• Grano : una guerra globale

    Secondo molti osservatori internazionali, la guerra in corso in Ucraina si esprimerebbe non solo mediante l’uso dell’artiglieria pesante e di milizie ufficiali o clandestine, responsabili di migliaia di morti, stupri e deportazioni. Esisterebbero, infatti, anche altri campi sui quali il conflitto, da tempo, si sarebbe spostato e che ne presuppongono un allargamento a livello globale. Uno di questi ha mandato in fibrillazione gli equilibri mondiali, con effetti diretti sulle economie di numerosi paesi e sulla vita, a volte sulla sopravvivenza, di milioni di persone. Si tratta della cosiddetta “battaglia globale del grano”, i cui effetti sono evidenti, anche in Occidente, con riferimento all’aumento dei prezzi di beni essenziali come il pane, la pasta o la farina, a cui si aggiungono quelli dei carburanti, oli vari, energia elettrica e legno.
    La questione del grano negli Stati Uniti: il pericolo di generare un tifone sociale

    Negli Stati Uniti, ad esempio, il prezzo del grano tenero, dal 24 febbraio del 2022, ossia dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, al Chicago Mercantile Exchange, uno dei maggiori mercati di riferimento per i contratti cerealicoli mondiali, è passato da 275 euro a tonnellata ai circa 400 euro dell’aprile scorso. Un aumento esponenziale che ha mandato in tensione non solo il sistema produttivo e distributivo globale, ma anche molti governi, legittimamente preoccupati per le conseguenze che tali aumenti potrebbero comportare sulle loro finanze e sulla popolazione. In epoca di globalizzazione, infatti, l’aumento del prezzo del grano tenero negli Stati Uniti potrebbe generare un “tifone sociale”, ad esempio, in Medio Oriente, in Africa, in Asia e anche in Europa. I relativi indici di volatilità, infatti, sono ai massimi storici, rendendo difficili previsioni di sviluppo che si fondano, invece, sulla prevedibilità dei mercati e non sulla loro instabilità. Queste fibrillazioni, peraltro, seguono, in modo pedissequo, le notizie che derivano dal fronte ucraino. Ciò significa che i mercati guardano non solo agli andamenti macroeconomici o agli indici di produzione e stoccaggio, ma anche a quelli derivanti direttamente dal fronte bellico e dalle conseguenze che esso determinerebbe sugli equilibri geopolitici globali.
    I processi inflattivi e la produzione di grano

    Anche secondo la Fao, per via dell’inflazione che ha colpito la produzione di cereali e oli vegetali, l’indice alimentare dei prezzi avrebbe raggiunto il livello più alto dal 1990, ossia dall’anno della sua creazione.

    Le origini della corsa a questo pericoloso rialzo sono molteplici e non tutte direttamente riconducibili, a ben guardare, alla sola crisi di produzione e distribuzione derivante dalla guerra in Ucraina. I mercati non sono strutture lineari, dal pensiero algoritmico neutrale. Al contrario, essi rispondono ad una serie molto ampia di variabili, anche incidentali, alcune delle quali derivano direttamente dalle ambizioni e dalle strategie di profitto di diversi speculatori finanziari. I dati possono chiarire i termini di questa riflessione.

    Il Pianeta, nel corso degli ultimi anni, ha prodotto tra 780 e 800 milioni di tonnellate di grano. Una cifra nettamente superiore rispetto ai 600 milioni di tonnellate prodotte nel 2000. Ciò si deve, in primis, alla crescita demografica mondiale e poi all’entrata di alcuni paesi asiatici e africani nel gotha del capitalismo globale e, conseguentemente, nel sistema produttivistico e consumistico generale. Se questo per un verso ha sollevato gran parte della popolazione di quei paesi dalla fame e dalla miseria, ha nel contempo determinato un impegno produttivo, in alcuni casi monocolturale, che ha avuto conseguenze dirette sul piano ambientale, sociale e politico.
    Il grano e l’Africa

    L’area dell’Africa centrale, ad esempio, ha visto aumentare la produzione agricola in alcuni casi anche del 70%. Eppure, nel contempo, si è registrato un aumento di circa il 30% di malnutrizione nella sua popolazione. Ciò è dovuto ad un’azione produttiva privata, incentivata da fondi finanziari internazionali e governativi, che ha aumentato la produzione senza redistribuzione. Questa produzione d’eccedenza è andata a vantaggio dei fondi speculativi, dell’agrobusiness o è risultata utile per la produzione occidentale, ma non ha sfamato la popolazione locale, in particolare di quella tradizionalmente esposta alla malnutrizione e alla fame. Un esempio emblematico riguarda l’Etiopia e i suoi 5 milioni circa di cittadini malnutriti. Questo paese dipende ormai interamente dagli aiuti alimentari e umanitari. Allo stesso tempo, migliaia di tonnellate di grano e di riso etiope sono esportate ogni anno in Arabia Saudita per via del land grabbing e degli accordi economici e finanziari sottoscritti. In Sudan si registra il medesimo fenomeno. Il locale governo ha infatti ceduto 1,5 milioni di ettari di terra di prima qualità agli Stati del Golfo, all’Egitto e alla Corea del Sud per 99 anni, mentre risulta contemporaneamente il paese al mondo che riceve la maggiore quantità di aiuti alimentari, con 6 milioni di suoi cittadini che dipendono dalla distribuzione di cibo. Basterebbe controllare i piani di volo degli aeroporti di questi paesi per rendersi conto di quanti aerei cargo decollano giornalmente carichi di verdura fresca e rose, con destinazione finale gli alberghi degli Emirati Arabi e i mercati di fiori olandesi. Come ha affermato l’ex direttore dell’ILC (International Land Coalition), Madiodio Niasse: «La mancanza di trasparenza rappresenta un notevole ostacolo all’attuazione di un sistema di controllo e implementazione delle decisioni riguardo alla terra e agli investimenti ad essa inerenti».

    L’Angola ha varato un piano di investimenti così ambizioso da attrarre sei miliardi di dollari esteri nel solo 2013. Prima dello scoppio del conflitto civile, durato trent’anni, questo paese riusciva a nutrire tutti i suoi abitanti ed esportava caffè, banane e zucchero. Oggi, è costretto a comprare all’estero metà del cibo destinato al consumo interno, mentre solo il 10% della sua superficie arabile è utilizzata. Ciò nonostante, ha ritenuto legittimo incentivare l’accaparramento dei propri terreni agricoli da parte di multinazionali dell’agrobusiness e fondi finanziari di investimento. Ragioni analoghe guidano Khartoum a negoziare migliaia di ettari con i paesi del Golfo. Tra il 2004 e il 2009, in soli cinque paesi, Mali, Etiopia, Sudan, Ghana e Madagascar circa due milioni e mezzo di ettari coltivabili sono finiti nel portafoglio finanziario di multinazionali e dei fondi sovrani.
    Non solo Ucraina

    Quanto descritto serve per superare un’ottica monofocale che tende a concentrarsi, per ciò che riguarda il tema della terra e del grano, esclusivamente sull’Ucraina. Nello scacchiere globale della produzione e dell’approvvigionamento rientrano, infatti, numerosi paesi, molti dei quali per anni predati o raggirati mediante accordi capestro e obblighi internazionali che hanno fatto del loro territorio un grande campo coltivato per i bisogni e i consumi occidentali.
    Il ruolo della Russia

    Anche la Russia, in quest’ambito, svolge un ruolo fondamentale. Mosca, infatti, ha deciso di conservare per sé e in parte per i suoi alleati, a fini strategici, la propria produzione cerealicola, contribuendo a generare gravi fibrillazioni sui mercati finanziari di tutto il mondo. Nel 2021, ad esempio, il paese governato da Putin era il primo esportatore di grano a livello mondiale (18%), piazzandosi sopra anche agli Stati Uniti. Questa enorme quantità di grano esportato non risulta vincolata come quello occidentale, ma riconducibile al consumo interno e al bilanciamento dei relativi prezzi per il consumatore russo che in questo modo paga meno il pane o la carne rispetto ad un occidentale. Non è però tutto “rose e fiori”. Sulla Russia incidono due fattori fondamentali. In primis, le sanzioni occidentali che limitano i suoi rapporti commerciali e impediscono a numerose merci e attrezzature di entrare, almeno in modo legale, per chiudere la filiera produttiva e commerciale in modo controllato. Secondo, l’esclusione della Russia dai mercati finanziari comporta gravi conseguenze per il paese con riferimento alla situazione dei pagamenti con una tensione crescente per il sistema finanziario, bancario e del credito. Non a caso recentemente essa è stata dichiarata in default sui circa 100 milioni di dollari di obbligazioni che non è riuscita a pagare. In realtà, il default non avrà un peso straordinario almeno per due ragioni. In primo luogo perché il paese è da molto tempo economicamente, finanziariamente e politicamente emarginato. Secondo poi, il fallimento sarebbe dovuto non alla mancanza di denaro da parte della Russia, ma alla chiusura dei canali di trasferimento da parte dei creditori. A completare il quadro, c’è una strategica limitazione delle esportazioni di grano da parte ancora della Russia nei riguardi dei paesi satelliti, come ad esempio l’Armenia o la Bielorussia. Ciò indica la volontà, da parte di Putin, di rafforzare le scorte per via di un conflitto che si considera di lungo periodo.
    Il grano “bloccato”

    A caratterizzare questa “battaglie globale del grano” ci sono anche altri fattori. Da febbraio 2020, ad esempio, circa 6 milioni di tonnellate di grano ucraino sono bloccati nel porto di Mikolaiv, Odessa e Mariupol. È una quantità di grano enorme che rischia di deperire nonostante lo stato di crisi alimentare in cui versano decine di paesi, soprattutto africani. Sotto questo profilo, i paesi occidentali e vicini all’Ucraina dovrebbero trovare corridoi speciali, militarmente difesi, per consentire l’esportazione del cereale e successivamente la sua trasformazione a tutela della vita di milioni di persone. D’altra parte, sui prezzi intervengo fattori non direttamente riconducibili all’andamento della guerra ma a quelli del mercato. Ad esempio, l’aumento del costo delle derrate cerealicole si deve anche all’aumento esponenziale (20-30%) dei premi assicurativi sulle navi incaricate di trasportarlo, attualmente ferme nei porti ucraini. Su questo aspetto i governi nazionali potrebbero intervenire direttamente, calmierando i premi assicurativi, anche obtorto collo, contribuendo a calmierai i prezzi delle preziose derrate alimentati. Si consideri che molti industriali italiani del grano variamente lavorato stanno cambiando la loro bilancia di riferimento e relativi prezzi, passando ad esempio dal quintale al chilo e aumentando anche del 30-40% il costo per allevatori e trasformatori vari (fornai e catene dell’alimentare italiano).
    Le ricadute di una guerra di lungo periodo

    Una guerra di lungo periodo, come molti analisti internazionali ritengono quella in corso, obbligherà i paesi contendenti e i relativi alleati, a una profonda revisione della produzione di grano. L’Ucraina, ad esempio, avendo a disposizione circa 41,5 milioni di ettari di superficie agricola utile, attualmente in parte occupati dai carri armati russi e da un cannoneggiamento da artiglieria pesante e attività di sabotaggio, vende in genere il 74% della sua produzione cerealicola a livello globale. Non si tratta di una scelta politica occasionale ma strategica e di lungo periodo. L’Ucraina, infatti, ha visto aumentare, nel corso degli ultimi vent’anni, la sua produzione di grano e l’ esportazione. Si consideri che nel 2000, il grano ucraino destinato all’esportazione era il 60% di quello prodotto. La strategia ovviamente non è solo commerciale ma anche politica. Chi dispone del “potere del grano”, infatti, ha una leva fondamentale sulla popolazione dei paesi che importano questo prodotto, sul relativo sistema di trasformazione e commerciale e sull’intera filiera di prodotti derivati, come l’allevamento. Ed è proprio su questa filiera che ora fa leva la Russia, tentando di generare fibrillazioni sui mercati, azioni speculative e tensioni sociali per tentare di allentare il sostegno occidentale o internazionale dato all’Ucraina e la morsa, nel contempo, delle sanzioni.

    Esiste qualche alternativa alla morsa russa su campi agricoli ucraini? Il terreno ucraino seminato a grano e risparmiato dalla devastazione militare russa, soprattutto lungo la linea Sud-Ovest del paese, può forse rappresentare una speranza se messo a coltura e presidiato anche militarmente. Tutto questo però deve fare i conti con altri due problemi: la carenza di carburante e la carenza di manodopera necessaria per concludere la coltivazione, mietitura e commercializzazione del grano. Su questo punto molti paesi, Italia compresa, si sono detti pronti ad intervenire fornendo a Zelensky mezzi, camion, aerei cargo e navi ove vi fosse la possibilità di usare alcuni porti. Nel frattempo, il grano sta crescendo e la paura di vederlo marcire nei magazzini o di non poterlo raccogliere nei campi resta alta. Ovviamente queste sono considerazioni fatte anche dai mercati che restano in fibrillazione. Circa il 70% dei carburanti usati in agricoltura in Ucraina, ad esempio, sono importanti da Russia e Bielorussia. Ciò significa che esiste una dipendenza energetica del paese di Zelensky dalla Russia, che deve essere superata quanto prima mediante l’intervento diretto dei paesi alleati a vantaggio dell’Ucraina. Altrimenti il rischio è di avere parte dei campi di grano ucraini pieni del prezioso cereale, ma i trattori e le mietitrici ferme perché prive di carburante, passando così dal danno globale alla beffa e alla catastrofe mondiale.

    Una catastrofe in realtà già prevista.
    Un uragano di fame

    Le Nazioni Unite, attraverso il suo Segretario generale, Antonio Guterres, già il 14 marzo scorso avevano messo in guardia il mondo contro la minaccia di un “uragano di fame” che avrebbe potuto generare conflitti e rivolte in aree già particolarmente delicate. Tra queste ultime, in particolare, il Sudan, l’Eritrea, lo Yemen, e anche il Medio Oriente.

    Gutierres ha parlato addirittura di circa 1,7 miliardi di persone che possono precipitare dalla sopravvivenza alla fame. Si tratta di circa un quinto della popolazione mondiale, con riferimento in particolare a quarantacinque paesi africani, diciotto dei quali dipendono per oltre il 50% dal grano ucraino e russo. Oltre a questi paesi, ve ne sono altri, la cui tenuta è in tensione da molti anni, che dipendono addirittura per il 100% dai due paesi in guerra. Si tratta, ad esempio, dell’Eritrea, della Mauritania, della Somalia, del Benin e della Tanzania.

    In definitiva, gli effetti di una nuova ondata di fame, che andrebbe a sommarsi alle crisi sociali, politiche, ambientali e terroristiche già in corso da molti anni, potrebbero causare il definitivo crollo di molti paesi con effetti umanitari e politici a catena devastanti.
    Il caso dell’Egitto

    Un paese particolarmente sensibile alla crisi in corso è l’Egitto, che è anche il più grande acquirente di grano al mondo con 12 milioni di tonnellate, di cui 6 acquistate direttamente dal governo di Al Si-si per soddisfare il programma di distribuzione del pane. Si tratta di un programma sociale di contenimento delle potenziali agitazioni, tensioni sociali e politiche, scontri, rivolte e migrazioni per fame che potrebbero indurre il Paese in uno stato di crisi permanente. Sarebbe, a ben osservare, un film già visto. Già con le note “Primavere arabe”, infatti, generate dal crollo della capacità di reperimento del grano nei mercati globali a causa dei mutamenti climatici che investirono direttamente le grandi economie del mondo e in particolare la Cina, Argentina, Russia e Australia, scoppiarono rivolte proprio in Egitto (e in Siria), represse nel sangue. L’Egitto, inoltre, dipende per il 61% dalla Russia e per il 23% dall’Ucraina per ciò che riguarda l’importazione del grano. Dunque, questi due soli paesi fanno insieme l’84% del grano importato dal paese dei faraoni. Nel contempo, l’Egitto fonda la sua bilancia dei pagamenti su un prezzo del prezioso cereale concordato a circa 255 dollari a tonnellata. L’aumento del prezzo sui mercati globali ha già obbligato l’Egitto ad annullare due contratti sottoscritti con la Russia, contribuendo a far salire la tensione della sua popolazione, considerando che i due terzi circa dei 103 milioni di egiziani si nutre in via quasi esclusiva di pane (chiamato aish, ossia “vita”). Secondo le dichiarazioni del governo egiziano, le riserve di grano saranno sufficienti per soddisfare i relativi bisogni per tutta l’estate in corso. Resta però una domanda: che cosa accadrà, considerando che la guerra in Ucraina è destinata ad essere ancora lunga, quando le scorte saranno terminate?

    Anche il Libano e vari altri paesi si trovano nella medesima situazione. Il paese dei cedri dipende per il 51% dal grano dalla Russia e dall’Ucraina. La Turchia di Erdogan, invece, dipende per il 100% dal grano dai due paesi coinvolti nel conflitto. Ovviamente tensioni sociali in Turchia potrebbero non solo essere pericolose per il regime di Erdogan, ma per la sua intera area di influenza, ormai allargatasi alla Libia, Siria, al Medio Oriente, ad alcuni paesi africani e soprattutto all’Europa che ha fatto di essa la porta di accesso “sbarrata” dei profughi in fuga dai loro paesi di origine.
    Anche l’Europa coinvolta nella guerra del grano

    Sono numerosi, dunque, i paesi che stanno cercando nuovi produttori di cereali cui fare riferimento. Tra le aree alle quali molti stanno guardando c’è proprio l’Unione europea che, non a caso, il 21 marzo scorso, ha deciso di derogare temporaneamente a una delle disposizioni della Pac (Politica Agricola Comune) che prevedeva di mettere a riposo il 4% dei terreni agricoli. Ovviamente, questa decisione è in funzione produttivistica e inseribile in uno scacchiere geopolitico mondiale di straordinaria delicatezza. Il problema di questa azione di messa a coltura di terreni che dovevano restare a riposo, mette in luce una delle contraddizioni più gravi della stessa Pac. Per anni, infatti, sono stati messi a riposo, o fatti risultare tali, terreni non coltivabili. In questo modo venivano messi a coltura terreni produttivi e fatti risultare a riposo quelli non produttivi. Ora, la deroga a questa azione non può produrre grandi vantaggi, in ragione del fatto che i terreni coltivabili in deroga restano non coltivabili di fatto e dunque poco o per nulla incideranno sull’aumento di produzione del grano. Se il conflitto ucraino dovesse continuare e l’Europa mancare l’obiettivo di aumentare la propria produzione di grano per calmierare i prezzi interni e nel contempo soddisfare parte della domanda a livello mondiale, si potrebbe decidere di diminuire le proprie esportazioni per aumentare le scorte. Le conseguenze sarebbero, in questo caso, dirette su molti paesi che storicamente acquistano grano europeo. Tra questi, in particolare, il Marocco e l’Algeria. Quest’ultimo paese, ad esempio, consuma ogni anno circa 11 milioni di tonnellate di grano, di cui il 60% importato direttamente dalla Francia. A causa delle tensioni politiche che nel corso degli ultimi tre anni si sono sviluppate tra Algeria e Francia, il paese Nord-africano ha cercato altre fonti di approvvigionamento, individuandole nell’Ucraina e nella Russia. Una scelta poco oculata, peraltro effettuata abbassando gli standard di qualità del grano, inferiori rispetto a quello francese.
    L’India può fare la differenza?

    Un nuovo attore mondiale sta però facendo il suo ingresso in modo prepotente. Si tratta dell’India, un paese che da solo produce il 14% circa del grano mondiale, ossia circa 90 milioni di tonnellate di grano. Questi numeri consentono al subcontinente indiano di piazzarsi al secondo posto come produttore mondiale dopo la Cina, che ne produce invece 130 milioni. L’India del Presidente Modhi ha usato gran parte della sua produzione per il mercato interno, anch’esso particolarmente sensibile alle oscillazione dei prezzi del bene essenziale. Nel contempo, grazie a una produzione che, secondo Nuova Delhi e la Fao, è superiore alle attese, sta pensando di vendere grano a prezzi vantaggiosi sul mercato globale. Sotto questo profilo già alcuni paesi hanno mostrato interesse. Tra questi, ad esempio, Iran, Indonesia, Tunisia e Nigeria. Anche l’Egitto ha iniziato ad acquistare grano dall’India, nonostante non sia di eccellente qualità per via dell’uso intensivo di pesticidi. Il protagonismo dell’India in questa direzione, ha fatto alzare la tensione con gli Stati Uniti. I membri del Congresso statunitense, infatti, hanno più volte sollevato interrogativi e critiche rispetto alle pratiche di sostegno economico, lesive, a loro dire, della libera concorrenza internazionale, che Nuova Delhi riconosce da anni ai suoi agricoltori, tanto da aver chiesto l’avvio di una procedura di infrazione presso l’Organizzazione mondiale per il Commercio (Omc). Insomma, le tensioni determinate dal conflitto in corso si intersecano e toccano aspetti e interessi plurimi, e tutti di straordinaria rilevanza per la tenuta degli equilibri politici e sociali globali.

    https://www.leurispes.it/grano-una-guerra-globale

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  • Électricité : les prix risquent de tripler en France cet hiver
    https://www.latribune.fr/entreprises-finance/industrie/energie-environnement/electricite-la-france-s-oriente-vers-des-prix-deux-a-trois-fois-plus-eleve

    Alors que le pays fonce tout droit vers un déficit de production d’électricité cet hiver, les capacités d’importation depuis les pays voisins pour combler le manque de marges risquent d’être fortement limitées. De quoi inquiéter les marchés, qui anticipent une défaillance, ce qui fait grimper encore plus qu’ailleurs les prix de gros dans l’Hexagone. Explications.
    (Crédits : Reuters)

    « Il n’y a aucun risque de coupure » de courant l’hiver prochain, affirmait Emmanuel Macron début juin, au moment-même où le gouvernement allemand tirait la sonnette d’alarme et lançait son plan d’urgence énergétique. Et pour cause, « quand il y a des besoins, on s’approvisionne sur le marché européen », justifiait le chef de l’Etat, affirmant vouloir « rassurer » les Français.

    Et pourtant, depuis cette déclaration, les signaux pour le moins inquiétants se multiplient. Jusqu’à faire bondir les prix au plafond : dans l’Hexagone, ceux-ci se négocient actuellement au prix hallucinant de 790 euros le mégawattheure (MWh) pour octobre-décembre 2022 sur la bourse EPEX, soit deux à trois fois plus que dans les pays voisins ! Et frôlent même les 1.500 euros le MWh pour ce qui est des prix de pointe, contre moins de 500 euros en Allemagne. Une « différence énorme » qui montre que le marché « anticipe une défaillance » en France, alerte Nicolas Goldberg, spécialiste de l’énergie chez Colombus Consulting. Pour rappel, avant la crise sanitaire, le prix s’élevait à une cinquantaine d’euros le mégawattheure.
    L’atout nucléaire se retourne contre la France

    De fait, le pays fait face à une situation « spécifique », qui aggrave encore la crise et accroît la probabilité d’une pénurie de courant cet hiver, explique Jacques Percebois, économiste et directeur du Centre de Recherche en Economie et Droit de l’Energie (CREDEN). En effet, alors que son mix électrique repose toujours, en théorie, à presque 70% sur le parc nucléaire, celui-ci traverse une période d’indisponibilité historique. Selon le réseau européen des gestionnaires de réseau de transport d’électricité ENTSO-E, 27 des 56 réacteurs du territoire se trouvent en effet à l’arrêt.

    En cause : le décalage des maintenances du fait du coronavirus, qui tombent donc, pour plusieurs centrales, en ce moment-même, mais surtout l’identification récente d’un défaut de corrosion sur plusieurs infrastructures, et dont les causes et l’ampleur réelle restent inconnues. En février, EDF avait ainsi présenté un programme de contrôles afin de vérifier le nombre de réacteurs concernés par l’anomalie, et annoncé qu’il arrêterait en priorité, et d’ici à fin avril, Bugey 3 et 4, Cattenom 3, Chinon 3 et Flamanville 1 et 2.

    « Sans ce problème de fissuration qui pousse EDF à fermer une partie du parc, on aurait un réseau sans marges, mais pas à marge négative, comme c’est le cas actuellement », commente Nicolas Goldberg.

    Autrement dit, « l’avantage français du nucléaire se transforme en élément de faiblesse, et le restera tant que les réacteurs seront indisponibles, et le problème irrésolu », ajoute Jacques Percebois.

    Congestions aux frontières

    Ainsi, la France importera forcément de grandes quantités d’électricité pour satisfaire la demande cet hiver, affirme Jacques Percebois. Et notamment lors des pointes de consommation, celles-ci étant « habituellement plus fréquentes et fortes en France qu’ailleurs en Europe, étant donné que l’on se chauffe bien plus à l’électrique que nos voisins », précise l’économiste.

    Seulement voilà : les pays frontaliers risquent, eux aussi, de faire face à de fortes tensions d’approvisionnement, ou du moins de ne pas disposer de suffisamment de surplus pour satisfaire les besoins français. Pour s’en prémunir, l’Allemagne a notamment décidé de garder en activité près de 14 GW de centrales à charbon qui devaient fermer dès cette année. Mais même avec cette puissance supplémentaire, Berlin anticipe une pénurie dans le cas où la Russie décidait de réduire encore son offre de gaz, toujours essentielle pour alimenter ses centrales électriques.

    Surtout, les possibilités d’échange seront de toute façon restreintes par des freins techniques. « Il faut s’attendre à des goulots d’étranglement liés aux capacités d’interconnexion des réseaux, aujourd’hui limitées à 13 GW environ. C’est pour cela qu’en période de tension, il y a toujours des congestions aux frontières. Cela explique aussi que le prix de gros ne soit pas le même partout », note Jacques Percebois.

    Par conséquent, ce dernier devrait bien exploser en France, malgré la connexion du pays au marché européen de l’électricité. Reste à voir l’impact de ce phénomène sur les factures des consommateurs. En effet, l’Etat avait mis en place l’hiver dernier un bouclier tarifaire, aujourd’hui toujours en vigueur, afin de protéger les citoyens de la flambée des prix. Mais alors que la situation promet d’empirer, un tel dispositif pourrait peser lourd sur les finances publiques.

    « Pour limiter la hausse du tarif réglementé de vente à 4% plutôt que 40%, les pouvoirs publics sont déjà intervenus massivement, à tous les échelons. Ils ont mis sous perfusion les fournisseurs, tout en donnant des aides aux consommateurs, afin de faire en sorte que le marché tienne. C’est un interventionnisme extraordinaire, qui a coûté des fortunes aux contribuables », soulignait à La Tribune il y a quelques mois Xavier Pinon, cofondateur et dirigeant du courtier en énergie Selectra.

    Un manque criant de marges pilotables

    Dans ces conditions, le gouvernement n’a d’autre choix que de sonner le branle-bas de combat, soit pour accroître la production d’électricité nationale, soit pour diminuer la demande. Il a notamment annoncé son intention de rouvrir en urgence la centrale à charbon Emile Huchet, et d’engager un plan « sobriété », censé pousser l’Hexagone à économiser un maximum d’énergie sur le territoire.

    Mais en cas d’hiver froid, ces recours resteront largement insuffisants, tant le pays dispose de peu de marges de manœuvre pilotables en dehors du nucléaire.

    « Pendant de nombreuses années, nous n’avons plus construit de moyens de production pilotables [qui permettent de fournir de l’électricité sans variation liée aux conditions météorologiques ou géographiques, ndlr]. Nous en avons même fermé, en ne construisant que des éoliennes et des panneaux solaires à la place. Forcément, cela a déstabilisé le réseau, et accru le risque d’une non satisfaction de la demande », glissait à La Tribune André Merlin, le premier directeur de RTE, en avril dernier.

    Le gouvernement a notamment acté la fin de la centrale nucléaire de Fessenheim, en Alsace, définitivement mise à l’arrêt en 2020. « Celle-ci ne représentait qu’1,8 GW, son maintien n’aurait donc pas suffi, même s’il aurait apporté des marges bienvenues. Mais nous avons par ailleurs fermé plus de 10 GW d’énergies fossiles depuis 2012. Ce qui est bon pour le climat, mais aboutit logiquement à un manque significatif de pilotables. A cela s’ajoute notre retard sur l’efficacité énergétique, notamment dans les bâtiments, qui permettrait de réduire en parallèle la consommation », selon Nicolas Goldberg.

    D’autant que les rares projets mis en route pour compenser ces fermetures ont accumulé les déboires. Notamment la construction du réacteur nucléaire EPR de Flamanville (1,6 GW), qui essuie plus de dix ans de retard, et n’est toujours pas raccordée au réseau. Mais aussi la centrale au gaz de Landivisiau, opérée par TotalEnergies et mise en service en avril dernier, après de très nombreux glissements du calendrier.

    Du côté des installations non pilotables, le bilan de la France s’avère également peu reluisant, puisque l’Hexagone ne compte qu’un seul parc éolien en mer, raccordé au réseau il y a quelques semaines seulement. De manière globale, la filière éolienne reste à la peine : au 31 mars 2022, la puissance installée s’élevait à un peu plus de 19 GW, soit près de deux fois moins que les objectifs de la Programmation pluriannuelle de l’énergie (PPE). Et pour ce qui est de l’énergie solaire photovoltaïque, la France n’en produit que 2,2%, soit trois fois moins que l’Allemagne ou l’Italie.

    Une « conjonction de facteurs défavorables », résume Jacques Percebois, dont les conséquences pourraient être majeures. En cas de pénurie, « les consommateurs domestiques seront de toute façon prioritaires », rappelle-t-il. Autrement dit, les entreprises seront les premières à se voir rationner, notamment les plus énergivores, ce qui n’est pas arrivé depuis les années 1950. A tel point que certains industriels cherchent à prendre les devants, comme Stellantis qui cherche un partenaire pour produire sa propre énergie.

    En avril dernier, l’exécutif avait ainsi publié un décret prévoyant le délestage, autrement dit la réduction momentanée et planifiée de la consommation de gaz naturel par certains consommateurs en cas de pénurie. Seraient d’abord concernés les 5.000 sites qui brûlent plus de 5 GW/h par an, en dehors de ceux assurant des missions d’intérêt général (écoles, hôpitaux, Ehpad...). Ce qui pourrait peser lourd sur le tissu industriel français, déjà ébranlé par une explosion des prix qui n’en finit pas.

    #sources_d'énergie #marché_de_l'électricité #interconnexion #centrales_nucléaires

  • Augmented reality game market growth might be stalling
    https://www.gamedeveloper.com/extended-reality/ar-game-market-growth-might-be-stalling

    News of layoffs and cancelled game projects at Niantic this week stunned the game development world. For years, the Ingress and Pokémon Go developer has been acquiring companies, launching new games like Harry Potter: Wizards Unite and announcing new titles like Transformers Heavy Metal, Peridot, and NBA All-World.

    But layoffs, cost cutting and game cancellation may show that the titanic success of Pokémon Go is slowing down, or at the very least, isn’t easily translatable to other game brands. And if it’s not working well for Niantic, how might the rest of the AR game world be holding up?

    Il semblerait que le marché de la réalité augmentée soit en train de s’essouffler, au point qu’on se demande s’il ne s’agit pas d’un marché à un unique succès à la fois, en l’occurrence, Pokémon Go de Niantic, que personne ne semble savoir égaler.

    #jeu_vidéo #jeux_vidéo #business #niantic #jeu_vidéo_pokémon_go #jeu_vidéo_harry_potter_wizards_unite #jeu_vidéo_transformers_heavy_metal #jeu_vidéo_peridot #jeu_vidéo_nba_all_world #licenciements #ressources_humaines #ar #réalité_augmentée #marché #essouflement #guillermo_escofet #jeu_vidéo_dragon_quest_walk #étude_de_marché #tencent #jeu_vidéo_let_s_hunt_monsters

  • Les gens détestent l’idée des villes sans voitures, jusqu’à ce qu’ils y vivent
    http://carfree.fr/index.php/2022/06/29/les-gens-detestent-lidee-des-villes-sans-voitures-jusqua-ce-quils-y-vivent

    Le retrait des voitures des zones urbaines permet de réduire les émissions de carbone, la pollution atmosphérique et les accidents de la route. Alors pourquoi les habitants sont-ils si réticents ? Lire la suite...

    #Alternatives_à_la_voiture #Fin_de_l'automobile #Marche_à_pied #Quartiers_sans_voitures #Transports_publics #Vélo #Vie_sans_voiture #Ville_sans_voitures #angleterre #londres #trafic #transition #ville

  • Coppens, Deloison et des ailes aux pieds
    http://carfree.fr/index.php/2022/06/28/coppens-deloison-et-des-ailes-aux-pieds

    Le décès d’Yves Coppens me donne l’occasion de revenir sur les recherches hétérodoxes, mais néanmoins passionnantes d’Yvette Deloison concernant la préhistoire du piéton. Selon sa thèse, la bipédie humaine serait Lire la suite...

    #Alternatives_à_la_voiture #Livres #Marche_à_pied #histoire #piétons

    • Appropriation du cadavre d’Yves Coppens pour briller auprès des bac +10, spécialité eelv sur le sujet de la bipédie humaine.

      On attend la publication en quatre-vingt-dix ouvrages de l’oeuvre cachée d’Honoré de Balzac sur le sujet.

  • Le long bras de fer des paysans indiens
    https://laviedesidees.fr/Le-long-bras-de-fer-des-paysans-indiens.html

    La #libéralisation du marché des produits agricoles a conduit à une mobilisation d’une ampleur sans précédent des paysans indiens. Malgré une violente répression, ceux-ci ont encerclé Delhi et campé aux portes de la métropole pendant plus d’un an, jusqu’à faire fléchir le gouvernement.

    #International #marché #Inde #agriculture
    https://laviedesidees.fr/IMG/pdf/20220628_inde.pdf
    https://laviedesidees.fr/IMG/docx/20220628_inde.docx

  • Nous pouvons (et devons) stopper la crise sur les marchés internationaux – Fondation FARM
    https://fondation-farm.org/crise-alimentaire-securite-mondiale

    Bien sûr, la guerre en Ukraine n’a rien arrangé. Cette région du monde (Ukraine + Russie) produit une part significative du blé et du maïs exporté sur les marchés internationaux (environ 20%) et il en est de même pour les huiles végétales (notamment celle de tournesol) et pour les engrais azotés. Pour l’instant, ce n’est pas tant la production qui est compromise que les exportations (qui se faisaient traditionnellement par les ports de la mer Noire).
    Mais l’essentiel de la hausse des prix s’est produit avant la guerre en Ukraine. Et il ne s’agit pas là d’un détail. Car si les prix alimentaires, notamment ceux du maïs, du blé et des huiles végétales, ont fortement augmenté depuis la mi-2020, c’est parce qu’ils ont été entraînés à la hausse par le prix des énergies fossiles (pétrole et gaz naturel). Ce qui est en cause, c’est donc notre modèle de production agricole basé sur l’utilisation intense de ces énergies : intrants chimiques (notamment les engrais azotés fabriqués avec du gaz naturel), mécanisation, transport à grande distance. Ce qui est en cause, c’est surtout notre utilisation massive de produits alimentaires pour fabriquer du carburant, surtout aux Etats-Unis (maïs) et dans l’Union européenne (colza). Une utilisation qui lie très fortement le prix des céréales (maïs et blé) et des huiles végétales aux prix des énergies fossiles.
    Alors bien sûr la guerre en Ukraine a prolongé et amplifié la crise mais lui en attribuer l’entière responsabilité est factuellement inexact. Nous (Européens et Américains du nord) avons aussi notre (grande) part de responsabilité et il nous revient de l’assumer.

    #marchés_céréales #crise_ukraine #biocarburant

  • L’irresponsabilité du piéton
    http://carfree.fr/index.php/2022/06/23/lirresponsabilite-du-pieton

    Le #code_de_la_route va être promulgué. Ce n’est plus qu’une question de mois ou d’années. Il est particulièrement sévère à l’égard des #piétons, et c’est justice. Jusqu’ici, l’on Lire la suite...

    #Alternatives_à_la_voiture #Insécurité_routière #Marche_à_pied #histoire #humour #sécurité_routière

  • France travail ! France privatise !
    https://labrique.net/index.php/thematiques/lutte-des-classes/1245-france-travail-france-privatise

    Askis, Catalys, Solerys, Tingari… en tant que chômeurs ou chômeuse, vous avez peut-être déjà eu affaires à elles. « Elles », ce sont ces boîtes privées qui rien qu’en 2021 ont touché plus de 300 millions d’euros pour « accompagner » les personnes privées d’emploi à coup de prestations fumeuses auprès d’un public autonome, qui, avec ou sans « elles », auraient retrouvé un taf. Dans le Nord, Tingari, ex-Ingeus1, sort du lot. Cette entreprise est particulièrement agressive pour faire du chiffre.

    #En_vedette #Lutte_des_classes

  • Le problème
    http://carfree.fr/index.php/2022/05/31/le-probleme

    La #vidéo suivante n’est pas un clip de la #sécurité_routière bien trop occupée à culpabiliser les victimes, #piétons ou cyclistes, face à l’arrogance automobile. C’est juste une vidéo montrant Lire la suite...

    #Alternatives_à_la_voiture #Fin_de_l'automobile #Insécurité_routière #Marche_à_pied #accident #marche #passage_piéton #violence #vitesse

  • Un automobiliste prend la fuite après avoir laissé un piéton traverser à un passage protégé
    http://carfree.fr/index.php/2022/05/26/un-automobiliste-prend-la-fuite-apres-avoir-laisse-un-pieton-traverser-a-un-

    Il est dix-huit heures à Neurastène-les-Bains. Cela ne fait pas plus de dix minutes que Émile-Louis, un apprenti boucher, attend de traverser au #passage_piéton de l’avenue Charles Pasqua. Il Lire la suite...

    #Alternatives_à_la_voiture #Insécurité_routière #Marche_à_pied #humour #piétons

  • Les rues aux écoles, elles m’empêchent de vroumer !
    http://carfree.fr/index.php/2022/05/16/les-rues-aux-ecoles-elles-mempechent-de-vroumer

    Les Aventures de Totomobiliste constituent une mini-BD en plusieurs épisodes réalisée par Leo Fabre. Totomobiliste est une source inépuisable d’inspiration. Aujourd’hui, l’épisode 3 : « Les rues aux écoles, elles m’empêchent de Lire la suite...

    #Alternatives_à_la_voiture #Fin_de_l'automobile #Insécurité_routière #Marche_à_pied #agressivité #dessins #école #enfants #humour

  • Mouna, l’anti-bagnole
    http://carfree.fr/index.php/2022/05/13/mouna-lanti-bagnole

    Parmi les « grands précurseurs » de l’anti-bagnole, il y a André Dupont, dit « Aguigui Mouna » ou simplement « Mouna » (1911-1999). Décrit sur Wikipédia comme un clochard-philosophe libertaire, pacifiste, écologiste avant l’heure, il Lire la suite...

    #Alternatives_à_la_voiture #Fin_de_l'automobile #Marche_à_pied #anti-voitures #dessins #écologie #histoire #pacifisme #paris #vélorution

  • Comment la #marche libère les #femmes | Slate.fr
    http://www.slate.fr/story/227359/marche-randonnee-liberation-femmes-independance-epanouissement

    « On considérait que le #corps de la femme n’était pas capable de marcher sur de trop longues distances, mais ce discours médical servait surtout à garder les femmes à l’intérieur des foyers. Une femme qui se rend à l’extérieur, qui occupe l’espace public, c’est une femme qui peut faire potentiellement des rencontres. Tout ça met en danger la cellule familiale », explique Julie Gaucher.

    « À l’époque, ajoute la chercheuse, une femme qui fait du sport en extérieur, c’est aussi une mise en danger de l’hégémonie des hommes. Jusqu’à la Seconde Guerre mondiale, le modèle masculin par excellence, c’est le soldat. Puis c’est l’exploit sportif. Si les femmes entendent investir ce terrain, que reste-t-il aux hommes ? »

  • Votre course autour du monde | The Beautiful Walk

    https://www.thebeautifulwalk.com/fr/home

    Comment se motiver à marcher ou courir ?  convertir ses distances de marches et courses à pied en itinéraire autour du monde. Ça se connecte à ton Strava ou Google Fit ou quelques autres applications qui compte tes pas ou tes kilomètres de runs, et hop…

    Ne vous-êtes vous jamais demandé où vous seriez si vous aviez marché droit devant vous chaque jour au lieu de faire vos trajets quotidiens ?

    Le parcours suit des petits chemins de traverse, de forêts, parfois des départementales, en essayant d’être le plus direct possible tout en vous faisant visiter tous les continents du monde. Il est basé sur l’itinéraire à pied de Google Maps. Le départ se fait à la porte du Jardin des Plantes, à Paris, puis va jusqu’à Kuala Lumpur avec pour étapes Istanbul et Samarcande. Ensuite on reprend à Perth pour traverser l’Australie et se retrouver à Sydney. Ensuite on reprend à Lima et on remonte jusqu’à New York. Enfin, on reprend à Cape Town, on traverse toute l’Afrique du sud au nord pour retourner à Paris en passant par Gibraltar.

    #the_beautiful_walk #marche #tour_du_monde

    Le site est à l’initiative de #Fibre_Tigre, connu dans le milieu du jeu de rôle, qui a notamment fait l’émission Games of Rôles — et notamment une version « Les Deux Tours » sur une Campagne présidentielle fictive avec France info, Clément Viktorovitch et Jules de Kiss qui était plutôt amusante (visible sur YT en replay là https://www.youtube.com/watch?v=ON-WLMlZoSM&list=PLk7PalZB4rYdGXtoj_FPL8gcf82JGrvd3

    )

    Dans un stream récent sur Twitch, il racontait que The Beautiful Walk était l’œuvre dont il était le plus fier actuellement : depuis 7 ans il écrit tous les dimanches une narration sur le trajet (en se renseignant sur le lieu), tous les 10 à 20km. En 2019 il avait fait 50% du trajet.

    A priori on peut lire ses aventures au fil du parcours (mais je n’ai pas encore assez fait de kilomètres pour le voir !)

    Je ne sais pas s’il y a d’autres équivalents, mais je trouve ça une belle idée.

  • Von den Fischer und siine Fru (1812) – Wikisource
    https://de.wikisource.org/wiki/Von_den_Fischer_und_siine_Fru_(1812)

    Von den Fischer und siine Fru.

    Daar was mal eens een Fischer un siine Fru, de waanten tosamen in’n Pispott, dicht an de See – un de Fischer ging alle Dage hen un angelt, un ging he hen lange Tid.

    Daar satt he eens an de See bi de Angel un sach in dat blanke Water, un he sach ümmer na de Angel – daar ging de Angel to Grun’n, deep unner, un as he se heruttreckt so haalt he eenen groten Butt herut – de Butt sed’ to em: „ick bidd di, dat du mi lewen lettst, ick bin keen rechte Butt, ick bin een verwünscht’ Prins, sett mi wedder in dat Water un laat mi swemmen“ – Nu, sed’ de Mann, du bruukst nich so veele Woord’ to maken, eenen Butt, de spreken kan, hadd ick doch woll swemmen laten. Daar sett’t he en wedder in dat Water, un de Butt ging fuurts weg to Grun’n un leet eenen langen Stripen Bloot hinne sich.

    De Mann averst ging to siine Fru in’n Pispott un vertellt eer, dat he eenen Butt fangen hadd, de hadd to em segt, he weer een verwünscht’ Prins, doon hadd he em wedder swemmen laten. „Hest du di den nix wünscht?“ sed’ de Fru. – „Nee! sed de Mann, wat sull ick mi wünschen?“ – „Ach! sed’ de Fru, dat is doch övel, ümmer in’n Pispott to wanen, dat is so stinkig un dreckig hier, ga du noch hen un wünsch uns ne lütte Hütt!“ den Mann was dat nicht so recht, doch ging he hen na de See, un as he hen kamm, so was de See gans geel un grön, da ging he an dat Water, staan, un sed:

    „Mandje! Mandje! Timpe Te!
    Buttje! Buttje in de See!
    Mine Fru, de Ilsebill,
    Will nich so, as ick wol will.“

    Daar kam de Butt answemmen un sed’: „na wat will se denn?“ – „Ach! sed’ de Mann, ick hev di doch fangen hätt, nu sed’ mine Fru, ick hadd mi doch wat wünschen sullt, se mag nich meer in Pispott wanen, se wull geern ne Hütt hebben.“ – „Ga man hen, sed de Butt, se is all daar in.“ –

    Daar ging de Mann hen, und siine Fru stund in eene Hütt in de Döör, un sed to em: „kumm man herin; sü, nu is dat doch veel beter!“ Un daar was eene Stuwe un Kamer un eene Köck daar in, un da achter was een lütte Gaarn mit allerhand Grönigkeiten un een Hoff, da weeren Höner und Aanten. „Ach, sed de Mann, nu willn wi vergnögt lewen“ – „Ja, sed de Fru, wi willnt verjöken.“

    So ging dat nu wol een acht oder veertein Daag, daar sed’ de Fru: „Mann! de Hütt wart mi to eng, de Hoff un Gaarn is to lütt, ick will in een grot steenern Slott wanen; ga hen tum Butt, he sall uns een Slott schaffen.“ – „Ach Fru, sed de Mann, de Butt hett uns erst de Hütt gewen, ick mag nu nich all wedder kamen, den Butt mügt et verdreeten.“ – „I watt, sed de Fru, he kann dat recht good, un deet dat geern, ga du man hen!“ Daar ging der Mann hen un siin Hart was em so swar; as he awerst bi de See kam, was dat Water gans vigelett un grag un dunkelblag, doch was’t noch still, dar ging he staan un sed:

    „Mandje! Mandje! Timpe Te!
    Buttje, Buttje in de See!
    Mine Fru, de Ilsebill,
    Will nich so, as ick wol will.“

    „Na! wat will se denn?“ sed de Butt. – „Ach, sed de Mann, gans bedrövd, mine Fru will in een stenern Slott wanen.“ – „Ga man hen, se steit vör de Döör“ sed de Butt.

    Daar ging de Mann hen un siine Fru stund vör eenen groten Pallast. „Sü Mann, sed se, wat is dat nu schön!“ Mit des gingen se tosamen herin, daar weeren so veel Bedeenters, un de Wände weeren all blank, un goldne Stööl un Dische weeren in de Stuw, un achter dat Slott was een Gaarn un Holt, woll eene halve Miil lang, daar in weren Hirsche, Reeh un Hasen, un up den Hoff Köh- un Peerdställ. „Ach! sed de Mann, nu willn wi ook in dat schöne Slott bliwen, un tofreden sin!“ – „Dat willn wi uns bedenken, sed de Fru, un willn’t beschlapen.“ Mit des gingen se to Bed. [72] Denn annern Morgen waakt de Fru up, dat was all Dag: da stödd’ se den Mann mit den Ellbagen in de Siid, un sed: „Mann stah up, wi möten König warden över all dat Land.“ – „Ach! Fru, sed de Mann, wat wulln wi König warden, ick mag nich König sin;“ na denn will ick König sin. – „Ach! Fru, sed de Mann, wo kannst du König sin, de Butt mügt dat nich doon“ – „Mann, sed de Fru, ga stracks hen, ick möt König sin.“ Daar ging de Mann un was gans bedrövd, dat sin Fru König warden wull. Un as he an de See kamm, was se all gans swartgrag un dat Water geert so van unner up. Daar ging he staan un sed:

    „Mandje! Mandje! Timpe Te!
    Buttje, Buttje in de See!
    Mine Fru, de Ilsebill,
    Will nich so, as ick wol will.“

    „Na wat will se denn?“ sed de Butt. – „Ach! sed de Mann, mine Fru will König warden“ – „Ga man hen, se is’t all,“ sed de Butt.

    Daar ging de Mann hen, un as he na den Palast kamm, da weren daar so veele Soldaten un Pauken un Trumpeten, un siine Fru satt up eenen hogen Troon van Gold un Demant un had eene grote goldne Kroon up un up beiden Siiden bi eer daar stunden sös Jumfern, [73] ümmer eene eenen Kops lütjer as de annre. „Ach, sed de Mann, bist du nu König?“ – „Ja, sed se, ick bin König.“ Un as he eer so ne Wile anseen had, so sed he: „ach Fru! wat lett dat schön, wenn du König bist, nu willn wi ook nich meer wünschen.“ – „Nee Mann, sed se, mi duurt dat all to lang, ick kan dat nich meer uthollen, König bin ick, nu möt ick ook Kaiser warden!“ – „Ach! Fru, sed de Mann, wat wullst du Kaiser warden?“ – „Mann, sed se, ga tum Butt, ick wull Kaiser sin“ – „Ach Fru, sed de Mann, Kaiser kan he nich maken, ick mag den Butt dat nicht seggen.“ – „Ich bin König, sed de Fru, un du bist min Mann, ga gliik hen!“ Da ging de Mann weg, un as he so ging, dacht he: „dit geit un geit nicht good, Kaiser is to utverschamt, de Butt ward am Ende möde.“ Mit des kamm he an de See, dat Water was gans swart un dick, un et ging so een Keekwind äver hen, dat dat sik so köret; daar ging he staan un sed:

    „Mandje! Mandje! Timpe Te!
    Buttje, Buttje in de See!
    Mine Fru, de Ilsebill,
    Will nich so, as ick wol will.“

    „Na wat will se denn?“ sed de Butt. – „Ach sed he, min Fru will Kaiser warden.“ – „Ga man hen, sed de Butt, se is’t all.“

    Daar ging de Mann hen, un as he daarkamm, so satt siine Fru up eenen seer hogen Troon, de was van een Stück Gold, un had eene grote Kroon up, de was wol twee Ellen hoch, bi eer up de Siiden dar stunnen de Trabanten, ümmer een lüttjer as de anner, von den allergrötsten Risen, bett to den lüttsten Dwark, de was man so lang, as miin lüttje Finger. Vor eer dar stunden so veele Fürsten un Graven, da ging de Mann unner staan, un sed: „Fru! bist du nu Kaiser?“ – „Ga, sed se, ick bin Kaiser.“ – „Ach! sed de Mann, un sach se so recht an, Fru wat lett dat schön, wenn du Kaiser bist.“ – „Mann, sed se, wat steist du daar, ick bin nu Kaiser, nu will ick äwerst ook Papst warden.“ – „Ach! Fru, sed de Mann, wat wist du Pabst warden, Pabst is man eenmal in de Christenheit.“ – „Mann, sed se, ick möt hüüt noch Pabst warden.“ – „Ne Fru, sed he, to Pabst kan de Butt nich maaken, dat geit nich good.“ – „Mann, wat Snak, kan he Kaiser maken, kan he ook Pabst maken, ga fuurts hen!“ Daar ging de Mann hen, un em was gans flau, dee Knee un de Waden flakkerten em, un buten ging de Wind, un dat Water was, as kaakt dat, de Schep schoten in de Noot un dansten un sprungen up de Bülgen, doch was de Himmel in de Midde noch so’n beeten blag, awerst an de Siden, daar toog dat so recht rood up as een swaar Gewitter. Dar ging he recht vörzufft staan un sed:

    „Mandje! Mandje! Timpe Te!
    Buttje, Buttje in de See!
    Mine Fru, de Ilsebill,
    Will nich so, as ick wol will.“

    „Na, wat will se denn?“ sed de Butt. – „Ach! sed de Mann, miin Fru will Pabst warden.“ – „Ga man hen, sed de Butt, se is’t all.“

    Daar ging he hen, un as he daar kamm, satt sine Fru up eenen Tron, de was twee Mil’ hoch, un had dree groote Kroonen up, un um eer da was so veel van geistlike Staat, un up de Siden bi eer, daar stunden twee Reegen Lichter, dat grötste so dick un groot as de aller grötste Torm, bet to dat alle lüttste Köten-Licht. „Fru, sed de Mann, un sach se so recht an, bist du nu Pabst?“ – „Ja, sed se, ick bin Pabst!“ – „Ach! Fru, sed de Mann, wat lett dat schön, wenn du Pabst bist; Fru, nu wes tofreden, nu du Pabst bist, kanst du nix meer warden.“ – „Dat will ick mi bedenken, sed de Fru, daar gingen see beede so Bed, awerst se was nich tofreden un de Girigkeit leet eer nich slapen, se dacht ümmer, wat se noch wol warden wull. Mit des ging de Sünn up; ha, dacht se, as se se ut den Finster so herup kamen sach, kann ick nich ook de Sünn upgaan laten?“ daar wurd se recht so grimmig, un stödd eeren Mann an: „Mann ga hen tum Butt, ick will warden, as de lewe Gott!“ de Mann was noch meist im Slaap, averst he verschrack sich so, dat he ut den Bed feel. „Ach! Fru, sed he, gaa in di un bliw Pabst.“ – „Ne, sed de Fru, un reet sich dat Liivken up, ick bin nich ruhig, un kan dat nich uthollen, wenn ick de Sünn un de Maan upgaan see, un kan se nich ook upgaan laten, ick möt warden, as de lewe Gott!“ – „Ach Fru, sed de Mann, dat kan de Butt nich, Kaiser un Pabst kan he maken, awerst dat kan he nich.“ – „Mann, sed se, un sach so recht gräsig ut, ick will warden as de lewe Gott, gaa gliik hen to’m Butt.“

    Dat fuur den Mann so dörch de Gleder, dat he bewt vör Angst; buten awer ging de Storm, dat alle Böme un Felsen umweigten un de Himmel was gans swart, un dat dunnert un blitzt; daar sach man in de See so swarte hoge Bülgen as Barg’ un hadden baben all eene witte Kroon von Schuum up, da sed he:

    „Mandje! Mandje! Timpe Te!
    Buttje, Buttje in de See!
    Mine Fru de Ilsebill,
    Will nich so, as ick wol will.“

    „Na wat will se den?“ sed de But. – „Ach! sed he, se will warden as de leve Gott.“ – „Gah man hen, se sitt all wedder in’n Pißpott.“ Daar sitten se noch hüt un dissen Dag.

    #Märchen #Plattdeutsch Vom Fischer und seiner Frau

  • Vom Fischer und seiner Frau Märchen (Original) - Geschichte der Gebrüder Grimm
    https://www.childstories.org/de/vom-fischer-und-seiner-frau-14.html

    Vom Fischer und seiner Frau - Märchen der Gebrüder Grimm

    Es war einmal ein Fischer und seine Frau, die wohnten zusammen in einer kleinen Fischerhütte, dicht an der See, und der Fischer ging alle Tage hin und angelte: und angelte und angelte. So saß er auch einmal mit seiner Angel und sah immer in das klare Wasser hinein: und so saß er nun und saß. Da ging die Angel auf den Grund, tief hinunter, und als er sie heraufhohe, da holte er einen großen Butt heraus.

    Da sagte der Butt zu ihm: „Hör mal, Fischer, ich bitte dich, lass mich leben, ich bin kein richtiger Butt, ich bin ein verwunschener Prinz. Was hilft’s dir denn, wenn du mich tötest? Ich würde dir doch nicht recht schmecken: Setz mich wieder ins Wasser und lass mich schwimmen.“ – „Nun,“ sagte der Mann, „du brauchst nicht so viele Worte zu machen: einen Butt, der sprechen kann, werde ich doch wohl schwimmen lassen.“ Damit setzte er ihn wieder in das klare Wasser.

    Da ging der Butt auf Grund und ließ einen langen Streifen Blut hinter sich. Da stand der Fischer auf und ging zu seiner Frau in die kleine Hütte. „Mann,“ sagte die Frau, „hast du heute nichts gefangen?“ – „Nein,“ sagte der Mann. „Ich fing einen Butt, der sagte, er wäre ein verwunschener Prinz, da hab ich ihn wieder schwimmen lassen.“ – „Hast du dir denn nichts gewünscht?“ sagte die Frau. „Nein,“ sagte der Mann, „was sollte ich mir wünschen?“ – „Ach,“ sagte die Frau, „das ist doch übel, immer hier in der Hütte zu wohnen: die stinkt und ist so eklig; du hättest uns doch ein kleines Häuschen wünschen können. Geh noch einmal hin und ruf ihn. Sag ihm, wir wollen ein kleines Häuschen haben, er tut das gewiss.“

    „Ach,“ sagte der Mann, „was soll ich da nochmal hingehen?“ Da sagte die Frau, „du hattest ihn doch gefangen und hast ihn wieder schwimmen lassen – er tut das gewiss. Geh gleich hin!“ Der Mann wollte noch nicht recht, wollte aber auch seiner Frau nicht zuwiderhandeln und ging hin an die See. Als er dorthin kam, war die See ganz grün und gelb und gar nicht mehr so klar. So stellte er sich hin und sagte:

    „Männlein, Männlein, Timpe Te,
    Buttje, Buttje in der See,
    Meine Frau, die Ilsebill,
    Will nicht so, wie ich wohl will.“

    Da kam der Butt angeschwommen und sagte: „Na, was will sie denn?“ – „Ach,“ sagte der Mann, „ich hatte dich doch gefangen; nun sagt meine Frau, ich hätt mir doch was wünschen sollen. Sie mag nicht mehr in der Hütte wohnen, sie will gern ein Häuschen.“ – „Geh nur,“ sagte der Butt, „sie hat es schon.“

    Da ging der Mann hin, und seine Frau saß nicht mehr in der kleinen Hütte, denn an ihrer Stelle stand jetzt ein Häuschen, und seine Frau saß vor der Türe auf einer Bank. Da nahm ihn seine Frau bei der Hand und sagte zu ihm: „Komm nur herein, sieh, nun ist doch das viel besser.“ Da gingen sie hinein, und in dem Häuschen war ein kleiner Vorplatz und eine kleine reine Stube und Kammer, wo jedem sein Bett stand, und Küche und Speisekammer, alles auf’s Beste mit Gerätschaften versehen und aufs schönste aufgestellt, Zinnzeug und Messing, was ebenso dazugehört. Dahinter war auch ein kleiner Hof mit Hühnern und Enten und ein kleiner Garten mit Grünzeug und Obst. „Sieh,“ sagte die Frau, „ist das nicht nett?“ – „Ja,“ sagte der Mann, „so soll es bleiben; nun wollen wir recht vergnügt leben.“ – „Das wollen wir uns bedenken,“ sagte die Frau. Dann aßen sie etwas und gingen zu Bett.

    So ging es wohl nun acht oder vierzehn Tage, da sagte die Frau: „Hör, Mann, das Häuschen ist auch gar zu eng, und der Hof und der Garten ist so klein: der Butt hätt uns auch wohl ein größeres Haus schenken können. Ich möchte wohl in einem großen steinernen Schloss wohnen. Geh hin zum Butt, er soll uns ein Schloss schenken.“ – „Ach Frau,“ sagte der Mann, „das Häuschen ist ja gut genug, warum wollen wir in einem Schloss wohnen?“ -„I was,“ sagte die Frau, „geh du man hin, der Butt kann das schon.“ – „Nein, Frau,“ sagte der Mann, „der Butt hat uns erst das Häuschen gegeben. Ich mag nun nicht schon wieder kommen, den Butt könnte das verdrießen.“ – „Geh doch,“ sagte die Frau, „er kann das recht gut und tut es auch gern; geh du nur hin.“ Dem Mann war sein Herz so schwer, und er wollte nicht; er sagte zu sich selber: „Das ist nicht recht.“ Aber er ging doch hin.

    Als er an die See kam, war das Wasser ganz violett und dunkelblau und grau und dick, und gar nicht mehr so grün und gelb, doch war es noch still. Da stellte er sich hin und sagte:

    „Männlein, Männlein, Timpe Te,
    Buttje, Buttje in der See,
    Meine Frau, die Ilsebill,
    Will nicht so, wie ich wohl will.“

    „Na, was will sie denn?“ sagte der Butt. „Ach,“ sagte der Mann, halb betrübt, „sie will in einem großen steinernen Schloss wohnen.“ – „Geh nur hin, sie steht vor der Tür,“ sagte der Butt.

    Da ging der Mann hin und dachte, er wollte nach Hause gehen, als er aber dahin kam, da stand dort ein großer steinerner Palast, und seine Frau stand oben auf der Treppe und wollte hineingehen: da nahm sie ihn bei der Hand und sagte: „Komm nur herein.“ Damit ging er mit ihr hinein, und in dem Schloss war eine große Diele mit einem marmornen Estrich, und da waren so viele Bediente, die rissen die großen Türen auf, und die Wände waren alle blank und mit schönen Tapeten ausgestattet, und in den Zimmern lauter goldene Stühle und Tische, und kristallene Kronleuchter hingen von der Decke; alle Stuben und Kammern waren mit Fußdecken versehen.

    Auf den Tischen standen das Essen und der allerbeste Wein, dass sie fast brechen wollten. Und hinter dem Haus war auch ein großer Hof mit Pferde- und Kuhstall, und Kutschwagen: alles vom allerbesten; auch war da ein großer herrlicher Garten mit den schönsten Blumen und feinen Obstbäumen, und ein herrlicher Park, wohl eine halbe Meile lang, da waren Hirsche und Rehe drin und alles, was man nur immer wünschen mag. „Na,“ sagte die Frau, „ist das nun nicht schön?“ – „Ach ja,“ sagte der Mann, „so soll es auch bleiben. Nun wollen wir auch in dem schönen Schloss wohnen und wollen zufrieden sein.“ – „Das wollen wir uns bedenken,“ sagte die Frau, „und wollen es beschlafen.“ Darauf gingen sie zu Bett.

    Am anderen Morgen wachte die Frau als erste auf; es war gerade Tag geworden, und sah von ihrem Bett aus das herrliche Land vor sich liegen. Der Mann reckte sich noch, da stieß sie ihn mit dem Ellbogen in die Seite und sagte: „Mann, steh auf und guck mal aus dem Fenster. Sieh, können wir nicht König werden über all das Land? Geh hin zum Butt, wir wollen König sein.“ – „Ach Frau,“ sagte der Mann, „warum wollen wir König sein?“ – „Nun,“ sagte die Frau, „willst du nicht König sein, so will ich König sein. Geh hin zum Butt, ich will König sein.“ – „Ach Frau,“ sagte der Mann, „was willst du König sein? Das mag ich ihm nicht sagen.“ – „Warum nicht?“ sagte die Frau, „geh stracks hin, ich muss König sein.“ Da ging der Mann hin und war ganz bedrückt, dass seine Frau König werden wollte. Das ist und ist nicht recht, dachte der Mann. Er wollte nicht hingehen, ging aber dann doch hin.

    Und als er an die See kam, war die See ganz schwarzgrau, und das Wasser drängte so von unten herauf und stank auch ganz faul. Da stellte er sich hin und sagte:

    „Männlein, Männlein, Timpe Te,
    Buttje, Buttje in der See,
    Meine Frau, die Ilsebill,
    Will nicht so, wie ich wohl will.“

    „Na, was will sie denn?“ sagte der Butt. „Ach,“ sagte der Mann, „sie will König werden.“ – „Geh nur hin, sie ist es schon,“ sagte der Butt.

    Da ging der Mann hin, und als er zu dem Palast kam, war das Schloss viel größer geworden, mit einem großen Turm und herrlichem Zierrat daran: und die Schildwache stand vor dem Tor, und da waren so viele Soldaten und Pauken und Trompeten. Und als er in das Haus kam, so war alles von purem Marmor und Gold, und samtenen Decken und große goldene Quasten. Da gingen die Türen von dem Saal auf, wo der ganze Hofstaat war, und seine Frau saß auf einem hohen Thron von Gold und Diamanten und hatte eine große goldene Krone auf und das Zepter in der Hand von purem Gold und Edelstein. Und auf beiden Seiten von ihr standen sechs Jungfrauen in einer Reihe, immer eine einen Kopf kleiner als die andere.

    Da stellte er sich hin und sagte: „Ach Frau, bist du nun König?“ – „Ja,“ sagte die Frau, „nun bin ich König.“ Da stand er nun und sah sie an; und als er sie eine Zeitlang so angesehen hatte, sagte er: „Ach Frau, was ist das schön, dass du nun König bist! Nun wollen wir uns auch nichts mehr wünschen.“ – „Nein, Mann,“ sagte die Frau, und war ganz unruhig, „mir wird schon Zeit und Weile lang, ich kann das nicht mehr aushalten. Geh hin zum Butt: König bin ich, nun muss ich auch Kaiser werden.“ – „Ach Frau,“ sagte der Mann, „warum willst du Kaiser werden?“ – „Mann,“ sagte sie, „geh zum Butt, ich will Kaiser sein!“ – „Ach Frau,“ sagte der Mann, „Kaiser kann er nicht machen, ich mag dem Butt das nicht zu sagen; Kaiser ist nur einmal im Reich: Kaiser kann der Butt nicht machen.“ – „Was,“ sagte die Frau, „ich bin König, und du bist doch mein Mann; willst du gleich hingehen? Gleich geh hin! – Kann er Könige machen, so kann er auch Kaiser machen; ich will und will Kaiser sein! Geh gleich hin!“ Da musste er hingehen. Als der Mann aber hinging, war ihm ganz bang; und als er so ging, dachte er bei sich: Das geht und geht nicht gut: Kaiser ist zu unverschämt, der Butt wird’s am Ende leid. Inzwischen kam er an die See. Da war die See noch ganz schwarz und dick und fing an, so von unten herauf zu schäumen, dass sie Blasen warf; und es ging so ein Wirbelwind über die See hin, dass sie sich nur so drehte. Und den Mann ergriff ein Grauen. Da stand er nun und sagte:

    „Männlein, Männlein, Timpe Te,
    Buttje, Buttje in der See,
    Meine Frau, die Ilsebill,
    Will nicht so, wie ich wohl will.“

    „Na, was will sie denn?“ sagte der Butt. „Ach, Butt,“ sagte er, „meine Frau will Kaiser werden.“ – „Geh nur hin,“ sagte der Butt, „sie ist es schon.“

    Da ging der Mann hin, und als er dort ankam, war das ganze Schloss von poliertem Marmor mit Figuren aus Alabaster und goldenen Zierraten. Vor der Tür marschierten die Soldaten, und sie bliesen Trompeten und schlugen Pauken und Trommeln; aber in dem Hause, da gingen die Barone und Grafen und Herzöge herum und taten, als ob sie Diener wären. Die machten ihm die Türen auf, die von lauter Gold waren. Und als er hereinkam, da saß seine Frau auf einem Thron, der war von einem Stück Gold und war wohl zwei Meilen hoch; und sie hatte eine große goldene Krone auf, die war drei Ellen hoch und mit Brillanten und Karfunkelsteinen besetzt. In der einen Hand hatte sie das Zepter und in der anderen den Reichsapfel, und auf beiden Seiten neben ihr, da standen die Trabanten so in zwei Reihen, immer einer kleiner als der andere, von dem allergrößten Riesen, der war zwei Meilen hoch, bis zu dem allerwinzigsten Zwerg, der war so groß wie mein kleiner Finger. Und vor ihr standen viele Fürsten und Herzöge.

    Da trat nun der Mann zwischen sie und sagte: „Frau, bist du nun Kaiser?“ – „Ja,“ sagte sie, „ich bin Kaiser.“ Da stellte er sich nun hin und besah sie sich recht, und als er sie so eine Zeitlang angesehen hatte, da sagte er: „Ach, Frau, wie steht dir das schön, dass du Kaiser bist.“ – „Mann,“ sagte sie, „was stehst du da? Ich bin nun Kaiser, nun will ich auch Papst werden; geh hin zum Butt.“ – „Ach Frau,“ sagte der Mann, „was willst du denn nicht alles? Papst kannst du nicht werden, ihn gibt’s nur einmal in der Christenheit: das kann er doch nicht machen!“ – „Mann,“ sagte sie, „ich will Papst werden, geh gleich hin, ich muss heute noch Papst werden.“ – „Nein, Frau,“ sagte der Mann, „das mag ich ihm nicht sagen, das ist nicht gut, das ist zu viel verlangt, zum Papst kann dich der Butt nicht machen.“ – „Mann, schwatz kein dummes Zeug!“ sagte die Frau. „Kann er Kaiser machen, so kann er auch einen Papst machen. Geh sofort hin; ich bin Kaiser, und du bist doch mein Mann. Willst du wohl hingehen?“

    Da wurde ihm ganz bang zumute, und er ging hin, aber ihm war ganz flau dabei; er zitterte und bebte, und die Knie und Waden schlotterten ihm. Und da strich so ein Wind über das Land, und die Wolken flogen, und es wurde so düster wie gegen den Abend zu: die Blätter wehten von den Bäumen, und das Wasser ging hoch und brauste so, als ob es kochte, und platschte an das Ufer, und in der Ferne sah er die Schiffe, die gaben Notschüsse ab und tanzten und sprangen auf den Wogen. Doch war der Himmel in der Mitte noch ein bisschen blau, aber an den Seiten, da zog es so recht rot auf wie ein schweres Gewitter. Da ging er ganz verzagt hin und stand da in seiner Angst und sagte:

    „Männlein, Männlein, Timpe Te,
    Buttje, Buttje in der See,
    Meine Frau, die Ilsebill,
    Will nicht so, wie ich wohl will.“

    „Na, was will sie denn?“ sagte der Butt. „Ach“; sagte der Mann, „sie will Papst werden.“ – „Geh nur hin, sie ist es schon,“ sagte der Butt.

    Da ging er hin, und als er ankam, da war da eine große Kirche, von lauter Palästen umgeben. Da drängte ersieh durch das Volk; inwendig war aber alles mit tausend und tausend Lichtern erleuchtet, und seine Frau war ganz in Gold gekleidet und saß auf einem noch viel höheren Thron und hatte drei große goldene Kronen auf, und um sie herum, da war so viel geistlicher Staat, und zu beiden Seiten von ihr, da standen zwei Reihen Lichter, das größte so dick und so groß wie der allergrößte Turm, bis zu dem allerkleinsten Küchenlicht. Und all die Kaiser und Könige, die lagen vor ihr auf den Knien und küssten ihr den Pantoffel. „Frau,“ sagte der Mann und sah sie so recht an, „bist du nun Papst?“ – „Ja,“ sagte sie, „ich bin Papst.“ Da ging er hin und sah sie recht an, und da war ihm, als ob er in die helle Sonne sähe.

    Als er sie so eine Zeitlang angesehen hatte, sagte er: „Ach Frau, wie gut steht dir das, dass du Papst bist!“ Sie saß aber ganz steif wie ein Baum und rührte und regte sich nicht. Da sagte er: „Frau, nun sei zufrieden, dass du Papst bist, denn nun kannst du doch nichts mehr werden.“ – „Das will ich mir bedenken,“ sagte die Frau. Damit gingen sie beide zu Bett. Aber sie war nicht zufrieden, und die Gier ließ sie nicht schlafen; sie dachte immer, was sie noch werden könnte.

    Der Mann schlief recht gut und fest, er hatte am Tag viel laufen müssen; die Frau aber konnte gar nicht einschlafen und warf sich die ganze Nacht von einer Seite auf die andere und dachte immer darüber nach, was sie wohl noch werden könnte, und konnte sich doch auf nichts mehr besinnen. Indessen wollte die Sonne aufgehen, und als sie das Morgenrot sah, setzte sie sich aufrecht im Bett hin und sah da hinein. Und als sie aus dem Fenster die Sonne so heraufkommen sah: Ha, dachte sie, kann ich nicht auch die Sonne und den Mond aufgehen lassen? – „Mann,“ sagte sie und stieß ihn mit dem Ellenbogen in die Rippen; „wach auf, geh hin zum Butt, ich will werden wie der liebe Gott.“

    Der Mann war noch ganz schlaftrunken, aber er erschrak so, dass er aus dem Bett fiel. Er meinte, er hätte sich verhört, rieb sich die Augen aus und sagte: „Ach Frau, was sagst du?“ – „Mann,“ sagte sie, „wenn ich nicht die Sonne und den Mond kann aufgehen lassen, das kann ich nicht aushalten, und ich habe keine ruhige Stunde mehr, dass ich sie nicht selbst kann aufgehen lassen.“ Dabei sah sie ihn ganz böse an, dass ihn ein Schauder überlief. „Gleich geh hin, ich will werden wie der liebe Gott.“ – „Ach Frau,“ sagte der Mann und fiel vor ihr auf die Knie, „das kann der Butt nicht. Kaiser und Papst kann er machen; – ich bin dich, geh in dich und bleibe Papst.“ Da überkam sie die Bosheit, die Haare flogen ihr so wild um den Kopf und sie schrie: „Ich halte das nicht aus! Und ich halte das nicht länger aus! Willst du hingehen?!“ Da zog er sich die Hose an und lief davon wie unsinnig.

    Draußen aber ging der Sturm und brauste, dass er kaum auf den Füßen stehen konnte. Die Häuser und die Bäume wurden umgeweht, und die Berge bebten, und die Felsenstücke rollten in die See, und der Himmel war ganz pechschwarz, und es donnerte und blitzte, und die See ging in so hohen schwarzen Wogen wie Kirchtürme und Berge, und hatten oben alle eine weiße Schaumkrone auf. Da schrie er, und konnte sein eigenes Wort nicht hören:

    „Männlein, Männlein, Timpe Te,
    Buttje, Buttje in der See,
    Meine Frau, die Ilsebill,
    Will nicht so, wie ich wohl will.“

    „Na, was will sie denn?“ sagte der Butt. „Ach,“ sagte er, „sie will werden wie der liebe Gott.“ – „Geh nur hin, sie sitzt schon wieder in der Fischerhütte.“

    Da sitzen sie noch bis auf den heutigen Tag.

    #Märchen

  • Das Goethezeitportal : Oskar Herrfurth : Die Bremer Stadtmusikanten
    http://www.goethezeitportal.de/index.php?id=4169

    Brüder Grimm - Die Bremer Stadtmusikanten

    Es hatte ein Mann einen Esel, der schon lange Jahre die Säcke unverdrossen zur Mühle getragen hatte, dessen Kräfte aber nun zu Ende gingen, so dass er zur Arbeit immer untauglicher ward. Da dachte der Herr daran, ihn aus dem Futter zu schaffen, aber der Esel merkte, dass kein guter Wind wehte, lief fort und machte sich auf den Weg nach Bremen: dort, meinte er, könnte er ja Stadtmusikant werden.

    Als er ein Weilchen fortgegangen war, fand er einen Jagdhund auf dem Wege liegen, der jappte wie einer, der sich müde gelaufen hat. »Nun, was jappst du so, Packan?« fragte der Esel. »Ach«, sagte der Hund, »weil ich alt bin und jeden Tag schwächer werde, auch auf der Jagd nicht mehr fort kann, hat mich mein Herr wollen totschlagen, da hab ich Reißaus genommen; aber womit soll ich nun mein Brot verdienen?« »Weißt du was«, sprach der Esel, »ich gehe nach Bremen und werde dort Stadtmusikant, geh mit und lass dich auch bei der Musik annehmen. Ich spiele die Laute, und du schlägst die Pauken.« Der Hund war’s zufrieden, und sie gingen weiter.
    Es dauerte nicht lange, so saß da eine Katze an dem Weg und machte ein Gesicht wie drei Tage Regenwetter. »Nun, was ist dir in die Quere gekommen, alter Bartputzer?« sprach der Esel. »Wer kann da lustig sein, wenn’s einem an den Kragen geht«, antwortete die Katze, »weil ich nun zu Jahren komme, meine Zähne stumpf werden und ich lieber hinter dem Ofen sitze und spinne als nach Mäusen herumjage, hat mich meine Frau ersäufen wollen; ich habe mich zwar noch fortgemacht, aber nun ist guter Rat teuer: wo soll ich hin?« »Geh mit uns nach Bremen, du verstehst dich doch auf die Nachtmusik, da kannst du ein Stadtmusikant werden.« Die Katze hielt das für gut und ging mit.

    Darauf kamen die drei Landesflüchtigen an einem Hof vorbei, da saß auf dem Tor der Haushahn und schrie aus Leibeskräften. »Du schreist einem durch Mark und Bein«, sprach der Esel, »was hast du vor?« »Da hab ich gut Wetter prophezeit«, sprach der Hahn, »weil unserer lieben Frauen Tag ist, wo sie dem Christkindlein die Hemdchen gewaschen hat und sie trocknen will; aber weil morgen zum Sonntag Gäste kommen, so hat die Hausfrau doch kein Erbarmen und hat der Köchin gesagt, sie wollte mich morgen in der Suppe essen, und da soll ich mir heut abend den Kopf abschneiden lassen. Nun schrei ich aus vollem Hals, solang ich noch kann.« »Ei was, du Rotkopf«, sagte der Esel, »zieh lieber mit uns fort, wir gehen nach Bremen, etwas Besseres als den Tod findest du überall; du hast eine gute Stimme, und wenn wir zusammen musizieren, so muss es eine Art haben.« Der Hahn ließ sich den Vorschlag gefallen, und sie gingen alle viere zusammen fort.

    Sie konnten aber die Stadt Bremen in einem Tag nicht erreichen und kamen abends in einen Wald, wo sie übernachten wollten. Der Esel und der Hund legten sich unter einen großen Baum, die Katze und der Hahn machten sich in die Äste, der Hahn aber flog bis in die Spitze, wo es am sichersten für ihn war. Ehe er einschlief, sah er sich noch einmal nach allen vier Winden um, da däuchte ihn, er sähe in der Ferne ein Fünkchen brennen, und rief seinen Gesellen zu, es müsste nicht gar weit ein Haus sein, denn es scheine ein Licht. Sprach der Esel: »So müssen wir uns aufmachen und noch hingehen, denn hier ist die Herberge schlecht.« Der Hund meinte, ein paar Knochen und etwas Fleisch dran täten ihm auch gut.

    Also machten sie sich auf den Weg nach der Gegend, wo das Licht war, und sahen es bald heller schimmern, und es ward immer größer, bis sie vor ein hell erleuchtetes Räuberhaus kamen. Der Esel, als der größte, näherte sich dem Fenster und schaute hinein. »Was siehst du, Grauschimmel?« fragte der Hahn. »Was ich sehe?« antwortete der Esel. »Einen gedeckten Tisch mit schönem Essen und Trinken, und Räuber sitzen daran und lassen’s sich wohl sein.« »Das wäre was für uns«, sprach der Hahn. »Ja, ja, ach, wären wir da!« sagte der Esel.

    Da ratschlagten die Tiere, wie sie es anfangen müssten, um die Räuber hinauszujagen, und fanden endlich ein Mittel. Der Esel musste sich mit den Vorderfüßen auf das Fenster stellen, der Hund auf des Esels Rücken springen, die Katze auf den Hund klettern, und endlich flog der Hahn hinauf und setzte sich der Katze auf den Kopf. Wie das geschehen war, fingen sie auf ein Zeichen insgesamt an, ihre Musik zu machen: der Esel schrie, der Hund bellte, die Katze miaute, und der Hahn krähte; dann stürzten sie durch das Fenster in die Stube hinein, dass die Scheiben klirrten. Die Räuber fuhren bei dem entsetzlichen Geschrei in die Höhe, meinten nicht anders, als ein Gespenst käme herein, und flohen in größter Furcht in den Wald hinaus. Nun setzten sich die vier Gesellen an den Tisch, nahmen mit dem vorlieb, was übriggeblieben war, und aßen, als wenn sie vier Wochen hungern sollten.

    Wie die vier Spielleute fertig waren, löschten sie das Licht aus und suchten sich eine Schlafstätte, jeder nach seiner Natur und Bequemlichkeit. Der Esel legte sich auf den Mist, der Hund hinter die Türe, die Katze auf den Herd bei die warme Asche, und der Hahn setzte sich auf den Hahnenbalken; und weil sie müde waren von ihrem langen Weg schliefen sie auch bald ein.

    Als Mitternacht vorbei war und die Räuber von weitem sahen, dass kein Licht mehr im Haus brannte, auch alles ruhig schien, sprach der Hauptmann: »Wir hätten uns doch nicht sollen ins Bockshorn jagen lassen«, und hieß einen hingehen und das Haus untersuchen. Der Abgeschickte fand alles still, ging in die Küche, ein Licht anzuzünden, und weil er die glühenden, feurigen Augen der Katze für lebendige Kohlen ansah, hielt er ein Schwefelhölzchen daran, dass es Feuer fangen sollte. Aber die Katze verstand keinen Spaß, sprang ihm ins Gesicht, spie und kratzte. Da erschrak er gewaltig, lief und wollte zur Hintertüre hinaus, aber der Hund, der da lag, sprang auf und biss ihn ins Bein; und als er über den Hof an dem Miste vorbeirannte, gab ihm der Esel noch einen tüchtigen Schlag mit dem Hinterfuß; der Hahn aber, der vom Lärmen aus dem Schlaf geweckt und munter geworden war, rief vom Balken herab: »Kikeriki!«

    Da lief der Räuber, was er konnte, zu seinem Hauptmann zurück und sprach: »Ach, in dem Haus sitzt eine greuliche Hexe, die hat mich angehaucht und mit ihren langen Fingern mir das Gesicht zerkratzt; und vor der Türe steht ein Mann mit einem Messer, der hat mich ins Bein gestochen; und auf dem Hof liegt ein schwarzes Ungeheuer, das hat mit einer Holzkeule auf mich losgeschlagen; und oben auf dem Dache, da sitzt der Richter, der rief: >Bringt mir den Schelm her.< Da machte ich, dass ich fortkam.«

    Von nun an getrauten sich die Räuber nicht weiter in das Haus, den vier Bremer Musikanten gefiel’s aber so wohl darin, dass sie nicht wieder heraus wollten. Und der das zuletzt erzählt hat, dem ist der Mund noch warm.

    #Märchen

  • C’est Politique ! Le blog - L’ Actualité Politique, saupoudrée d’humour…parce qu’il faut garder le moral !
    https://cpolitic.wordpress.com

    Tout finit par se savoir, Macron ! Scandale Mc Kinsey, Profs méprisés, Euthanasie des vieux en plein Covid, Ventes d’armes à Poutine…
    https://cpolitic.wordpress.com/2022/03/20/tout-finit-par-se-savoir-macron-scandale-mc-kinsey-profs-meprise

    Tout finit par se savoir. Rien de plus vrai comme dicton. Parce qu’il y aura toujours un témoin qui pourra donner l’info. Toujours une archive qui traîne.
    On commence avec du lourd, du très lourd…

    Le Scandale McKinsey. On savait que la Macronie avait sous-traité diverses tâches à des cabinets privés d’origine américaine. Mais nous savons dorénavant pour combien d’euros. Et c’est là, que le bas blesse : 1 milliard d’euros en 2021, 2,4 milliards en 4 ans ! Gloups !
Ça en fait des masques, des blouses, des surblouses, des respirateurs…

    On connaissait également les liens incestueux entre Victor Fabius patron de la filiale française de Mc Kinsey et Company et le Conseil Constitutionnel https://cpolitic.wordpress.com/2022/01/21/passe-vaccinal-conseil-constitutionnel-se-couche-encore via son père Laurent Fabius. Malheureusement la pieuvre a étalé ses tentacules au Conseil d’Etat et de nombreux ministères. Une vraie mafia !

    Sur le fond, cette mafia produit des powerpoint creux, à la chaine pour ses divers clients internationaux et qui en plus à des problèmes d’éthiques graves : exil fiscal et déboire judiciaires aux USA !

    Que du bonheur… avec notre argent public ! Comme quoi il y a bien de l’argent magique.
    Plus de détails par ici :

    Comme promis l’intégrale de la saison 1 "McKinsey, ton univers impitoyable"

Je vous présente un nouvel ami Aamir Malik, vice président de Pfizer et ancien collègue de Victor chez McKinsey.

Mais que va décider le conseil constitutionnel…
1/n https://twitter.com/p_duval/status/1490598163102810112
    -- Duval Philippe (@p_duval) February 7, 2022

    Cabinets de conseil : « Le cabinet McKinsey a fait des copier/coller de documents qu’ils remettaient à d’autres pays que la France, comme en Australie (…) Ils changeaient simplement les chiffres »

 @ElianeAssassi, sénatrice @senateursCRCE #SeineSaintDenis#SensPublic https://twitter.com/enmodemacaron/status/1504417039590510599
    -- Public Sénat (@publicsenat) March 17, 2022

    "#McKinsey doit régler un forfait fiscal symbolique de 175 dollars" mais aux États Unis

"L’autorité de tutelle de la #DITP a pourtant assuré que McKinsey est en règle avec l’administration fiscale française", c’est #Macron qui a créé cette DITP…#MacronNousPrendPourDesCons https://t.co/30VPBBxRNo
    -- Lorentz mathias (@LorentzMathias) March 17, 2022

    Je pense que ça résume bien la situation #macron #mckinsey pic.twitter.com/tA7gJvtZ30
    -- Bonnie Parker (@MelleBonnieP) March 19, 2022

    je vais faire la #MarchePourLa6eRepublique pour en finir avec la Présidence Mensonge Permanent Corruption par #McKinseyGate #Pfizergate #bayer #blackrock #plusjamaismacron#MelenchonPresident2022 Retour de la Souveraineté du Peuple #6emeRepublique #ric #referendumrevocatoire https://t.co/HWXiyfOPlp
    -- Taous93FI  (@Taousertova93) March 20, 2022

    • cnews et sondage ifop, donc à lire avec ne pince à linge sur le nez
      Guerre en Ukraine : 52% des Français convaincus par certains arguments russes
      https://www.cnews.fr/videos/france/2022-03-27/guerre-en-ukraine-52-des-francais-convaincus-par-certains-arguments-russes

      Une enquête de l’IFOP menée dans le cadre de la semaine de la presse et des médias s’est penchée sur l’adhésion des Français aux arguments mis en avant par la Russie pour justifier l’invasion de l’Ukraine.

      Il ressort que 52% des sondés croient à au moins l’une des thèses russes sur l’origine de la guerre en Ukraine. 28% pensent par exemple que l’intervention russe est soutenue par des Ukrainiens russophones souhaitant se libérer des persécutions qu’ils subissent. Et 10% disent croire que « l’Ukraine est gouvernée actuellement par une junte infiltrée par des mouvements néonazis ».

      Les plus perméables aux discours de Vladimir Poutine sont les sympathisants de Jean-Luc Mélenchon et d’Éric Zemmour, révèle le sondage de l’Ifop. 


      Du complotisme sanitaire à la propagande du Kremlin
      Selon cette étude, il existe un lien entre les Français adhérant aux thèses antivax et ceux qui soutiennent la politique de Vladimir Poutine. Ainsi, 71% des antivax croient au récit poutinien sur l’Ukraine. L’adhésion à la propagande russe est plus faible (43%) chez les Français ne croyant à aucune de ces théories contre les vaccins.

      Au total, 25% des sondés croient à au moins une thèse antivax et au moins une thèse de la propagande russe.

      La guerre de l’information menée par le Kremlin bénéficie « d’un contexte de brouillard informationnel "post-covid" » qui serait propice « à l’essor des théories complotistes », affirme également l’Ifop. Ainsi, 35% des Français sondés déclarent « croire aux théories du complot ».

      NDR dans les commentaires
      – Attention CNEWS ! Attention ! Le titre n’est pas bon : « 52% des sondés croient à au moins l’une des thèses russes ». Mettre la moitié d’un pays dehors sans au moins une raison qui se tienne… compliqué !
      – 52% des français ne croient pas à la thèse des médias mainstream, savoir le diable poutine contre le héros zelensky...ça me rassure que la moitié des français ne marchent pas dans cette propagande grossière.
      – Les journaux en France mentent, ils savent qu’on sais qu’ils mentent, mais ils continuent de mentir.

  • #Vomir #Canada : D’ici 2028, les vaches laitières devraient pouvoir mettre bas sans être enchaînées Julie Vaillancourt - Radio Canada
    https://ici.radio-canada.ca/nouvelle/1871152/vaches-laitieres-enchainees-agriculture

    Au Canada, la majorité des vaches laitières sont élevées en stabulation entravée, ce qui implique qu’elles mettent souvent bas, enchaînées, dans des stalles trop petites pour elles. Ça pourrait changer : les experts recommandent maintenant de leur donner plus de liberté de mouvement pour améliorer leur bien-être.


    Il manque d’espace dans les stalles régulières pour que les vaches mettent bas à leur aise. Photo : Radio-Canada

    La scène est désolante aux yeux du profane : une vache, la chaîne au cou, qui met bas dans sa stalle, souvent trop petite pour lui permettre de se mouvoir avec agilité. L’animal tente de se retourner pour voir son veau, mais son carcan métallique l’entrave partiellement ; le producteur laitier doit apporter le nouveau-né en face de sa mangeoire pour que la vache puisse enfin le lécher.

    Une action plus fréquente au Québec qu’ailleurs au Canada, car c’est dans la province qu’on retrouve le plus de fermes en stabulation entravée, un système où chaque vache garde toute sa vie une place fixe dans l’étable, enchaînée à une barre d’attache.


    Un des principes les plus importants, pour le vétérinaire Edwin Quigley, est que les vaches doivent faire le plus possible d’exercice. Photo : Radio-Canada

    Pour le vétérinaire Edwin Quigley, qui pratique dans la région de Chaudière-Appalaches, le fait que 72 % des vaches de la province vivent ainsi (contrairement à la moyenne canadienne de 44 %) est consternant. “Des vaches attachées dans un espace de quatre pieds par six à l’année longue et qui ne changent pas de place, il manque quelque chose.”

    Ce “quelque chose”, c’est la liberté de mouvement, beaucoup plus présente en stabulation libre, une façon d’élever les bovins laitiers dans des espaces à aire ouverte. Avec ce modèle, les vaches disposent de logettes individuelles où elles vont manger ou se reposer à leur guise, sans jamais être immobilisées de force.

    Les chiffres parlent d’eux-mêmes : en stabulation entravée, la prévalence de blessures aux jarrets chez l’animal est de 56 % comparativement à 47 % en stabulation libre, de 43 % pour les blessures aux genoux comparativement à 24 % en stabulation libre.

    Conséquence, entre autres, d’une surface de couchage souvent trop abrasive en comparaison avec la litière de plus de 15 centimètres d’épaisseur qu’on retrouve régulièrement dans les étables en stabulation libre.

    Quant aux 33 % de blessures au cou en stabulation entravée, elles trouvent évidemment leur source dans le port constant de la chaîne.


    Au Canada, les vaches qui passent leur vie dans des stalles entravées ont plus de blessures qu’avec d’autres systèmes d’élevage. Photo : Radio-Canada

    Le “Code de pratique pour le soin et la manipulation des bovins laitiers”, un outil de référence à l’intention des producteurs laitiers canadiens, est actuellement en révision, puisque la dernière mouture date de 2009.

    Nous avons obtenu la version préliminaire du nouveau code, dont l’élaboration sera terminée d’ici la fin de l’année. Elle propose dorénavant de loger les vaches laitières au pâturage ou en stabulation libre afin qu’elles aient la possibilité de se mouvoir davantage. Quant au vêlage, les producteurs devraient obligatoirement permettre aux vaches de mettre bas en stabulation libre d’ici 2028, s’il n’en tient qu’aux experts canadiens qui se penchent présentement sur la question.

    https://fr.scribd.com/document/566235947/Code-de-pratique-pour-le-soin-et-la-manipulation-des-bovins-laitiers#down

    Ce serait la moindre des choses aux yeux d’Edwin Quigley, qui supervise présentement l’agrandissement de l’étable d’un de ses clients, Dave Kelly, un producteur laitier de Saint-Nazaire-de-Dorchester, dans la région de Chaudière-Appalaches.


    Dave Kelly, producteur laitier, veut améliorer le bien-être de ses vaches et collabore avec son vétérinaire pour changer les choses. Photo : Radio-Canada

    M. Kelly tente d’améliorer le bien-être de ses vaches à la mesure de ses moyens. “Il y a des gens qui pensent qu’on utilise les vaches comme des machines, moi, je ne suis pas d’accord avec ça, mais il faut qu’elles soient bien dans ce qu’elles ont à faire, c’est important.”

    Au programme chez lui, des travaux de construction pour bâtir une section où ses vaches pourront mettre bas en stabulation libre : un enclos de groupe où les vaches auront le loisir de bouger à leur guise pendant le vêlage sans être gênées par l’étroitesse de leurs stalles ou, pire encore, leurs chaînes.


    En stabulation, la litière disposée sur le sol rend la surface plus confortable et aide à éviter l’abrasion. Photo : Radio-Canada

    Un virage pris par de plus en plus de producteurs laitiers du Québec qui, massivement, convertissent leurs troupeaux à l’élevage en stabulation libre pour l’ensemble de leurs opérations, et non uniquement le vêlage. “On fait du rattrapage, soutient Daniel Gobeil, président des Producteurs de lait du Québec.”

    “Des vaches attachées toute leur vie, on tend à éliminer ces pratiques-là. On est à la croisée des chemins en termes de bien-être animal”, conclut-il.

    #chaînes #beurk #boycott #alimentation #sirop_d'érable #assiette #malbouffe #agriculture #élevage #élevage #alimentation #vaches #viande #agrobusiness #lait #agro-industrie #quelle_agriculture_pour_demain_ #violence #torture #capitalisme

    • Monsieur trudeau, vous êtes une honte pour la démocratie ! Veuillez nous épargner votre présence Christine Anderson, députée européenne (Allemande) au Parlement européen

      Après parlé avec des parlementaires européens lors de sa visite officielle de deux jours à Bruxelles, la parole a été donnée à la députée allemande Christine Anderson qui a interpellé le Premier ministre canadien, disant qu’il ne devrait pas pouvoir s’exprimer au Parlement européen.

      Anderson a accusé Trudeau d’admirer ouvertement la dictature de base chinoise et a appelé le Premier ministre pour avoir piétiné “les droits fondamentaux en persécutant et en criminalisant ses propres citoyens en tant terroristes simplement parce qu’ils osent s’opposer à son concept pervers de démocratie”.

      le Canada est passé du statut de symbole du monde moderne à celui de « symbole de la violation des droits civils » sous la « chaussure semi-libérale » de Trudeau.

      Elle a terminé son discours en disant à Trudeau qu’il était « une honte pour toute démocratie. Veuillez nous épargner votre présence.
      https://www.youtube.com/watch?v=vtnfcVAZB6I


      Le député croate Mislav Kolakusic a également dénoncé Trudeau pour avoir violé les droits civils des Canadiens qui ont participé aux manifestations du « Freedom Convoy ». Lors de son propre discours cinglant devant ses collègues parlementaires européens, Kolakusic a déclaré à Trudeau que ses actions en promulguant la loi sur les urgences étaient « une dictature de la pire espèce ».
      Trudeau s’est assis et a écouté Kolakusic informer le premier ministre que de nombreux Européens l’ont vu « piétiner des femmes avec des chevaux » et bloquer « les comptes bancaires de parents célibataires ».
      L’eurodéputé roumain Christian Terhes a également refusé d’assister au discours de Trudeau aux autres membres de l’UE.

      Source :
      https://thecanadian.news/vous-etes-une-honte-un-depute-allemand-interpelle-trudeau-en-face-lors
      https://twitter.com/lemairejeancha2/status/1507033759278940161
      https://vk.com/wall551774088_43985?z=video640533946_456239116%2Fa7ea5429d710b84557%2Fpl_post_55

      NDR Cette députée allemande est de droite, mais la vérité ne fait pas de politique.

       #canada #justin_trudeau #trudeau la #violence #contrôle_social #police #dictature #violences_policières #violence_policière #répression #violence #maintien_de_l'ordre #brutalité_policière #manifestation #violences_policieres

    • Salaire mirobolant et logement de fonction : le train de vie princier du directeur du Fresnoy à Tourcoing Pierre Leibovici
      https://www.mediacites.fr/lu-pour-vous/lille/2022/03/24/salaire-mirobolant-et-logement-de-fonction-le-train-de-vie-princier-du-di

      Les angles morts, Quelques obscurcissements, Prolongations… Le titre de ces romans signés Alain Fleischer était-il prémonitoire ? Il résonne en tout cas avec le rapport publié, vendredi 18 mars, par la Chambre régionale des comptes des Hauts-de-France sur l’association Le Fresnoy — Studio national des arts contemporains, dont il est le directeur.


      Ouvert au public en 1997, l’imposant bâtiment du Fresnoy, situé dans le quartier du Blanc Seau à Tourcoing, abrite une école supérieure d’art ainsi qu’un lieu de représentation et de production (cinéma, danse, photo, arts numériques). L’établissement, imaginé dès 1987 par l’artiste Alain Fleischer à la demande du ministère de la Culture, est aujourd’hui mondialement reconnu. Trente-cinq ans plus tard, et malgré son âge de 78 ans, il n’a toujours pas lâché le bébé.

      Un salaire brut de 91 000 euros
      « Le cinéaste », « l’auteur », « le photographe, le plasticien » : le parcours d’Alain Fleischer est fièrement détaillé sur le site Internet du Fresnoy, qui lui consacre une page entière. « L’ambassadeur du Fresnoy », ajoute la Chambre régionale des comptes dans son rapport : « il en est pilote stratégique, notamment pour l’évolution vers le projet de StudioLab international [un programme de collaboration entre artistes et scientifiques], il initie les grands partenariats et exerce les fonctions de responsable pédagogique ».

      « Le montant de sa rémunération ne s’appuie pas sur son contrat de travail »
      Pour remplir ces missions, Alain Fleischer bénéficie d’un confortable salaire de 91 000 euros bruts par an, soit 7 600 euros bruts par mois. Un montant stable sur la période allant de 2016 à 2019, sur laquelle se sont penchés les magistrats financiers, mais qui interroge : « le montant de sa rémunération ne s’appuie sur aucun élément présent dans son contrat de travail qui date de plus de 30 ans, pas plus que des avenants ultérieurs dont le dernier date, en tout état de cause, de 2002 ». La Chambre demande donc instamment une révision du contrat de travail du directeur et sa validation par le conseil d’administration de l’association.

      Un immeuble pour logement de fonction
      Dans la suite de leur rapport, les magistrats recommandent aussi que le conseil d’administration valide la mise à disposition d’un logement de fonction pour Alain Fleischer. Ou plutôt d’un « immeuble d’habitation », peut-on lire sans plus de précisions. Ce bâtiment, ainsi qu’un autre d’une surface de 11 000 m2, est la propriété de la région Hauts-de-France, principal financeur du Fresnoy.

      Quelle est la valeur de l’avantage en nature consenti à l’association et à son directeur ? Difficile à dire : la dernière évaluation, réalisée en 2002, tablait sur un coût de 455 823 euros par an. Un montant sans doute bien plus élevé vingt ans plus tard, d’autant que la région prend à sa charge les travaux et la majeure partie de l’entretien des bâtiments. « Une réévaluation de la valeur de ces biens immobiliers qui figurent dans les comptes de l’association serait nécessaire », acte la Chambre régionale des comptes.

      Gouvernance à clarifier
      Autre recommandation adressée au studio d’art contemporain : la clarification de la gouvernance de l’association. À l’heure actuelle, un conseil d’administration cohabite avec une assemblée générale. Mais les deux instances, dont les missions diffèrent, sont composées des mêmes membres : 10 membres de droit et 14 personnalités qualifiées. Pour mettre fin à cette « confusion », les magistrats appellent donc l’association à revoir ses statuts.

      Cette dernière recommandation vaut aussi pour la rémunération de certains membres du conseil d’administration. Car, d’après la Chambre régionale des comptes, « des membres du conseil d’administration, du fait de leurs fonctions et qualités professionnelles et artistiques, peuvent être amenés à remplir le rôle de commissaire de certaines expositions du Fresnoy ou à effectuer des missions de représentation, donnant lieu à versement d’émoluments ». Et de conclure, en des termes toujours policés, que l’association devrait réviser ses statuts « par souci de sécurité juridique ».

      Sollicité à l’issue de l’audit des magistrats financiers, le président de l’association, Bruno Racine, s’est engagé à suivre toutes leurs recommandations et à mettre à jour les statuts dans un délai de six mois. « Cette révision permettra de préciser les modalités de recrutement du directeur », a-t-il affirmé. Écrivain et haut-fonctionnaire, aujourd’hui âgé de 70 ans, Bruno Racine a toutes les raisons de prêter attention aux recommandations de la Chambre régionale des comptes : il a un temps été conseiller-maître à la Cour des comptes.

      #Fresnoy #Tourcoing #argent #fric #art #art_press #claude_leveque @legrandmix #art_contemporain pour #bobo #ruissèlement #ruissellement #photographie #guerre_aux_pauvres

    • Énergie : au Royaume-Uni, même les pommes de terre deviennent trop chères LePoint.fr
      https://www.msn.com/fr-fr/finance/other/%C3%A9nergie-au-royaume-uni-m%C3%AAme-les-pommes-de-terre-deviennent-trop-ch%C3%A8res/ar-AAVqibD?ocid=msedgdhp&pc=U531#

      Durant des siècles, les pommes de terre ont été, par excellence, l’aliment de base des populations pauvres. Faciles à cultiver, peu chères à l’achat et nourrissantes, elles étaient l’élément de base ? sinon le seul - de populations entières. À tel point qu’au XIXe siècle, l’apparition du mildiou en Irlande ? une maladie qui anéantit presque totalement la culture de la pomme de terre ? provoqua une famine ? et la mort de près d’un million de personnes.

      Par les temps qui courent, cependant, la pomme de terre semble perdre son avantage auprès des populations dans le besoin. En effet, selon The Guardian, https://www.theguardian.com/business/2022/mar/23/food-bank-users-declining-potatoes-as-cooking-costs-too-high-says-icela de plus en plus de personnes ayant recours aux banques alimentaires refusent les pommes de terre, ne pouvant se permettre la dépense énergétique nécessaire à la longue cuisson de ces dernières.

      Une inflation record en 30 ans
      « C’est incroyablement inquiétant », a expliqué le gérant d’une chaîne de supermarchés low cost sur la BBC. « Nous entendons parler de certains utilisateurs de banques alimentaires qui refusent des produits tels que les pommes de terre et d’autres légumes-racines parce qu’ils n’ont pas les moyens de les faire bouillir », détaille-t-il, parlant de « la crise du coût de la vie » comme du « plus important problème intérieur » au Royaume-Uni.

      Outre-Manche, le coût de la vie continue d’augmenter rapidement, rapporte The Guardian. L’inflation a atteint 6,2 % en février, selon les chiffres de l’Office for National Statistics, une première depuis trente ans. Elle est alimentée par la hausse du coût de l’essence et du diesel et d’un large éventail de produits de nourriture aux jouets et jeux. En 2021, l’inflation spécifique aux produits alimentaires a été de 5,1 % au Royaume-Uni.

      #pauvreté #prix de l’#énergie #spéculation #capitalisme #marché_libre-et_non_faussé #électricité #spéculation #alimentation #banques_alimentaires #pommes_de_terre

  • Je voterai dès le premier tour de l’élection présidentielle pour Jean-Luc Mélenchon – que par ailleurs je déteste | Lignes de force
    https://lignesdeforce.wordpress.com/2022/03/20/je-voterai-des-le-premier-tour-de-lelection-presidentielle-
    un billet pour toi @marielle note que la justification de tonton Claude m’arrange bien car j’arrive à peu près aux mêmes conclusions pour mon choix de la casaque mélenchon au 1er tour.

  • Les villes Carfree présentent des taux plus faibles de diabète et d’obésité
    http://carfree.fr/index.php/2022/03/21/les-villes-carfree-presentent-des-taux-plus-faibles-de-diabete-et-dobesite

    L’examen de 170 études montre que les personnes sont moins susceptibles d’être obèses ou diabétiques si elles vivent dans des villes où la marche et le #Vélo sont sûrs et Lire la suite...

    #Alternatives_à_la_voiture #Fin_de_l'automobile #Marche_à_pied #Transports_publics #Vie_sans_voiture #Ville_sans_voitures #canada #obésité #recherche #santé #sédentarité #ville

  • Le #scandale de l’espace public à #genève
    http://carfree.fr/index.php/2022/03/11/le-scandale-de-lespace-public-a-geneve

    Vous arrive-t-il de sortir dans la rue et d’être frappé·e par le fait que tout est recouvert de voitures ? L’association #Suisse actif-trafiC a réalisé une petite #vidéo pour dénoncer la Lire la suite...

    #Alternatives_à_la_voiture #Fin_de_l'automobile #Marche_à_pied #Vélo #association #congestion #espace_public #trafic #zurich

    • Les panneaux et écrans publicitaires des villes ne dérangent personne.
      Les aménagement urbains qui ont pour but d’empêcher toute manifestation ne dérangent personne non plus, surtout pas les piéton.e.s
      Parking à vélo en location, ne dérangent personne. Les trottinettes abandonnées sur les trottoirs c’est bien.
      A Paris, les rues défoncées par les travaux qui n’en finissent pas ne dérangent personne. Paris, car cette ville bat tous les records dans ce domaine.

  • « Le 8 mars, je ferai grève pour une véritable politique féministe » Maartje De Vries
    https://www.solidaire.org/articles/le-8-mars-je-ferai-greve-pour-une-veritable-politique-feministe

    « Solidarité avec toutes les femmes du monde. » Le 8 mars, Journée internationale de lutte pour les droits des femmes, ce mot d’ordre retentira de la Belgique à l’Afrique du Sud, des États-Unis à l’Inde. Partout dans le monde, les femmes descendent dans la rue pour défendre leurs droits, pour l’égalité des salaires, pour des services publics forts, pour les droits à disposer de leur corps. Elles s’opposent à une droite émergente qui cherche à imposer une image conservatrice des femmes. Maartje De Vries, présidente de Marianne, mouvement de femmes du PTB, explique pourquoi elle participera à cette journée.

    Une vraie politique féministe donne de l’oxygène aux femmes sur le plan économique
    Anaïs travaille en tant qu’aide-ménagère. Aujourd’hui, elle est payée 11,48 euros de l’heure. Au bout de quatre ans de service, son salaire horaire passera à 12,30 euros. C’est le maximum. Elle est célibataire et mère d’une fille en bas âge. Elle a beaucoup de mal à joindre les deux bouts sur le plan financier. Avec ses collègues, Anaïs se bat depuis plusieurs mois pour obtenir une augmentation de salaire et une indemnité kilométrique plus élevée. La grande entreprise de titres-services pour laquelle elle travaille réalise d’énormes bénéfices, mais il est impossible d’obtenir une véritable augmentation de salaire. Pour elle et ses collègues, il s’agit d’une lutte constante pour arriver à la fin du mois. Ces propos d’une militante décrivent bien la situation : « Pendant que nos patrons font des millions de bénéfices, je ne sais pas si je pourrai servir un repas chaud sur la table à la fin du mois... »

    Travailler dur mais ne pas gagner assez pour joindre les deux bouts, cette situation est probablement familière à de nombreuses femmes. Outre le nettoyage, on le voit aussi dans la vente, les soins, la garde d’enfants, etc. Les femmes sont, en effet, surreprésentées dans les secteurs où les salaires sont les plus bas et les contrats précaires. Cette situation entraîne une grande disparité de revenus et explique en partie l’écart salarial entre les femmes et les hommes. Celui-ci se maintient actuellement à 22,7 %.

    Ce sont également ces secteurs qui ont continué à fonctionner pendant la pandémie. Ce travail, souvent invisible et sous-estimé, est soudain devenu essentiel. « Essentiel » oui, mais pas mieux rémunéré pour autant. Au contraire, selon l’Organisation internationale du travail (OIT), la Belgique fait partie des pays où les femmes ont subi le plus de pertes de salaire par rapport aux hommes. C’est ce qui ressort d’un rapport sur l’impact de la crise du Covid sur les femmes, préparé par le Sénat en octobre 2021. Le gouvernement n’a pas procédé à une évaluation des mesures socio-économiques visant à contenir la pandémie selon le genre. Et les femmes en paient le prix fort.

    Cʼest le moment d’augmenter le pouvoir d’achat. Mais, alors que nous payons désormais beaucoup plus cher à la caisse et à la pompe à essence, que nous devons avaler des factures d’énergie insensées, le gouvernement, lui, continue d’insister sur la norme salariale, la loi qui bloque toute augmentation des salaires. En outre, le salaire minimum n’a toujours pas été porté à 14 euros de l’heure. Or, une telle augmentation ferait une grande différence pour beaucoup de travailleuses des secteurs à bas salaires. Une véritable politique féministe donne de l’oxygène financier aux femmes par le biais de négociations salariales libres et d’un salaire horaire minimum de 14 euros. C’est une bonne chose pour tout le monde et surtout pour les femmes.

    Une vraie politique féministe ne se repose pas sur les femmes
    Pénurie de services de garderie, crèches beaucoup trop chères ou qui ne trouvent plus de personnel, maisons de repos qui font faillite ou doivent fermer à cause d’abus, résidents qui doivent payer des sommes astronomiques chaque mois, personnel qui se tue à la tâche et qui reste en sous-effectif pour fournir les soins nécessaires. La privatisation et la logique de marché se sont emparées du secteur des soins. Cette situation est mauvaise pour la qualité, l’accessibilité, le coût et les conditions de travail.

    Pourtant, ces services jouent un rôle important dans la vie des travailleuses. Pourquoi ? Près de la moitié des femmes travaillent à temps partiel. L’une des raisons étant que les femmes doivent encore assumer la majeure part des tâches dans le domaine des soins et du ménage : tâches ménagères, garde des enfants, des personnes âgées, des malades, des personnes sans défense... la liste est interminable. La pandémie a remis la situation des femmes à l’avant-plan. Les femmes ont été encore plus sollicitées dans le domaine des soins et ont été mises à rude épreuve par la fermeture des écoles et des crèches. Si ces services font défaut, s’ils sont trop chers ou inaccessibles, ces tâches reviendront aux familles et donc principalement aux femmes.

    Prenons l’exemple de Christiane, qui n’a pu reprendre le travail que six mois après son accouchement. Avant cela, il n’y avait pas de place pour son fils à la crèche, et les premiers mois, elle n’a même pas pu y accéder à plein temps. Les grands-parents viennent à la rescousse un jour par semaine, pour le reste, elle est obligée de prendre un congé parental. Ou Leila, qui s’occupe de son père qui ne peut plus vivre de manière autonome. Une maison de repos ou un appartement spécialisé est inabordable. Leila tente alors de garder son père à la maison le plus longtemps possible et, comme Christiane, en paie le prix. Pour eux, ces tâches supplémentaires signifient moins d’emploi rémunéré et donc moins de revenus.

    Les femmes ont donc beaucoup à gagner de services publics forts, de qualité et accessibles. Lors de la dernière édition de ManiFiesta, j’ai interviewé Kristen Ghodsee, professeure américaine, autrice du livre « Pourquoi les femmes ont une meilleure vie sexuelle sous le socialisme ? ». Elle y décrit l’importance de services publics forts dans l’émancipation des femmes. Les services collectifs prennent en charge de nombreuses tâches qui sont aujourd’hui effectuées par la famille et donc souvent par les femmes. Cela permet aux femmes dʼavoir accès à une carrière complète en pouvant concilier leur vie professionnelle et leur vie familiale.

    Investir dans des services publics de qualité, accessibles et abordables, qui créent également de bonnes conditions de travail et de rémunération, est un choix politique. Le gouvernement ne fait pas ce choix. Il choisit de laisser le plus possible au secteur privé et de diriger ce qui reste dans une logique d’efficacité et de profit. Cela rend souvent le service coûteux et inaccessible, de sorte qu’une grande partie de la charge des soins retombe sur les femmes. Une véritable politique féministe ne se fait pas en remettant toujours plus de travail sur le dos des femmes, mais investit dans des services publics forts.

    Une véritable politique féministe protège les femmes contre la violence
    Au moment où j’écris ces lignes, le sixième féminicide de cette année a été confirmé. À Liège, des centaines de jeunes ont manifesté contre la violence sexuelle après le viol brutal d’une jeune fille de 15 ans. Ces derniers mois, cette problématique a connu une couverture médiatique importante. Les plaintes se sont succédé concernant des comportements sexuellement transgressifs dans la vie nocturne, dans les magasins, dans les universités, dans le secteur culturel. Selon un rapport du Comité P, la police manquerait de moyens et de formation pour traiter correctement les plaintes pour violence intra-familiale. Le rapport du Sénat montre que la crise du Covid s’est accompagnée d’une hausse de la violence. En bref, notre société est aux prises avec un problème profondément ancré. D’autre part, le gouvernement Vivaldi fait preuve d’une gestion lente et fragmentée.

    Il a fallu un an et demi à lʼécologiste Sarah Schlitz, secrétaire d’État à l’Égalité des genres, pour mettre sur papier un « plan d’action national contre la violence sexiste ». Après avoir annoncé qu’il était prêt en août, il a fallu attendre novembre pour qu’il soit finalement rendu public. Quant aux modalités de mise en œuvre et aux budgets qui seront affectés, c’est toujours le flou le plus complet. 2,5 millions dʼeuros par an, c’est ce qu’a annoncé la secrétaire d’État. Mais comment cet argent sera-t-il affecté ? Et quelle contribution supplémentaire les autres ministères sont-ils prêts à mettre sur la table ? Rien n’est encore clair. Cependant, nous savons tous qu’un plan dépourvu de moyens suffisants nʼaura aucun effet. Le 8 mars, je me joindrai à la grève pour une vraie politique contre les violences faites aux femmes, avec une approche large allant de la prévention à l’accompagnement des victimes, au suivi des auteurs, etc. Parce qu’une véritable politique féministe est une politique qui protège les femmes contre les violences.

    #Femmes #Luttes #Féminisme #Belgique #Marché #Gréve #Services_publics #Salaires #Egalité