• Raniero Panzieri, Mario Tronti, Gaspare De Caro, Toni Negri (Turin, 1962)

      Conférence de Potere operaio à l’Université de Bologne en 1970.

      Manifestation de Potere operaio à Milan en 1972.

      Negri lors de son procès après la rafle du 7 avril 1979

      #Toni_Negri
      https://fr.wikipedia.org/wiki/Toni_Negri

      Lénine au-delà de Lénine, Toni Negri (extrait de 33 Leçons sur Lénine), 1972-1973
      http://revueperiode.net/lenine-au-dela-de-lenine

      Domination et sabotage - Sur la méthode marxiste de transformation sociale, Antonio Negri (pdf), 1977
      https://entremonde.net/IMG/pdf/a6-03dominationsabotage-0-livre-high.pdf

      L’Anomalie sauvage d’Antonio Negri, Alexandre Matheron, 1983
      https://books.openedition.org/enseditions/29155?lang=fr

      Sur Mille Plateaux, Toni Negri, Revue Chimères n° 17, 1992
      https://www.persee.fr/doc/chime_0986-6035_1992_num_17_1_1846

      Les coordinations : une proposition de communisme, Toni Negri, 1994
      https://www.multitudes.net/les-coordinations-une-proposition

      Le contre-empire attaque, entretien avec Toni Negri, 2000
      https://vacarme.org/article28.html

      [#travail #multitude_de_singularités à 18mn] : Toni Negri, 2014
      https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/les-chemins-de-la-philosophie/actualite-philosophique-toni-negri-5100168

      à l’occasion de la parution du Hors-Série de Philosophie Magazine sur le thème, les philosophes et le #communisme.

      Socialisme = soviets + électricité, Toni Negri, 2017
      http://revueperiode.net/les-mots-dordre-de-lenine

      L’appropriation du capital fixe : une métaphore ?
      Antonio Negri, Multitudes 2018/1 (n° 70)
      https://www.cairn.info/revue-multitudes-2018-1-page-92.htm

      Domination et sabotage - Entretien avec Antonio Negri, 2019
      https://vacarme.org/article3253.html

    • Les nécros de Ration et de L’imMonde ont par convention une tonalité vaguement élogieuse mais elles sont parfaitement vides. Celle de l’Huma parait plus documentée mais elle est sous paywall...

      edit L’Huma c’est encore et toujours la vilaine bêtise stalinienne :

      Figure de prou de "l’opéraïsme" dans les années 1960, arrêté durant les années de plomb en Italie, penseur de la "multitude" dans les années 2000, le théoricien politique, spécialiste de la philosophie du droit et de Hegel, est mort à Paris à l’âge de 90 ans.
      Pierre Chaillan

      (...) Figure intellectuelle et politique, il a traversé tous les soubresauts de l’histoire de l’Italie moderne et restera une grande énigme au sein du mouvement communiste et ouvrier international . Né le 1er août 1933 dans l’Italie mussolinienne, d’un père communiste disparu à la suite de violences infligées par une brigade fasciste, Antonio Negri est d’abord militant de l’Action catholique avant d’adhérer en 1956 au Parti socialiste italien, qu’il quittera rapidement.

      Le théoricien, animateurs de “l’opéraïsme”

    • Un journaliste du Monde « Gauchologue et fafologue / Enseigne @sciencespo » diffuse sur X des extraits de l’abject "Camarade P38" du para-policier Fabrizio Calvi en prétendant que cette bouse « résume les critiques ».
      Mieux vaut se référer à EMPIRE ET SES PIÈGES - Toni Negri et la déconcertante trajectoire de l’opéraïsme italien, de Claudio Albertani https://infokiosques.net/spip.php?article541

    • #opéraïsme

      http://www.zones-subversives.com/l-op%C3%A9ra%C3%AFsme-dans-l-italie-des-ann%C3%A9es-1960

      Avant l’effervescence de l’Autonomie italienne, l’opéraïsme tente de renouveler la pensée marxiste pour réfléchir sur les luttes ouvrières. Ce mouvement politique et intellectuel se développe en Italie dans les années 1960. Il débouche vers une radicalisation du conflit social en 1968, et surtout en 1969 avec une grève ouvrière sauvage. Si le post-opéraïsme semble relativement connu en France, à travers la figure de Toni Negri et la revue Multitudes, l’opéraïsme historique demeure largement méconnu.

      Mario Tronti revient sur l’aventure de l’opéraïsme, à laquelle il a activement participé. Son livre articule exigence théorique et témoignage vivant. Il décrit ce mouvement comme une « expérience de pensée - d’un cercle de personnes liées entre elles indissolublement par un lien particulier d’amitié politique ». La conflictualité sociale et la radicalisation des luttes ouvrières doit alors permettre d’abattre le capitalisme.

    • IL SECOLO BREVE DI TONI NEGRI, Ago 17, 2023,
      di ROBERTO CICCARELLI.

      http://www.euronomade.info/?p=15660

      Toni Negri hai compiuto novant’anni. Come vivi oggi il tuo tempo?

      Mi ricordo Gilles Deleuze che soffriva di un malanno simile al mio. Allora non c’erano l’assistenza e la tecnologia di cui possiamo godere noi oggi. L’ultima volta che l’ho visto girava con un carrellino con le bombole di ossigeno. Era veramente dura. Lo è anche per me oggi. Penso che ogni giorno che passa a questa età sia un giorno di meno. Non hai la forza di farlo diventare un giorno magico. È come quando mangi un buon frutto e ti lascia in bocca un gusto meraviglioso. Questo frutto è la vita, probabilmente. È una delle sue grandi virtù.

      Novant’anni sono un secolo breve.

      Di secoli brevi ce ne possono essere diversi. C’è il classico periodo definito da Hobsbawm che va dal 1917 al 1989. C’è stato il secolo americano che però è stato molto più breve. È durato dagli accordi monetari e dalla definizione di una governance mondiale a Bretton Woods, agli attentati alle Torri Gemelle nel settembre 2001. Per quanto mi riguarda il mio lungo secolo è iniziato con la vittoria bolscevica, poco prima che nascessi, ed è continuato con le lotte operaie, e con tutti i conflitti politici e sociali ai quali ho partecipato.

      Questo secolo breve è terminato con una sconfitta colossale.

      È vero. Ma hanno pensato che fosse finita la storia e fosse iniziata l’epoca di una globalizzazione pacificata. Nulla di più falso, come vediamo ogni giorno da più di trent’anni. Siamo in un’età di transizione, ma in realtà lo siamo sempre stati. Anche se sottotraccia, ci troviamo in un nuovo tempo segnato da una ripresa globale delle lotte contro le quali c’è una risposta dura. Le lotte operaie hanno iniziato a intersecarsi sempre di più con quelle femministe, antirazziste, a difesa dei migranti e per la libertà di movimento, o ecologiste.

      Filosofo, arrivi giovanissimo in cattedra a Padova. Partecipi a Quaderni Rossi, la rivista dell’operaismo italiano. Fai inchiesta, fai un lavoro di base nelle fabbriche, a cominciare dal Petrolchimico di Marghera. Fai parte di Potere Operaio prima, di Autonomia Operaia poi. Vivi il lungo Sessantotto italiano, a cominciare dall’impetuoso Sessantanove operaio a Corso Traiano a Torino. Qual è stato il momento politico culminante di questa storia?

      Gli anni Settanta, quando il capitalismo ha anticipato con forza una strategia per il suo futuro. Attraverso la globalizzazione, ha precarizzato il lavoro industriale insieme all’intero processo di accumulazione del valore. In questa transizione, sono stati accesi nuovi poli produttivi: il lavoro intellettuale, quello affettivo, il lavoro sociale che costruisce la cooperazione. Alla base della nuova accumulazione del valore, ci sono ovviamente anche l’aria, l’acqua, il vivente e tutti i beni comuni che il capitale ha continuato a sfruttare per contrastare l’abbassamento del tasso di profitto che aveva conosciuto a partire dagli anni Sessanta.

      Perché, dalla metà degli anni Settanta, la strategia capitalista ha vinto?

      Perché è mancata una risposta di sinistra. Anzi, per un tempo lungo, c’è stata una totale ignoranza di questi processi. A partire dalla fine degli anni Settanta, c’è stata la soppressione di ogni potenza intellettuale o politica, puntuale o di movimento, che tentasse di mostrare l’importanza di questa trasformazione, e che puntasse alla riorganizzazione del movimento operaio attorno a nuove forme di socializzazione e di organizzazione politica e culturale. È stata una tragedia. Qui che appare la continuità del secolo breve nel tempo che stiamo vivendo ora. C’è stata una volontà della sinistra di bloccare il quadro politico su quello che possedeva.

      E che cosa possedeva quella sinistra?

      Un’immagine potente ma già allora inadeguata. Ha mitizzato la figura dell’operaio industriale senza comprendere che egli desiderava ben altro. Non voleva accomodarsi nella fabbrica di Agnelli, ma distruggere la sua organizzazione; voleva costruire automobili per offrirle agli altri senza schiavizzare nessuno. A Marghera non avrebbe voluto morire di cancro né distruggere il pianeta. In fondo è quello che ha scritto Marx nella Critica del programma di Gotha: contro l’emancipazione attraverso il lavoro mercificato della socialdemocrazia e per la liberazione della forza lavoro dal lavoro mercificato. Sono convinto che la direzione presa dall’Internazionale comunista – in maniera evidente e tragica con lo stalinismo, e poi in maniera sempre più contraddittoria e irruente -, abbia distrutto il desiderio che aveva mobilitato masse gigantesche. Per tutta la storia del movimento comunista è stata quella la battaglia.

      Cosa si scontrava su quel campo di battaglia?

      Da un lato, c’era l’idea della liberazione. In Italia è stata illuminata dalla resistenza contro il nazi-fascismo. L’idea di liberazione si è proiettata nella stessa Costituzione così come noi ragazzi la interpretammo allora. E in questa vicenda non sottovaluterei l’evoluzione sociale della Chiesa Cattolica che culminò con il Secondo Concilio Vaticano. Dall’altra parte, c’era il realismo ereditato dal partito comunista italiano dalla socialdemocrazia, quello degli Amendola e dei togliattiani di varia origine. Tutto è iniziato a precipitare negli anni Settanta, mentre invece c’era la possibilità di inventare una nuova forma di vita, un nuovo modo di essere comunisti.

      Continui a definirti un comunista. Cosa significa oggi?

      Quello che per me ha significato da giovane: conoscere un futuro nel quale avremmo conquistato il potere di essere liberi, di lavorare meno, di volerci bene. Eravamo convinti che concetti della borghesia quali libertà, uguaglianza e fraternità avrebbero potuto realizzarsi nelle parole d’ordine della cooperazione, della solidarietà, della democrazia radicale e dell’amore. Lo pensavamo e lo abbiamo agito, ed era quello che pensava la maggioranza che votava la sinistra e la faceva esistere. Ma il mondo era ed è insopportabile, ha un rapporto contraddittorio con le virtù essenziali del vivere insieme. Eppure queste virtù non si perdono, si acquisiscono con la pratica collettiva e sono accompagnate dalla trasformazione dell’idea di produttività che non significa produrre più merci in meno tempo, né fare guerre sempre più devastanti. Al contrario serve a dare da mangiare a tutti, modernizzare, rendere felici. Comunismo è una passione collettiva gioiosa, etica e politica che combatte contro la trinità della proprietà, dei confini e del capitale.

      L’arresto avvenuto il 7 aprile 1979, primo momento della repressione del movimento dell’autonomia operaia, è stato uno spartiacque. Per ragioni diverse, a mio avviso, lo è stato anche per la storia del «manifesto» grazie a una vibrante campagna garantista durata anni, un caso giornalistico unico condotto con i militanti dei movimenti, un gruppo di coraggiosi intellettuali, il partito radicale. Otto anni dopo, il 9 giugno 1987, quando fu demolito il castello di accuse cangianti, e infondate, Rossana Rossanda scrisse che fu una «tardiva, parziale riparazione di molto irreparabile». Cosa significa oggi per te tutto questo?

      È stato innanzitutto il segno di un’amicizia mai smentita. Rossana per noi è stata una persona di una generosità incredibile. Anche se, a un certo punto, si è fermata anche lei: non riusciva a imputare al Pci quello che il Pci era diventato.

      Che cosa era diventato?

      Un oppressore. Ha massacrato quelli che denunciavano il pasticcio in cui si era andato a ficcare. In quegli anni siamo stati in molti a dirglielo. Esisteva un’altra strada, che passava dall’ascolto della classe operaia, del movimento studentesco, delle donne, di tutte le nuove forme nelle quali le passioni sociali, politiche e democratiche si stavano organizzando. Noi abbiamo proposto un’alternativa in maniera onesta, pulita e di massa. Facevamo parte di un enorme movimento che investiva le grandi fabbriche, le scuole, le generazioni. La chiusura da parte del Pci ha determinato la nascita di estremizzazioni terroristiche: questo è fuori dubbio. Noi abbiamo pagato tutto e pesantemente. Solo io ho fatto complessivamente quattordici anni di esilio e undici e mezzo di prigione. Il Manifesto ha sempre difeso la nostra innocenza. Era completamente idiota che io o altri dell’Autonomia fossimo considerati i rapitori di Aldo Moro o gli uccisori di compagni. Tuttavia, nella campagna innocentista che è stata coraggiosa e importante è stato però lasciato sul fondo un aspetto sostanziale.

      Quale?
      Eravamo politicamente responsabili di un movimento molto più ampio contro il compromesso storico tra il Pci e la Dc. Contro di noi c’è stata una risposta poliziesca della destra, e questo si capisce. Quello che non si vuol capire è stata invece la copertura che il Pci ha dato a questa risposta. In fondo, avevano paura che cambiasse l’orizzonte politico di classe. Se non si comprende questo nodo storico, come ci si può lamentare dell’inesistenza di una sinistra oggi in Italia?

      Il sette aprile, e il cosiddetto «teorema Calogero», sono stati considerati un passo verso la conversione di una parte non piccola della sinistra al giustizialismo e alla delega politica alla magistratura. Come è stato possibile lasciarsi incastrare in una simile trappola?

      Quando il Pci sostituì la centralità della lotta morale a quella economica e politica, e lo fece attraverso giudici che gravitavano attorno alla sua area, ha finito il suo percorso. Questi davvero credevano di usare il giustizialismo per costruire il socialismo? Il giustizialismo è una delle cose più care alla borghesia. È un’illusione devastante e tragica che impedisce di vedere l’uso di classe del diritto, del carcere o della polizia contro i subalterni. In quegli anni cambiarono anche i giovani magistrati. Prima erano molto diversi. Li chiamavano «pretori di assalto». Ricordo i primi numeri della rivista Democrazia e Diritto ai quali ho lavorato anch’io. Mi riempivano di gioia perché parlavamo di giustizia di massa. Poi l’idea di giustizia è stata declinata molto diversamente, riportata ai concetti di legalità e di legittimità. E nella magistratura non c’è più stata una presa di parola politica, ma solo schieramenti tra correnti. Oggi, poi abbiamo una Costituzione ridotta a un pacchetto di norme che non corrispondono neanche più alla realtà del paese.

      In carcere avete continuato la battaglia politica. Nel 1983 scriveste un documento in carcere, pubblicato da Il Manifesto, intitolato «Do You remember revolution». Si parlava dell’originalità del 68 italiano, dei movimenti degli anni Settanta non riducibili agli «anni di piombo». Come hai vissuto quegli anni?

      Quel documento diceva cose importanti con qualche timidezza. Credo dica più o meno le cose che ho appena ricordato. Era un periodo duro. Noi eravamo dentro, dovevamo uscire in qualche maniera. Ti confesso che in quell’immane sofferenza per me era meglio studiare Spinoza che pensare all’assurda cupezza in cui eravamo stati rinchiusi. Ho scritto su Spinoza un grosso libro ed è stato una specie di atto eroico. Non potevo avere più di cinque libri in cella. E cambiavo carcere speciale in continuazione: Rebibbia, Palmi, Trani, Fossombrone, Rovigo. Ogni volta in una cella nuova con gente nuova. Aspettare giorni e ricominciare. L’unico libro che portavo con me era l’Etica di Spinoza. La fortuna è stata finire il mio testo prima della rivolta a Trani nel 1981 quando i corpi speciali hanno distrutto tutto. Sono felice che abbia prodotto uno scossone nella storia della filosofia.

      Nel 1983 sei stato eletto in parlamento e uscisti per qualche mese dal carcere. Cosa pensi del momento in cui votarono per farti tornare in carcere e tu decidesti di andare in esilio in Francia?

      Ne soffro ancora molto. Se devo dare un giudizio storico e distaccato penso di avere fatto bene ad andarmene. In Francia sono stato utile per stabilire rapporti tra generazioni e ho studiato. Ho avuto la possibilità di lavorare con Félix Guattari e sono riuscito a inserirmi nel dibattito del tempo. Mi ha aiutato moltissimo a comprendere la vita dei Sans Papiers. Lo sono stato anch’io, ho insegnato pur non avendo una carta di identità. Mi hanno aiutato i compagni dell’università di Parigi 8. Ma per altri versi mi dico che ho sbagliato. Mi scuote profondamente il fatto di avere lasciato i compagni in carcere, quelli con cui ho vissuto i migliori anni della mia vita e le rivolte in quattro anni di carcerazione preventiva. Averli lasciati mi fa ancora male. Quella galera ha devastato la vita di compagni carissimi, e spesso delle loro famiglie. Ho novant’anni e mi sono salvato. Non mi rende più sereno di fronte a quel dramma.

      Anche Rossanda ti criticò…

      Sì, mi ha chiesto di comportarmi come Socrate. Io le risposi che rischiavo proprio di finire come il filosofo. Per i rapporti che c’erano in galera avrei potuto morire. Pannella mi ha materialmente portato fuori dalla galera e poi mi ha rovesciato tutte le colpe del mondo perché non volevo tornarci. Sono stati in molti a imbrogliarmi. Rossana mi aveva messo in guardia già allora, e forse aveva ragione.

      C’è stata un’altra volta che lo ha fatto?

      Sì, quando mi disse di non rientrare da Parigi in Italia nel 1997 dopo 14 anni di esilio. La vidi l’ultima volta prima di partire in un café dalle parti del Museo di Cluny, il museo nazionale del Medioevo. Mi disse che avrebbe voluto legami con una catena per impedirmi di prendere quell’aereo.

      Perché allora hai deciso di tornare in Italia?

      Ero convinto di fare una battaglia sull’amnistia per tutti i compagni degli anni Settanta. Allora c’era la Bicamerale, sembrava possibile. Mi sono fatto sei anni di galera fino al 2003. Forse Rossana aveva ragione.

      Che ricordo oggi hai di lei?

      Ricordo l’ultima volta che l’ho vista a Parigi. Una dolcissima amica, che si preoccupava dei miei viaggi in Cina, temeva che mi facessi male. È stata una persona meravigliosa, allora e sempre.

      Anna Negri, tua figlia, ha scritto «Con un piede impigliato nella storia» (DeriveApprodi) che racconta questa storia dal punto di vista dei vostri affetti, e di un’altra generazione.

      Ho tre figli splendidi Anna, Francesco e Nina che hanno sofferto in maniera indicibile quello che è successo. Ho guardato la serie di Bellocchio su Moro e continuo ad essere stupefatto di essere stato accusato di quella incredibile tragedia. Penso ai miei due primi figli, che andavano a scuola. Qualcuno li vedeva come i figli di un mostro. Questi ragazzi, in una maniera o nell’altra, hanno sopportato eventi enormi. Sono andati via dall’Italia e ci sono tornati, hanno attraversato quel lungo inverno in primissima persona. Il minimo che possono avere è una certa collera nei confronti dei genitori che li hanno messi in questa situazione. E io ho una certa responsabilità in questa storia. Siamo tornati ad essere amici. Questo per me è un regalo di una immensa bellezza.

      Alla fine degli anni Novanta, in coincidenza con i nuovi movimenti globali, e poi contro la guerra, hai acquisito una forte posizione di riconoscibilità insieme a Michael Hardt a cominciare da «Impero». Come definiresti oggi, in un momento di ritorno allo specialismo e di idee reazionarie e elitarie, il rapporto tra filosofia e militanza?

      È difficile per me rispondere a questa domanda. Quando mi dicono che ho fatto un’opera, io rispondo: Lirica? Ma ti rendi conto? Mi scappa da ridere. Perché sono più un militante che un filosofo. Farà ridere qualcuno, ma io mi ci vedo, come Papageno…

      Non c’è dubbio però che tu abbia scritto molti libri…

      Ho avuto la fortuna di trovarmi a metà strada tra la filosofia e la militanza. Nei migliori periodi della mia vita sono passato in permanenza dall’una all’altra. Ciò mi ha permesso di coltivare un rapporto critico con la teoria capitalista del potere. Facendo perno su Marx, sono andato da Hobbes a Habermas, passando da Kant, Rousseau e Hegel. Gente abbastanza seria da dovere essere combattuta. Di contro la linea Machiavelli-Spinoza-Marx è stata un’alternativa vera. Ribadisco: la storia della filosofia per me non è una specie di testo sacro che ha impastato tutto il sapere occidentale, da Platone ad Heidegger, con la civiltà borghese e ha tramandato con ciò concetti funzionali al potere. La filosofia fa parte della nostra cultura, ma va usata per quello che serve, cioè a trasformare il mondo e farlo diventare più giusto. Deleuze parlava di Spinoza e riprendeva l’iconografia che lo rappresentava nei panni di Masaniello. Vorrei che fosse vero per me. Anche adesso che ho novant’anni continuo ad avere questo rapporto con la filosofia. Vivere la militanza è meno facile, eppure riesco a scrivere e ad ascoltare, in una situazione di esule.

      Esule, ancora, oggi?

      Un po’, sì. È un esilio diverso però. Dipende dal fatto che i due mondi in cui vivo, l’Italia e la Francia, hanno dinamiche di movimento molto diverse. In Francia, l’operaismo non ha avuto un seguito largo, anche se oggi viene riscoperto. La sinistra di movimento in Francia è sempre stata guidata dal trotzkismo o dall’anarchismo. Negli anni Novanta, con la rivista Futur antérieur, con l’amico e compagno Jean-Marie Vincent, avevamo trovato una mediazione tra gauchisme e operaismo: ha funzionato per una decina d’anni. Ma lo abbiamo fatto con molta prudenza. il giudizio sulla politica francese lo lasciavamo ai compagni francesi. L’unico editoriale importante scritto dagli italiani sulla rivista è stato quello sul grande sciopero dei ferrovieri del ’95, che assomigliava tanto alle lotte italiane.

      Perché l’operaismo conosce oggi una risonanza a livello globale?

      Perché risponde all’esigenza di una resistenza e di una ripresa delle lotte, come in altre culture critiche con le quali dialoga: il femminismo, l’ecologia politica, la critica postcoloniale ad esempio. E poi perché non è la costola di niente e di nessuno. Non lo è stato mai, e neanche è stato un capitolo della storia del Pci, come qualcuno s’illude. È invece un’idea precisa della lotta di classe e una critica della sovranità che coagula il potere attorno al polo padronale, proprietario e capitalista. Ma il potere è sempre scisso, ed è sempre aperto, anche quando non sembra esserci alternativa. Tutta la teoria del potere come estensione del dominio e dell’autorità fatta dalla Scuola di Francoforte e dalle sue recenti evoluzioni è falsa, anche se purtroppo rimane egemone. L’operaismo fa saltare questa lettura brutale. È uno stile di lavoro e di pensiero. Riprende la storia dal basso fatta da grandi masse che si muovono, cerca la singolarità in una dialettica aperta e produttiva.

      I tuoi costanti riferimenti a Francesco d’Assisi mi hanno sempre colpito. Da dove nasce questo interesse per il santo e perché lo hai preso ad esempio della tua gioia di essere comunista?

      Da quando ero giovane mi hanno deriso perché usavo la parola amore. Mi prendevano per un poeta o per un illuso. Di contro, ho sempre pensato che l’amore era una passione fondamentale che tiene in piedi il genere umano. Può diventare un’arma per vivere. Vengo da una famiglia che è stata miserabile durante la guerra e mi ha insegnato un affetto che mi fa vivere ancora oggi. Francesco è in fondo un borghese che vive in un periodo in cui coglie la possibilità di trasformare la borghesia stessa, e di fare un mondo in cui la gente si ama e ama il vivente. Il richiamo a lui, per me, è come il richiamo ai Ciompi di Machiavelli. Francesco è l’amore contro la proprietà: esattamente quello che avremmo potuto fare negli anni Settanta, rovesciando quello sviluppo e creando un nuovo modo di produrre. Non è mai stato ripreso a sufficienza Francesco, né è stato presa in debito conto l’importanza che ha avuto il francescanesimo nella storia italiana. Lo cito perché voglio che parole come amore e gioia entrino nel linguaggio politico.

      *

      Dall’infanzia negli anni della guerra all’apprendistato filosofico alla militanza comunista, dal ’68 alla strage di piazza Fontana, da Potere Operaio all’autonomia e al ’77, l’arresto, l’esilio. E di nuovo la galera per tornare libero. Toni Negri lo ha raccontato con Girolamo De Michele in tre volumi autobiografici Storia di un comunista, Galera e esilio, Da Genova a Domani (Ponte alle Grazie). Con Mi chael Hardt, professore di letteratura alla Duke University negli Stati Uniti, ha scritto, tra l’altro, opere discusse e di larga diffusione: Impero, Moltitudine, Comune (Rizzoli) e Assemblea (Ponte alle Grazie). Per l’editore anglo-americano Polity Books ha pubblicato, tra l’altro, sei volumi di scritti tra i quali The Common, Marx in Movement, Marx and Foucault.

      In Italia DeriveApprodi ha ripubblicato il classico «Spinoza». Per la stessa casa editrice: I libri del rogo, Pipe Line, Arte e multitudo (a cura di N. Martino), Settanta (con Raffaella Battaglini). Con Mimesis la nuova edizione di Lenta ginestra. Saggio sull’ontologia di Giacomo Leopardi. Con Ombre Corte, tra l’altro, Dall’operaio massa all’operaio sociale (a cura di P. Pozzi-R. Tomassini), Dentro/contro il diritto sovrano (con G. Allegri), Il lavoro nella costituzione (con A. Zanini).

      A partire dal prossimo ottobre Manifestolibri ripubblicherà i titoli in catalogo con una nuova prefazione: L’inchiesta metropolitana e altri scritti sociologici, a cura di Alberto De Nicola e Paolo Do; Marx oltre Marx (prefazione di Sandro Mezzadra); Trentatré Lezioni su Lenin (Giso Amendola); Potere Costituente (Tania Rispoli); Descartes politico (Marco Assennato); Kairos, Alma Venus, moltitudo (Judith Revel); Il lavoro di Dioniso, con Michael Hardt (Francesco Raparelli)

      #autonomie #prison #exil

    • Le philosophe italien Toni Negri est mort

      Inspirant les luttes politiques en Italie dans les années 1960 et 1970, son travail a également influencé le mouvement altermondialiste du début du XXIe siècle.


      Toni Negri, à Rome (Italie), en septembre 2010. STEFANO MONTESI - CORBIS / VIA GETTY IMAGES

      Il était né dans l’Italie fasciste. Il disparaît alors que l’extrême droite gouverne à nouveau son pays. Le philosophe Toni Negri, acteur et penseur majeur de plus d’un demi-siècle de luttes d’extrême gauche, est mort dans la nuit du 15 au 16 décembre à Paris, à l’âge de 90 ans, a annoncé son épouse, la philosophe française Judith Revel.

      « C’était un mauvais maître », a tout de suite réagi, selon le quotidien La Repubblica, le ministre de la culture italien, Gennaro Sangiuliano. « Tu resteras à jamais dans mon cœur et dans mon esprit, cher Maître, Père, Prophète », a écrit quant à lui, sur Facebook, l’activiste Luca Casarini, l’un des leaders du mouvement altermondialiste italien. Peut-être aurait-il vu dans la violence de ce contraste un hommage à la puissance de ses engagements, dont la radicalité ne s’est jamais affadie.

      Né le 1er août 1933 à Padoue, Antonio Negri, que tout le monde appelle Toni, et qui signera ainsi ses livres, commence très tôt une brillante carrière universitaire – il enseigne à l’université de Padoue dès ses 25 ans –, tout en voyageant, en particulier au Maghreb et au Moyen-Orient. C’est en partageant la vie d’un kibboutz israélien que le jeune homme, d’abord engagé au parti socialiste, dira être devenu communiste. Encore fallait-il savoir ce que ce mot pouvait recouvrir.

      Cette recherche d’une nouvelle formulation d’un idéal ancien, qu’il s’agissait de replacer au centre des mutations du monde, parcourt son œuvre philosophique, de Marx au-delà de Marx (Bourgois, 1979) à l’un de ses derniers livres, Inventer le commun des hommes (Bayard, 2010). Elle devient aussi l’axe de son engagement militant, qui va bientôt se confondre avec sa vie.

      Marxismes hétérodoxes

      L’Italie est alors, justement, le laboratoire des marxismes dits hétérodoxes, en rupture de ban avec le parti communiste, en particulier l’« opéraïsme » (de l’italien « operaio », « ouvrier »). Toni Negri le rejoint à la fin des années 1960, et s’en fait l’un des penseurs et activistes les plus emblématiques, toujours présent sur le terrain, dans les manifestations et surtout dans les usines, auprès des ouvriers. « Il s’agissait d’impliquer les ouvriers dans la construction du discours théorique sur l’exploitation », expliquera-t-il dans un entretien, en 2018, résumant la doctrine opéraïste, particulièrement celle des mouvements auxquels il appartient, Potere Operaio, puis Autonomia Operaia.

      Des armes circulent. Le terrorisme d’extrême droite et d’extrême gauche ravage le pays. Bien qu’il s’oppose à la violence contre les personnes, le philosophe est arrêté en 1979, soupçonné d’avoir participé à l’assassinat de l’homme politique Aldo Moro, accusation dont il est rapidement blanchi. Mais d’autres pèsent sur lui – « association subversive », et complicité « morale » dans un cambriolage – et il est condamné à douze ans de prison.
      Elu député du Parti radical en 1983, alors qu’il est encore prisonnier, il est libéré au titre de son immunité parlementaire. Quand celle-ci est levée [par un vote que le parti Radical a permis de rendre majoritaire, ndc], il s’exile en France. Rentré en Italie en 1997, il est incarcéré pendant deux ans, avant de bénéficier d’une mesure de semi-liberté. Il est définitivement libéré en 2003.

      Occupy Wall Street et les Indignés

      Il enseigne, durant son exil français, à l’Ecole normale supérieure, à l’université Paris-VIII ou encore au Collège international de philosophie. Ce sont aussi des années d’intense production intellectuelle, et, s’il porte témoignage en publiant son journal de l’année 1983 (Italie rouge et noire, Hachette, 1985), il développe surtout une pensée philosophique exigeante, novatrice, au croisement de l’ontologie et de la pensée politique. On peut citer, entre beaucoup d’autres, Les Nouveaux Espaces de liberté, écrit avec Félix Guattari (Dominique Bedou, 1985), Spinoza subversif. Variations (in)actuelles (Kimé, 1994), Le Pouvoir constituant. Essai sur les alternatives de la modernité (PUF, 1997) ou Kairos, Alma Venus, multitude. Neuf leçons en forme d’exercices (Calmann-Lévy, 2000).
      Ce sont cependant les livres qu’il coécrit avec l’Américain Michael Hardt qui le font connaître dans le monde entier, et d’abord Empire (Exils, 2000), où les deux philosophes s’efforcent de poser les fondements d’une nouvelle pensée de l’émancipation dans le contexte créé par la mondialisation. Celle-ci, « transition capitale dans l’histoire contemporaine », fait émerger selon les auteurs un capitalisme « supranational, mondial, total », sans autres appartenances que celles issues des rapports de domination économique. Cette somme, comme la suivante, Multitude. Guerre et démocratie à l’époque de l’Empire (La Découverte, 2004), sera une des principales sources d’inspiration du mouvement altermondialiste, d’Occupy Wall Street au mouvement des Indignés, en Espagne.

      C’est ainsi que Toni Negri, de l’ébullition italienne qui a marqué sa jeunesse et décidé de sa vie aux embrasements et aux espoirs du début du XXIe siècle, a traversé son temps : en ne lâchant jamais le fil d’une action qui était, pour lui, une forme de pensée, et d’une pensée qui tentait d’agir au cœur même du monde.
      Florent Georgesco
      https://www.lemonde.fr/disparitions/article/2023/12/16/le-philosophe-italien-toni-negri-est-mort_6206182_3382.html

      (article corrigé trois fois en 9 heures, un bel effort ! il faut continuer !)

    • Pouvoir ouvrier, l’équivalent italien de la Gauche prolétarienne

      Chapeau le Diplo, voilà qui est informé !
      En 1998, le journal avait titré sur un mode médiatico-policier (« Ce que furent les “années de plomb” en Italie »). La réédition dans un Manière de voir de 2021 (long purgatoire) permis un choix plus digne qui annonçait correctement cet article fort utile : Entre « compromis historique » et terrorisme. Retour sur l’Italie des années 1970.
      Diplo encore, l’iconographie choisit d’ouvrir l’oeil... sur le rétroviseur. J’identifie pas le leader PCI (ou CGIL) qui est à la tribune mais c’est évidement le Mouvement ouvrier institué et son rôle (historiquement compromis) d’encadrement de la classe ouvrière qui est mis en avant.

      #média #gauche #Italie #Histoire #Potere_operaio #PCI #lutte_armée #compromis_historique #terrorisme

      edit

      [Rome] Luciano Lama, gli scontri alla Sapienza e il movimento del ’77
      https://www.corriere.it/foto-gallery/cultura/17_febbraio_16/scontri-sapienza-lama-foto-6ad864d0-f428-11e6-a5e5-e33402030d6b.shtml

      «Il segretario della Cgil Luciano Lama si è salvato a stento dall’assalto degli autonomi, mentre tentava di parlare agli studenti che da parecchi giorni occupano la città universitaria. Il camion, trasformato in palco, dal quale il sindacalista ha preso la parola, è stato letteralmente sfasciato e l’autista è uscito dagli incidenti con la testa spaccata e varie ferite». E’ la cronaca degli scontri alla Sapienza riportata da Corriere il 18 febbraio del 1977, un giorno dopo la “cacciata” del leader della CGIL Luciano Lama dall’ateneo dove stava tenendo un comizio. Una giornata di violenza che diventerà il simbolo della rottura tra la sinistra istituzionale, rappresentata dal Pci e dal sindacato, e la sinistra dei movimenti studenteschi. Nella foto il camion utilizzato come palco da Luciano Lama preso d’assalto dai contestatori alla Sapienza (Ansa)

    • ENTRE ENGAGEMENT RÉVOLUTIONNAIRE ET PHILOSOPHIE
      Toni Negri (1933-2023), histoire d’un communiste
      https://www.revolutionpermanente.fr/Toni-Negri-1933-2023-histoire-d-un-communiste

      Sans doute est-il compliqué de s’imaginer, pour les plus jeunes, ce qu’a pu représenter Toni Negri pour différentes générations de militant.es. Ce qu’il a pu symboliser, des deux côtés des Alpes et au-delà, à différents moments de l’histoire turbulente du dernier tiers du XXème siècle, marqué par la dernière poussée révolutionnaire contemporaine – ce « long mois de mai » qui aura duré plus de dix ans, en Italie – suivie d’un reflux face auquel, loin de déposer les armes, Negri a choisi de résister en tentant de penser un arsenal conceptuel correspondant aux défis posés par le capitalisme contemporain. Tout en restant, jusqu’au bout, communiste. C’est ainsi qu’il se définissait.

    • À Toni Negri, camarade et militant infatigable
      https://blogs.mediapart.fr/les-invites-de-mediapart/blog/181223/toni-negri-camarade-et-militant-infatigable

      Toni Negri nous a quittés. Pour certains d’entre nous, c’était un ami cher mais pour nous tous, il était le camarade qui s’était engagé dans le grand cycle des luttes politiques des années soixante et dans les mouvements révolutionnaires des années soixante-dix en Italie. Il fut l’un des fondateurs de l’opéraïsme et le penseur qui a donné une cohérence théorique aux luttes ouvrières et prolétariennes dans l’Occident capitaliste et aux transformations du Capital qui en ont résulté. C’est Toni qui a décrit la multitude comme une forme de subjectivité politique qui reflète la complexité et la diversité des nouvelles formes de travail et de résistance apparues dans la société post-industrielle. Sans la contribution théorique de Toni et de quelques autres théoriciens marxistes, aucune pratique n’aurait été adéquate pour le conflit de classes.
      Un Maître, ni bon ni mauvais : c’était notre tâche et notre privilège d’interpréter ou de réfuter ses analyses. C’était avant tout notre tâche, et nous l’avons assumée, de mettre en pratique la lutte dans notre sphère sociale, notre action dans le contexte politique de ces années-là. Nous n’étions ni ses disciples ni ses partisans et Toni n’aurait jamais voulu que nous le soyons. Nous étions des sujets politiques libres, qui décidaient de leur engagement politique, qui choisissaient leur voie militante et qui utilisaient également les outils critiques et théoriques fournis par Toni dans leur parcours.

    • Toni Negri, l’au-delà de Marx à l’épreuve de la politique, Yann Moulier Boutang
      https://www.liberation.fr/idees-et-debats/tribunes/toni-negri-lau-dela-de-marx-a-lepreuve-de-la-politique-20231217_Z5QALRLO7

      Il n’est guère de concepts hérités du marxisme qu’il n’ait renouvelés de fond en comble. Contentons-nous ici de quelques notions clés. La clé de l’évolution du capitalisme, ne se lit correctement que dans celle de la composition du travail productif structuré dans la classe ouvrière et son mouvement, puis dans les diverses formes de salariat. Le Marx le plus intéressant pour nous est celui des Grundrisse (cette esquisse du Capital). C’est le refus du travail dans les usines, qui pousse sans cesse le capitalisme, par l’introduction du progrès technique, puis par la mondialisation, à contourner la « forteresse ouvrière ». Composition de classe, décomposition, recomposition permettent de déterminer le sens des luttes sociales. Negri ajoute à ce fond commun à tous les operaïstes deux innovations : la méthode de la réalisation de la tendance, qui suppose que l’évolution à peine perceptible est déjà pleinement déployée, pour mieux saisir à l’avance les moments et les points où la faire bifurquer. Deuxième innovation : après l’ouvrier qualifié communiste, et l’ouvrier-masse (l’OS du taylorisme), le capitalisme des années 1975-1990 (celui de la délocalisation à l’échelle mondiale de la chaîne de la valeur) produit et affronte l’ouvrier-social.

      C’est sur ce passage obligé que l’idée révolutionnaire se renouvelle. L’enquête ouvrière doit se déplacer sur ce terrain de la production sociale. La question de l’organisation, de la dispersion et de l’éclatement remplace la figure de la classe ouvrière et de ses allié.e.s. L’ouvrier social des années 1975 devient la multitude. Cela paraît un diagramme abstrait. Pourtant les formes de lutte comme les objectifs retenus, les collectifs des travailleuses du soin, de chômeurs ou d’intérimaires, les grèves des Ubereat témoignent de l’actualité de cette perspective. Mais aussi de ses limites, rencontrées au moment de s’incarner politiquement. (1)

      https://justpaste.it/3t9h9

      edit « optimisme de la raison, pessimisme de la volonté », T.N.
      Ration indique des notes qui ne sont pas publiées...

      Balibar offre une toute autre lecture des apports de T.N. que celle du très recentré YMB
      https://seenthis.net/messages/1032920

      #marxisme #mouvements_sociaux #théorie #compostion_de_classe #refus_du_travail #luttes_sociales #analyse_de_la tendance #ouvrier_masse #ouvrier_social #enquête_ouvrière #production_sociale #multitude #puissance #pouvoir

    • Décider en Essaim, Toni Negri , 2004
      https://www.youtube.com/watch?app=desktop&v=pqBZJD5oFJY

      Toni Negri : pour la multitude, Michael Löwy
      https://www.en-attendant-nadeau.fr/2023/12/18/toni-negri

      Avec la disparition d’Antonio Negri – Toni pour les amis – la cause communiste perd un grand penseur et un combattant infatigable. Persécuté pour ses idées révolutionnaires, incarcéré en Italie pendant de longues années, Toni est devenu célèbre grâce à ses ouvrages qui se proposent, par une approche philosophique inspirée de #Spinoza et de #Marx, de contribuer à l’émancipation de la multitude

      .

    • Un congedo silenzioso, Paolo Virno
      https://ilmanifesto.it/un-congedo-silenzioso


      Toni Negri - Tano D’Amico /Archivio Manifesto

      Due anni fa, credo, telefona Toni. Sarebbe passato per Roma, mi chiede di vederci. Un’ora insieme, con Judith, in una casa vuota nei pressi di Campo de’ Fiori (un covo abbandonato, avrebbe pensato una canaglia dell’antico Pci). Non parliamo di niente o quasi, soltanto frasi che offrono un pretesto per tacere di nuovo, senza disagio.

      Ebbe luogo, in quella casa romana, un congedo puro e semplice, non dissimulato da nenie cerimoniose. Dopo anni di insulti pantagruelici e di fervorose congratulazioni per ogni tentativo di trovare la porta stretta attraverso cui potesse irrompere la lotta contro il lavoro salariato nell’epoca di un capitalismo finalmente maturo, un po’ di silenzio sbigottito non guastava. Anzi, affratellava.

      Ricordo Toni, ospite della cella 7 del reparto di massima sicurezza del carcere di Rebibbia, che piange senza ritegno perché le guardie stanno portando via in piena notte, con un «trasferimento a strappo», i suoi compagni di degnissima sventura. E lo ricordo ironico e spinoziano nel cortile del penitenziario di Palmi, durante la requisitoria cui lo sottopose un capo brigatista da operetta, che minacciava di farlo accoppare da futuri «collaboratori di giustizia» allora ancora bellicosi e intransigenti.

      Toni era un carcerato goffo, ingenuo, ignaro dei trucchi (e del cinismo) che il ruolo richiede. Fu calunniato e detestato come pochi altri nel Novecento italiano. Calunniato e detestato, in quanto marxista e comunista, dalla sinistra tutta, da riformatori e progressisti di ogni sottospecie.

      Eletto in parlamento nel 1983, chiese ai suoi colleghi deputati, in un discorso toccante, di autorizzare la prosecuzione del processo contro di lui: non voleva sottrarsi, ma confutare le accuse che gli erano state mosse dai giudici berlingueriani. Chiese anche, però, di continuare il processo a piede libero, giacché iniqua e scandalosa era diventata la carcerazione preventiva con le leggi speciali adottate negli anni precedenti.

      Inutile dire che il parlamento, aizzato dalla sinistra riformatrice, votò per il ritorno in carcere dell’imputato Negri. C’è ancora qualcuno che ha voglia di rifondare quella sinistra?

      Toni non ha mai avuto paura di strafare. Né quando intraprese un corpo a corpo con la filosofia materialista, includendo in essa più cose di quelle che sembrano stare tra cielo e terra, dal condizionale controfattuale («se tu volessi fare questo, allora le cose andrebbero altrimenti») alla segreta alleanza tra gioia e malinconia. Né quando (a metà degli anni Settanta) ritenne che l’area dell’autonomia dovesse sbrigarsi a organizzare il lavoro postfordista, imperniato sul sapere e il linguaggio, caparbiamente intermittente e flessibile.

      Il mio amico matto che voleva cambiare il mondo
      Toni non è mai stato oculato né morigerato. È stato spesso stonato, questo sì: come capita a chi accelera all’impazzata il ritmo della canzone che ha intonato, ibridandolo per giunta con il ritmo di molte altre canzoni appena orecchiate. Il suo luogo abituale sembrava a molti, anche ai più vicini, fuori luogo; per lui, il «momento giusto» (il kairòs degli antichi greci), se non aveva qualcosa di imprevedibile e di sorprendente, non era mai davvero giusto.

      Non si creda, però, che Negri fosse un bohèmien delle idee, un improvvisatore di azioni e pensieri. Rigore e metodo campeggiano nelle sue opere e nei suoi giorni. Ma in questione è il rigore con cui va soppesata l’eccezione; in questione è il metodo che si addice a tutto quel che è ma potrebbe non essere, e viceversa, a tutto quello che non è ma potrebbe essere.

      Insopportabile Toni, amico caro, non ho condiviso granché del tuo cammino. Ma non riesco a concepire l’epoca nostra, la sua ontologia o essenza direbbe Foucault, senza quel cammino, senza le deviazioni e le retromarce che l’hanno scandito. Ora un po’ di silenzio benefico, esente da qualsiasi imbarazzo, come in quella casa romana in cui andò in scena un sobrio congedo.

  • Mario Tronti : I am defeated | communists in situ
    https://cominsitu.wordpress.com/2015/03/08/mario-tronti-i-am-defeated

    Nostalgia for revolutions?
    No, if anything the twentieth century was the century of revolutions. But not only that. Where are the grand ideas, the great literature, the grand politics or the great art? I don’t seen anything like what the first half of the twentieth century produced.

    When did the explosion of creativity end ?
    In the 60s.

    Your golden years ?
    That’s the irony of history. There was a great twentieth century, and a small twentieth century built out of an awareness that it is no longer able to reflect on itself.

    Is this a farewell to the idea of progress ?
    These days Progressivism is the thing furthest from myself. I reject the idea that whatever is new is always better and more advanced than what was there before.

    It was one of the inviolable creeds of Marxism .
    It was the false security of thinking that the defeat was only an episode. Because meanwhile, we thought, history was on our side.

    And now ?
    We saw how it went, didn’t we ?

    Do you feel like you’ve been defeated, or you’ve failed ?
    I am defeated, not a victor. The victories are never final. But we have lost – not a battle – but the war of the twentieth century.

    And who has triumphed ?
    Capitalism. But without class struggle, without an adversary, it has lost its vitality. It has become something of a monstrosity.

    Do you recognise in yourself a certain amount of intellectual pride ?
    I recognise it, but it’s not such a bad thing. Pride offers clarity, distance, it gives you the force to intervene in things. Better anyway than the renunciation of thought. In all this chaos I would like to protect the ‘point of view’.

    The ‘point of view’ ?
    Yes, I cannot position myself on the level of general interest. I was and remain a partisan thinker.

    When did you discover your party ?
    I was very young. Some people attribute to my Operaismo in the 60s. I think it was during my time as a student that my path was fixed.

    In a book about you by Franco Milanesi – unsurprisingly titled In the Twentieth Century – he describes your thought. When was it born ?
    Even before Operaismo I was a communist. A Stalinist father, a large family, the wealthier suburbs of the city. These are my roots.

    In what area of Rome were you born ?
    Ostiense, which was a bit of Testaccio. I remember the market. The cassisti who worked there. They weren’t working class, but common [popolo]. I was part of that story. Then came intellectual reflection.

    What were the points of references? What opened your eyes ?
    I say it often: we are a generation without masters [maestri].

    #Mario_Tronti #marxisme #opéraïsme

    • You’re alluding to the 70s?

      They started the small twentieth century. This is where the drift started.

      It was a great misinterpretation?

      Let’s face it: it was a generational thing, anti-patriarchal and libertarian. I’ve never been a libertarian.

      Ça fait partie des grands malentendus. Un peu comme Lou Reed qui conchie les punks anglais.

    • je savais pas pour Lou Reed (que j’aime beaucoup, dont j’ignorais qu’il avait cette position et dont je ne sais rien des arguments)

      pour Tronti, c’est là because il est mort
      https://seenthis.net/messages/1012583

      Et lui, c’est tout autre chose !
      Tronti a longtemps exalté une figure ouvrière distincte du prolétariat et de ses révoltes, une figure productive centrale qui depuis ce rôle productif était mise en avant comme plus apte à en finir avec la production et non plus à se la réapproprier (≠ socialisme). Comme chez SouB, la critique du socialisme réel est passée par l’opéraïsme.
      C’était avant de devenir le « révolutionnaire conservateur », mémoriel, ce mélancolique du « grand siècle » (≠Hosbawm, non pas depuis sa durée sur laquelle il aurait pu être d’accord mais sur sa radicalité quant aux enjeux communistes), de la « grande politique ». Lui philosophait à coup de marteau, loin de la mélasse des nietzschéens actuels.

      c’était vrai là, et diablement puissant ( c’est un pdf, zapper la préface des 2 marxologues, et lâcher les a priori sur le Moulier d’hier, ou pire, d’aujourd’hui), dans Ouvriers et capital
      https://entremonde.net/IMG/pdf/entremonde-ouvriers_et_capital-tronti-livre-2-2.pdf

      ce livre, dont La ligne de conduite et L’usine et la société [ou Lutte contre le travail https://www.cip-idf.org/spip.php?article8094 ], pour ma part, oui, ça a été décisif, sans que la suite y soit subordonnée, du moins en fut-elle informée.

      et, bien plus tard, là
      http://www.lyber-eclat.net/auteurs/mario-tronti

      florilège de citations au hasard du net
      https://www.babelio.com/auteur/Mario-Tronti/442068/citations

      il est par ailleurs revenu régulièrement sur sa manière de parler (mal) de l’après cadlo autunno, en particulier à propos du mouvement des femmes. pas de l’autonomie ou des autonomes en revanche, ne rechignant pourtant pas ces dernières années à intervenir devant ce qui aujourd’hui en tient lieu à France ( fortement teinté d’appellisme).

      bref, à propos de Tronti, la question, malgré le « retour » au PCI de la fin des 60’s, elle est pas vite répondue.

    • Marx avait prévu une prolétarisation croissante. Nous avons connu une bourgeoisification croissante. Ce ne fut pas une erreur scientifique, ce fut une erreur politique. Marx cherchait une force, non pas pour contester le capitalisme, encore moins pour l’améliorer, mais pour l’abattre. Il la voyait dans la multitude prolétaire, dont l’industrialisation aurait fait grossir les rangs, la transformant, après avoir neutralisé l’armée de réserve, en une classe organisée, hégémonique/dominante. La Révolution industrielle – l’industrialisation accélérée – crée l’illusion d’optique de conditions toujours plus proches de la révolution politique. Dans les années soixante du vingtième siècle, notre opéraïsme a commis la même erreur politique. Mais ce sont des erreurs bénéfiques, parce qu’elles mobilisent l’intelligence des événements pour comprendre politiquement les processus structurels. Ensuite, l’analyse scientifique peut repartir, non pas comme froide analyse de cas, mais comme découverte des nouvelles conditions du conflit.

      Il nous a été donné de vivre le passage de l’ouvrier-masse au bourgeois-masse. J’insiste sur ce point, au risque de répéter ce que j’ai déjà dit. Nous sommes face à une composition sociale formée de petits, moyens et grands bourgeois, avec une tendance, venant du haut et du bas, vers le milieu, avec des zones de marginalisation et d’exclusion, minoritaires en Occident, majoritaires dans le reste du monde. Mais avec une forte propension, de masse, à s’inclure plutôt qu’à se disloquer contre le dehors. Voilà ce que nous dit l’approche réaliste, non idéologique. Le processus trouve encore ici devant lui le chemin tout tracé de l’absence d’opposition politique, qui dénonce l’état de choses, décrit la situation réelle, identifie l’ennemi à combattre et élabore les moyens, les formes pour le vaincre. Exactement ce que faisait Marx. En l’absence de cela, la condition domine la personne.

      Voyons alors ce qui s’est passé. Ce qui s’est passé, c’est que le bourgeois a dévoré le citoyen, le privé a dévoré le public, l’économie a dévoré la politique, la finance a dévoré l’économie, et donc l’argent a dévoré l’État, la monnaie a dévoré l’Europe, la mondialisation dévore le monde. Je propose la formule suivante, et j’invite quiconque à la démentir : les démocraties occidentales sont aujourd’hui les plus parfaites dictatures de l’argent. Tel est le point, délicat et stratégique, où la bataille des idées devient – peut devenir – une lutte politique.
      L’esprit libre, Mario Tronti

      [aux couleurs d’une imaginaire gauche du parti démocrate, ex PCI]

      edit

      Le tout dernier Tronti n’a pas toujours échappé au risque de ces conjurations consolatrices, notamment dans un ouvrage comme De l’esprit libre[3], où le recours à des figures mythologiques et à des expressions chiffrées devient parfois vertigineux. Mais il a su éviter de réduire son discours au pur ésotérisme grâce à son sens aigu des réalités politiques et sociales, qui a chez lui des racines à la fois marxistes et chrétiennes. L’esprit libre trontien ne saurait faire l’économie de toute incarnation.
      https://www.contretemps.eu/mario-tronti-operaisme-italie-marxisme-trajectoire-politique

    • La politique au crépuscule, Mario Tronti (pdf en ligne)
      http://www.lyber-eclat.net/lyber/tronti/politique_au_crepuscule.html

      On ne veut pas clarifier, « illuminer », on veut comprendre, « saisir ». Ce temps est un temps politique sans connaissance de soi : une stèle posée sur la tombe du passé, et comme futur, celui, seulement, que le présent t’accorde. Impossible pour nous.

      Si, depuis la fin du vingtième siècle, tu regardes le temps de la politique que tu as traversé, il t’apparaît comme une faillite historique. Les prétentions n’étaient pas trop élevées, mais c’étaient les instruments qui étaient inadéquats, comme étaient pauvres les idées, les sujets faibles, médiocres les protagonistes. Et à un certain moment l’histoire n’était plus là : ne restait plus qu’une chronique. Pas d’époque : des jours, et puis encore des jours. Le misérabilisme de l’adversaire a refermé le cercle. Il n’y a pas de grande politique sans grandeur de ton adversaire.

      Aujourd’hui le critère du politique fait peur. Mais l’ami/ennemi ne doit pas être supprimé, il doit être civilisé. Civilisation/culture dans le conflit. Lutte politique sans la guerre : noblesse de l’esprit humain. Il y a donc un message. Dans la bouteille de cette allusive symphonie de psaumes.

      7 octobre 1998.

    • La politique et le destin
      https://legrandcontinent.eu/fr/2022/04/11/la-politique-et-le-destin
      #politique

      Nous publions les bonnes feuilles de l’essai séminal de Mario Tronti « Politique et destin » traduit en français dans l’ouvrage consacré à ce fondateur de l’opéraïsme aux éditions Amsterdam : Le démon de la politique.

      Politique et destin deviennent ici la même chose que liberté et destin. D’où une déclinaison de la politique comme liberté à l’égard de l’histoire, politique qui est certes conditionnée, déterminée, soumise à la nécessité par l’histoire, mais qui ne se remet pas, ne se rend pas, ni à cette déterminité4 ni à ces conditionnements. La politique ne reflète rien, mais produit, elle ne décrit rien, mais crée, et elle produit et crée depuis la cage d’acier de l’histoire, de ce qui est et de ce qui a été. C’est cela, la grandeur, dirais-je, la beauté de la politique, quand elle s’élève, quand elle est contrainte de s’élever, jusqu’à la grande histoire.

      edit

      il faudra arracher Tronti non seulement à la frivolité des salons mondains et des colloques universitaires, mais aussi à la fausse profondeur des chapelles gnostiques cultivant en serre les mythes de la révolte ou de la contemplation, de l’« autonomie » ou de la « destitution », en évitant ainsi le supplément d’âme « radical » que peut toujours fournir le recours à des symboles évocateurs et à des terminologies allusives. [...]

      Un bon exemple de cet usage du dernier Tronti est l’article de Gerardo Muñoz « Un aventurier révolutionnaire dans l’interrègne. Mario Tronti (1931-2023) » de paru sur le site Le Grand Continent le 8 août 2023, qui mobilise presque toutes les catégories de la #droite « gnostique » : l’élite, la communauté, l’aventurier, le salut intérieur par le retrait contemplatif. Ce vocabulaire allusif, qui rappelle le kitsch ineffable dont Ernst Jünger est le maître absolu, a circulé en Italie dans les années 1980, lorsque des anciens proches de Tronti, tels que Massimo Cacciari, ont entrepris une légitimation de la « haute » culture de droite afin de l’incorporer à l’aggiornamento de la vision du monde du PCI.
      https://www.contretemps.eu/mario-tronti-operaisme-italie-marxisme-trajectoire-politique

    • introduction

      la ligne de conduite

      Prévenons le lecteur : avec ce livre nous n’en sommes qu’à un « prologue dans les nuages ». Il ne s’agit pas de présenter une recherche achevée. Laissons les systèmes aux grands improvisateurs et les analyses fignolées et aveugles aux pédants.
      Ne nous intéresse nous que ce qui possède en soi la force de grandir et de se développer, et par conséquent d’affirmer qu’aujourd’hui cette force est presque exclusivement l’apanage de la pensée ouvrière. Presque exclusivement, car la décadence actuelle du point de vue des capitalistes sur leur propre société ne signifie pas encore la mort de la pensée bourgeoise. Des lueurs de sagesse pratique nous arrivent, nous arriveront encore de ce long coucher de soleil auquel est condamnée la science des patrons. Plus le point de vue ouvrier progressera, et pour son propre compte, plus cette condamnation historique sera rapidement réalisée. L’une de nos tâches politiques aujourd’hui c’est donc de partir des traces ouvertes par les expériences et les découvertes de la recherche pour frayer une nouvelle direction et une nouvelle forme de chemin. Et de donner à ce chemin l’allure d’un processus. Ce n’est pas le concept de science, mais celui du développement de la science que l’adversaire capitaliste doit bientôt ne plus être capable de maîtriser. Du seul fait qu’elle déclenche son propre mécanisme de croissance, la pensée de l’un des partenaires, c’est-à-dire d’une seule classe, ne laisse plus de place au développement d’un autre point de vue scientifique, quel qu’il soit ; elle le condamne à se répéter lui-même et ne lui laisse pour seule perspective que de contempler les dogmes de sa propre tradition.

      C’est ce qui s’est produit historiquement quand, après Marx, les théories du capital ont repris le dessus : les marges offertes au développement de la pensée ouvrière se sont réduites au minimum et ont presque disparu. Il a fallu l’initiative léniniste de rupture pratique en un point, pour remettre aux mains des révolutionnaires la maîtrise théorique du monde contemporain. Cela n’a duré qu’un moment. Tout le monde sait que, par la suite, seul le capital a été à même de recueillir la portée scientifique de la révolution d’Octobre. D’où la longue léthargie dans laquelle est tombée notre pensée. Le rapport entre les deux classes est tel que le vainqueur est celui qui a l’initiative. Sur le terrain de la science comme sur celui de la pratique, la force des deux parties est inversement proportionnelle : si l’une croît et se développe, l’autre stagne et donc recule. La renaissance théorique du point de vue ouvrier, ce sont les nécessités mêmes de la lutte qui l’imposent aujourd’hui. Recommencer à marcher, cela veut dire immobiliser l’adversaire pour mieux le frapper. Désormais la classe ouvrière est arrivée à un tel degré de maturité que, sur le terrain de l’affrontement matériel, elle n’accepte pas l’aventure politique ; cela par principe et dans les faits. En revanche sur le terrain de la lutte théorique, toutes les conditions semblent opportunément réunies pour lui insuffler un esprit nouveau, aventureux et avide de décou- vertes. Face à la vieillesse de la pensée bourgeoise émoussée, le point de vue ouvrier peut, sans doute, vivre maintenant l’époque féconde de sa robuste jeunesse. Pour cela, il lui faut rompre violemment avec son propre passé immédiat, refuser le rôle traditionnel qui lui est attribué officiellement, surprendre l’ennemi de classe par l’initiative d’un développement théorique improvisé, imprévu et non contrôlé. Cela vaut la peine de contribuer personnellement à ce nouveau genre et à cette forme moderne de travail politique.

      Si l’on nous demande à juste titre : par quel biais ? avec quels moyens ? nous refuserons cependant un discours méthodologique. Essayons de ne donner à personne l’occasion d’éviter les durs contenus pratiques de la recherche ouvrière, pour se tourner vers les belles formes de la méthodologie des sciences sociales. Le rapport à établir avec ces dernières n’est pas différent de celui qu’on peut entretenir avec le monde unitaire du savoir humain accumulé jusqu’ici, et qui se résume pour nous à la somme des connaissances techniquement nécessaires pour posséder le fonctionnement objectif de la société actuelle. Nous le faisons déjà, chacun pour notre compte ; mais c’est tous ensemble que nous devons parvenir à utiliser ce qu’on appelle la culture, comme on se sert d’un clou et d’un marteau pour fixer un tableau au mur. Certes les grandes choses se font par sauts brusques. Et les découvertes qui comptent coupent toujours le fil de la continuité. Et on les reconnaît à ce trait : idées d’hommes simples, elles semblent folies pour les savants. En ce sens, la place de Marx n’a pas été pleinement évaluée, même dans le domaine où cela était le plus facile, c’est-à-dire sur le simple terrain de la pensée théorique. Aujourd’hui, on entend parler de révolution copernicienne à propos de gens qui se sont contentés de déplacer leur table de travail d’un angle à l’autre d’une même pièce. Mais de Marx, qui a bouleversé un savoir social qui durait depuis des millénaires, on s’est borné à dire : il a renversé la dialectique hégélienne. Pourtant, à son époque, ce ne sont pas les exemples qui manquaient d’un retournement analogue, purement critique, du point de vue d’une science millénaire. Est-il possible que tout doive se réduire à l’addition banale du niveau d’un cours élémentaire, entre le matérialisme de Feuerbach et l’histoire de Hegel ? Et la découverte de la géométrie non euclidienne, par Gauss, Lobatchevsky, Bolyai et Riemann, qui fait de l’unicité de l’axiome rien moins qu’une pluralité d’hypothèses ? Et celle du concept de champ dans l’électromagnétique, qui, à partir de Faraday, Maxwell et Hertz, envoie promener toute la physique mécaniste ? Tout cela ne semble-t-il pas plus proche du sens, de l’esprit et de la portée de la découverte de Marx ? Le nouveau cadre de l’espace et du temps introduit par la relativité ne naît-il pas de cette théorie révolutionnaire, de la même façon que l’Octobre léniniste fraye sa route à partir des pages du Capital ? D’ailleurs vous le savez bien. Tout intellectuel qui a lu plus d’une dizaine de livres, outre ceux qu’on lui a fait acheter à l’école, est prêt à considérer Lénine comme un chien crevé dans le domaine de la science. Pourtant quiconque veut prêter attention à la société et comprendre ses lois ne peut pas plus le faire sans Lénine, que qui- conque veut étudier la nature et comprendre ses processus, ne peut le faire sans Einstein. En cela, il n’y a rien d’étonnant. Il ne s’agit pas de l’unicité de l’esprit humain qui progresserait de la même façon dans tous les domaines, mais d’une affaire plus sérieuse. Il s’agit du pouvoir unifiant qui donne aux structures du capital la maîtrise du monde entier, et qui peut être, à son tour, maîtrisé par le seul travail ouvrier. Marx attribuait à Benjamin Franklin, cet homme du nouveau monde, la première analyse consciente de la valeur d’échange comme temps de travail, et donc la première réduction délibérée de la valeur au travail. Et c’est ce même homme qui avait conçu les phénomènes électriques comme provoqués par une seule substance très subtile qui animerait l’univers entier. Avant que son camp ne se soit transformé en classe sous la pression ouvrière, le cerveau bourgeois a plus d’une fois trouvé en lui-même la force d’unifier sous un seul concept la multiplicité des données de l’expérience. Ensuite, les besoins immédiats de la lutte se sont mis précisément à commander la production même des idées. L’époque de l’analyse, l’âge de la division sociale du travail intellectuel avaient commencé. Et personne ne sait plus rien sur la totalité. Demandons-nous si une nouvelle synthèse est possible, et si elle est nécessaire.
      La science bourgeoise porte en son sein l’idéologie, comme le rapport de production capitaliste porte en lui la lutte de classe. Du point de vue de l’intérêt du capital c’est l’idéologie qui a fondé la science : c’est pour cette raison qu’il l’a fondée comme science sociale générale. Ce qui n’était d’abord que discours sur l’homme, sur le monde humain, c’est-à-dire sur la société et l’État, avec la croissance des niveaux de lutte, est devenu de plus en plus mécanisme de fonctionnement objectif de la machine économique. La science sociale d’aujourd’hui est semblable à l’appareil productif de la société moderne : tous y sont impliqués et en font usage, mais seuls les patrons en tirent profit.

      Ouvriers et capital, recueil de textes paru en 1966.

      Reppublica, RIP, etc
      https://seenthis.net/messages/1012583

    • Superbe compilation !

      L‘association entre Lou Reed et Tronti s’est imposée à moi quand j’ai lu son commentaire désabusé sur le mouvement autonome des années 70 (dont j’ai été contemporain).

      Dans les deux cas, on affaire à de fortes personnalités qui ont chacune inspiré une forme de continuité ou de filiation dans lesquelles elles ne se reconnaissaient pas en totalité, voir pas du tout, pour des raisons différentes, bien entendu.

      Là s’arrête la comparaison, totalement anecdotique.

    • La trajectoire théorique et politique de Mario Tronti, Davide Gallo Lassere (2018)
      http://revueperiode.net/la-trajectoire-theorique-et-politique-de-mario-tronti

      Pour Mario Tronti en guerre avec le monde, Gigi Roggero (2023)
      https://tousdehors.net/Pour-Mario-Tronti-en-guerre-avec-le-monde

      Et, quelqu’un disait, les chemins politiques ne se déroulent jamais dans la régularité de la perspective Nevski. Il y a des courbes mystérieuses et des lignes droites à suivre. Nous le savons. Nous pouvons discuter de ses virages et différents cheminements, notamment dans certains passages tragiques et cruciaux. Dans une certaine mesure, nous devons en discuter, bien sûr. Ajoutons que ce n’est pas que cela n’ait pas été fait. Ce qui, pour nous, ne peut être discuté, c’est la fermeté de son point de vue, de sa volonté de marcher sur cette foutue ligne droite. Ceux qui regardent de l’extérieur, c’est-à-dire du tribunal de l’idéologie (qui est toujours un tribunal bourgeois), verront beaucoup de contradictions, des contradictions retentissantes, cinglantes. Ceux qui replacent ces contradictions dans son histoire seront en mesure de les comprendre non pas pour justifier, mais aussi pour évaluer les égarements politiques. Là-dessus, Mario ne s’est jamais caché ni dérobé. Il a revendiqué chaque pas et chaque erreur, il ne s’est repenti de rien.

      Mario Tronti, itinéraire d’un intellectuel organique, Julien Allavena (2023)
      https://laviedesidees.fr/Mario-Tronti-itineraire-d-un-intellectuel-organique

      Au début des années 1970, cette réflexion, enrichie par un travail plus classique sur l’histoire de la philosophie, aboutit à un nouveau paradigme qui ne cesse de modeler les propositions trontiennes futures : celui de l’« autonomie du politique ». Au fond, comme le relève Jamila Mascat, ce paradigme constitue une forme de retour aux sources, à ceci près que Tronti se place cette fois du côté opposé à celui qu’il occupait quand il formulait pour la première fois le principe fondateur de l’opéraïsme : le parti est assurément autonome vis-à-vis de la classe, mais cela équivaut à une chance quand la classe n’est pas parvenue à prendre le pouvoir – car peut-être alors le parti le peut-il encore.

      Ce qui a tout d’un pacte faustien dans le domaine de la théorie va de pair avec une incarnation pratique. En parallèle de ces développements théoriques, le communiste en exil a en effet été admis à retourner en sa terre natale : Tronti peut reprendre la carte du PCI en 1972. Il y évolue dès lors entre l’aile gauche historique de Pietro Ingrao et la majorité menée par Berlinguer, pouvant accéder au comité central du parti à partir de 1983 et au secrétariat de la fédération romaine en 1985. Autrement dit, trente ans après ses débuts en politique, Tronti est enfin devenu ce qu’il était (...).

      Après la chute des formations épigones du #PCI, contraintes (Tronti avec) de s’associer au centre pour gouverner (et à terme de voter le « Jobs Act » de Matteo Renzi), c’est cette « ligne de conduite » quelque peu brisée qui pousse enfin le Tronti le plus tardif dans les bras des horizons théologico-politiques, de saint Paul à Ratzinger en passant par les Pères du désert, à la recherche de derniers éclairages sur ce qu’il analysait alors comme sa propre défaite autant que celle de tout un camp, voire de la politique même.

      #autonomie_du_politique

    • Mario Tronti, un intellectuel et sa conjoncture, Andrea Cavazzini
      https://www.contretemps.eu/mario-tronti-operaisme-italie-marxisme-trajectoire-politique

      La trajectoire de Mario Tronti, que la mort vient arrêter au terme d’une longue vie le 7 juillet dernier, n’est pas facile à interpréter de manière univoque. Le goût douteux de l’époque pour les appréciations émotionnelles et hâtives rend d’autant plus nécessaire de dresser un bilan d’une œuvre et d’une activité qui ont rencontré certains des moments politiques les plus incandescents de la deuxième moitié du 20e siècle. Non pas pour noyer les prises de position dans l’océan de la « complexité ». Mais, bien au contraire, parce que, comme Mario Tronti l’aurait rappelé, la prise de position, la « décision », pour parler comme Carl Schmitt, ou la confrontation au « cas décisif » (Ernstfall, qui veut dire littéralement « le cas sérieux »), pour parler comme le théologien catholique Hans Urs von Balthasar, sont des gestes difficiles, qui demandent une rigueur et une discipline rares, refusant toute complaisance à l’égard des approximations vagues et des jugements précipités.

      De ce bilan, nous ne pourrons pas nous acquitter ici ; il s’agira uniquement de rappeler certains jalons d’un trajet singulier qui pourraient marquer autant de points critiques, sur lesquels donc des questionnements devraient être ouverts ou réouverts. Dans une intervention qui a suivi la mort de Tronti, Sergio Bologna, un autre vétéran de l’opéraïsme, dont le parcours a été assez éloigné de celui de l’auteur d’Ouvriers et capital, a rappelé que le risque principal pour un mort aujourd’hui est de recevoir des applaudissements lors de son enterrement, comme un chanteur pop ou une vedette de la télévision[1], et que Tronti a eu le chance d’être salué dans le silence.

      [...]

      il convient d’accueillir l’invitation de Sergio Bologna https://centroriformastato.it/strappiamo-tronti-dalle-grinfie-dei-salotti-buoni à ne pas oublier la « scène originaire » de l’activité de Tronti, celle des #luttes_ouvrières du début des années 1960, dans le « triangle industriel » de l’Italie du Nord, à Milan, à Turin, à Gênes. Tronti ne devient pas Tronti en étudiant les classiques de la pensée politique, ni en auscultant les signes des temps ou les Nouvelles Révélations de l’Être et ce, bien qu’il ait pu céder lui-même à la tentation d’effacer sa propre généalogie, en rattachant fréquemment l’essor et le développement de sa réflexion à la seule irruption tellurique de l’insubordination ouvrière.

      edit

      Le différend ne porte pas uniquement sur les « outils » au sens organisationnel du terme, Panzieri et son groupe refusant de définir une seule forme idéale d’expression politique des luttes et donc une seule ligne à adopter vis-à-vis des organisations politiques et syndicales historiques ; l’enjeu de la rupture touche aussi à la vision des luttes ouvrières et de la classe. Pour Panzieri, en effet, la radicalisation de la conflictualité ouvrière à Fiat « n’autorise guère à croire que la lutte de classe telle qu’elle se développe chez Fiat est généralisable de manière immédiate »[13]. Comme les rapports aux organisations ne peuvent être unifiés immédiatement par un modèle dominant, les expériences de la lutte ouvrière restent plurielles et à apprécier chacune dans son contexte, ses limites et ses possibilités concrètes de généralisation. En revanche, malgré le primat affiché de l’expérience des luttes, la démarche de classe operaia et notamment de Tronti procède de manière axiomatique, en faisant de la description d’une dynamique locale la garantie immédiate d’une nécessité théorique :

      Cette classe ouvrière est déjà un fait social, une masse sociale ; lorsque nous parlons de son caractère politique, nous visons d’emblée cette socialisation, ce fait global au niveau social de la classe, de cette absence totale de divisions au sein de la classe, par laquelle les ouvriers naissent tous avec les mêmes intérêts[14].

      Panzieri et son groupe semblent plus sensibles aux surdéterminations et aux sous-déterminations tant des formes d’organisation que de la composition sociologique et politique des ouvriers. Ils sont conscients du fait que les processus politiquement féconds, ainsi que les synthèses théoriques, ne surgissent pas comme des fulgurations événementielles, mais présupposent un travail long et patient de construction, déconstruction et reconstruction, dans lequel il s’agit de recommencer à chaque fois le travail de dépassement de la passivité ouvrière, de blocage de la reproduction de l’idéologie, de mise à l’épreuve des mots d’ordre et des analyses toujours situés et partiels, de tissage de liens et de contacts entre expériences, langages et histoires profondément hétérogènes… C’est le travail de l’intervention comme analyse interminable, plutôt que comme irruption et comme rupture immédiatement décisives.

      #Raniero_Panzieri (mort en 1964)

      edit
      « L’histoire, c’est eux. Nous, c’est la politique ». Entretien avec Mario Tronti
      https://www.contretemps.eu/mario-tronti-marxisme-operaisme

      Mario Tronti, Michel Valensi
      https://www.cairn.info/revue-lignes-2013-2-page-143.htm

      L’AUTONOMIE DU POLITIQUE CHEZ TRONTI, Toni Negri
      http://www.euronomade.info/?p=11938

      addendum le texte de Sergio Bologna dont l’url est cité plus haut par Cavazzini a été traduit en français

      Arrachons Tronti des griffes des salons mondains !
      https://www.contretemps.eu/mario-tronti-operaisme-bologna-classe-ouvriere

      ... quand on parle d’opéraïsme, donc forcément de lui, ce ne sont pas les chaires universitaires, les séminaires, les colloques, les tables rondes, les auditeurs sagement assis ou les revues qui viennent à l’esprit, mais les assemblées ouvrières, les piquets de grève, les bousculades même entre camarades, les chants de joie, les inculpations, les emprisonnements, les veillées nocturnes devant des feux improvisés, les discussions passionnées, la production d’idées. Il me vient à l’esprit que quelqu’un veut toujours nous mettre à genoux pour qu’on fasse et qu’on vive comme qu’il le dit. On pense au désir de liberté, au refus de baisser la tête.

    • MARIO TRONTI, IN MEMORIAM
      La politique au crépuscule
      https://lundi.am/Mario-Tronti-In-Memoriam

      Le 7 août dernier disparaissait Mario Tronti (Rome, 1931), dont il a quelquefois été question dans ces pages et qui fut, avec quelques autres, l’inventeur de l’opéraïsme italien, tout en restant toutefois et malgré tout pour la gauche italienne une ‘énigme’ (Negri) qu’il faudra encore bien des années pour la pouvoir résoudre. N’est-ce pas lui qui, en 2017, prononça au Sénat italien (dont il était membre) un discours sur la révolution d’octobre, qui commençait en évoquant un mot de Chou En Lai à qui l’on demandait ce qu’il pensait de la révolution française de 1789 et qui répondit : « il est encore trop tôt pour se prononcer ».

      Espérons toutefois que le temps viendra plus vite où l’on pourra se prononcer sur les apports théoriques de Tronti dans leur globalité et complexité, depuis Ouvriers et capital (1966) jusqu’à la Sagesse de la lutte (2021), que nous avions fait paraître en français l’année dernière « dans le silence le plus tendu ». Nous avons appris la mort de Tronti, alors que nous devions envoyer à l’imprimeur la réédition dans L’éclat/poche de La politique au crépuscule, paru une première fois dans la collection « Premier secours », en septembre 2000. La traduction était de Michel Valensi. Tronti avait été ravi de cette réédition « vingt ans après » et l’attendait d’autant que l’édition italienne chez Einaudi était épuisée et que l’éditeur n’avait pas l’intention de la republier. Elle paraîtra augmentée d’une Note de l’éditeur, que nous avions envoyée à Tronti et sur laquelle il n’a pas pu nous répondre, mais des amis communs nous ont confirmé son nihil obstat. Lundimatin a bien voulu la publier ici en "bonnes feuilles" d’un livre à paraître à la toute fin du mois de septembre. La couverture fleurie de Patricia Farazzi s’était imposée aussi pour donner à ce titre tous ses sens possibles.

      à mario tronti, in memoriam

      Dans un récent entretien accordé à un magazine italien, Mario Tronti (1931-2023) évoque « une extraordinaire page de Lukács dans la préface de 1962 à sa Théorie du roman, écrite en 1914-1915 : La voici : “Dans la mesure où, à cette époque, je tentais de porter à un plus haut niveau de conscience mes prises de position émotionnelles, j’en étais arrivé à la conclusion suivante : les empires du centre l’emporteront probablement sur la Russie, ce qui devrait conduire à l’écroulement du tsarisme et cela me convient parfaitement. Reste aussi la possibilité que l’Occident l’emporte sur l’Allemagne, ce qui entraînera la chute des Hohenzollern et des Habsbourg, et cela me convient tout aussi parfaitement. Mais, parvenu à ce point, demeure la question : Qui nous sauvera de la civilisation occidentale ?” ».

      Et Tronti poursuit : « À y repenser, je ne peux ajouter à cela que cette seule observation : cette question impertinente que l’on pouvait encore poser librement aux débuts de l’obscur vingtième siècle, peut-on encore la poser tout aussi librement aux débuts de ce brillant vingt et unième siècle sans se faire crucifier ? »

      edit Mario Tronti et l’opéraïsme politique des années soixante, Michele Filippini
      https://journals.openedition.org/grm/227

      .... noyau dur dans la pensée comme dans l’action du groupe né dans les Quaderni Rossi et passé ensuite dans classe operaia (...) la tentative de concevoir un radicalisme qui serait à l’opposé de tout velléitarisme...

    • La sagesse de la lutte suivi de «Peuple», Mario Tronti
      http://www.lyber-eclat.net/livres/la-sagesse-de-la-lutte

      À l’occasion de son quatre-vingt-dixième anniversaire, Mario Tronti livre ici, avec son style “scandé, ciselé, combatif, constant, agressif et lucide”, un profil auto­biographique, dans lequel il reparcourt les étapes les plus importantes de sa formation politique et théorique. À travers l’évocation de tant de camarades qui ont partagé avec lui ces années de combat, Tronti donne sa propre interprétation du vingtième siècle et des conditions de la politique et de l’histoire qui l’ont traversé. En s’appuyant sur les auteurs qui ont été ses maîtres de vie et de pensée, Tronti s’interroge sur cette sagesse de la lutte, les aventures de son surgissement, les formes de son déclin, la possibilité de sa résurgence.

      Le texte est suivi d’un essai sur la notion de ‘peuple’ et sur le populisme actuel qui hante la politique européenne, depuis — c’est son analyse — “qu’il n’y a plus de peuple”.

      #politique #théorie #lutte #populisme #peuple #livre

  • 4 - 11 février 1945, la conférence de Yalta : peur de la révolution et partage du monde

    https://journal.lutte-ouvriere.org/2015/02/18/fevrier-1945-la-conference-de-yalta-peur-de-la-revolution-et

    Du 4 au 11 février 1945, le président américain Roosevelt, le Premier ministre britannique Winston Churchill et le dirigeant de l’URSS Staline se réunissaient à Yalta, en Crimée, alors que la fin de la guerre était proche, pour décider du sort de l’Europe. Ce ne fut qu’une des conférences qui jalonnèrent la guerre, après celle de Téhéran en novembre 1943, et avant celle de Potsdam en juillet 1945, sans compter les multiples rencontres bilatérales, ou tripartites, entre chefs d’État ou ministres. Mais Yalta allait rester le symbole d’un accord de partage du monde.

    L’entente entre ces #Alliés contre l’#Allemagne était une collaboration non seulement pour gagner la guerre, mais aussi pour s’opposer à tout mouvement révolutionnaire. Ils n’avaient pas oublié que de la Première Guerre mondiale était sortie une révolution qui, partie de la Russie en 1917, avait ébranlé le monde.

    Alliés… contre le danger d’explosion révolutionnaire

    Les représentants de l’#impérialisme, en la personne de #Roosevelt et de #Churchill, se méfiaient de #Staline. Il était certes un dictateur, ce qui ne pouvait que les rassurer, à la tête d’un État gangrené par la #bureaucratie dont il était le représentant. Mais cet État était issu d’une révolution ouvrière, celle d’octobre 1917. Et si les travailleurs russes n’avaient plus le pouvoir politique en #URSS, l’économie, elle, restait collectivisée. De ce fait, les représentants américains et anglais de l’impérialisme n’auraient pas vu d’un mauvais œil que l’URSS soit vaincue par Hitler. Mais il n’en fut pas ainsi.

    Roosevelt et Churchill durent donc collaborer avec un allié dont la fidélité ne leur paraissait pas assurée. En réalité, Staline était tout autant qu’eux décidé à éviter l’explosion d’une révolution en Europe. Celle-ci aurait pu secouer la #classe_ouvrière soviétique, lui donner l’envie et la force de renverser le #régime_bureaucratique de Staline. Mais celui-ci n’en dut pas moins prouver aux Alliés impérialistes sa volonté de maintenir l’ordre établi.

    La crainte d’une révolution engendrée par la guerre, la misère et l’instabilité, conséquence de la destruction des appareils d’État, n’était pas seulement fondée sur le souvenir des révolutions passées, mais sur les événements révolutionnaires qui agitaient alors l’Italie et la Grèce.

    Italie, Grèce, Allemagne, la peur de révoltes ouvrières

    En Italie, dès le début du mois de mars 1943, en plein conflit mondial, et alors que #Mussolini était au pouvoir depuis vingt et un ans, une #grève contre la vie chère, partie de l’usine #Fiat de #Turin, s’étendit aux autres villes industrielles, du nord jusqu’au sud du pays. Au total, 300 000 ouvriers firent grève contre les bas salaires, mais aussi et surtout parce qu’ils en avaient assez de la guerre et de la dictature. Cette vague de grèves allait contribuer à l’écroulement du régime de Mussolini, et réveiller l’espoir des opprimés.

    Cette agitation, dans laquelle la classe ouvrière joua un rôle prépondérant, continua après le débarquement des troupes anglo-américaines en juillet 1943, après l’arrestation de Mussolini et la mise en place d’un nouveau régime qui ressemblait beaucoup à l’ancien.

    Un an plus tard, en mars 1944, toute l’Italie du Nord connut de nouveau une vague de grèves qui toucha 1 200 000 travailleurs. Mais le dirigeant du #Parti_communiste_italien (#PCI), #Togliatti, de retour d’URSS, assura les Alliés anglo-américains qu’ils n’avaient rien à craindre. Il déclara que le PCI, loin d’envisager une révolution, apportait son appui à « un gouvernement fort, capable d’organiser l’effort de guerre », et dans lequel il y avait, selon lui, « place pour tous ceux qui veulent se battre pour la liberté de l’Italie ».

    Cela incluait entre autres le roi, compromis jusqu’à la moelle avec le fascisme. Le 22 avril 1944, se constitua un gouvernement d’union nationale reconnaissant l’autorité du roi, avec Togliatti comme vice-président !

    Cette politique d’alliance dans des Fronts de résistance, allant des PC à des partis d’extrême droite et à des forces politiques qui s’étaient déjà compromises au pouvoir, fut appliquée partout.

    En #Grèce, comme en Italie, la population se révoltait contre la guerre et la misère. Mais le Parti communiste, qui avait organisé la résistance à l’occupation allemande, accepta de négocier avec les représentants de la dictature honnie de Metaxas et le roi, qui tous avaient fui en exil à Londres, et fit passer ses milices sous le commandement militaire anglais. Le 12 octobre 1944, les troupes allemandes évacuaient Athènes, et trois jours plus tard, les troupes britanniques y faisaient leur entrée. Début décembre, à l’occasion d’une manifestation à Athènes, Churchill donna pour consignes au commandement britannique de ne pas hésiter « à agir comme si vous vous trouviez dans une ville conquise où se développe une rébellion locale ». Le commandement britannique imposa la loi martiale et continua jusqu’au 5 janvier 1945 à réprimer la population qui se révoltait contre le retour de ces politiciens haïs.

    Au travers des événements en Italie et en Grèce, les Alliés purent vérifier la loyauté de Staline et son soutien total à la mise au pas de la population. Mais le danger révolutionnaire n’était pas écarté pour autant. Plus encore que la Grèce et l’#Italie, c’était la possibilité que les classes ouvrières allemande et japonaise réagissent qui inquiétait les dirigeants américains et anglais, et aussi Staline. Leur politique, initiée par les gouvernements américain et anglais dès 1941, fut de terroriser la population ouvrière, de la disperser, par des #bombardements massifs et systématiques des grandes villes, comme ceux qui, à #Dresde, rasèrent littéralement la ville, du 13 au 15 février 1945.

    La même terreur fut appliquée contre la population au #Japon. En 1945, cent villes furent bombardées et 8 à 10 millions de leurs habitants durent les fuir, avant même les bombes atomiques que les États-Unis allaient larguer sur #Hiroshima et #Nagasaki en août 1945.

    Le partage de l’Europe

    La #conférence_de_Yalta se tint trois mois avant la fin de la guerre, mais les futurs vainqueurs discutaient depuis déjà longtemps des zones d’influence qui leur reviendraient. Ces marchandages, se basant sur les rapports de force militaires existant sur le terrain, n’étaient alors pas favorables aux Occidentaux. L’#armée_soviétique, qui avançait à grands pas en Europe de l’Est, n’était déjà qu’à une centaine de kilomètres de Berlin.

    C’est dans ce contexte que se discuta le sort qui serait fait à l’Allemagne, une fois celle-ci définitivement vaincue. Roosevelt, Churchill et Staline tombèrent vite d’accord pour imposer le démantèlement du pays. L’Allemagne fut divisée en trois zones d’occupation, anglaise au nord-ouest du pays, américaine au sud-ouest, soviétique à l’est, auxquelles s’ajouta une zone d’occupation française prélevée sur les zones occidentales. La capitale, Berlin, fut elle aussi divisée en quatre zones. C’est en fait toute l’Europe qui allait être divisée en une zone contrôlée par l’URSS à l’est, et une autre à l’ouest contrôlée principalement par les États-Unis.

    Une fois le danger de révolution écarté avec certitude, l’entente entre les représentants de l’impérialisme et de la bureaucratie allait vite voler en éclats pour faire place à la #guerre_froide – froide seulement parce qu’elle ne dégénéra pas en guerre mondiale – opposant l’impérialisme américain à l’URSS.

    L’alliance militaire entre les États impérialistes et l’URSS stalinienne pour vaincre les #puissances_de_l’Axe se doubla ainsi d’un accord politique pour empêcher, à la fin de la guerre, toute révolution ouvrière qui aurait pu renverser le système capitaliste. La fin de la boucherie impérialiste ne fut pas celle du système économique qui l’avait engendrée. Soixante-dix ans après, l’humanité entière paye très cher cette survie d’un ordre social qui ne cesse d’engendrer crises, guerres et massacres.

    #éphéméride

  • Peer Community in … – A free recommendation process of scientific preprints (and published articles) based on peer-reviews (photo credit : Martin Grandjean : A force-based network visualization)
    https://peercommunityin.org

    Présentation complète du projet PCI (création de « communautés de pairs » pour le « reviewing » des articles scientifiques publiés en accès ouvert)

    The “Peer Community in” (PCI) is a non-profit scientific organization that aims to create specific communities of researchers reviewing and recommending, for free, unpublished preprints in their field (i.e. unpublished articles deposited on open online archives like arXiv.org and bioRxiv.org). To a lesser extent, they may also recommend articles already published in journals.

    En relation avec https://seenthis.net/messages/771342

    #PCI #Peer_Community_in #open_publication #review #open_science #bien_public

  • Affaire Sabam : pourquoi faut-il bloquer le filtrage d’Internet - Actu PC INpact
    http://www.pcinpact.com/news/66849-sabam-scarlet-cedric-manara-cjue-conclusions.htm

    Le juriste Cédric Manara a publié sur le site Juriscom une note complète (en français ou en anglais) sur les deux affaires SABAM actuellement examinées par la Cour de Justice de l’Union européenne. D’entrée, il décrit ainsi l’exacte portée de ces deux décisions : « l’orientation qui sera donnée par la CJUE sera cruciale pour le modelage de l’internet des années à venir, et la circulation de l’information sur les réseaux. Si la même question était posée à propos de circulation dans l’espace physique, cela reviendrait à choisir entre apposer des feux tricolores et sanctionner leur éventuel franchissement au rouge, ou saturer l’espace de barrières, de sas, de points de contrôle et de fouille ».

    #filtrage #net #neutralité #manara #pcinpact