• “Sotto l’acqua”. Le storie dimenticate dei borghi alpini sommersi in nome del “progresso”

    I grandi invasi per la produzione di energia idroelettrica hanno segnato nei primi decenni del Novecento l’inizio della colonizzazione dei territori montani. #Fabio_Balocco, giornalista e scrittore di tematiche ambientali, ne ha raccolto le vicende in un libro. Un lavoro prezioso anche per comprendere l’attuale dibattito su nuove dighe e bacini a favore di agricoltura intensiva e innevamento artificiale

    Un campanile solitario emerge dalle acque del Lago di Rèsia, in Val Venosta, un invaso realizzato per produrre energia idroelettrica. Quella che per i turisti di oggi è una curiosa attrazione, è in realtà ciò che rimane di una borgata alpina sommersa in nome del “progresso”. Quella del campanile che sorge dalle acque è un’immagine iconica che in tanti conoscono. Ma non si tratta di un caso isolato: molti altri abitati alpini furono sommersi nello scorso secolo, sacrificati sullo stesso altare. Soprattutto nel Piemonte occidentale, dove subirono la sorte le borgate di Osiglia, Pontechianale, Ceresole Reale, Valgrisenche, e un intero Comune come Agàro, nell’Ossola. A raccontare queste storie pressoché dimenticate è il giornalista e scrittore Fabio Balocco nel suo recente saggio “Sotto l’acqua. Storie di invasi e di borghi sommersi” pubblicato da LAReditore.

    Balocco, perché ha scelto di raccontare queste storie?
    FB Tutto è iniziato con un’inchiesta per la rivista Alp (mensile specializzato in montagna e alpinismo, chiuso nel 2013, ndr) che feci a metà anni Novanta, incentrata proprio su queste storie dei borghi sommersi per produrre energia. Un fenomeno che caratterizzò soprattutto gli anni Venti e Trenta del Novecento per alimentare le industrie della pianura. Sono sempre stato attratto dalle storie “minime”, quelle dei perdenti, in questo caso le popolazioni alpine sacrificate appunto sull’altare dello sviluppo. È quella che io chiamo “la storia con la esse minuscola”. La nascita del libro è dovuta sia al fatto che siamo sulla soglia del secolo da quando iniziarono i primi lavori e sia dal ritorno nel dibattito politico del tema di nuovi invasi. Infine, penso sia necessario parlarne per ricordare che nessuna attività umana è esente da costi ambientali e talvolta anche sociali, come in questi casi che ho trattato.

    Nel libro afferma che l’idroelettrico ha portato ai primi conflitti nelle terre alte, tradendo la popolazione alpina. In che modo è successo?
    FB I grandi invasi per produzione di energia idroelettrica hanno segnato l’inizio della colonizzazione dei territori montani, che fino ad allora non erano stati intaccati dal punto di vista ambientale e sociale da parte del capitale della pianura. Queste opere costituirono l’inizio della colonizzazione di quelle che oggi vengono anche definite “terre alte”, colonizzazione che è proseguita soprattutto con gli impianti sciistici e le seconde case. Vale poi la pensa di sottolineare che almeno due invasi, quello di Ceresole Reale e quello di Beauregard, in Valgrisenche, comportarono la sommersione di due dei più suggestivi paesaggi delle Alpi occidentali.

    Che ruolo hanno avuto le dighe nello spopolamento delle terre alpine?
    FB È bene ricordare che nell’arco alpino occidentale lo spopolamento era già in atto agli inizi del Novecento in quanto spesso per gli abitanti delle vallate alpine era più facile trovare lavoro oltreconfine. Un caso esemplare è quello della migrazione verso la Francia che caratterizzò la Val Varaita, dove fu realizzato l’invaso di Pontechianale. Le dighe non contribuirono in modo diretto allo spopolamento ma causarono l’allontanamento di centinaia di persone dalle loro case che venivano sommerse dalle acque, e molti di questi espropriati non ricevettero neppure un compenso adeguato a comprare un nuovo alloggio, oppure persero tutto il denaro a causa dell’inflazione, come accadde a Osiglia, a seguito dello scoppio Seconda guerra mondiale. Queste popolazioni subirono passivamente le imposizioni, senza mettere in atto delle vere e proprie lotte anche se sapevano che avrebbero subito perdite enormi. Ci furono solo alcuni casi isolati di abitanti che furono portati via a forza. Questo a differenza di quanto avvenuto in Francia, a Tignes, negli anni Quaranta, dove dovette intervenire l’esercito per sgomberare la popolazione. Da noi il sentimento comune fu di rassegnazione.

    Un’altra caratteristica di queste storie è lo scarso preavviso.
    FB Tutto l’iter di approvazione di queste opere avvenne sotto traccia e gli abitanti lo vennero a sapere in modo indiretto, quasi di straforo. Semplicemente si accorgevano della presenza di “stranieri”, spesso tecnici venuti a effettuare lavori di prospezione, e solo con un passaparola successivo venivano a conoscenza dell’imminente costruzione della diga. Anche il tempo a loro lasciato per abbandonare le abitazioni fu di solito molto breve. Le imprese della pianura stavano realizzando degli interessi superiori e non erano interessate a informare adeguatamente le popolazioni coinvolte. Le opere furono realizzate da grandi imprese specializzate che si portavano dietro il loro personale. Si trattava di lavori spesso molto specialistici e solo per le mansioni di bassa manovalanza venne impegnata la popolazione locale. D’altra parte, questo incontro tra il personale delle imprese e i locali portò a conseguenze di carattere sociale in quanto i lavori durarono diversi anni e questa intrusione portò anche alla nascita di nuovi nuclei familiari.

    Differente è il caso di Badalucco, dove negli anni Sessanta gli abitanti riuscirono a opporsi alla costruzione della diga. In che modo?
    FB Badalucco è sempre un Comune alpino, sito in Valle Argentina, in provincia di Imperia e anche lì si voleva realizzare un grande invaso all’inizio degli anni Sessanta. Ma qui le cose andarono in maniera diversa, sicuramente anche perché nel 1959 c’era stata una grave tragedia in Francia quando la diga del Malpasset crollò provocando la morte di quasi 500 persone. A Badalucco ci fu quindi una vera e propria sollevazione popolare guidata dallo stesso sindaco del Comune, sollevazione che, anche attraverso scontri violenti, portò alla rinuncia da parte dell’impresa. L’Enel ha tentato di recuperare il progetto (seppure in forma ridotta) nei decenni successivi trovando però sempre a una forte opposizione locale, che dura tuttora.

    Il governo promette di realizzare nuove dighe e invasi. È una decisione sensata? Che effetti può avere sui territori montani?
    FB A parte i mini bacini per la produzione di neve artificiale nelle stazioni sciistiche, oggi vi sono due grandi filoni distinti: uno è il “vecchio” progetto “Mille dighe” voluto da Eni, Enel e Coldiretti con il supporto di Cassa depositi e prestiti, che consiste nella realizzazione di un gran numero di piccoli invasi a sostegno soprattutto dell’agricoltura, ma anche per la fornitura di acqua potabile. Poi vi sono invece i progetti di nuovi grandi sbarramenti, come quello previsto lungo il torrente Vanoi, tra Veneto e Trentino, o quelli di Combanera, in Val di Lanzo, e di Ingria, in Val Soana, in Piemonte. Come dicevo, oggi l’esigenza primaria non è tanto la produzione di elettricità quanto soprattutto l’irrigazione e, in minor misura, l’idropotabile. Si vogliono realizzare queste opere senza però affrontare i problemi delle perdite degli acquedotti (che spesso sono dei colabrodo) né il nostro modello di agricoltura. Ad esempio, la maggior parte dell’acqua utilizzata per i campi finisce in coltivazioni, come il mais, per produrre mangimi destinati agli allevamenti intensivi. Questo senza considerare gli impatti ambientali e territoriali che le nuove opere causerebbero. In buona sostanza, bisognerebbe ripensare il nostro modello di sviluppo prima di tornare a colonizzare nuovamente le terre alte.

    https://altreconomia.it/sotto-lacqua-le-storie-dimenticate-dei-borghi-alpini-sommersi-in-nome-d

    #montagne #Alpes #disparitions #progrès #villages #barrages #barrages_hydro-électriques #énergie_hydro-électrique #énergie #colonisation #industrialisation #histoire #histoires #disparition #terre_alte #Badalucco #Osiglia #Pontechianale #Ceresole_Reale #Valgrisenche #Agàro #Beauregard #Ceresole_Reale #Mille_dighe #Vanoi #Combanera #Ingria

    • Sotto l’acqua. Storie di invasi e di borghi sommersi

      Circa un secolo fa iniziò, nel nostro paese, il fenomeno dell’industrializzazione. Ma questo aveva bisogno della forza trainante dell’energia elettrica. Si pensò allora al potenziale rappresentato dagli innumerevoli corsi d’acqua che innervavano le valli alpine. Ed ecco la realizzazione di grandi bacini di accumulo per produrre quella che oggi chiamiamo energia pulita o rinnovabile. Ma qualsiasi azione dell’uomo sull’ambiente non è a costo zero e, nel caso dei grandi invasi idroelettrici, il costo fu anche e soprattutto rappresentato dal sacrificio di intere borgate o comuni che venivano sommersi dalle acque. Quest’opera racconta, tramite testimonianze, ricordi e fotografie, com’erano quei luoghi, seppur limitandosi all’arco alpino occidentale. Prima che se ne perda per sempre la memoria.

      https://www.ibs.it/sotto-acqua-storie-di-invasi-libro-fabio-balocco/e/9791255450597

      #livre

  • En Sardaigne, le voile se lève sur la mystérieuse civilisation des nuraghes


    Vue aérienne d’un village nuragique, sur le site archéologique Su Nuraxi, à Barumini, en Sardaigne, en Italie. BRIDGEMAN IMAGES

    Durant mille ans, de 1800 à 800 av. J.-C., la culture nuragique a dominé l’île italienne. Ce peuple méconnu, car sans écriture, a laissé peu de traces de son existence, sauf 8 000 grandes tours rondes en pierre, disséminées sur le territoire. A la découverte de cette civilisation des #villages, loin des autres cultures méditerranéennes.

    Au début, on n’y prend pas garde. Et puis, petit à petit, à parcourir en voiture les routes de #Sardaigne sous un soleil qui joue les prolongations d’octobre, le regard s’aiguise, l’œil s’exerce, et l’on finit par les voir partout. Postés au loin comme des sentinelles de pierre, certains encore fièrement dressés, d’autres écroulés mais toujours là, défiant les millénaires. Eux, ce sont les nuraghes. Qu’on ne s’y trompe pas : malgré leur air de tours de château fort, ces édifices monumentaux – dont la silhouette orne des étiquettes de pecorino sarde ou de bouteilles de vin – ne renvoient pas au Moyen Age. Non, ces constructions sont les symboles d’une civilisation mystérieuse bien plus ancienne qui, mille ans durant, de 1800 à 800 av. J.-C., à cheval sur l’âge du bronze et celui du fer, domina la Sardaigne.

    Archéologue en France à l’Institut national de recherches archéologiques préventives, Isabelle Catteddu, de père sarde, a fait ses premières armes ici et y revient tous les étés. Elle, dont le grand-père abritait ses moutons dans l’un des huit mille nuraghes qui subsistent, avait alors pour but de « comprendre comment le territoire avait évolué jusqu’à la période romaine où on a réutilisé les sites nuragiques ».

    .... Quand on monte à l’étage, la vue est dégagée à 180 degrés et l’on peut apercevoir, dans le lointain, la #Méditerranée. Et aussi un autre nuraghe, qui lui-même a vue sur un troisième… Un réseau se dessine et, par endroits, les tours se font écho tous les 500 à 1 000 mètres. « Un peu plus loin, précise Isabelle Catteddu, on a une concentration incroyable, avec deux ou trois nuraghes au kilomètre carré. » Dans cet univers à la fois rural et polycentrique, on est loin des cultures orientales de la même époque, avec villes et pouvoir centralisé.

    .... L’habitat se retrouve à l’extérieur, dans des villages encore lisibles dans le paysage, car leurs « cabanes », comme les archéologues les appellent, rondes, avaient une base en pierre. Au-dessus devait être disposé un toit conique fait de roseaux.
    La vie est donc hors les nuraghes – la mort aussi. Petit détour par le site d’Imbertighe, en pleine campagne, où se trouve une « tombe de géant ». Pourquoi ce nom ? Parce qu’il s’agit d’une immense tombe collective. Au premier plan, un espace cultuel délimité par un muret en forme de deux cornes de taureau au milieu desquelles s’élève une grande porte en pierre d’un seul bloc, qui sépare les vivants des morts. Derrière, ceux-ci reposent dans un long couloir autrefois couvert de dalles. « La technique de dépôt consistait à soulever une dalle et à glisser le défunt dans la tombe, précise Isabelle Catteddu. Ces tombes sont là depuis le début de l’âge nuragique. Elles contiennent parfois plus de cent squelettes. Une population sans distinction de sexe, d’âge ou de classe sociale. » Les tombes individuelles n’apparaîtront qu’à la fin de la civilisation.

    https://www.lemonde.fr/sciences/article/2023/11/06/en-sardaigne-le-voile-se-leve-sur-la-mysterieuse-civilisation-des-nuraghes_6

    https://archive.ph/ZPjZX

    #Nuragiques #nuraghes #archéologie

  • La #géographie, c’est de droite ?

    En pleine torpeur estivale, les géographes #Aurélien_Delpirou et #Martin_Vanier publient une tribune dans Le Monde pour rappeler à l’ordre #Thomas_Piketty. Sur son blog, celui-ci aurait commis de coupables approximations dans un billet sur les inégalités territoriales. Hypothèse : la querelle de chiffres soulève surtout la question du rôle des sciences sociales. (Manouk Borzakian)

    Il y a des noms qu’il ne faut pas prononcer à la légère, comme Beetlejuice. Plus dangereux encore, l’usage des mots espace, spatialité et territoire : les dégainer dans le cyberespace public nécessite de soigneusement peser le pour et le contre. Au risque de voir surgir, tel un esprit maléfique réveillé par mégarde dans une vieille maison hantée, pour les plus chanceux un tweet ironique ou, pour les âmes maudites, une tribune dans Libération ou Le Monde signée Michel Lussault et/ou Jacques Lévy, gardiens du temple de la vraie géographie qui pense et se pense.

    Inconscient de ces dangers, Thomas Piketty s’est fendu, le 11 juillet, d’un billet de blog sur les #inégalités_territoriales (https://www.lemonde.fr/blog/piketty/2023/07/11/la-france-et-ses-fractures-territoriales). L’économiste médiatique y défend deux idées. Premièrement, les inégalités territoriales se sont creusées en #France depuis une génération, phénomène paradoxalement (?) renforcé par les mécanismes de #redistribution. Deuxièmement, les #banlieues qui s’embrasent depuis la mort de Nahel Merzouk ont beaucoup en commun avec les #petites_villes et #villages souffrant de #relégation_sociospatiale – même si les défis à relever varient selon les contextes. De ces deux prémisses découle une conclusion importante : il incombe à la #gauche de rassembler politiquement ces deux ensembles, dont les raisons objectives de s’allier l’emportent sur les différences.

    À l’appui de son raisonnement, le fondateur de l’École d’économie de Paris apporte quelques données macroéconomiques : le PIB par habitant à l’échelle départementale, les prix de l’immobilier à l’échelle des communes et, au niveau communal encore, le revenu moyen. C’est un peu court, mais c’est un billet de blog de quelques centaines de mots, pas une thèse de doctorat.

    Sus aux #amalgames

    Quelques jours après la publication de ce billet, Le Monde publie une tribune assassine signée Aurélien Delpirou et Martin Vanier, respectivement Maître de conférences et Professeur à l’École d’urbanisme de Paris – et membre, pour le second, d’ACADIE, cabinet de conseil qui se propose d’« écrire les territoires » et de « dessiner la chose publique ». Point important, les deux géographes n’attaquent pas leur collègue économiste, au nom de leur expertise disciplinaire, sur sa supposée ignorance des questions territoriales. Ils lui reprochent le manque de rigueur de sa démonstration.

    Principale faiblesse dénoncée, les #données, trop superficielles, ne permettraient pas de conclusions claires ni assurées. Voire, elles mèneraient à des contresens. 1) Thomas Piketty s’arrête sur les valeurs extrêmes – les plus riches et les plus pauvres – et ignore les cas intermédiaires. 2) Il mélange inégalités productives (le #PIB) et sociales (le #revenu). 3) Il ne propose pas de comparaison internationale, occultant que la France est « l’un des pays de l’OCDE où les contrastes régionaux sont le moins prononcés » (si c’est pire ailleurs, c’est que ce n’est pas si mal chez nous).

    Plus grave, les géographes accusent l’économiste de pratiquer des amalgames hâtifs, sa « vue d’avion » effaçant les subtilités et la diversité des #inégalités_sociospatiales. Il s’agit, c’est le principal angle d’attaque, de disqualifier le propos de #Piketty au nom de la #complexité du réel. Et d’affirmer : les choses sont moins simples qu’il n’y paraît, les exceptions abondent et toute tentative de catégoriser le réel flirte avec la #simplification abusive.

    La droite applaudit bruyamment, par le biais de ses brigades de twittos partageant l’article à tour de bras et annonçant l’exécution scientifique de l’économiste star. Mais alors, la géographie serait-elle de droite ? Étudier l’espace serait-il gage de tendances réactionnaires, comme l’ont laissé entendre plusieurs générations d’historiens et, moins directement mais sans pitié, un sociologue célèbre et lui aussi très médiatisé ?

    Pensée bourgeoise et pensée critique

    D’abord, on comprend les deux géographes redresseurs de torts. Il y a mille et une raisons, à commencer par le mode de fonctionnement de la télévision (format, durée des débats, modalité de sélection des personnalités invitées sur les plateaux, etc.), de clouer au pilori les scientifiques surmédiatisés, qui donnent à qui veut l’entendre leur avis sur tout et n’importe quoi, sans se soucier de sortir de leur champ de compétence. On pourrait même imaginer une mesure de salubrité publique : à partir d’un certain nombre de passages à la télévision, disons trois par an, tout économiste, philosophe, politologue ou autre spécialiste des sciences cognitives devrait se soumettre à une cérémonie publique de passage au goudron et aux plumes pour expier son attitude narcissique et, partant, en contradiction flagrante avec les règles de base de la production scientifique.

    Mais cette charge contre le texte de Thomas Piketty – au-delà d’un débat chiffré impossible à trancher ici – donne surtout le sentiment de relever d’une certaine vision de la #recherche. Aurélien Delpirou et Martin Vanier invoquent la rigueur intellectuelle – indispensable, aucun doute, même si la tentation est grande de les accuser de couper les cheveux en quatre – pour reléguer les #sciences_sociales à leur supposée #neutralité. Géographes, économistes ou sociologues seraient là pour fournir des données, éventuellement quelques théories, le cas échéant pour prodiguer des conseils techniques à la puissance publique. Mais, au nom de leur nécessaire neutralité, pas pour intervenir dans le débat politique – au sens où la politique ne se résume pas à des choix stratégiques, d’aménagement par exemple.

    Cette posture ne va pas de soi. En 1937, #Max_Horkheimer propose, dans un article clé, une distinction entre « #théorie_traditionnelle » et « #théorie_critique ». Le fondateur, avec #Theodor_Adorno, de l’#École_de_Francfort, y récuse l’idée cartésienne d’une science sociale détachée de son contexte et fermée sur elle-même. Contre cette « fausse conscience » du « savant bourgeois de l’ère libérale », le philosophe allemand défend une science sociale « critique », c’est-à-dire un outil au service de la transformation sociale et de l’émancipation humaine. L’une et l’autre passent par la #critique de l’ordre établi, dont il faut sans cesse rappeler la contingence : d’autres formes de société, guidées par la #raison, sont souhaitables et possibles.

    Quarante ans plus tard, #David_Harvey adopte une posture similaire. Lors d’une conférence donnée en 1978 – Nicolas Vieillecazes l’évoque dans sa préface à Géographie de la domination –, le géographe britannique se démarque de la géographie « bourgeoise ». Il reproche à cette dernière de ne pas relier les parties (les cas particuliers étudiés) au tout (le fonctionnement de la société capitaliste) ; et de nier que la position sociohistorique d’un chercheur ou d’une chercheuse informe inévitablement sa pensée, nécessitant un effort constant d’auto-questionnement. Ouf, ce n’est donc pas la géographie qui est de droite, pas plus que la chimie ou la pétanque.

    Neutralité vs #objectivité

    Il y a un pas, qu’on ne franchira pas, avant de voir en Thomas Piketty un héritier de l’École de Francfort. Mais son texte a le mérite d’assumer l’entrelacement du scientifique – tenter de mesurer les inégalités et objectiver leur potentielle creusement – et du politique – relever collectivement le défi de ces injustices, en particulier sur le plan de la #stratégie_politique.

    S’il est évident que la discussion sur les bonnes et les mauvaises manières de mesurer les #inégalités, territoriales ou autres, doit avoir lieu en confrontant des données aussi fines et rigoureuses que possible, ce n’est pas manquer d’objectivité que de revendiquer un agenda politique. On peut même, avec Boaventura de Sousa Santos, opposer neutralité et objectivité. Le sociologue portugais, pour des raisons proches de celles d’Horkheimer, voit dans la neutralité en sciences sociales une #illusion – une illusion dangereuse, car être conscient de ses biais éventuels reste le seul moyen de les limiter. Mais cela n’empêche en rien l’objectivité, c’est-à-dire l’application scrupuleuse de #méthodes_scientifiques à un objet de recherche – dans le recueil des données, leur traitement et leur interprétation.

    En reprochant à Thomas Piketty sa #superficialité, en parlant d’un débat pris « en otage », en dénonçant une prétendue « bien-pensance de l’indignation », Aurélien Delpirou et Martin Vanier désignent l’arbre de la #rigueur_intellectuelle pour ne pas voir la forêt des problèmes – socioéconomiques, mais aussi urbanistiques – menant à l’embrasement de banlieues cumulant relégation et stigmatisation depuis un demi-siècle. Ils figent la pensée, en font une matière inerte dans laquelle pourront piocher quelques technocrates pour justifier leurs décisions, tout au plus.

    Qu’ils le veuillent ou non – et c’est certainement à leur corps défendant – c’est bien la frange réactionnaire de la twittosphère, en lutte contre le « socialisme », le « wokisme » et la « culture de l’excuse », qui se repait de leur mise au point.

    https://blogs.mediapart.fr/geographies-en-mouvement/blog/010823/la-geographie-cest-de-droite

  • Assises « Vers des Villes sans Voitures »
    http://carfree.fr/index.php/2023/05/26/assises-vers-des-villes-sans-voitures

    En octobre 1997, environ 65 militants provenant de 21 pays différents se sont retrouvés durant une semaine à #lyon en France pour organiser les « Assises Vers des Villes sans Voitures. » Lire la suite...

    #Alternatives_à_la_voiture #Fin_de_l'automobile #Îles_sans_voitures #Marche_à_pied #Quartiers_sans_voitures #Ressources #Transports_publics #Vélo #Vie_sans_voiture #Villages_sans_voitures #Ville_sans_voitures #actions #activisme #conférence #Europe #histoire #ville

  • La Dordogne sans #pétrole
    http://carfree.fr/index.php/2022/08/05/la-dordogne-sans-petrole

    Le département de la Dordogne et TER Nouvelle-Aquitaine publient un topo-guide pour visiter la Dordogne #sans_voiture. « La Dordogne sans pétrole » propose 21 circuits à faire à pied ou à Lire la suite...

    #Fin_du_pétrole #Guides #Ressources #Vie_sans_voiture #Villages_sans_voitures #alternatives #guide #Vivre_sans_voiture

  • « #Lausanne doit reconnaître son passé colonialiste »

    En lutte contre une inscription problématique sur un immeuble du #Flon, au centre-ville de Lausanne, #Samson_Yemane va plus loin : le conseiller communal socialiste demande à la Municipalité de réaliser un #état_des_lieux du #passé_colonialiste de la cité olympique.

    Les questions relatives à la migration ne sont pas qu’un dossier politique pour Samson Yemane : c’est l’histoire de la vie du conseiller communal lausannois. Le socialiste n’avait que « 12 ou 13 ans » lorsqu’il a fui l’Érythrée en direction de la Libye puis de l’Europe. Sur un bateau.

    Aujourd’hui bientôt trentenaire et naturalisé, le Vaudois travaille à l’Organisation suisse d’aide aux réfugiés et s’est beaucoup engagé dans la votation sur Frontex, l’agence européenne de protection des frontières dont il a fait le sujet de son mémoire de master.

    Malheureux de l’issue de la votation sur le plan fédéral, Samson Yemane essaie d’agir à son échelle : celle de sa commune de Lausanne. Il vient de déposer un postulat pour rendre la capitale vaudoise « inclusive et non-discriminante ». Interview.

    Vous écrivez que Lausanne a directement participé, voire contribué à l’#esclavage et au #colonialisme. À quoi faites-vous référence ?
    C’est là tout l’enjeu : la population n’a pas du tout conscience qu’au début du XXe siècle encore et même jusqu’à la Seconde Guerre mondiale, il y avait des « #zoos_humains » au coeur de Lausanne. La Suisse a accueilli des dizaines de « #villages_nègres » et autres exhibitions exotiques, pour le plus grand plaisir des habitants. Il y a donc un immense devoir de mémoire et de #visibilisation.

    Votre #postulat a pour point de départ le travail d’une étudiante sur une devanture au Flon. Or, la régie voulait justement faire retrouver au bâtiment son visage d’origine. N’est-ce pas précisément un travail de mémoire ?
    Où est l’importance historique de cette inscription ? Elle avait été effacée et, là, on la fait renaître sans contexte, sans explication. Il s’agit purement de #racisme_ordinaire, et c’est pour cela que j’ai pris autant cette histoire à cœur : elle mérite que des mesures soient prises.

    Par exemple ?
    Tout dépend du contexte. Pour cette inscription, beaucoup de gens sont pour qu’elle soit effacée, car elle n’a pas vraiment d’utilité et elle heurte les personnes concernées. De manière générale, je milite pour qu’un état des lieux soit réalisé sur le passé colonial de Lausanne. Cela peut prendre plusieurs formes (conférence, discussion, etc.), mais devrait impérativement inclure des personnes compétentes dans ces sujets-là.

    Jusqu’où cela peut-il aller ? Le stade #Pierre_de_Coubertin (ndlr : notoirement raciste, persuadé de la supériorité des Blancs sur les Noirs) doit-il être rebaptisé, selon vous ?
    C’est un bon contre-exemple : dans ce cas, ce lieu a un important #héritage_historique. Le rebaptiser serait contre-productif et ne serait pas compris par la population. Je ne suis pas pour réécrire l’histoire, ni pour créer une polémique, mais pour sensibiliser les Lausannois : pourquoi ne pas mettre une mention sur place, ou réaliser quelque chose au Musée olympique par exemple ?

    N’est-ce pas un peu infantilisant, comme démarche ? Faut-il vraiment une intervention du monde politique ?
    Il y a toujours des combats plus importants que d’autres, mais celui-ci est très légitime à mes yeux. Cette inscription heurte beaucoup de monde, et le vivre-ensemble est primordial, surtout au niveau communal. Plusieurs études scientifiques prouvent que reconnaître notre passé colonial nous amène à consolider notre #cohésion_sociale. D’autres villes (Berne, Zurich, Genève...) ont d’ailleurs fait cet exercice.

    Lausanne dispose déjà pour cela d’un Bureau lausannois pour les immigrés (BLI), avec notamment une permanence contre le racisme. Vous voulez aller plus loin ?
    Mon postulat s’inscrit précisément dans ce contexte. Le travail du BLI est crucial et contribue intellectuellement à notre cohésion sociale. Je veux encourager la Municipalité à mettre l’accent sur l’histoire coloniale. Je l’ai vu avec les réactions après votre premier article : c’est un sujet tabou, très clivant et qui fait parler tout le monde. Un débat public éclairé n’en sera que plus bénéfique. « Décoloniser » l’espace public ne vise en aucun cas à falsifier l’histoire de notre commune — au contraire, le but est de reconnaître les faits historiques et de sensibiliser.

    #Mobimo « comprend la polémique »

    Informée par la Ville que l’#inscription « #Magasin_de_denrées_coloniales » du Flon faisait débat, la régie propriétaire du bâtiment assure à Blick qu’elle avait comme « unique perspective un rappel purement historique de la fonctionnalité du bâtiment ».

    C’est pour cette raison que Mobimo a voulu restituer le nom des enseignes présentes au Flon comme au début du XXe siècle. « Nous comprenons les sensibilités actuelles et sommes conscient des préoccupations de notre société face à des faits socio-historiques ainsi qu’à la portée sémantique des mots », assure Hélène Demont, porte-parole pour la Suisse romande.

    Mobimo estime qu’en tant qu’acteur économique, elle n’a « pas la légitimité de porter un jugement sur des faits historiques se rapportant à l’inscription ». Mais elle veut la replacer dans son contexte avec une notice explicative, et se conformera à la décision de la Ville si un effacement venait à être décidé.

    https://www.blick.ch/fr/news/suisse/le-combat-de-samson-yemane-lausanne-doit-reconna-tre-son-passe-colonialiste-id
    #histoire #Suisse #colonisation

    ping @cede

    –-

    ajouté à la métaliste sur le #colonialisme_suisse :
    https://seenthis.net/messages/868109

  • En #aveyron, une #association explore des #Alternatives_à_la_voiture
    http://carfree.fr/index.php/2022/03/31/en-aveyron-une-association-explore-des-alternatives-a-la-voiture

    Fondée en 2018 à Castelnau-Pégayrols, un petit village de montagne, l’association In’VD milite pour sortir les territoires ruraux de leur #dépendance à la voiture individuelle. Franceinfo réalise en ce moment Lire la suite...

    #Fin_de_l'automobile #Vie_sans_voiture #Villages_sans_voitures #alternatives #campagne #millau #Vivre_sans_voiture

  • Escapades #sans_voiture en Wallonie
    http://carfree.fr/index.php/2022/01/04/escapades-sans-voiture-en-wallonie

    Lâchez la pédale d’accélérateur et découvrez la Wallonie en mode slow. Explorez la région avec des transports doux : en train, à #Vélo et à pied. Votre escapade démarre toujours d’une Lire la suite...

    #Alternatives_à_la_voiture #Marche_à_pied #Transports_publics #Vie_sans_voiture #Villages_sans_voitures #Ville_sans_voitures #Belgique #bruxelles #liège #mons #tourisme #Vivre_sans_voiture #voyage

  • Bâti dispersé, bâti concentré, des #disparités_territoriales persistantes

    Les #bâtiments sont concentrés dans les #villes et #villages dans le quart nord-est de la #France alors qu’ils sont beaucoup plus souvent dispersés dans des #hameaux et des #lieux-dits dans l’ouest et le sud. Ainsi, en 2005, 91 % des bâtiments de la région #Grand_Est sont concentrés, contre 62 % en #Bretagne. Ces #spécificités_géographiques perdurent dans le temps. Les nouveaux bâtiments tendent à reproduire l’organisation existante du bâti.

    Cette inertie pourrait refléter la diversité des #paysages plus ou moins propices à l’installation de nouveaux bâtiments en dehors des espaces déjà bâtis. La plupart des bâtiments devant être reliés aux réseaux routiers existants, les différentes configurations paysagères peuvent freiner ou favoriser la construction de nouveaux bâtiments éloignés du bâti concentré existant. Les formes des #parcelles cadastrales se différencient selon le type de #paysages : petites et presque carrées dans les paysages de champs clôturés, allongées et rectilignes dans ceux de champs ouverts. Confronter les images de ces parcelles à la localisation effective des nouvelles constructions confirme l’inertie dans le temps du bâti : 82 % des nouveaux bâtiments se font en continuité de bâti dans les paysages de champs ouverts, contre 65 % dans ceux de champs clôturés.

    https://www.insee.fr/fr/statistiques/5229207
    #cadastre
    #chiffres #statistiques #cartographie #visualisation

  • La Terra Nuova - Inchiesta di Nicola Adelfi (1952)

    Documentario che illustra i progressi economici nel Mezzogiorno avvenuti nei primi anni del secondo dopoguerra.


    https://patrimonio.archivioluce.com/luce-web/detail/IL3000052960/1/la-terra-nuova-inchiesta-nicola-adelfi.html?startPage=0&jso{%22jsonVal%22:{%22query%22:[%22emigranti%20clandestini%22],%22fieldDate%22:%22dataNormal%22,%22_perPage%22:20}}

    #archive #histoire #Italie #Italie_du_Sud #modernisation #agriculture #misère #progrès #investissements #routes #infrastructure_routière #puits #machines_agricoles #villages_ruraux #film #vidéo #Gaudiano #bonification #paysage
    On parle de «#marche_vers_le_sud»
    #colonisation

  • L’habitat écolo sera-t-il à la #campagne ?
    http://carfree.fr/index.php/2020/08/27/lhabitat-ecolo-sera-t-il-a-la-campagne

    C’est une grande contradiction : les écolos veulent vivre proche de la nature, mais pour vivre de la nature il leur faut faire appel aux engins et au système les plus Lire la suite...

    #Etalement_urbain #Fin_de_l'automobile #Vie_sans_voiture #Villages_sans_voitures #écologie #habitat #rurbanisation #sans_voiture

  • La terre, racine du roman national israélien
    Mehdi Belmecheri-Rozental > 26 mai 2020
    https://orientxxi.info/magazine/la-terre-racine-du-roman-national-israelien,3886

    Pour l’État israélien, l’histoire palestinienne ne peut pas exister car elle viendrait perturber le roman national, basé sur une continuité historique des temps bibliques à la fondation d’Israël. Au nom de ce lien à la terre qui serait exclusif, la politique israélienne fait tout pour dépouiller la mémoire palestinienne de ses traditions et de sa culture. (...)

  • Monte Isola
    http://carfree.fr/index.php/2019/03/26/monte-isola

    Quinzième épisode d’une série consacrée aux #îles_sans_voitures. Vous souhaitez passer des vacances réellement sans voitures ? Vous voulez voir comment la vie sans voitures est possible ? Visitez les îles Lire la suite...

    #Alternatives_à_la_voiture #Îles_sans_voitures #Vie_sans_voiture #Villages_sans_voitures #2000 #géographie #histoire #italie #tourisme #villages #Vivre_sans_voiture #voyage

  • L’Italia dei paesi fantasma: dalla Sicilia al Piemonte i borghi restano senza abitanti

    E’ soprattutto d’inverno che i fantasmi si fanno sentire. Quando c’è sempre, prima o poi, una finestra che sbatte, dentro qualche casa chiusa. E nel silenzio di strade deserte, il vento diventa la voce dell’assenza. La voce cioè di chi è partito, per cercare altrove fortuna.
    Da anni, c’è un movimento costante in atto. Di svuotamento dei piccoli comuni, soprattutto montani o a vocazione agricola. Le scuole chiudono, per mancanza di bambini; le banche spostano gli sportelli; il trasporto pubblico è problematico, quando non inesistente. Le amministrazioni provano a condividere i servizi tra più comuni, ma i referendum per le fusioni sono quasi sempre stati bocciati dagli abitanti.
    C’è un’Italia minore per dimensioni, che lotta per non sparire. Un mondo poco noto, richiamato dalla protesta dei pastori sardi, che «diventa idealmente la protesta di tutta l’Italia rurale che non trova spazi nelle politiche né italiane né comunitarie. Un’Italia che sta sparendo, ma se sparisce quest’Italia - avverte il delegato Anci per i piccoli comuni, Massimo Castelli - sparisce il senso della nazione». E a salvare questo piccolo mondo antico «non sarà il reddito di cittadinanza», concordano più sindaci, ma «iniziative, per richiamare altri abitanti: mettendo a disposizione le case abbandonate o accordando incentivi fiscali, per aziende e nuovi residenti. Come la tassazione ridotta, introdotta nella legge di Bilancio 2019, per chi trasferisce la residenza dall’estero nei paesi del Mezzogiorno. E soprattutto servizi.


    https://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2019-03-05/l-italia-paesi-fantasma-sicilia-piemonte-borghi-restano-senza-abitanti-
    #Italie #géographie_du_vide #dépeuplement #ghost-cities #villages-fantômes

  • L’île des pêcheurs
    http://carfree.fr/index.php/2019/03/11/lile-des-pecheurs

    Quatorzième épisode d’une série consacrée aux #îles_sans_voitures. Vous souhaitez passer des vacances réellement sans voitures ? Vous voulez voir comment la vie sans voitures est possible ? Visitez les îles Lire la suite...

    #Alternatives_à_la_voiture #Îles_sans_voitures #Vie_sans_voiture #2000 #géographie #histoire #italie #tourisme #villages #Vivre_sans_voiture #voyage

  • La revanche des #villages

    Opposer la #richesse des #villes à la #pauvreté des #campagnes, c’est en fait ne pas comprendre la réalité des #inégalités_territoriales. Les villages sont aujourd’hui souvent plus attractifs qu’un grand nombre de #villes_moyennes, qui connaissent des difficultés démographiques et économiques majeures.


    https://laviedesidees.fr/La-revanche-des-villages.html
    #géographie_rurale #villes #urban_matter #attractivité

    • Loin de la misère souvent explosive des banlieues françaises, la pauvreté des campagnes est une réalité plus silencieuse, invisible. C’est toute l’utilité du travail d’Agnès Roche, sociologue à l’Université de Clermont Auvergne et que Le Temps a rencontrée, de mettre des mots sur ces « vies de pauvres » du monde rural, ces « sans-dents » moqués par François Hollande.

      Le livre qui condense ce travail est une succession vertigineuse des vies chaotiques d’habitants des villages du Puy-de-Dôme : des paysans en difficulté, des ouvriers, des jeunes néoruraux sans le sou, des petits commerçants qui ont fait faillite. Chez ces gens-là, les fins de mois sont difficiles, le surendettement une épée de Damoclès – le banquier est une figure détestée chez les agriculteurs –, l’alcool ou le sommeil une échappatoire.

      Logements indignes

      Si cette pauvreté rurale trouve en partie son terreau dans la crise agricole, elle frappe aussi les jeunes des classes populaires – en France, la moitié des pauvres ont moins de 30 ans. Comme Julie et Simon, 23 et 20 ans qui vivent en couple dans un village du Puy-de-Dôme et dont la sociologue raconte l’histoire de vie. Simon a été bûcheron, mais se retrouve déjà en arrêt avec le dos en miettes : il refuse de travailler « dans un clapier » devant un ordinateur. « La priorité pour l’instant, c’est de manger à peu près à notre faim, le reste passe après… » Le tabac est le seul luxe du jeune couple : « Quand tu fumes, tu ne penses pas : « Putain, je suis dans la merde. »

      Dans ces villages, les loyers sont certes très peu élevés – 290 euros pour Julie et Simon – mais les habitations sont souvent indignes et très mal isolées, dans un pays aux hivers redoutables. Simon : « On a été obligés d’installer un rideau sur la porte d’entrée pour couper le vent qui passe comme si on était dehors. Les fenêtres, c’est du simple vitrage, c’est du carton, les montants en bois prennent l’humidité, le bois gonfle, on ne peut pas ouvrir les fenêtres. » L’hiver, la température ne dépasse pas les 9 °C dans la petite maison. (...)

  • Les distributeurs de billets en voie de disparition dans les #villages
    http://www.lefigaro.fr/conso/2017/01/14/20010-20170114ARTFIG00013-les-distributeurs-de-billets-en-voie-de-dispariti

    Les petits villages se retrouvent aujourd’hui avec de moins en moins de distributeurs automatiques de billets (DAB), les consommateurs préférant payer par carte bancaire. Ce qui pose problème en milieu rural où il faut parfois parcourir plusieurs kilomètres pour retirer de l’argent.

    #argent

  • Zéro phyto, 100% bio !

    Cette campagne a pour but de recenser, encourager et valoriser au niveau national l’effort de nombreuses collectivités, à réduire ou éliminer l’usage des pesticides et/ou à promouvoir l’agriculture bio.

    http://0phyto-100pour100bio.weebly.com


    #pesticides (zero) #bio #carto #villages #villes

  • #Bernard_Debarbieux : l’#espace de l’#imaginaire

    Le #paysage, les #lieux, les #villes, les #villages ou les #frontières balisent notre rapport au #territoire et lui donne un sens. Dans son dernier ouvrage, le géographe Bernard Debarbieux montre comment les éléments du concret participent de notre expérience quotidienne et individuelle, et construisent le cadre de nos références collectives et sociales.

    Match de football ou manifestation, aménagement des parcs naturels ou des villes capitales, récits utopiques ou traités philosophiques, institution de la frontière ou des ethnies dans les colonies, éloge du mondial ou du local en écologie politique et dans la production économique… Qu’y a-t-il donc de commun entre tous ces éléments ?

    « Tous relèvent d’une construction imaginaire. L’#imaginaire_social est l’arrière-plan de nos schémas de significations et d’#actions_collectives. Plus que l’attribut d’une société, il est la condition même de son existence ; il participe de l’institutionnalisation de chacune, ainsi que de nos façons communes de penser le monde, et de nous penser en son sein. Aucune expérience individuelle, aucune réalité sociale n’existant indépendamment de l’espace concret dans lequel elles se déploient, l’étude de la pluralité des formes de spatialité des imaginaires sociaux permet de porter sur nos sociétés modernes un regard original et éclairant. » [source : éditeur]

    Avec Bernard Debarbieux, Professeur de géographie et d’aménagement du territoire à l’université de Genève.

    A lire :
    • « L’espace de l’imaginaire », Bernard Debarbieux, éditions CNRS

    http://www.rts.ch/espace-2/programmes/le-grand-entretien/7319859-le-grand-entretien-du-08-01-2016.html
    #livre #entretien
    #ressources_pédagogiques (#géographie)

  • On a déjà parlé ici du village palestinien (bédouin) de Susya, en Cisjordanie, menacé de destruction totale (une partie a déjà été détruite depuis les années 1980) et d’expulsion par l’armée israélienne, harcelés (et parfois assassinés) par les colons, de la résistance de sa population, du soutien international, de la pétition (tiens, je vous la renvoie à tout hasard : https://www.change.org/p/monsieur-laurent-fabius-savesusiya-stoppons-l-expulsion )...

    On m’envoie un petit documentaire d’un quart d’heure, qui date de 2011 et qui montre l’absurdité de la situation : le prétexte à l’expulsion des Palestiniens est la présence de ruines juives du 5ème siècle. Encore un exemple où la recherche « scientifique » archéologique n’est qu’un prétexte au service d’une politique raciste et brutale. Les ruines archéologiques se visitent, et les anciens propriétaires palestiniens doivent donc payer un ticket pour voir leur propre maison, 25 ans après en avoir été expulsés :

    Susya (Dani Rosenberg, Yoav Gross, 2011, 15’)
    https://www.idfa.nl/industry/tags/project.aspx?id=3a80ded9-a79d-4eb4-ac3b-f0a75322626f
    https://www.youtube.com/watch?v=4pha0K9QmJg

    Et dire que les habitants de Susya sont expulsés par des Juifs européens, au nom de leurs ancêtres qui sont en fait probablement ceux de ceux qu’ils expulsent, convertis entre temps à l’Islam ! On dirait une tragédie greque...

    #Palestine #Susya #Bédouins #Expulsions #villages_détruits #colons #documentaire #archéologie

  • [Nouvelle revue] Études arméniennes contemporaines est en ligne sur Revues.org
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    Études arméniennes contemporaines s’intéresse à l’étude des espaces géographiques, historiques, politiques et culturels imbriqués que forment l’Arménie, le Caucase, la Turquie et le Moyen Orient et publie les contributions de chercheurs venus de tous les horizons des sciences humaines et sociales. Éditée par la Bibliothèque Nubar de l’Ugab, elle prend la succession de la Revue arménienne des questions contemporaines. Parallèlement à sa publication papier effective depuis 2013, Études arméniennes contemporaines devient la première revue éditée en ligne dans le domaine des études arméniennes en intégrant le programme OpenEdition Freemium for Journals.

    Le sort des Bédouins du Néguev : quels enseignements pour la construction politique et idéologique de l’État d’Israël ?
    http://eac.revues.org/528

    Cet article de recherche correspond à une enquête de terrain en vue d’analyser la place de la population bédouine du Néguev dans la société israélienne. Cette étude, première étape d’un projet de doctorat, introduit des éléments de réflexion sur la signification du sort réservé aux Bédouins de cette région, au sein d’un État jeune, encore soucieux de justifier son existence. En effet, les mécanismes politiques de la construction du pays semblent à l’origine du refus de prendre en considération les revendications de ces habitants, qui possèdent pourtant la citoyenneté israélienne.