avuto conseguenze dirette sul piano ambientale, sociale e politico.
    Il grano e l’Africa

    L’area dell’Africa centrale, ad esempio, ha visto aumentare la produzione agricola in alcuni casi anche del 70%. Eppure, nel contempo, si è registrato un aumento di circa il 30% di malnutrizione nella sua popolazione. Ciò è dovuto ad un’azione produttiva privata, incentivata da fondi finanziari internazionali e governativi, che ha aumentato la produzione senza redistribuzione. Questa produzione d’eccedenza è andata a vantaggio dei fondi speculativi, dell’agrobusiness o è risultata utile per la produzione occidentale, ma non ha sfamato la popolazione locale, in particolare di quella tradizionalmente esposta alla malnutrizione e alla fame. Un esempio emblematico riguarda l’Etiopia e i suoi 5 milioni circa di cittadini malnutriti. Questo paese dipende ormai interamente dagli aiuti alimentari e umanitari. Allo stesso tempo, migliaia di tonnellate di grano e di riso etiope sono esportate ogni anno in Arabia Saudita per via del land grabbing e degli accordi economici e finanziari sottoscritti. In Sudan si registra il medesimo fenomeno. Il locale governo ha infatti ceduto 1,5 milioni di ettari di terra di prima qualità agli Stati del Golfo, all’Egitto e alla Corea del Sud per 99 anni, mentre risulta contemporaneamente il paese al mondo che riceve la maggiore quantità di aiuti alimentari, con 6 milioni di suoi cittadini che dipendono dalla distribuzione di cibo. Basterebbe controllare i piani di volo degli aeroporti di questi paesi per rendersi conto di quanti aerei cargo decollano giornalmente carichi di verdura fresca e rose, con destinazione finale gli alberghi degli Emirati Arabi e i mercati di fiori olandesi. Come ha affermato l’ex direttore dell’ILC (International Land Coalition), Madiodio Niasse: «La mancanza di trasparenza rappresenta un notevole ostacolo all’attuazione di un sistema di controllo e implementazione delle decisioni riguardo alla terra e agli investimenti ad essa inerenti».

    L’Angola ha varato un piano di investimenti così ambizioso da attrarre sei miliardi di dollari esteri nel solo 2013. Prima dello scoppio del conflitto civile, durato trent’anni, questo paese riusciva a nutrire tutti i suoi abitanti ed esportava caffè, banane e zucchero. Oggi, è costretto a comprare all’estero metà del cibo destinato al consumo interno, mentre solo il 10% della sua superficie arabile è utilizzata. Ciò nonostante, ha ritenuto legittimo incentivare l’accaparramento dei propri terreni agricoli da parte di multinazionali dell’agrobusiness e fondi finanziari di investimento. Ragioni analoghe guidano Khartoum a negoziare migliaia di ettari con i paesi del Golfo. Tra il 2004 e il 2009, in soli cinque paesi, Mali, Etiopia, Sudan, Ghana e Madagascar circa due milioni e mezzo di ettari coltivabili sono finiti nel portafoglio finanziario di multinazionali e dei fondi sovrani.
    Non solo Ucraina

    Quanto descritto serve per superare un’ottica monofocale che tende a concentrarsi, per ciò che riguarda il tema della terra e del grano, esclusivamente sull’Ucraina. Nello scacchiere globale della produzione e dell’approvvigionamento rientrano, infatti, numerosi paesi, molti dei quali per anni predati o raggirati mediante accordi capestro e obblighi internazionali che hanno fatto del loro territorio un grande campo coltivato per i bisogni e i consumi occidentali.
    Il ruolo della Russia

    Anche la Russia, in quest’ambito, svolge un ruolo fondamentale. Mosca, infatti, ha deciso di conservare per sé e in parte per i suoi alleati, a fini strategici, la propria produzione cerealicola, contribuendo a generare gravi fibrillazioni sui mercati finanziari di tutto il mondo. Nel 2021, ad esempio, il paese governato da Putin era il primo esportatore di grano a livello mondiale (18%), piazzandosi sopra anche agli Stati Uniti. Questa enorme quantità di grano esportato non risulta vincolata come quello occidentale, ma riconducibile al consumo interno e al bilanciamento dei relativi prezzi per il consumatore russo che in questo modo paga meno il pane o la carne rispetto ad un occidentale. Non è però tutto “rose e fiori”. Sulla Russia incidono due fattori fondamentali. In primis, le sanzioni occidentali che limitano i suoi rapporti commerciali e impediscono a numerose merci e attrezzature di entrare, almeno in modo legale, per chiudere la filiera produttiva e commerciale in modo controllato. Secondo, l’esclusione della Russia dai mercati finanziari comporta gravi conseguenze per il paese con riferimento alla situazione dei pagamenti con una tensione crescente per il sistema finanziario, bancario e del credito. Non a caso recentemente essa è stata dichiarata in default sui circa 100 milioni di dollari di obbligazioni che non è riuscita a pagare. In realtà, il default non avrà un peso straordinario almeno per due ragioni. In primo luogo perché il paese è da molto tempo economicamente, finanziariamente e politicamente emarginato. Secondo poi, il fallimento sarebbe dovuto non alla mancanza di denaro da parte della Russia, ma alla chiusura dei canali di trasferimento da parte dei creditori. A completare il quadro, c’è una strategica limitazione delle esportazioni di grano da parte ancora della Russia nei riguardi dei paesi satelliti, come ad esempio l’Armenia o la Bielorussia. Ciò indica la volontà, da parte di Putin, di rafforzare le scorte per via di un conflitto che si considera di lungo periodo.
    Il grano “bloccato”

    A caratterizzare questa “battaglie globale del grano” ci sono anche altri fattori. Da febbraio 2020, ad esempio, circa 6 milioni di tonnellate di grano ucraino sono bloccati nel porto di Mikolaiv, Odessa e Mariupol. È una quantità di grano enorme che rischia di deperire nonostante lo stato di crisi alimentare in cui versano decine di paesi, soprattutto africani. Sotto questo profilo, i paesi occidentali e vicini all’Ucraina dovrebbero trovare corridoi speciali, militarmente difesi, per consentire l’esportazione del cereale e successivamente la sua trasformazione a tutela della vita di milioni di persone. D’altra parte, sui prezzi intervengo fattori non direttamente riconducibili all’andamento della guerra ma a quelli del mercato. Ad esempio, l’aumento del costo delle derrate cerealicole si deve anche all’aumento esponenziale (20-30%) dei premi assicurativi sulle navi incaricate di trasportarlo, attualmente ferme nei porti ucraini. Su questo aspetto i governi nazionali potrebbero intervenire direttamente, calmierando i premi assicurativi, anche obtorto collo, contribuendo a calmierai i prezzi delle preziose derrate alimentati. Si consideri che molti industriali italiani del grano variamente lavorato stanno cambiando la loro bilancia di riferimento e relativi prezzi, passando ad esempio dal quintale al chilo e aumentando anche del 30-40% il costo per allevatori e trasformatori vari (fornai e catene dell’alimentare italiano).
    Le ricadute di una guerra di lungo periodo

    Una guerra di lungo periodo, come molti analisti internazionali ritengono quella in corso, obbligherà i paesi contendenti e i relativi alleati, a una profonda revisione della produzione di grano. L’Ucraina, ad esempio, avendo a disposizione circa 41,5 milioni di ettari di superficie agricola utile, attualmente in parte occupati dai carri armati russi e da un cannoneggiamento da artiglieria pesante e attività di sabotaggio, vende in genere il 74% della sua produzione cerealicola a livello globale. Non si tratta di una scelta politica occasionale ma strategica e di lungo periodo. L’Ucraina, infatti, ha visto aumentare, nel corso degli ultimi vent’anni, la sua produzione di grano e l’ esportazione. Si consideri che nel 2000, il grano ucraino destinato all’esportazione era il 60% di quello prodotto. La strategia ovviamente non è solo commerciale ma anche politica. Chi dispone del “potere del grano”, infatti, ha una leva fondamentale sulla popolazione dei paesi che importano questo prodotto, sul relativo sistema di trasformazione e commerciale e sull’intera filiera di prodotti derivati, come l’allevamento. Ed è proprio su questa filiera che ora fa leva la Russia, tentando di generare fibrillazioni sui mercati, azioni speculative e tensioni sociali per tentare di allentare il sostegno occidentale o internazionale dato all’Ucraina e la morsa, nel contempo, delle sanzioni.

    Esiste qualche alternativa alla morsa russa su campi agricoli ucraini? Il terreno ucraino seminato a grano e risparmiato dalla devastazione militare russa, soprattutto lungo la linea Sud-Ovest del paese, può forse rappresentare una speranza se messo a coltura e presidiato anche militarmente. Tutto questo però deve fare i conti con altri due problemi: la carenza di carburante e la carenza di manodopera necessaria per concludere la coltivazione, mietitura e commercializzazione del grano. Su questo punto molti paesi, Italia compresa, si sono detti pronti ad intervenire fornendo a Zelensky mezzi, camion, aerei cargo e navi ove vi fosse la possibilità di usare alcuni porti. Nel frattempo, il grano sta crescendo e la paura di vederlo marcire nei magazzini o di non poterlo raccogliere nei campi resta alta. Ovviamente queste sono considerazioni fatte anche dai mercati che restano in fibrillazione. Circa il 70% dei carburanti usati in agricoltura in Ucraina, ad esempio, sono importanti da Russia e Bielorussia. Ciò significa che esiste una dipendenza energetica del paese di Zelensky dalla Russia, che deve essere superata quanto prima mediante l’intervento diretto dei paesi alleati a vantaggio dell’Ucraina. Altrimenti il rischio è di avere parte dei campi di grano ucraini pieni del prezioso cereale, ma i trattori e le mietitrici ferme perché prive di carburante, passando così dal danno globale alla beffa e alla catastrofe mondiale.

    Una catastrofe in realtà già prevista.
    Un uragano di fame

    Le Nazioni Unite, attraverso il suo Segretario generale, Antonio Guterres, già il 14 marzo scorso avevano messo in guardia il mondo contro la minaccia di un “uragano di fame” che avrebbe potuto generare conflitti e rivolte in aree già particolarmente delicate. Tra queste ultime, in particolare, il Sudan, l’Eritrea, lo Yemen, e anche il Medio Oriente.

    Gutierres ha parlato addirittura di circa 1,7 miliardi di persone che possono precipitare dalla sopravvivenza alla fame. Si tratta di circa un quinto della popolazione mondiale, con riferimento in particolare a quarantacinque paesi africani, diciotto dei quali dipendono per oltre il 50% dal grano ucraino e russo. Oltre a questi paesi, ve ne sono altri, la cui tenuta è in tensione da molti anni, che dipendono addirittura per il 100% dai due paesi in guerra. Si tratta, ad esempio, dell’Eritrea, della Mauritania, della Somalia, del Benin e della Tanzania.

    In definitiva, gli effetti di una nuova ondata di fame, che andrebbe a sommarsi alle crisi sociali, politiche, ambientali e terroristiche già in corso da molti anni, potrebbero causare il definitivo crollo di molti paesi con effetti umanitari e politici a catena devastanti.
    Il caso dell’Egitto

    Un paese particolarmente sensibile alla crisi in corso è l’Egitto, che è anche il più grande acquirente di grano al mondo con 12 milioni di tonnellate, di cui 6 acquistate direttamente dal governo di Al Si-si per soddisfare il programma di distribuzione del pane. Si tratta di un programma sociale di contenimento delle potenziali agitazioni, tensioni sociali e politiche, scontri, rivolte e migrazioni per fame che potrebbero indurre il Paese in uno stato di crisi permanente. Sarebbe, a ben osservare, un film già visto. Già con le note “Primavere arabe”, infatti, generate dal crollo della capacità di reperimento del grano nei mercati globali a causa dei mutamenti climatici che investirono direttamente le grandi economie del mondo e in particolare la Cina, Argentina, Russia e Australia, scoppiarono rivolte proprio in Egitto (e in Siria), represse nel sangue. L’Egitto, inoltre, dipende per il 61% dalla Russia e per il 23% dall’Ucraina per ciò che riguarda l’importazione del grano. Dunque, questi due soli paesi fanno insieme l’84% del grano importato dal paese dei faraoni. Nel contempo, l’Egitto fonda la sua bilancia dei pagamenti su un prezzo del prezioso cereale concordato a circa 255 dollari a tonnellata. L’aumento del prezzo sui mercati globali ha già obbligato l’Egitto ad annullare due contratti sottoscritti con la Russia, contribuendo a far salire la tensione della sua popolazione, considerando che i due terzi circa dei 103 milioni di egiziani si nutre in via quasi esclusiva di pane (chiamato aish, ossia “vita”). Secondo le dichiarazioni del governo egiziano, le riserve di grano saranno sufficienti per soddisfare i relativi bisogni per tutta l’estate in corso. Resta però una domanda: che cosa accadrà, considerando che la guerra in Ucraina è destinata ad essere ancora lunga, quando le scorte saranno terminate?

    Anche il Libano e vari altri paesi si trovano nella medesima situazione. Il paese dei cedri dipende per il 51% dal grano dalla Russia e dall’Ucraina. La Turchia di Erdogan, invece, dipende per il 100% dal grano dai due paesi coinvolti nel conflitto. Ovviamente tensioni sociali in Turchia potrebbero non solo essere pericolose per il regime di Erdogan, ma per la sua intera area di influenza, ormai allargatasi alla Libia, Siria, al Medio Oriente, ad alcuni paesi africani e soprattutto all’Europa che ha fatto di essa la porta di accesso “sbarrata” dei profughi in fuga dai loro paesi di origine.
    Anche l’Europa coinvolta nella guerra del grano

    Sono numerosi, dunque, i paesi che stanno cercando nuovi produttori di cereali cui fare riferimento. Tra le aree alle quali molti stanno guardando c’è proprio l’Unione europea che, non a caso, il 21 marzo scorso, ha deciso di derogare temporaneamente a una delle disposizioni della Pac (Politica Agricola Comune) che prevedeva di mettere a riposo il 4% dei terreni agricoli. Ovviamente, questa decisione è in funzione produttivistica e inseribile in uno scacchiere geopolitico mondiale di straordinaria delicatezza. Il problema di questa azione di messa a coltura di terreni che dovevano restare a riposo, mette in luce una delle contraddizioni più gravi della stessa Pac. Per anni, infatti, sono stati messi a riposo, o fatti risultare tali, terreni non coltivabili. In questo modo venivano messi a coltura terreni produttivi e fatti risultare a riposo quelli non produttivi. Ora, la deroga a questa azione non può produrre grandi vantaggi, in ragione del fatto che i terreni coltivabili in deroga restano non coltivabili di fatto e dunque poco o per nulla incideranno sull’aumento di produzione del grano. Se il conflitto ucraino dovesse continuare e l’Europa mancare l’obiettivo di aumentare la propria produzione di grano per calmierare i prezzi interni e nel contempo soddisfare parte della domanda a livello mondiale, si potrebbe decidere di diminuire le proprie esportazioni per aumentare le scorte. Le conseguenze sarebbero, in questo caso, dirette su molti paesi che storicamente acquistano grano europeo. Tra questi, in particolare, il Marocco e l’Algeria. Quest’ultimo paese, ad esempio, consuma ogni anno circa 11 milioni di tonnellate di grano, di cui il 60% importato direttamente dalla Francia. A causa delle tensioni politiche che nel corso degli ultimi tre anni si sono sviluppate tra Algeria e Francia, il paese Nord-africano ha cercato altre fonti di approvvigionamento, individuandole nell’Ucraina e nella Russia. Una scelta poco oculata, peraltro effettuata abbassando gli standard di qualità del grano, inferiori rispetto a quello francese.
    L’India può fare la differenza?

    Un nuovo attore mondiale sta però facendo il suo ingresso in modo prepotente. Si tratta dell’India, un paese che da solo produce il 14% circa del grano mondiale, ossia circa 90 milioni di tonnellate di grano. Questi numeri consentono al subcontinente indiano di piazzarsi al secondo posto come produttore mondiale dopo la Cina, che ne produce invece 130 milioni. L’India del Presidente Modhi ha usato gran parte della sua produzione per il mercato interno, anch’esso particolarmente sensibile alle oscillazione dei prezzi del bene essenziale. Nel contempo, grazie a una produzione che, secondo Nuova Delhi e la Fao, è superiore alle attese, sta pensando di vendere grano a prezzi vantaggiosi sul mercato globale. Sotto questo profilo già alcuni paesi hanno mostrato interesse. Tra questi, ad esempio, Iran, Indonesia, Tunisia e Nigeria. Anche l’Egitto ha iniziato ad acquistare grano dall’India, nonostante non sia di eccellente qualità per via dell’uso intensivo di pesticidi. Il protagonismo dell’India in questa direzione, ha fatto alzare la tensione con gli Stati Uniti. I membri del Congresso statunitense, infatti, hanno più volte sollevato interrogativi e critiche rispetto alle pratiche di sostegno economico, lesive, a loro dire, della libera concorrenza internazionale, che Nuova Delhi riconosce da anni ai suoi agricoltori, tanto da aver chiesto l’avvio di una procedura di infrazione presso l’Organizzazione mondiale per il Commercio (Omc). Insomma, le tensioni determinate dal conflitto in corso si intersecano e toccano aspetti e interessi plurimi, e tutti di straordinaria rilevanza per la tenuta degli equilibri politici e sociali globali.

    https://www.leurispes.it/grano-una-guerra-globale

    #blé #prix #Ukraine #Russie #guerre_en_Ukraine #guerre_globale_du_blé #produits_essentiels #ressources_pédagogiques #Etats-Unis #USA #Inde #instabilité #marché #inflation #céréales #indice_alimentaire #spéculation #globalisation #mondialisation #production #Afrique #production_agricole #malnutrition #excédent #industrie_agro-alimentaire #agrobusiness #faim #famine #Ethiopie #Arabie_Saoudite #land_grabbing #accaparemment_des_terres #Soudan #Egypte #Corée_du_Sud #exportation #aide_alimentaire #Angola #alimentation #multinationales #pays_du_Golfe #Mali #Madagascar #Ghana #fonds_souverains #sanctions #marchés_financiers #ports #Odessa #Mikolaiv #Mariupol #assurance #élevage #sanctions #dépendance_énergétique #énergie #ouragan_de_faim #dépendance #Turquie #Liban #pac #politique_agricole_commune #EU #UE #Europe #France #Maroc #Algérie

  • Lebanon plans to repatriate 15,000 refugees monthly to Syria

    There are around 1.5 million Syrian refugees in Lebanon

    Lebanon plans to return 15,000 Syrian refugees every month to Syria, Minister of the Displaced Issam Sharafeddine said on Monday.

    “It’s unacceptable that Syrian refugees don’t return to their country after the end of the war there,” Sharafeddine told a press conference following his meeting with President Michel Aoun in the capital Beirut.

    "The Syrian state extends its hand for cooperation on this file,” he added.

    The minister said he made proposals to the regional director of the United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR), Ayaki Ito, on the return of refugees, including the formation of a three-way committee with Syria and UNHCR.

    He also spoke of a four-way plan with Türkiye, Iraq, and Jordan on the return of the Syrian refugees, without giving further details.

    The number of Syrian refugees residing in Lebanon is approximately 1.5 million, about 900,000 of whom are registered at the United Nations High Commissioner for Refugees.

    Most of the refugees suffer from tough living conditions, especially with the exacerbation of the Lebanese economic crisis on one hand and the global economic crisis on the other.

    https://www.aa.com.tr/en/middle-east/lebanon-plans-to-repatriate-15-000-refugees-monthly-to-syria/2630053

    #renvois #Syrie #réfugiés_syriens #Liban

    –—

    voir aussi la métaliste sur les « retours au pays » ("forcé" ou « volontaire ») des réfugiés syriens :
    https://seenthis.net/messages/904710

  • Israeli Report Confirms Ariel Sharon, Bachir Gemayel Involvement in Sabra and Shatila Massacre – Al-Manar TV Lebanon
    https://english.almanar.com.lb/1625901

    The Zionist newspaper, Yedioth Ahronoth, unveiled a report that confirms the Israeli involvement in Sabra and Shatila massacre in 1982 in collaboration with the Lebanese Al-Kataeb militia ed by Bachir Gemayel.

    The report indicates that the military commanders in the Israeli occupation army and Al-Kataeb held meetings to coordinate the massacre and find the required, contradicting with the previous Zionist attempts to conceal the Israeli role in the crime.

    Documents, obtained by the Zionist journalist Ronen Bergman, show that the Israeli prime minister, Menachem Begin, approved the defense minister Ariel Sharon’s plan to attack the Palestinian refugees camp in Beirut on September 17.

    The documents added that a coordination meeting between Al-Kataeb officials and the Israeli enemy commanders was held in Beirut tow days after the massacre to mull the means of concealing the Zionist involvement.

    #sabra_et_Chatila #palestine #liban #massacre

  • Liban-Israël : gros enjeux gaziers, risques de guerre limités
    Par Paul Khalifeh – BEYROUTH, Liban | Vendredi 10 juin 2022 | Middle East Eye édition française
    https://www.middleeasteye.net/fr/decryptages/liban-israel-gaz-offshore-risques-guerre-frontiere-maritime

    La situation semble assez délicate pour que le médiateur américain chargé de la délimitation de la frontière maritime entre le Liban et Israël, Amos Hochstein, décide de se rendre d’urgence à Beyrouth.

    Le haut conseiller pour la sécurité énergétique mondiale au département d’État, attendu dimanche dans la capitale libanaise, n’y était plus venu depuis l’automne dernier, après les blocages apparus dans les négociations indirectes entre les deux pays, techniquement en guerre depuis 1948.

    Amos Hochstein a été invité par les autorités libanaises après la décision d’Israël de commencer l’exploitation du champ gazier disputé de Karish, entraînant une vive polémique couplée à des menaces entre les deux pays.

    Cette démarche, qui intervient alors que les négociations sur la délimitation de la frontière maritime sont toujours en cours, a été qualifiée de « provocation » et d’« acte hostile » par le président libanais Michel Aoun.

    Pour le Premier ministre Nagib Mikati, la procédure israélienne est « extrêmement dangereuse » et risque de « créer des tensions dont personne ne peut prévoir les répercussions ».

    L’accélération par Israël de l’exploitation du gisement de Karish s’inscrit dans le cadre d’une vaste stratégie initiée par les États-Unis et les pays occidentaux pour une réorganisation du marché du gaz. (...)

    #Liban

    • c’est pas comme si Total pouvait pas exploiter d’office, pour le compte du Liban, le gisement que les Israeliens ont commencé a exploiter de leur côté de la frontière :-)

      Il fait quoi Manu, avec nos amis Libanais et son fleuron carboné ?

  • Huge scale and impact of Israeli incursions over Lebanon skies revealed | Lebanon | The Guardian
    https://www.theguardian.com/world/2022/jun/09/huge-scale-and-impact-of-israeli-incursions-over-lebanon-skies-revealed
    https://i.guim.co.uk/img/media/401f82c696b169575b6a60d550e7d3021e5a0d8b/516_11_2783_1671/master/2783.jpg?width=1200&height=630&quality=85&auto=format&fit=crop&overlay-ali

    Perhaps less understood is the psychological effect of foreign warplanes dominating the skies above a civilian population. They often fly at low altitudes that cause alarm and panic.

    #Liban

  • Liban : blocages institutionnels en vue après les législatives
    Par Paul Khalifeh – BEYROUTH, Liban - Mardi 17 mai 2022 | Middle East Eye édition française
    https://www.middleeasteye.net/fr/decryptages/liban-elections-legislatives-resultat-morcellement-blocages-instituti

    (...) À l’issue de ce premier scrutin organisé depuis le début de la crise économique au Liban, en octobre 2019, le parti chiite et ses alliés ne sont pas parvenus à conserver la majorité au Parlement.

    Malgré des surprises ici et là, cette élection n’a toutefois pas apporté le changement souhaité par une majorité de Libanais.

    Les partis traditionnels et les représentants des grandes familles politiques, donnés pour mort il y a deux ans, continueront de dominer la prochaine Chambre des députés.

    Le Hezbollah et son allié, le mouvement Amal, ont raflé la totalité des 27 sièges chiites, ce qui leur confère une situation de monopole sur la représentation de cette communauté dans le système confessionnel libanais, où les hautes fonctions de l’État et de l’administration sont réparties sur des bases communautaires.

    Face à un électorat chiite qui a resserré les rangs derrière le tandem Hezbollah-Amal, la rue chrétienne sort profondément divisée de cette consultation.

    L’allié chrétien du Hezbollah, le Courant patriotique libre (CPL, fondé par le président Michel Aoun), perd quelques sièges mais tire son épingle du jeu malgré l’appauvrissement généralisé de la population, la destruction du pouvoir d’achat des Libanais et l’explosion du chômage.

    Compte tenu de l’étendue du désastre économique, les observateurs auraient pu s’attendre à un vote sanction qui, même s’il s’est manifesté dans certaines circonscriptions, ne s’est pas transformé en phénomène destructeur pour le CPL.

    Son rival chrétien des Forces libanaises devient aussi une formation incontournable au sein de cette communauté. Ce parti pro-saoudien, qui a développé un discours électoral résolument hostile au Hezbollah, a arraché quelques sièges au CPL et en a perdu d’autres, même dans son fief historique de Bécharré, dans le Nord du Liban.

    Les candidats se revendiquant du mouvement de contestation hostile à la classe politique ont opéré des percées significatives mais insuffisantes pour initier des réformes et un changement profond dans la donne politique. Ils auront un bloc d’une douzaine de députés sur les 128 que compte le Parlement.

    Autre fait marquant de ce scrutin, la forte abstention de l’électorat sunnite, qui a boudé les urnes dans les grandes villes (un peu moins à Beyrouth), en signe de solidarité avec l’ancien Premier ministre Saad Hariri, poussé à une retraite politique anticipée par l’Arabie saoudite. (...)

    #Liban

  • L’entité provisoire reconnaît son incapacité à attaquer le Liban
    http://french.presstv.ir/Detail/2022/05/10/681860/Hezbollah-Nasrallah-Isra%C3%ABl-R%C3%A9sistance

    Bien sûr, c’est un discours électoral mais ce sont tout de même les mots du grand méchand Nasrallah, chef du Rrrrezbollah

    #Hezbollah #liban

    « Ce que nous cherchons c’est l’État juste, fort et capable. C’est ce que nous avons annoncé dans notre document politique de 2009. La loi électorale est la clé, la loi majoritaire était biaisée, la loi proportionnelle est la plus équitable. Il y a une grande injustice concernant l’âge de vote, la lutte doit se concentrer sur l’octroi du droit de vote aux jeunes de 18 ans », a-t-il noté.

    « Nous sommes un pays riche, et ce trésor est dans la mer, et les données indiquent que nous avons une énorme richesse gazière offshore. L’État juste et capable est celui qui est capable de protéger sa souveraineté sur la terre et l’eau. Nous avons été et serons toujours contre les impôts sur les pauvres et le système fiscal doit être progressif. Un État juste et capable est celui qui assure la sécurité de ses citoyens afin qu’ils se sentent à l’abri de toute discrimination régionale », a fait remarquer le secrétaire général du Hezbollah libanais.

    « Si je dis que seul le Hezbollah est capable de construire un État juste et capable, je ne serai pas honnête. Aucun parti ne peut le faire seul au Liban. Nous insistons à être présents dans tout gouvernement, afin de protéger la Résistance. Notre pays est construit sur le partenariat et la non-élimination. Chacun doit être représenté au Parlement selon sa taille naturelle », a-t-il souligné.

    • Au passage, Nasrallah confirme le nouveau défi de la Résistance libanaise aux Israéliens : vous n’exploitez pas le gaz en Méditerranée si nouos (Liban/Hezbollah/Chiites du Sud...) n’en faisons pas de même...

  • 5 questions à Roland Riachi. Comprendre la #dépendance_alimentaire du #monde_arabe

    Économiste et géographe, Roland Riachi s’est spécialisé dans l’économie politique, et plus particulièrement dans le domaine de l’écologie politique. Dans cet entretien, il décrypte pour nous la crise alimentaire qui touche le monde arabe en la posant comme une crise éminemment politique. Il nous invite à regarder au-delà de l’aspect agricole pour cerner les choix politiques et économiques qui sont à son origine.

    https://www.carep-paris.org/5-questions-a/5-questions-a-roland-riachi
    #agriculture #alimentation #colonialisme #céréales #autosuffisance_alimentaire #nationalisation #néolibéralisme #Egypte #Soudan #Liban #Syrie #exportation #Maghreb #crise #post-colonialisme #souveraineté_nationale #panarabisme #militarisme #paysannerie #subventions #cash_crop #devises #capitalisme #blé #valeur_ajoutée #avocats #mangues #mondialisation #globalisation #néolibéralisme_autoritaire #révolution_verte #ouverture_du_marché #programmes_d'ajustement_structurels #intensification #machinisation #exode_rural #monopole #intrants #industrie_agro-alimentaire #biotechnologie #phosphates #extractivisme #agriculture_intensive #paysans #propriété_foncière #foncier #terres #morcellement_foncier #pauvreté #marginalisation #monoculture #goût #goûts #blé_tendre #pain #couscous #aide_humanitaire #blé_dur #durum #libre-échange #nourriture #diète_néolibérale #diète_méditerranéenne #bléification #importation #santé_publique #diabète #obésité #surpoids #accaparement_des_terres #eau #MENA #FMI #banque_mondiale #projets_hydrauliques #crise_alimentaire #foreign_direct_investment #emploi #Russie #Ukraine #sécurité_alimentaire #souveraineté_alimentaire

    #ressources_pédagogiques

    ping @odilon

  • Nicholas Noe sur Twitter :

    Which person-or more likely a team-thought it was a great idea usembassybeirut to install streetlights after the Blast,when there’s no state electricity esp,& then take credit every 5 pylons all while not employing Solar as in other similar situations round the world?

    / Twitter
    https://twitter.com/NoeNicholas/status/1516024395885682689

    Sûrement une équipe sioniste

    #états-unis #usaid #Liban

  • Effondrement, résistance et solidarité au #Liban [1/2] • La Cantine Syrienne
    https://cantinesyrienne.fr/ressources/les-peuples-veulent/effondrement-resistance-et-solidarite-au-liban

    L’entretien en deux volets que nous proposons ici a été réalisé par des amis de la Cantine Syrienne de Montreuil en parallèle des rencontres Les Peuples Veulent 3.0 avec Jean Kassir, activiste co-fondateur du média indépendant Megaphone basé à Beyrouth et Serge Harfouche, activiste co-fondateur de la ferme-école agroécologique Buzuruna Juzuruna basée dans la vallée de la Bekaa. Les deux activistes reviennent de manière très approfondie sur la situation actuelle au Liban, tout particulièrement depuis l’explosion du port de Beyrouth le 4 août 2020 et la séquence contre-insurrectionnelle et la terrible « guerre économique » qui s’est aggravée, ainsi que sur de possibles pistes stratégiques et de solidarité.

  • Au Liban, un féminisme radical « de survie »

    Affublée d’une réputation peu enviable comme étant la ville la plus pauvre, la plus conservatrice et la plus dangereuse du pays, Tripoli fait peur. Pourtant, la deuxième ville du Liban a émergé comme place forte d’un mouvement révolutionnaire combatif lors de la révolution (« Thawra ») de 2019, obtenant même le surnom glorieux d’« épouse de la révolution ». Les revendications féministes des révolutionnaires ont secoué Tripoli, ressuscitant son passé progressiste.

    Ancienne capitale culturelle sous l’empire Ottoman (1516-1918), la capitale du Nord a été supplantée et marginalisée par Beyrouth depuis le mandat français (1918-1946) et le régime politique qui l’a suivi, opposé au panarabisme et au communisme que prônaient de nombreux.ses Tripolitain.e.s. Après la guerre civile (1975-1990), la population exsangue a été oubliée par l’État central, renforçant un système politique néolibéral et confessionnel. Je suis allé à la rencontre de deux féministes qui, en adoptant des approches différentes, dénoncent la « guerre économique faite aux femmes » par un patriarcat capitaliste et religieux.

    https://entreleslignesentrelesmots.blog/2022/04/14/au-liban-un-feminisme-radical-de-survie

    #international #liban #féminisme

  • Food crisis looms as Ukrainian wheat shipments grind to halt
    Prices soar as Black Sea ports at virtual standstill amid Russian assault.

    At this time of year, Kees Huizinga is normally busy planting wheat, barley and corn on his farm in central Ukraine. But, having lost workers to the frontline, the Dutch national left his grain silos to sound the alarm about the impact of the Russian invasion on global wheat supply.

    Russia and Ukraine supply almost a third of the world’s wheat exports and since the Russian assault on its neighbour, ports on the Black Sea have come to a virtual standstill. As a result, wheat prices have soared to record highs, overtaking levels seen during the food crisis of 2007-08.

    “If farmers in Ukraine don’t start planting any time soon there will be huge crisis to food security. If Ukraine’s food production falls in the coming season the wheat price could double or triple,” said the Dutch national, who has been farming for two decades in Cherkasy, 200km south of Kyiv. He is part of a farming union, whose 1,100 members cover just under 10 per cent of the country’s farmland.

    While well stored wheat, such as that on Huizinga’s farm, can last several months, agricultural experts and policymakers have warned of the impact of delayed shipments on countries reliant on the region for wheat, grain, sunflower oil and barley.

    “They’re going to have to find different suppliers and all that means higher prices,” said Joseph Glauber, the former chief economist at the US Department of Agriculture and a senior fellow at agricultural policy think-tank IFPRI.

    The surge in prices will fuel soaring food inflation — already at a seven-year high of 7.8 per cent in January — and the biggest impact will be on the food security of poorer grain importers, warned analysts and food aid organisations.

    Ukraine accounts for 90 per cent of Lebanon’s wheat imports and is a leading supplier for countries including Somalia, Syria and Libya. Lebanon is “really struggling with an already high import bill and this is only going to make things worse,” said James Swanston, emerging market economist at Capital Economics.

    Russia also provides its Black Sea neighbour Turkey with more than 70 per cent of its wheat imports, according to the International Trade Centre. Even before the Russian invasion of Ukraine, inflation in Turkey had had hit a 20-year high of 54.4 per cent in February. “The war is only going to exacerbate the cost of food,” said Ismail Kemaloglu, the former head of the state Turkish Grain Board and now the director of the consultancy IK Tarimussu.

    “What’s critical here is that the Black Sea offers a logistical and price advantage . . . Costs will rise significantly when [Turkey] buys from the US or Australia,” he said. “Even if the war ends tomorrow, Ukraine’s planting season has already been disrupted and it will impact the 2022 harvest regardless.”

    The UN World Food Programme, which procures grains and food to distribute to poorer countries, bought just under 1.4m tonnes of wheat last year of which 70 per cent came from Ukraine and Russia.

    Prior to the invasion it was already facing a 30 per cent increase in the cost of wheat, because of poor harvests in Canada, the US and Argentina. The latest surge in grain prices would further curtail its ability to provide aid, it said.
    “This is an unnecessary shock of mega proportions,” said Arif Husain, chief economist at the WFP.

    High prices could trigger unrest, analysts said.

    The last time wheat prices spiked to these levels in 2007 and 2008 because of severe production declines in leading producing countries such as Australia and Russia, protests spread through nearly 40 countries from Haiti to the Ivory Coast, while a jump in grain prices in 2009-10 is regarded as one of the triggers of the Arab Spring uprisings in the Middle East.

    Russia accounts for two-thirds of Egypt’s wheat imports. Egyptian authorities say their wheat inventories will last until mid June and the Egyptian local harvest should start coming in by mid April. Any rise in subsidised bread prices and further increase in food inflation in Egypt “increases the threat of social unrest,” said Swanston.

    It is also unclear how long the crisis will last, said analysts, a fact that is boosting prices. “The market is worried that this is not a problem that’s going to be solved any time soon,” said Tim Worledge at Agricensus, the agricultural data and pricing agency.

    Wheat inventories are tight everywhere and as Chinese and South Korean buyers of Ukrainian corn, used to feed livestock, sought sellers elsewhere, EU agricultural ministers on Wednesday discussed allowing farmers to boost production using the 10 per cent of land they usually leave fallow in response to the war in Ukraine.

    In the short term, Ukrainian farmers contending with a war may struggle to spread fertilisers and pesticides and plant seeds for the spring crop. The next crop is due in the European summer. That harvest will depend on how long the Russian invasion lasts and for how long exports via the ports will be blocked.

    Sitting in his friend’s house in Siret close to the Romania-Ukraine border, Huizinga said the main question raised during a call with 75 fellow Ukrainian farmers was whether to plant or not to plant. They may struggle to get fertiliser and crop protection and it is unclear whether they could actually harvest and ship the crop. “The supply chain is broken,” he said.

    Some of the 400 staff on his 15,000 hectare farm have gone to fight and Huizinga has posted videos on social media of fellow farmers in the bomb shelters and villagers slaughtering pigs to deliver food to those in Kyiv and in the army. The difficulty, he said, could soon extend way beyond Ukraine. “We can face a huge problem, especially the poor people, who will have difficulty getting bread.”

    https://www.ft.com/content/457ba29e-f29b-4677-b69e-a6e5b973cad6

    #crise_alimentaire #blé #Ukraine #guerre #prix #Russie #Liban #Somalie #Syrie #Libye #Turquie #impact #Mer_Noire #mondialisation #globalisation #Egypte #inflation #pain

  • De la déstabilisation de la #Syrie et du #Liban par le Royaume Uni 1/3 - René Naba

    Moins tonitruant que la France, mais plus perfide et autrement plus efficace, le Royaume Uni a assumé un rôle redoutable dans la déstabilisation de la Syrie et du Liban, les deux anciennes chasses gardées françaises au levant, à la faveur de la séquence du “printemps arabe”, sans qu’il ait eu besoin de criminaliser les contestataires à sa stratégie, sans qu’il ait été relégué au rang d’”affinitaire”, sanction de son échec, comme ce fut le cas de son partenaire français.

    https://www.madaniya.info/2022/03/03/de-la-destabilisation-de-la-syrie-et-du-liban-par-le-royaume-uni-dans-la-


    #GB

  • #Birds_of_September

    « Le film est mon #voyage_personnel (mes #déambulations) dans les rues de Beyrouth. J’ai placé ma caméra à l’intérieur d’un véhicule vitré qui m’a permis de me détacher de l’environnement agité de la ville et de recréer un espace personnel intime pour l’observer à nouveau. Au fur et à mesure du voyage, plusieurs personnes rencontrées par hasard sont invitées à faire un tour dans ce véhicule insolite. Détachées de leur environnement, chacune d’elle se livre à des confessions intimes dans cet espace ambulant devenu #confessionnal. Cette bulle, qui était la mienne au départ, devient petit à petit celle de chacun de ces personnages. » (#Sarah_Francis)

    http://www.film-documentaire.fr/4DACTION/w_fiche_film/40546_0
    #film #film_documentaire #documentaire
    #Beyrouth #Liban #portrait #portrait_de_ville #itinérance #quotidien #normalité #rencontres #hasard #déambulation