• Flexibiliser le travail et produire des vies illégales

    En France, l’#ubérisation trouve des ressources dans les migrations. Ce phénomène est ici analysé et décrit par un ressortissant de Guinée qui vit à Grenoble depuis 2016, co-auteur d’une recherche-création entre géographie, art et droit.

    Si les migrations vers l’Europe et la France occupent les discours politiques et médiatiques, leurs modalités d’exploitation par le travail y sont bien moins évoquées. Les vies rendues illégales constituent une réserve de #main-d’œuvre exploitable et hyperflexible, dans un contexte précisément de flexibilisation et d’ubérisation du travail, notamment par le développement des applis de VTC ou de #livraison. Dans leurs travaux portant sur les liens entre migrations et travail, Sandro Mezzadra et Brett Neilson précisent que « la flexibilité, qui fabrique de la #précarité, est devenue la norme », tandis que les migrations forment « un terrain crucial d’expérimentation pour de nouvelles formes de "capture" du travail ».

    Cette exploitation du travail en #France, de vies rendues illégales, s’inscrit dans des formes d’exploitations plus larges de la force de travail, notamment d’entreprises européennes et françaises en Guinée pour l’extraction de ressources minières, qui entraînent des destructions sociales et environnementales et des migrations. Autrement dit, les liens entre migrations et exploitation de la force de travail se comprennent depuis un continuum qui dépasse très largement les frontières nationales, et s’inscrit dans des rapports en grande partie hérités de la #colonisation.

    #Pathé_Diallo, ressortissant de Guinée qui réside à Grenoble depuis 2016, décrit cette relation entre migration, exploitation et ubérisation dans le cadre d’une œuvre de création et de recherche intitulée Bureau des dépositions (1), à laquelle participent plusieurs géographes.

    « C’est un cercle vicieux »

    « Les Etats font exprès de ne pas délivrer des papiers à tout le monde pour que d’autres puissent exploiter les #sans-papiers dans des conditions difficiles, sur certains #chantiers ou dans les sites touristiques de ski en montagne, ou dans les travaux de #ménage. Depuis quelques mois à Grenoble, des personnes exploitées et sans papiers font de la #livraison de nourriture sur des #vélos. Ils sont mal payés et la cible de #Uber et des Etats, qui autorisent que le #droit_du_travail soit réduit à rien. C’est comme si les personnes donnaient toute leur énergie pour ne rien avoir.

    « C’est comme dans le domaine de la #sécurité. Dans la sécurité, c’est 12 voire 15 euros de l’heure pour la nuit. Celui qui te sous-traite va te payer 7 ou 8 euros par heure. Toi tu es sur le terrain. C’est parfois mieux que rester toute la journée à ne rien faire. Dans l’attente des papiers, beaucoup deviennent fous. Etre exploité devient préférable pour ne pas rester assis, passer toute la journée sans rien faire pendant des années, sans savoir quand le papier viendra. Ce sont les Etats et les entreprises qui se servent de la #main-d’œuvre qui sont responsables, en n’autorisant pas à travailler. C’est un #cercle_vicieux : pour se régulariser, il faut du travail ; pour avoir du travail, il faut des papiers.

    « Créer un syndicat sans-papiers permettrait de réduire le taux de chômage. En France, la #clandestinisation des travailleurs permet de réduire le #coût_du_travail, aux bénéfices des patrons et de leurs sous-traitants qui ainsi échappent à l’impôt.

    « Il faut respecter l’homme. C’est l’homme qui fait le papier, pas le papier qui fait l’homme.

    « L’exploitation des sans-papiers en Europe entre en écho avec l’exploitation de la main-d’œuvre dans les #mines en #Guinée. Ce sont les mêmes personnes qui exploitent et ce sont les mêmes personnes qui sont exploitées. Un mineur d’or ou de bauxite, en Guinée, peut parvenir à rejoindre la France pour travailler dans des conditions plus précaires encore que la mine. Dans les mines, les patrons sont souvent étrangers. Tout ce qui est exploitable en Guinée est exporté en tant que matière première à l’extérieur : Canada, Etats-Unis, pays d’Europe, comme la France, l’Allemagne… Dans la mine, il y a beaucoup de pollution, qui entraîne des maladies : sinusite, cancer du foie… La poussière mélangée aux produits chimiques crée des colonnes de plusieurs kilomètres, ce qui pollue les cours d’eau. L’eau est puisée par les populations. Les employés des mines ne sont pas bien payés. »


    https://www.liberation.fr/debats/2019/10/02/flexibiliser-le-travail-et-produire-des-vies-illegales_1754677
    #travail #exploitation #illégalisation #asile #migrations #réfugiés #flexibilisation #tourisme #extractivisme #continuum_colonial #post-colonialisme #économie

    ping @albertocampiphoto @reka @karine4

    • Sfruttamento e caporalato tra i migranti della #gig_economy

      #Deliveroo, #Uber_eats, #Glovo, #Just_Eat, da quando le #app di consegna a domicilio sono diventate una realtà di uso quotidiano per migliaia di potenziali fattorini si sono spalancate le porte della «gig economy», i cosiddetti lavoretti gestiti tramite applicazioni per #smartphone. A Milano due terzi di loro sono migranti e sebbene portino in spalla lo zaino delle più famose app di consegna a domicilio, raccontano di non lavorare direttamente con le piattaforme e di avere degli intermediari. Ora anche la Procura di Milano ha annunciato l’apertura di un’indagine conoscitiva sulle condizioni di lavoro dei rider e sulle imprese che ne gestiscono le consegne - con un’attenzione particolare alla sicurezza stradale e al possibile impiego di fattorini stranieri senza i documenti per lavorare e potenzialmente soggetti a caporalato. Lorenzo Pirovano ci fa conoscere la loro quotidianità.

      Michael non era mai riuscito a lavorare in Italia. Ospite di un centro di accoglienza straordinaria a cinquanta chilometri da Milano, aveva passato gli ultimi due anni sospeso tra l’attesa del verdetto sul suo status di rifugiato e la complicata ricerca di un impiego. “Il responsabile della casa non voleva che lavorassimo, soffrivo a starmene fermo e aspettare chissà cosa”.

      Poi nel 2017 a Milano è arrivato il boom delle app di consegna a domicilio in bicicletta (Deliveroo, Uber eats, Glovo e Just Eat) e per migliaia di potenziali fattorini si sono spalancate le porte della gig economy (i cosiddetti “lavoretti” gestiti tramite applicazioni per smartphone).

      Da allora, ogni mattina, cubo termico sulle spalle e mountain bike accessoriata, centinaia di migranti come Michael raggiungono Milano e pedalano per le sue strade nella speranza di effettuare più consegne possibili. “Ci sono giorni che lavoro undici ore” rivela Michael, 33 anni e una fuga dalla Liberia passando per l’inferno libico. “Ma alla fine del mese non ho mai portato a casa più di 600 euro”.

      Michael e i suoi colleghi sono i “migranti della gig economy” che rappresenterebbero quasi due terzi dei rider che effettuano consegne a domicilio per le strade della città. Molti di loro sono ospitati nei Cas (Centri di accoglienza straordinaria) disseminati nell’hinterland milanese o nelle province attigue. Alcuni, come Michael, ne sono appena usciti e condividono una stanza in periferia. Secondo i dati raccolti dall’Università degli Studi di Milano la maggior parte risiederebbe in Italia da più di due anni.

      Come tutti i ‘ciclofattorini’, anche i migranti devono fare i conti con un contratto di lavoro occasionale che riconosce poco più di tre euro a consegna, senza un minimo orario e senza chiare coperture contributive e assicurative. Nonostante questo il settore delle consegne a domicilio si sostiene principalmente sulla loro manodopera, grazie alle permeabili barriere all’entrata (in molti casi non è necessario sostenere un colloquio), alla necessità di guadagno immediato e alla dimostrata possibilità di lavorare anche se sprovvisti di documenti. Molti di loro ammettono di non conoscere i propri diritti di lavoratori, altri raccontano di non avere scelta, trattandosi dell’unica occupazione trovata. Raramente si rivolgono ai sindacati e anche Deliverance, il sindacato auto organizzato dei ciclofattorini milanesi, fa fatica a coinvolgerli. “Rivendichiamo tutti gli stessi diritti ma esiste una spessa barriera linguistica e culturale” ammette Angelo, membro e portavoce del collettivo.

      La settimana scorsa la Procura di Milano aveva annunciato l’apertura di un’indagine conoscitiva sulle condizioni di lavoro dei rider e sulle imprese che ne gestiscono le consegne, con un’attenzione particolare alla sicurezza stradale e al possibile impiego di fattorini stranieri senza i documenti per lavorare. “Che ci sia un’inchiesta in corso, seppur con colpevole ritardo, è una buona notizia” commenta Angelo. “Che non si trasformi però in una caccia alle streghe tra la categoria di lavoratori più vulnerabili, quella dei migranti”.
      “Riceviamo la metà della cifra visualizzata sull’app”

      Sotto Porta Ticinese, nei pressi della Darsena, trovano riparo una decina di rider con gli occhi fissi sullo smartphone in attesa di una consegna da effettuare. Attorno a una delle sue colonne si raccolgono alcuni nigeriani mentre al centro, seduti sugli scalini, un drappello di giovani ragazzi chiacchiera in bambara. Uno di loro approfitta della pausa per togliersi le scarpe, stendere un lenzuolo, inginocchiarsi e pregare.

      Molti di loro, sebbene portino in spalla lo zaino delle più famose app di consegna a domicilio, raccontano di non lavorare direttamente con le piattaforme e di ricevere la paga da alcune aziende italiane.

      L’occhio dei magistrati milanesi potrebbe così cadere anche sulla catena di intermediari che connette i rider in bicicletta all’app da cui ricevono i soldi.

      L’avvento della gig economy – che in origine doveva portare a una totale disintermediazione del lavoro – ha infatti ricreato dinamiche già conosciute: alcune legali, come l’attività delle imprese di intermediazione; altre illegali, come il “subaffitto dei profili” e, appunto, l’impiego di manodopera irregolare.

      Uber eats – costola del colosso Uber, valutato 75 miliardi di dollari e conosciuto in tutto il mondo per il servizio privato low cost di trasporto passeggeri – è attiva a Milano principalmente grazie a due imprese (Flash Road City e Livotti SRL) che si avvalgono della sua applicazione per gestire e spartirsi il lavoro di centinaia di fattorini migranti. “Queste imprese non fanno ufficialmente parte di Uber eats ma il rapporto di collaborazione c’è” raccontano alcuni loro lavoratori, “il risultato è che alla fine del mese puoi ricevere anche solo la metà dell’importo che visualizzi sull’applicazione”

      L’intermediazione infatti ha un costo elevato, un prezzo che però molti migranti sono pronti a pagare per afferrare, come ammettono loro stessi, “un’opportunità unica di lavorare, soprattutto per chi non ha i documenti”.

      Lo schema è semplice: Uber mette l’applicazione, il sistema di pagamento e il marchio al servizio di queste imprese, mentre loro si occupano delle relazioni coi ristoranti e del rapporto con i lavoratori. “Dalle cifre visualizzate sull’app bisogna togliere la nostra parte, ma questo lo diciamo chiaramente ai nostri dipendenti” spiega il rappresentante di un’impresa intermediaria. Così il margine di guadagno per il rider si abbassa notevolmente, come testimoniato da Michael e da altri suoi colleghi stranieri.
      Possibilità e trucchi

      Intermediazione o no, il lavoro tramite app si è convertito in una possibilità anche per chi non ha le carte in regola per lavorare, come dimostrano i primi controlli della Procura di Milano che su una trentina di rider ha individuato tre migranti senza i documenti.

      I rappresentanti delle imprese di intermediazione negano però di impiegare migranti senza permesso di soggiorno. Uno di loro sostiene che “a volte siamo noi stessi ad aiutarli nella pratica per rinnovare il permesso”, mentre Uber e Glovo hanno invece ammesso di non essere in grado di garantire che tutti i rider attivi sulle loro applicazioni abbiano i requisiti per lavorare. “Da parte nostra c’è tutto l’impegno affinché ad operare sulla piattaforma ci siano solo corrieri che hanno i requisiti per farlo” ha dichiarato un rappresentante di Uber in Italia. Glovo aveva dichiarato che “il rischio esiste, ma ogni giorno cerchiamo di monitorare meglio la situazione”.

      Nonostante le quasi inesistenti barriere all’entrata, l’offerta di lavoro supera la domanda e molti aspiranti rider non vengono accettati dalle app. Per un migrante la probabilità di veder approvata la propria candidatura si assottiglia, soprattutto quando non conosce la lingua o non ha i documenti in regola. Nascono così dei meccanismi di reclutamento nascosti che riducono al minimo il margine di guadagno del rider, ultimo anello di una catena fatta anche di trucchi e inganni.

      Pietro, giovane egiziano, si era candidato a lavorare in alcune delle app attive a Milano, senza successo. Poi un amico gli ha proposto una scorciatoia. «Mi ha dato un numero di telefono dicendomi che c’era un account disponibile. Così ho telefonato ad H. ed è iniziata la mia esperienza come rider».

      Pietro ha iniziato quindi a lavorare con il “profilo” di un’altra persona, ricevendo ogni mese i soldi direttamente da H. al netto della sua “trattenuta”. “H. fa così con tutti i profili che affitta. Per farti lavorare si prende il 10% di ogni consegna” racconta. “Non so da dove venga il profilo che uso e non conosco gli altri rider che lavorano in questa maniera”.
      “Molti migranti vogliono lavorare ma non possono”

      “I richiedenti asilo sono una piccola minoranza tra i migranti presenti sul territorio italiano” spiega Pietro Massarotto, avvocato volontario del Naga, associazione milanese che dal 1987 si occupa di cittadini stranieri, soprattutto di quelli privi di permesso di soggiorno e dei richiedenti asilo. “Nella maggior parte dei casi abbiamo a che fare con migranti “ordinari”, il cui permesso di soggiorno dipende strettamente dal lavoro svolto”.

      Consegnare a domicilio tramite le app, seppure senza garanzie e con margini di guadagno assai risicati, può diventare fondamentale per mantenersi “in regola” ed evitare la condizione praticamente irreversibile di irregolarità. Questa, nel caso venga raggiunta per il diniego della richiesta di asilo o per la mancanza di un impiego regolare, si converte nella necessità urgente di trovare alternative per poter sostenersi economicamente. “Qui va sfatato il mito del cittadino straniero che non vuole lavorare” precisa Massarotto. “È vero il contrario: spesso non viene messo nelle condizioni di lavorare”.

      Le risposte della politica sono proseguite però sulla via di un accesso più duro allo status di migrante regolare. “Purtroppo le politiche di gestione dell’immigrazione stanno determinando e determineranno sempre più un incremento esplosivo dei soggetti senza permesso di soggiorno, che per ovvie ragioni lavorano lo stesso”.
      “Fare il rider è meglio di niente”

      Omar è uno dei tanti che di mattina lascia il “campo” dove vive per tornarci solo dopo mezzanotte. Ci sono giorni in cui il bottino è talmente magro da coprire appena il prezzo del biglietto. Viene dal Gambia, ha 22 anni e uno sguardo perso nel vuoto. “Ogni giorno prendo il treno e torno a casa per questo cazzo di lavoro” si sfoga indicando lo zaino termico. È rimasto senza permesso di soggiorno e insieme a quello ha perso la speranza di costruirsi una nuova vita in Italia. “Vorrei impegnarmi in altro, ma qui se non hai i documenti non puoi fare nulla”. A chiedergli se è felice annuisce poco convinto: “fare il rider è meglio di niente, diciamo così. Meglio di niente.”

      https://openmigration.org/analisi/sfruttamento-e-caporalato-tra-i-migranti-della-gig-economy
      #Italie #rider

    • Un vaste #réseau_d’exploitation de chauffeurs #VTC sans papiers démantelé dans les #Hauts-de-Seine

      Cinq personnes soupçonnées d’avoir exploité illégalement une centaine de travailleurs non déclarés ont été mises en examen et écrouées.

      Les chauffeurs ne percevaient qu’« une infime partie des prestations effectuées » et commandées par le biais d’applications comme #Uber, #Kapten, #Bolt ou #Heetch. Cinq hommes soupçonnés d’avoir exploité illégalement une centaine de #travailleurs_non_déclarés, pour la plupart sans papiers et employés comme chauffeurs de voiture de transport avec chauffeur (VTC) ont été mises en examen et écrouées, vendredi 21 février, a annoncé le parquet de Nanterre dans un communiqué.

      Elles ont été mises en examen pour « aide au séjour irrégulier, blanchiment, exécution d’un travail dissimulé, recel, traite des êtres humains commise à l’égard de plusieurs personnes, faux en écriture, faux et usage de faux documents administratifs et abus de biens sociaux », le tout « en bande organisée », a précisé le parquet.

      « Horaires très larges sous la pression »

      Ces cinq hommes sont soupçonnés d’avoir monté deux sociétés au travers desquelles ils employaient une centaine de chauffeurs « travaillant avec des horaires très larges sous la pression de leurs employeurs qui arguaient de leur situation précaire » pour les contraindre à obéir.

      La majorité des profits générés étaient perçus par les cinq hommes. « Les premières investigations ont démontré le caractère particulièrement lucratif de ce trafic, générant des mouvements financiers à hauteur de centaines de milliers d’euros », a précisé le parquet.

      Quelque 195 000 euros ont été saisis sous forme d’argent liquide et de voitures de luxe. Les deux sociétés détenaient une cinquantaine de véhicules. D’après les enquêteurs de la sous-direction de la lutte contre l’immigration irrégulière (SDLII) et de la direction de la sécurité de proximité de l’agglomération parisienne (DSPAP) chargée de l’enquête, « ce trafic se déroulait depuis au moins deux années ».

      https://www.lemonde.fr/police-justice/article/2020/02/22/un-vaste-reseau-d-exploitation-de-chauffeurs-vtc-sans-papiers-demantele-dans

  • Une caissière licenciée après une fausse couche déboutée par les prud’hommes Le Figaro avec AFP - 25 Septembre 2019
    http://www.lefigaro.fr/flash-actu/une-caissiere-licenciee-apres-une-fausse-couche-deboutee-par-les-prud-homme

    Licenciée en 2016 par son employeur, cette caissière se voit déboutée par les prud’hommes. Elle avait fait une fausse couche après avoir porté de lourdes charges au travail.

    Une caissière victime d’une fausse couche au travail qui contestait son licenciement en 2016 devant les prud’hommes de Bobigny a été déboutée mercredi, selon son avocat.

    « C’est extrêmement décevant mais nous allons interjeter appel, nous irons jusqu’au bout », a déclaré Maître Montasser Charni. « Il semble que le conseil des prud’hommes ait déconnecté le licenciement de la fausse couche subie par ma cliente », a-t-il précisé. L’avocat n’avait pas encore eu connaissance des motivations du jugement. L’avocat du supermarché rebaptisé Marché Frais, Maître Norbert Thomas, n’a pas pu être joint.

    Ayélé Ajavon avait fait une fausse couche à quatre mois et demi de grossesse sur son lieu de travail du magasin O’Marché frais de La Courneuve. Elle avait été convoquée quelques semaines après son retour au travail après deux mois d’arrêt maladie, en vue de son licenciement, intervenu quatre mois après la fausse couche pour « fautes liées à l’exécution de son contrat ». « On lui reprochait des erreurs de caisse », précise Maître Charni. Ayélé Ajavon a toujours nié ces erreurs de caisse, expliquant que sa caisse étant reliée à une console centrale, des articles ont pu être ajoutés sans qu’elle en ait connaissance. Ayélé Ajavon estimait que son licenciement était directement lié à sa fausse couche, causée selon elle par ses conditions de travail. Selon son avocat, elle avait porté des charges lourdes avant de perdre les eaux derrière son tapis de caisse.

    #Femmes #prudhommes #droit_du_travail #justice #droits_sociaux #caissière #grande_distribution #travail #santé #esclavage

  • Indemnités de licenciement : la cour d’appel de Reims contourne la Cour de cassation
    https://www.mediapart.fr/journal/france/260919/indemnites-de-licenciement-la-cour-d-appel-de-reims-contourne-la-cour-de-c

    Une nouvelle décision de justice complexifie encore le dossier du barème plafonnant les indemnités accordées aux salariés en cas de licenciement abusif. Pour les juges de Reims, cette mesure phare des ordonnances Macron est bien conforme aux règles internationales, comme l’a jugé en juillet la Cour de cassation. Mais, ajoutent-ils, cela ne signifie pas qu’elle doit être appliquée dans tous les cas.

    #SOCIAL #droit_du_travail,_Justice,_ordonnances,_indemnités_prud’homales,_social,_Cour_d’appel,_prud’hommes,_Cour_de_cassation

  • Indemnités de licenciement : malgré la Cour de cassation, le barème toujours contesté
    https://www.mediapart.fr/journal/france/020819/indemnites-de-licenciement-malgre-la-cour-de-cassation-le-bareme-toujours-

    Coup sur coup, les prud’hommes de Grenoble et de Troyes ont jugé qu’il fallait écarter le barème instaurant un plafond pour les indemnités accordées aux salariés licenciés abusivement. Le 17 juillet, la plus haute instance juridique française avait rendu un avis contraire. Le feuilleton n’est pas terminé.

    #SOCIAL #droit_du_travail,_Cour_de_cassation,_ordonnances,_Justice,_prud’hommes,_indemnités_prud’homales,_social

  • « #Mozilla est décentralisée, comme le Web des origines » | L’Humanité
    https://www.humanite.fr/mozilla-est-decentralisee-comme-le-web-des-origines-675370

    La #numérisation, le #télétravail et les collectifs éclatés sur plusieurs continents sont souvent propices à une fracturation des #conditions_de_travail. Mozilla s’efforce d’allier une certaine culture de la Silicon Valley et le respect des travailleurs.

    #ergonomie #droit_du_travail #management #travail #internet #santé_au_travail

  • Ces #microtravailleurs de l’ombre | CNRS Le journal
    https://lejournal.cnrs.fr/articles/ces-microtravailleurs-de-lombre

    Quel est le portrait-robot du microtravailleur ?
    A. C. : Notre enquête révèle une #géographie_sociale marquée par la #précarité, dont certains aspects sont assez alarmants. Le microtravailleur est d’abord une microtravailleuse, souvent chargée de #famille et possédant un #emploi principal à côté. 56 % des microtravailleurs en France sont en effet des #femmes ; 63 % des microtravailleurs ont entre 25 et 44 ans, et 64 % ont un emploi principal. Ils travaillent dans les secteurs de la santé, de l’éducation, ou encore dans les services publics… et utilisent le microtravail comme #revenu de complément.

    L’investissement des femmes dans le microtravail, assez important dans certains cas, montre un glissement de celles-ci vers la « triple journée » : l’activité sur les plateformes de microtravail vient s’ajouter à un emploi à temps plein et aux tâches ménagères et familiales. À noter que 22 % des microtravailleurs sont au-dessous du seuil de pauvreté, ce qui confirme un réel problème de précarité économique dans notre pays. Enfin, et c’est assez surprenant pour des tâches dont on dit qu’elles ne demandent aucune qualification, les microtravailleurs sont plus diplômés que la moyenne de la population. Ainsi, 43 % ont un diplôme supérieur à Bac+2. Leur motivation principale pour le microtravail est avant tout l’argent, mais aussi la flexibilité qu’il autorise : on peut se connecter à n’importe quelle heure et y passer le temps que l’on souhaite puisque l’on est généralement payé à la pièce.

    #travail #informatique #intelligence_artificielle #droit_du_travail

    https://diplab.eu

  • Notre-Dame de Paris : après l’incendie, un scandale sanitaire
    https://www.mediapart.fr/journal/france/040719/notre-dame-de-paris-apres-l-incendie-un-scandale-sanitaire

    Des taux de concentration au plomb 400 à 700 fois supérieurs au seuil autorisé ont été relevés sur les sols à l’intérieur et aux alentours de la cathédrale Notre-Dame, selon des documents confidentiels consultés par Mediapart. Ni l’agence régionale de santé ni la préfecture de police de Paris n’ont communiqué ces résultats aux riverains, minimisant les dangers encourus.

    #France #Notre-Dame_de_Paris,_plomb

    • Des taux de #plomb 400 à 700 fois supérieurs au seuil autorisé ont été relevés à l’intérieur et aux alentours de Notre-Dame, par plusieurs laboratoires dont celui de la préfecture de police de Paris, après l’incendie qui a ravagé la cathédrale.

      « Ce sont des taux qu’on ne voit jamais, précise Annie Thébaud-Mony, chercheuse à l’Inserm et spécialiste de la santé publique. Sur des chantiers pollués comme une usine de recyclage de batteries, par exemple, les taux sont douze fois supérieurs. Là, avec des taux 400 fois supérieurs, les conséquences pour la santé peuvent être dramatiques. Il faut absolument qu’il y ait un suivi médical, y compris pour les pompiers qui sont intervenus. Ce suivi est d’autant plus important que les effets sur la santé peuvent être différés dans le temps. »

      Les autorités concernées, le ministère de la culture, l’agence régionale de santé (ARS), la préfecture de police, passent cette pollution sous silence et, ce faisant, n’appliquent pas les mesures prévues par la loi pour protéger les salariés et les riverains.

      L’incendie de Notre-Dame de Paris, le 15 avril 2019, qualifié de « terrible drame » par le président Emmanuel Macron, avait provoqué un immense élan de générosité, avec plus de 400 millions d’euros récoltés en quelques jours pour la reconstruction de l’édifice.

      L’Élysée désigne alors son « représentant spécial », le général Jean-Louis Georgelin, pour veiller à l’avancement des travaux. Ils iront vite, assure le président de la République, « sans jamais transiger sur la qualité des matériaux et la qualité des procédés ». En revanche, ils se font au détriment de la santé des intervenants et des populations alentour.

      En effet, avec l’incendie, près de 400 tonnes de plomb, substance classée cancérigène, mutagène et reprotoxique (CMR), contenues dans la toiture et la flèche de la cathédrale, sont parties en fumée, polluant l’édifice et ses environs. Comme le signale l’Institut national de recherche et de sécurité (INRS), « une exposition régulière au plomb peut entraîner des conséquences graves pour la santé ». Le saturnisme, l’intoxication au plomb par inhalation ou ingestion, peut, selon la gravité, entraîner des troubles digestifs, des lésions du système nerveux ou encore des problèmes de stérilité.

      Les autorités connaissent très bien ces risques. Mais il faudra attendre deux semaines après l’incendie, soit le 27 avril, pour que la préfecture de police de Paris et l’ARS diffusent, en toute discrétion, un communiqué invitant les riverains à nettoyer leurs locaux à l’« aide de lingettes humides » et à consulter leur médecin si nécessaire.

      À l’intérieur de la cathédrale, selon des documents datés du 3 mai que Mediapart a pu consulter, les prélèvements sont de 10 à 740 fois supérieurs aux seuils autorisés. À l’extérieur, la situation n’est guère plus brillante. Sur le parvis, les taux de concentration en plomb prélevés sur le sol sont 500 fois au-dessus du seuil réglementaire. À l’extérieur de la zone du chantier, sur certains ponts, dans des squares ou certaines rues, ces taux sont de 2 à 800 fois supérieurs au seuil.

      Selon des inspecteurs contactés par Mediapart, « ce sont des taux tout à fait exceptionnels. Généralement, sur des chantiers dits pollués, les taux peuvent être de 20 à 100 fois supérieurs au seuil. Mais rarement au-delà. Et déjà, à ce stade, des protections très strictes doivent être prises pour protéger les ouvriers. Un suivi médical peut également être exigé ».

      Le secret est bien gardé, comme le montre une réunion du 6 mai dont le contenu a été rapporté par plusieurs sources à Mediapart.

      Ce jour-là, dans les bureaux de l’agence régionale de santé, se retrouvent autour de la table des responsables du laboratoire central de la préfecture de police, de la mairie de Paris, du centre antipoison, de la caisse régionale d’assurance maladie et de la direction du travail. La question rapidement débattue est : faut-il ou pas communiquer les résultats des prélèvements ?


      Carte des pollutions au plomb autour de Notre-Dame, résultats des prélèvements du laboratoire central de la préfecture de police de Paris, 6 mai 2019.

      La préfecture fait part de son embarras, certains de ses locaux étant touchés par cette pollution au plomb. Avec des taux deux fois supérieurs au seuil de vigilance, la biberonnerie et la salle « mille-pattes » de la crèche de la préfecture doivent être fermées pour une décontamination en urgence. Ce qui sera fait dans les jours qui suivent.

      Mais dans certains appartements de fonction, les taux peuvent aussi être jusqu’à cinq fois supérieurs au seuil de vigilance. Mediapart ne sait pas si des travaux y ont été depuis lors réalisés. De nouveaux prélèvements ont été faits par la préfecture pour vérifier l’état de ses locaux après décontamination. Ils n’ont pas, à ce jour, été communiqués aux agents.

      Toujours est-il qu’afin de ne pas alarmer ses propres agents, la préfecture explique lors de la réunion qu’elle ne souhaite pas publier les résultats de ces prélèvements. Réserve partagée par l’ARS qui affirme, quant à elle, ne pas vouloir répondre aux sollicitations des associations de riverains ou de défense de l’environnement. Elles n’auront qu’à se tourner vers la commission d’accès aux documents administratifs (Cada), expliquent posément les représentants de l’ARS, qui semblent avoir oublié leur mission première, celle de prévenir les risques sanitaires.

      Selon une personne présente à cette réunion, « l’ARS joue la montre. En ne communiquant pas sur les résultats, elle oblige les associations à s’adresser à la Cada et donc à s’engager dans un long parcours. Mais une fois qu’elles auront obtenu ces prélèvements, l’ARS pourra dire que ces résultats sont anciens et qu’ils ont depuis baissé. C’est d’un cynisme à toute épreuve ».

      Conclusion de cette réunion : le 9 mai, la préfecture et l’ARS signent un communiqué très laconique, qui minimise les risques, alors même que certains prélèvements sur les sols sont de 20 à 400 fois supérieurs au seuil réglementaire sur des sites très fréquentés, comme le pont et la fontaine Saint-Michel, lieux non fermés au public, ou certains squares, temporairement interdits mais rouverts depuis.

      En taisant les dangers de la sorte, les autorités veulent éviter un effet de panique et s’épargner une polémique.

      Contactée par Mediapart, la préfecture de police déclare « que le laboratoire central a fait des prélèvements en urgence qui ont été transmis en toute transparence à l’ARS, afin qu’elle prenne les dispositions nécessaires ».

      De son côté, jointe par Mediapart, l’ARS n’a pas contesté, dans un premier temps, les propos tenus lors de la réunion du 3 mai. Elle a expliqué « ne pas percevoir le problème qu’ils soulèvent ». Mais avant la publication de cet article, l’ARS nous a rappelés et expliqué qu’en fait, elle ne souhaitait ni infirmer ni confirmer les propos tenus lors de la réunion.

      L’agence explique avoir pris les précautions d’usage et avoir fait, à la demande de particuliers, des prélèvements qui ont, à ce jour, permis de découvrir un cas de saturnisme, sans que cela ne soit alarmant, selon l’agence.

      Selon nos informations, les derniers prélèvements effectués le 13 juin sur le chantier ont cependant donné des résultats d’un même ordre de grandeur que les précédents tests.

      Mais les associations, dont celle des familles victimes de saturnisme, ignorent tout de ces résultats. Leur demande auprès de l’ARS étant restée lettre morte, elles s’apprêtent, comme l’avaient imaginé les autorités, à saisir la Cada…

      L’une des riveraines, mobilisée sur cette question, explique « avoir plusieurs fois demandé des précisions. Mais l’ARS ou la préfecture entretiennent un flou qui n’est pas rassurant pour les familles. S’il n’y a pas de danger, comme ils l’affirment, il suffit de transmettre l’ensemble des prélèvements. Or, nous les attendons encore ».

      Sur le chantier, la direction régionale des affaires culturelles (Drac), maître d’ouvrage, opte elle aussi pour la politique de l’autruche. Et surtout, ne décrète aucune mesure pérenne pour protéger les salariés.

      Les contrôles de sécurité effectués sur le chantier ont révélé que des ouvriers sur place n’avaient reçu aucune formation à cet effet. Alors qu’ils manipulent des gravats contaminés, certains agissent sans masque ni gants.

      Les constats de l’inspection du travail ne s’arrêtent pas là. À plusieurs reprises, elle a relevé le non-respect des procédures réglementaires mais aussi de graves dysfonctionnements des sas de décontamination, dispositifs indispensables pour protéger les salariés du risque d’intoxication et éviter toute propagation de poussières à l’extérieur. Certaines douches de décontamination ne fonctionnent pas. Pire : certains sas de décontamination ont été installés au milieu d’une zone contaminée.

      Au bout du compte, les salariés peuvent aller et venir dans la cathédrale sans passer par ces sas. À l’extérieur, sur le parvis pollué, où les taux de plomb peuvent être 500 fois supérieurs au seuil autorisé, certains ouvriers travaillent sans aucune protection.

      Contacté par Mediapart, Bruno Courtois, expert en prévention du risque chimique et chargé du dossier « plomb » à l’Institut national de recherche et de sécurité (INRS), explique que « ces taux sont particulièrement élevés et s’agissant de poussières de plomb consécutives à un incendie, on peut supposer qu’il s’agit de particules très fines qui passent donc facilement dans le sang. Les mesures de prévention et de protection doivent donc être renforcées pour confiner le plomb. Les sas de décontamination permettent dans ces cas primordiaux d’éviter que les ouvriers ne rentrent chez eux avec les poussières de plomb ». Pourtant, rien de tel n’a été mis en œuvre sur le site de la cathédrale.

      Selon des sources proches du chantier, le ministère de la culture n’est pas mécontent que des ouvriers se promènent sans protection à l’extérieur de la cathédrale, n’éveillant ainsi aucune crainte parmi « les touristes ou les riverains ».

      En fait, la mairie de Paris avait proposé de décontaminer le parvis de la cathédrale – un chantier de deux semaines estimé à 450 000 euros. Pour cette phase spécifique de décontamination, les ouvriers devaient porter des scaphandres. Sous le couvert de l’anonymat, un proche du dossier confirme : « Des hommes en scaphandre sur le parvis de la cathédrale auraient effrayé les passants. L’existence d’un danger aurait été évidente. »

      Le ministère de la culture a donc préféré reprendre la main et a choisi de faire décontaminer la zone en quelques jours seulement, par des salariés peu protégés, et n’ayant pas revêtu les tenues d’usage. Cette précipitation a pour résultat que le parvis est aujourd’hui encore contaminé.

      Sourd aux différentes relances des contrôleurs, le ministère de la culture s’affranchit allègrement des règles du code du travail.

      Dès le 9 mai, l’inspection du travail a pourtant alerté la Drac, chargée des travaux sur le chantier, sur la nécessité de prévoir des mesures de protection contre les risques d’intoxication au plomb pour les salariés. Plus d’un mois plus tard, le 19 juin, le constat des ingénieurs de sécurité de la caisse régionale d’assurance maladie d’Île-de-France (la Cramif), également chargée de contrôler le chantier, demeure accablant : « Les taux de concentration en plomb dans les poussières sont élevés et largement au-dessus du seuil réglementaire. Les salariés sont donc toujours exposés à des risques d’intoxication par le plomb […], les installations dédiées à la décontamination des salariés ne répondent pas aux dispositions du code du travail. »

      Le cabinet du ministre de la culture Franck Riester assure auprès de Mediapart que « des mesures ont été prises », sans pouvoir préciser lesquelles et explique qu’une réunion avec la direction du travail s’est tenue le 27 juin pour que « tout se passe au mieux ». Mais cela n’a rien arrangé. Les procédures de décontamination demeurent très en deçà des exigences réglementaires.

      Le ministère de la culture profite d’une situation qui lui est favorable. Le maître d’ouvrage relevant du droit public, l’inspection du travail ne peut ni le verbaliser ni le mettre en demeure.

      Contactées par Mediapart, ni la Cramif ni la direction de l’inspection du travail n’ont accepté de répondre à nos questions.

      La mairie de Paris affirme avoir fait une série de prélèvements dans les établissements scolaires situés dans les alentours de la cathédrale, dont les résultats, rendus publics, sont conformes aux seuils autorisés. Quant aux mesures de l’espace public, « elles relèvent de la préfecture et de l’ARS. La mairie de Paris plaide pour une transparence mais, précise-t-elle, nous ne pouvons nous substituer à l’État ».

      Les pressions exercées sur le chantier sont fortes. Comme nous l’explique l’un des intervenants, « à chaque fois que les risques d’intoxication au plomb sont abordés, on nous rappelle “l’urgence impérieuse de consolider l’édifice”. C’est comme cela qu’on écarte le danger du plomb ».

      Une des personnes chargées du suivi des prélèvements déplore que « les instances de l’État se comportent comme lors de la catastrophe de Tchernobyl en 1986. C’est aussi absurde que le nuage qui n’a pas traversé les frontières. Le plomb est resté au-dessus de la cathédrale ».

      Un salarié du ministère de la culture regrette que « toute communication sur le chantier [soit] contrôlée. On n’a pas accès à beaucoup d’information et ceux qui s’en occupent, le service des monuments historiques, sont connus pour être des taiseux contrairement aux archéologues qui se font entendre s’il y a un problème. Donc c’est la loi du silence ».

      Une « loi du silence » qui convient parfaitement au gouvernement et aux autorités sanitaires. Pourtant, les langues se délient et certaines entreprises contactées par Mediapart font part de leurs inquiétudes, ne souhaitant pas devenir des « boucs émissaires » en cas de scandale. « On tente déjà de nous faire porter la responsabilité de l’incendie. Il y a une pression énorme qui est mise sur tous les intervenants et le ministère de la culture n’assume même pas ses responsabilités en tant que maître d’ouvrage. Rien n’est fait pour préserver la sécurité et la santé des ouvriers. On nous demande de faire le travail que doit faire normalement le maître d’ouvrage », déplore l’un des chefs d’entreprise.

      Le projet de loi pour Notre-Dame de Paris, en cours d’adoption, prévoit notamment la création d’un établissement public et des dérogations aux règles d’urbanisme et de protection de l’environnement. Sur le chantier, cette perspective inquiète de nombreux intervenants selon lesquels les dangers pour la santé et l’environnement risquent de s’accroître en toute opacité.

    • Ni l’agence régionale de santé ni la préfecture de police de Paris n’ont communiqué ces résultats aux riverains, minimisant les dangers encourus.

      Et c’est pas n’importe quels riverain·es. Celleux là obtiendrons dédommagements et réparation par millions, c’est pas comme si des pauvres étaient exposé à des logements insalubres.

  • En #Belgique aussi, des #Médias sous influence
    https://lemediapresse.fr/international/en-belgique-aussi-des-medias-sous-influence

    En Belgique, aucun milliardaire n’est à la tête des principaux journaux francophones du pays. Pourtant, la majorité des titres de #Presse a tout autant tendance à se ranger du côté de l’ordre établi. Entre emprise de la publicité, précarisation de la profession de journaliste et logiques gestionnaires, tour d’horizon d’un secteur sous influence.

    #International #Arnault #Bolloré #Critique_des_médias #DH #droit_du_travail #oligarques #précarité #salariat #SudPresse #Wallonie

  • Indemnités prud’homales : le plafonnement de nouveau jugé contraire au droit international
    https://www.lemonde.fr/politique/article/2019/01/06/indemnites-prud-homales-le-plafonnement-de-nouveau-juge-contraire-au-droit-i

    Deux jugements en six jours écartent cette disposition s’appliquant à un salarié victime d’un licenciement injustifié et à laquelle Macron est très attaché.

    Des juges sont-ils entrés en rébellion contre les ordonnances de septembre 2017 sur le code du travail ? Pour la deuxième fois en quelques jours, un tribunal a estimé contraire aux engagements internationaux de la France une des mesures emblématiques de cette réforme : le plafonnement des indemnités accordées par la justice à un salarié victime d’un « licenciement sans cause réelle et sérieuse ». C’est le conseil de prud’hommes d’Amiens qui a rendu cette décision, le 19 décembre 2018, comme le signale le site d’informations Actuel RH. Le jugement, que Le Monde a pu consulter, est similaire à celui rendu six jours auparavant par les conseillers prud’homaux de Troyes. Il a pour effet d’écarter une disposition à laquelle Emmanuel Macron est très attaché puisqu’elle figurait dans son programme de campagne.

    L’affaire tranchée à Amiens concerne Fidèle T., employé dans un commerce d’alimentation générale. Celui-ci avait saisi les prud’hommes en février 2018 après avoir appris que son patron voulait le licencier pour faute grave. Les juges ont considéré que la rupture du contrat de travail était infondée et qu’il fallait dès lors dédommager le salarié pour le préjudice subi. Or, ont-ils rappelé dans leur décision, la convention n° 158 de l’Organisation internationale du travail (OIT) indique qu’une juridiction nationale, en cas de congédiement injustifié, doit pouvoir ordonner l’octroi d’une « indemnité adéquate » ou toute autre forme de réparation « appropriée ».

    Dans le cas de Fidèle T., le barème prévoit « une indemnité à hauteur d’un demi-mois de salaire », selon le conseil de prud’hommes d’Amiens. Cette somme ne peut être vue « comme étant appropriée et réparatrice ». A l’appui de leur démonstration, les juges soulignent que « dans le cadre d’un licenciement sans cause réelle et sérieuse, le salarié subit irrémédiablement un dommage (…), d’ordre psychique mais également (…) financier » puisque ses revenus baissent de façon substantielle, une fois qu’il est privé d’emploi.

    Conclusion, pour les conseillers prud’homaux d’Amiens : les textes issus de la réforme de 2017 « sont contraires à la convention 158 de l’OIT » et l’entreprise est condamnée à verser à un dédommagement de 2 000 euros, soit un montant dont les juges sous-entendent qu’il est supérieur à ce qui est fixé dans les ordonnances.

    Précision importante : le jugement du 19 décembre 2018 a été rendu par une formation dans laquelle siégeaient deux conseillers salariés et deux conseillers employeurs, ce qui signifie que l’un de ces derniers, au moins, adhérait à l’analyse juridique développée dans la décision.

    • Le plafonnement des indemnités prud’homales jugé contraire au droit international
      https://www.lemonde.fr/politique/article/2018/12/14/le-plafonnement-des-indemnites-prud-homales-juge-contraire-au-droit-internat

      Instauré en 2017 par les ordonnances Macron, ce dispositif, qui s’applique à un salarié qui aurait été licencié de manière infondée, serait contraire à la convention de l’Organisation internationale du travail.

      Le débat sur la réforme du code du travail, qui fit rage en 2017, vient de rebondir devant le conseil de prud’hommes de Troyes. Dans cinq litiges, cette juridiction vient de juger contraire aux engagements internationaux de la France une des mesures les plus importantes adoptées l’an passé : le plafonnement des dommages-intérêts qu’un tribunal accorde à un salarié victime d’un licenciement « sans cause réelle et sérieuse ».

      Une disposition très controversée à laquelle Emmanuel Macron tient beaucoup : il l’avait inscrite dans son programme de campagne après avoir – vainement – tenté de la mettre en place quand il était ministre de l’économie, sous le quinquennat de François Hollande.

      Les jugements rendus jeudi 13 décembre constituent une première. L’un d’eux, que Le Monde a pu consulter, fait suite à un différend entre un homme et l’ancienne entreprise où il travaillait. Jean-Paul G. avait saisi les prud’hommes de Troyes, courant février, quelques jours après avoir appris que son employeur voulait le congédier, en raison de difficultés économiques.

      Dans sa demande, le salarié avait – notamment – exprimé le souhait que soit écarté le barème obligatoire instauré en 2017, au motif que celui-ci ne respecte pas deux textes : la convention 158 de l’Organisation internationale du travail (OIT) et la Charte sociale européenne. Celles-ci prévoient qu’une juridiction, en cas de licenciement infondé, doit pouvoir ordonner le versement au salarié d’une « indemnité adéquate » ou toute autre forme de réparation « appropriée ».

      Les prud’hommes ont donné gain de cause à Jean-Paul G. Pour eux, la réforme de 2017 a eu comme effet d’introduire « un plafonnement limitatif des indemnités prud’homales [qui] ne permet pas aux juges d’apprécier les situations individuelles des salariés injustement licenciés dans leur globalité et de réparer de manière juste le préjudice qu’ils ont subi ».

      En outre, les montants maximaux fixés dans le barème « ne permettent pas d’être dissuasifs pour les employeurs qui souhaiteraient licencier sans cause réelle et sérieuse » : ils « sécurisent davantage les fautifs que les victimes et sont donc inéquitables ».

      Une précision importante : la décision de jeudi a été rendue par une formation collégiale, composée de deux conseillers salariés et de deux conseillers employeurs, ce qui signifie que l’un de ces derniers, au moins, était favorable à l’analyse juridique développée dans le jugement.
      « Elle me paraît très pertinente », commente Pascal Lokiec, professeur à l’école de droit de la Sorbonne. A ses yeux, la réforme de 2017 a fixé des niveaux d’indemnité minimaux et maximaux qui laissent très peu de « marge d’appréciation » au juge dans certaines situations.

    • Prud’hommes : le barème Macron a-t-il du plomb dans l’aile ? - L’Express L’Entreprise
      https://lentreprise.lexpress.fr/rh-management/droit-travail/prud-hommes-le-bareme-macron-a-t-il-du-plomb-dans-l-aile_205618

      Le plafonnement des indemnités pour licenciement abusif a encore été retoqué par des juges prud’homaux. Le début d’une série ?

      Après le conseil des prud’hommes de Troyes (13 décembre), deux autres tribunaux viennent de contester l’une des mesures phares des ordonnances Travail de 2017 que constitue le barème Macron, plafonnant les indemnités accordées à un salarié licencié sans cause réelle et sérieuse. Il s’agit de celui d’Amiens (19 décembre) et de celui de Lyon* (21 décembre). De quoi donner de l’espoir aux opposants à cette disposition. Même si le débat reste entier.
      […]
      Mais d’autres ont pris des décisions inverses.

      Le 26 septembre dernier, le conseil des prud’hommes du Mans a validé le même barème. Chaque décision peut être brandie par les deux camps adverses et rien ne permet de préjuger des positionnements à venir des autres conseils de prud’hommes appelés à se prononcer sur des licenciements abusifs. Avec trois conseils des prud’hommes « anti-barème », on peut néanmoins déjà noter une certaine rébellion qui pourrait faire contagion.

  • Un coursier est-il employé d’une startup de livraison ? La Cour de Cassation reconnaît un lien de subordination
    https://www.numerama.com/business/443473-un-coursier-est-il-employe-dune-startup-de-livraison-la-cour-de-cas

    L’arrêt n°1737 de la Cour de cassation souligne le lien de subordination entre un livreur de Take It Easy et son ancien employeur. Le dossier de requalification de son emploi en salariat est ainsi renvoyé à la Cour d’appel de Paris En avril 2016, un coursier qui travaillait pour la société de livraison de nourriture Take It Eas comme travailleur indépendant avait demandé la requalification de son contrat en contrat de travail. 4 mois plus tard, le concurrent de Deliveroo cessait toute activité. Mais (...)

    #Deliveroo #travail #géolocalisation #procès #TakeItEasy

    //c1.lestechnophiles.com/www.numerama.com/content/uploads/2016/07/take-eat-easy-office.jpg

  • Les entreprises suisses violent régulièrement les droits humains

    Presque une fois par mois, une multinationale suisse est impliquée à l’étranger dans des violations des droits humains ou des normes environnementales. L’analyse de Pain pour le prochain et Action de Carême a recensé au moins 64 incidents de ce type au cours des six dernières années, qui sont imputables à 32 entreprises suisses. Ces chiffres illustrent la faiblesse des mesures volontaires et l’urgence de l’initiative pour des multinationales responsables, qui exige des entreprises une meilleure évaluation des risques liés aux droits humains et à l’environnement.
    De l’or extrait illégalement finit dans les raffineries suisses, des enfants travaillent dans des carrières exploitées par des fournisseurs de l’industrie du ciment, les entreprises de matières premières polluent le sol, l’eau et l’air. Les activités à l’étranger d’entreprises suisses font régulièrement la une des journaux. Les organisations de développement Action de Carême et Pain pour le prochain ont compilé et analysé des cas connus ces dernières années. Le résultat est choquant : entre 2012 et 2017, des entreprises suisses ont été impliquées au moins 64 fois dans des violations à l’étranger des droits humains ou des normes environnementales.

    https://painpourleprochain.ch/les-entreprises-suisses-violent-regulierement-les-droits-humains
    #droits_humains #Suisse #multinationales #matières_premières #extractivisme #agro-industrie #banques #santé #droit_à_la_santé #industrie_agro-alimentaire #géographie_de_la_mondialisation #droit_du_travail #environnement #travail_des_enfants

    v. une analyse plus détaillée ici :


    https://voir-et-agir.ch/content/uploads/2018/03/Factsheet_KoVI_F.pdf

    Concernant le droit des enfants :

    Le travail des enfants est en cause dans 6 % des cas, par
    exemple dans les plantations de cacao ou de #palmiers_à_huile
    des sous-traitants de Nestlé en Côte d’Ivoire et en Indonésie,
    dans des entreprises de pêche en Thaïlande ayant fourni #Nestlé (chez qui du travail forcé a également été observé) ou chez
    les fournisseurs de matières premières de #LafargeHolcim en
    Ouganda. Valcambi a acheté de l’or d’un gisement informel togolais où le travail des enfants était monnaie courante. Il est
    également reproché à #Japan_Tobacco International d’utiliser du
    #tabac issu de #plantations employant des enfants.

    #exploitation

    #Glencore

    ping @albertocampiphoto @marty @mathieup

    4 % des cas concernent le #travail_forcé. Citons par exemple l’importation d’#or extrait illégalement au Pérou et ayant
    fini sa course dans les #raffineries de #Pamp et de #Metalor ou
    encore les conditions abusives sur les chantiers de construction
    des stades destinés aux coupes du monde de football en Russie et au Qatar.

    ping @reka

    • Glencore attackiert indigene Bäuerinnen

      Aussenminister Ignazio Cassis ist voll des Lobes über den Rohstoff-Multi. Nun zeigt ein Video, wie brutal Glencore gegen Bäuerinnen in Peru vorgeht.

      Ignazio Cassis ist beeindruckt. In einem Tweet schwärmte der FDP-Bundesrat diese Woche von seinem Besuch in einer Mine des Schweizer Rohstoffmultis Glencore in Sambia (Foto oben rechts). Es war dieselbe Mine, über die Menschenrechtsorganisationen seit Jahren berichten. Unter anderem darüber, dass Nachbarn des Kupferschmelzwerks erkranken, weil es riesige Mengen von Schwefeldioxid ausstösst.

      Glencore war entzückt vom Tweet des Aussenministers und nutzte ihn sogleich für Werbung in eigener Sache.

      Am Samstagabend äusserte sich Cassis im «Echo der Zeit» erstmals selbst. Er hält an seiner Meinung fest: «Die Richtung stimmt. Natürlich ist es noch nicht überall zu 
100 Prozent gut.»
      «Dieses Unternehmen ist ein Monster!»

      Just diese Woche tauchten ­Videoaufnahmen aus einer anderen Glencore-Mine auf. Es ist die Kupfermine von Antapaccay in Peru, die Aufnahmen datieren vom 29. Dezember. Sie zeigen, wie ­Sicherheitspersonal Bäuerinnen mit Steinen attackiert. Eine Frau wird von den Glencore-Mitarbeitern zu Boden gerissen. In den Aufnahmen, die ein peruanischer Journalist gemacht hat, sagt eine betroffene Bäuerin: «Sie nehmen uns das Recht, zu leben.» Sie deutet auf die Bagger und sagt: «Seht, wie sie uns zerstört haben, sie haben uns nicht befragt und haben keinen Respekt.» Die Frau weiter: «Weil sie Geld haben, missbrauchen sie uns. Dieses Unternehmen ist ein Monster!»

      Glencore weist die Vorwürfe zurück: Eine einzelne Familie sei unbefugt auf das Gelände der Mine vorgedrungen und habe Sicherheitspersonal und Mitarbeiter mit Steinen beworfen. Vier Sicherheitsleute sind laut Glencore verletzt worden. Aus Sorge um die Sicherheit habe Glencore die Staatsanwaltschaft kontaktiert.

      Daraufhin habe die örtliche Polizei das Grundstück betreten, um wieder Ordnung herzustellen. Glencore habe rechtliche Schritte gegen die Bäuerinnen eingeleitet.
      Vertreibung oder rechtmässig entschädigt?

      Paul Mathis, einem Mitarbeiter 
der Nichtregierungsorganisation (NGO) Comundo, die sich in Lateinamerika für soziale Gerechtigkeit einsetzt, ist die Situation in der Glencore-Mine bekannt. Er arbeitet in der NGO als Verantwortlicher für die Länder Bolivien und Peru.

      Die Besitzverhältnisse bei der Erweiterung der Mine seien unklar, so Mathis. Glencore behaupte, dass die Bauern für ihr Land entschädigt worden seien. Die Bauern wiederum pochen darauf, man habe sie widerrechtlich vertrieben.
      Klar ist: Die peruanische Regierung räumt dem Bergbau hohe Priorität ein. Konzessionen werden in der Hauptstadt Lima vergeben. Von Gesetzes wegen müsste die betroffene Bevölkerung konsultiert werden. In welchem Umfang das getan wird, sei unklar, sagt Paul Mathis.

      Grund dafür sei unter anderem der markante Rassismus der Stadtbewohner gegenüber der indigenen Landbevölkerung. Mathis: «Glencore ist sich bewusst, dass deshalb wenig Rücksicht auf die lokale Bevölkerung genommen werden muss.»
      «Um jeden Preis» Mine vergrössern

      Die Aufnahmen sind ein Steilpass für Tom Cassee von der Konzernverantwortungsinitiative. Sie verlangt, dass internationale Konzerne für Menschenrechtsverstösse vor Schweizer Gerichten zur Verantwortung gezogen werden können. Cassee: «Die verstörenden Filmaufnahmen aus Peru zeigen, dass Glencore ihre Mine um jeden Preis vergrössern will – auch mit Gewalt gegen indigene Bäuerinnen.»

      Bunderat Cassis will sich zu den Vorwürfen gegen Glencore in Peru nicht äussern. «Aussenminister Cassis hat eine Mine in Sambia besucht, nicht in Peru», hält sein Sprecher fest. 


      https://www.blick.ch/news/wirtschaft/waehrend-cassis-vom-rohstoffmulti-schwaermt-glencore-attackiert-indigene-baeue

  • 104 CDD à la suite... mais l’entreprise n’a pas abusé - L’Express L’Entreprise
    https://lentreprise.lexpress.fr/rh-management/droit-travail/104-cdd-a-la-suite-mais-l-entreprise-n-a-pas-abuse_2030654.html

    Les tribunaux ne doivent plus dans ce cas opter pour la requalification automatique en CDI, dit la Cour de cassation.

    J’ai l’impression qu’on manque de plus en plus d’air par ici.
    #cdd #cdi #exploitation #tribunal #prud'hommes #droit_du_travail

  • Avec #Deliveroo, l’inspection du #Travail s’attaque à l’ubérisation
    https://www.mediapart.fr/journal/economie/130318/avec-deliveroo-l-inspection-du-travail-s-attaque-l-uberisation

    Un livreur Deliveroo à #paris, en avril 2017. © Reuters/Charles Platiau Selon l’inspection du travail et l’Urssaf, Deliveroo n’emploie pas de vrais indépendants, et devrait traiter ses #livreurs comme des salariés classiques. Le #parquet est saisi à Paris et à Nantes. Le danger est réel pour cet emblème d’une société « ubérisée », pour l’instant couvert par la #Justice.

    #Economie #Code_du_travail #coursiers #droit_du_travail #inspection_du_travail #micro-entrepreneurs #social #Take_eat_easy #ubérisation

    • Camarades cheminots, votre combat ne sera pas seulement celui pour vos intérêts professionnels, catégoriels ou personnels, aussi légitimes soient-ils. Il sera aussi et surtout celui de garder à notre pays un bien qui lui est précieux. Il y a des moments, où chacun à sa place, on est porteur de l’intérêt national. « Celui qui est désigné doit marcher » disait Péguy. Vous aurez bien sûr en face de vous la partie servile des médias qui vous insultera et vous reprochera de prendre les usagers en otage. Vous aurez les sondages bidons, l’arrogance cassante de la caste et les capitulations des syndicats jaunes. Ne vous laissez pas intimider.

      Quelles que soient les formes de lutte que vous choisirez, nous vous soutiendrons et rappelez-vous que les seuls combats que l’on perd sont ceux qu’on refuse de livrer.

      Régis de Castelnau

      #AvecLesCheminots

      https://seenthis.net/messages/672481

      https://seenthis.net/messages/672655
      Eloge de la grève

  • Un maître d’hôtel et un fonctionnaire jugés pour avoir prouvé des délits
    https://www.mediapart.fr/journal/france/270218/un-maitre-d-hotel-et-un-fonctionnaire-juges-pour-avoir-prouve-des-delits

    Le ministère public a requis, le 26 février, la relaxe pour #Philippe_Pascal, ancien inspecteur de l’Urssaf, poursuivi pour avoir transmis à la #Justice des #enregistrements_clandestins prouvant le harcèlement moral de l’ancien président de la CCI d’Avignon. Mais le tribunal a tout fait pour montrer que ces enregistrements constituaient une violation de la vie privée.

    #France #droit_du_travail #François_Mariani #Fraude_fiscale #fraude_sociale #Urssaf

  • A Avignon, un maître d’hôtel et un fonctionnaire jugés pour avoir prouvé des délits
    https://www.mediapart.fr/journal/france/270218/avignon-un-maitre-dhotel-et-un-fonctionnaire-juges-pour-avoir-prouve-des-d

    Le ministère public a requis, le 26 février, la relaxe pour #Philippe_Pascal, ancien inspecteur de l’Urssaf, poursuivi pour avoir transmis à la #Justice des #enregistrements_clandestins prouvant le harcèlement moral de l’ancien président de la CCI d’Avignon. Mais le tribunal a tout fait pour montrer que ces enregistrements constituaient une violation de la vie privée.

    #France #droit_du_travail #François_Mariani #Fraude_fiscale #fraude_sociale #Urssaf

  • Un lanceur d’alerte et un fonctionnaire jugés pour avoir prouvé des délits
    https://www.mediapart.fr/journal/france/270218/un-lanceur-d-alerte-et-un-fonctionnaire-juges-pour-avoir-prouve-des-delits

    Le ministère public a requis, le 26 février, la relaxe pour #Philippe_Pascal, ancien inspecteur de l’Urssaf, poursuivi pour avoir transmis à la #Justice des #enregistrements_clandestins prouvant le harcèlement moral et les pratiques frauduleuses de l’ancien président de la CCI d’Avignon. Mais à l’audience, le tribunal s’est échiné à prouver qu’il s’agissait d’une violation de la vie privée. Comme si l’affaire Bettencourt n’avait pas existé.

    #France #droit_du_travail #François_Mariani #Fraude_fiscale #fraude_sociale #Urssaf

  • Un lanceur d’alerte et un fonctionnaire jugés pour avoir prouvé des délits
    https://www.mediapart.fr/journal/france/270218/un-lanceur-dalerte-et-un-fonctionnaire-juges-pour-avoir-prouve-des-delits

    Le ministère public a requis, le 26 février, la relaxe pour #Philippe_Pascal, ancien inspecteur de l’Urssaf, poursuivi pour avoir transmis à la #Justice des #enregistrements_clandestins prouvant le harcèlement moral et les pratiques frauduleuses de l’ancien président de la CCI d’Avignon. Mais à l’audience, le tribunal s’est échiné à prouver qu’il s’agissait d’une violation de la vie privée. Comme si l’affaire Bettencourt n’avait pas existé.

    #France #droit_du_travail #François_Mariani #Fraude_fiscale #fraude_sociale #Urssaf

  • Carmina Burana : tournée d’enfer pour les danseurs
    https://www.franceculture.fr/danse/carmina-burana-tournee-denfer-pour-les-danseurs

    Depuis début novembre, le spectacle Carmina Burana remplit les zéniths de France. Mais cet engouement pour le ballet classique cache les conditions de travail déplorables d’artistes venus d’Europe centrale et de l’Est. Deux danseuses ont témoigné auprès de la CGT qui a saisi l’inspection du travail.

    #danse #exploitation #droit_du_travail #aramé_production #france_concert #carmine_burana

  • Elèves #handicapés, salariés et #collectivités subissent la méthode #Vortex
    https://www.mediapart.fr/journal/france/041217/eleves-handicapes-salaries-et-collectivites-subissent-la-methode-vortex

    Comment une entreprise, poursuivie des centaines de fois aux prud’hommes, rappelée à l’ordre par les organismes de contrôle, peut-elle continuer à travailler pour les collectivités publiques ? La société Vortex transporte des élèves handicapés aux frais des départements. Une plainte au pénal a été déposée contre ses dirigeants. Premier volet de notre enquête sur la société Vortex.

    #France #argent_public #conseils_départementaux #délégation_de_services_publics #droit_du_travail #salaires #transport_scolaire

  • #ordonnances : une réforme injuste et déjà périmée
    https://www.mediapart.fr/journal/economie/271117/ordonnances-une-reforme-injuste-et-deja-perimee

    Les députés votent ce mardi 28 novembre la ratification des ordonnances réformant le #Code_du_travail, la libération du processus de « destruction créatrice » tant souhaité par #Emmanuel_Macron. Gageons sans prendre trop de risques que le président de la République veut bien tout casser, sauf le système lui-même.

    #Economie #droit_du_travail #loi_travail_saison_2 #Muriel_Pénicaud #syndicats

  • #ordonnances ratifiées, #droit_du_travail en danger
    https://www.mediapart.fr/journal/france/271117/ordonnances-ratifiees-droit-du-travail-en-danger

    Les députés votent ce mardi 28 novembre la ratification des ordonnances réformant le code du travail, la libération du processus de « destruction créatrice » tant souhaitée par #Emmanuel_Macron. Gageons sans prendre trop de risques qu’Emmanuel Macron veut bien tout casser, sauf le système lui-même.

    #France #Economie #loi_travail_saison_2 #syndicats

  • « Dans la sous-traitance hôtelière, c’est de l’esclavage moderne » - Libération
    http://www.liberation.fr/france/2017/11/26/dans-la-sous-traitance-hoteliere-c-est-de-l-esclavage-moderne_1612701

    En charge du nettoyage du Holiday Inn de Clichy-la-Garenne, les salariés de Héméra sont en grève depuis le 19 octobre contre des mutations et les cadences infernales. La direction reste sourde .

    La grève s’éternise. Depuis plus d’un mois, des salariés d’une entreprise sous-traitante, Héméra, qui gère le nettoyage de l’hôtel Holiday Inn de Clichy-la-Garenne (Hauts-de-Seine), ont entamé leur mouvement de protestation. Multipliant les actions pour faire entendre leurs revendications face à une direction impassible. Jeudi soir, onze fantômes ouvrent le cortège dans la nuit. C’est le déguisement qu’ont choisi ces salariés en grève pour attirer l’attention sur leur sort. Une centaine de personnes sont venues à Clichy manifester à leurs côtés. « Ces travailleurs sont des salariés invisibles », lance le responsable du syndicat CGT des hôtels de prestige et économiques (HPE), Claude Levy.

    Le défilé est parti du Holiday Inn de Clichy et s’est terminé devant la mairie. « Sous-traitance, maltraitance ! » « Frottez, frottez, il faut payer. L’esclavage, c’est fini ! » : voilà quelques-uns des slogans qui ont retenti dans le centre-ville. En soutien au mouvement, des travailleurs, des Clichois et des syndiqués ont protesté contre les méthodes de travail de Héméra. Lancé pour dénoncer la mutation d’une gouvernante, la deuxième en six mois, le mouvement s’est étendu à d’autres revendications. Outre la suppression de la clause de mobilité figurant dans leurs contrats, les grévistes demandent l’arrêt du paiement à la chambre (illégal pour un salarié), le règlement des heures supplémentaires, une prime de 13e mois et, surtout, leur embauche directe par le donneur d’ordre, Holiday Inn.

    « Six jours sur sept »

    L’entreprise de sous-traitance Héméra a décroché le 19 décembre 2016 un contrat d’un an avec l’hôtel de Clichy. Elle a récupéré de fait les 35 salariés du nettoyage, en majorité immigrés, qui travaillaient déjà pour le précédent prestataire - comme le prévoit la convention collective du secteur si ceux-ci ont au moins quatre mois d’ancienneté. Depuis, leurs acquis sociaux seraient « bafoués », dénonce Mirabelle Nsang, 43 ans, gouvernante d’origine camerounaise et représentante de la section syndicale CNT-Solidarité ouvrière à Héméra. Elle s’insurge : « Nos plannings ont changé, on travaille six jours sur sept. Nos deux jours de repos consécutifs ont disparu. Avant, les femmes de chambre devaient nettoyer 17 chambres en sept heures. Avec Héméra, on leur demande de faire 20 à 25 chambres. On finit plus tard et on n’est pas payés. On avait droit à un week-end par mois et certains salariés n’en ont même pas eu. Héméra a tout détruit. » La situation concerne selon elle des femmes de chambre, des gouvernantes, des équipiers et des plongeurs. Mirabelle Nsang dénonce également le « harcèlement » de la cheffe de site : « Elle ne te donne que des chambres à faire après des séjours de longue durée, où elles sont plus sales, pour te faire mal. Elle veut réformer son équipe pour être entourée de gens qui disent oui à tout. »

    Douleurs physiques

    « Nous, les immigrés, on mène ce combat car nous n’avons pas d’autre choix », assure Mirabelle Nsang. Ils espèrent que l’issue sera positive, comme cela a été le cas dans différents dossiers ces dernières années : en 2015 notamment, un mouvement de grève avait contraint le groupe Louvre Hotels à intégrer des femmes de chambre dans cinq de ses établissements.

    A Clichy, au premier jour du mouvement, 33 salariés sur 35 étaient en grève. Leur nombre a ensuite diminué progressivement pour se stabiliser à 11, « le noyau dur », comme l’indique cette mère de famille qui travaille dans l’hôtel depuis onze ans. « Les autres grévistes ont repris le travail après avoir subi des pressions d’autres syndicats », accuse la représentante CNT-SO. Pour Eric, 35 ans, équipier dans l’hôtel depuis dix ans et délégué syndical de FO, « le conflit est légitime. On en avait ras-le-bol de cette situation, c’est un système qui pousse les gens à craquer ». Il n’oublie pas les provocations de la cheffe de site, qui lui répétait : « L’aspirateur est ta copine », ou encore « mon petit-fils de 2 ans passe l’aspirateur mieux que toi ». Ce père de deux enfants raconte avoir été « blessé » par ces « propos désobligeants » et qu’il se rendait sur son lieu de travail la « boule au ventre ». Les mutations de deux salariées de Héméra, qu’il qualifie d’« arbitraires et brutales », ont été l’élément déclencheur de la grève qui a débuté le 19 octobre.

    Contactées par Libération, la société Héméra et la directrice de l’hôtel Holiday Inn de Clichy, dont le comportement est mis en cause par les grévistes, n’ont pas souhaité répondre à nos sollicitations. Le groupe Intercontinental, poids lourd hôtelier à l’échelle mondiale et propriétaire de la marque Holiday Inn, nous a fait parvenir cette unique réponse : « Un petit nombre d’employés travaillant pour un prestataire de services ont choisi de se mettre en grève en raison d’un différend avec leur employeur à propos de leurs salaires et de leurs avantages. L’équipe de direction de ce sous-traitant a immédiatement ouvert le dialogue pour trouver un accord avec les syndicats et faire en sorte que le personnel puisse retourner rapidement au travail, sans que cela n’affecte nos clients ni la qualité de nos services. »

    « Peur de parler »

    Juriste au syndicat CNT-SO, Etienne Deschamps n’a pas le même souvenir des négociations. Au premier jour de la grève, il a rencontré avec d’autres représentants Carlos Goncalvez, le directeur d’exploitation de Héméra : « Nous lui avons dit que si les mutations prévues étaient annulées, les salariés reprendraient le travail immédiatement, avec le paiement de la journée de grève et un calendrier de négociations fixé maintenant pour le reste des revendications. » Une réponse de l’entreprise de nettoyage devait arriver dans l’après-midi. Une délégation, accompagnée du juriste de la CNT-SO, est finalement reçue le 26 octobre, sept jours après, par le PDG de Héméra, Denis Schiavone, en présence de Goncalvez : le refus de revenir sur la clause de mobilité est notifié aux grévistes. Le lendemain, des policiers en verbalisent neuf d’entre eux pour nuisances sonores. 68 euros d’amende chacun. Depuis le début de la grève, déplore Mirabelle Nsang, « la directrice de l’hôtel n’est même pas sortie nous voir pour nous demander ce qui se passe ». Alors qu’elle nous parle, un salarié de l’hôtel sort de l’établissement et bouscule une syndicaliste tandis qu’un autre, dont la journée de travail vient de se terminer, insulte une gréviste.

    Le quotidien des employés de la sous-traitance est rude. De nombreuses femmes seules habitent loin de leur lieu de travail. Illiana Saintulme, 48 ans, mère de quatre enfants, fait les allers-retours depuis Sarcelles (Val-d’Oise). « Je mets une heure trente en transports, avec trois changements, pour venir travailler. » Cette femme de chambre est employée dans l’hôtel depuis onze ans. Elle se plaint de douleurs physiques. Mais aussi de pressions morales. Et dénonce les cadences infernales qui seraient imposées par l’entreprise de sous-traitance. Soit trois chambres par heure (alors que, selon la CGT, il faut au moins vingt-cinq à trente minutes pour en nettoyer une seule). Elle assure avoir dû parfois venir travailler « sept jours sur sept ». Pourtant, malgré un contrat à temps plein (sept heures par jour), Illiana Saintulme explique ne pas toujours recevoir l’intégralité de sa paie. « A la fin du mois, leur salaire est calculé en fonction du nombre de chambres qu’elles ont réussi à faire, dénonce Claude Levy, de la CGT HPE. Et quand le compte n’y est pas, au regard des cadences imposées de manière informelle, on leur enlève des jours en prétextant des absences autorisées. » « Celles qui sont vraiment prises pour de la chair à canon, ce sont les femmes de chambre qui ont un contrat à temps partiel de quatre à cinq heures par jour, avec 20 à 30 chambres à faire, sans être payées pour les heures supplémentaires. Ce sont essentiellement des femmes immigrées qui sont concernées », poursuit le syndicaliste. Avant d’ajouter : « Ce qui se passe dans la sous-traitance hôtelière, c’est de l’esclavage moderne. » Selon le militant cégétiste, les onze grévistes ont saisi les prud’hommes pour travail dissimulé. Pour tenir financièrement, les syndicats CGT HPE et CNT-SO ont distribué un chèque de solidarité de 400 euros à chacun.

    Depuis le début du mouvement, « la direction de Holiday Inn refuse de laisser entrer les délégués syndicaux dans le hall de l’hôtel, c’est un délit d’entrave à l’exercice du droit syndical », dénonce Claude Levy.

    Sur demande du syndicat, un huissier de justice s’est rendu jeudi sur le site. La direction a du coup autorisé l’accès à Mirabelle Nsang et son collègue de FO pour la journée, mais l’huissier mandaté par l’hôtel « veillait et notait ce que disaient les délégués au personnel Héméra non gréviste », selon un syndicaliste. « Une femme de chambre non gréviste a expliqué que les conditions de travail restent identiques, tandis que deux autres nous ont dit "avoir peur de parler" », raconte Mirabelle Nsang. Ces derniers jours, les grévistes sont allés manifester dans les halls d’entrée des Holiday Inn de Paris-Notre-Dame et Paris-Gare de l’Est. Le soir de Halloween, ils s’étaient déguisés pour dénoncer « des patrons sorciers ». La grève continue.
    Rémy Descous-Cesari

    #exploitation #hôtellerie #femmes_de_chambre #sous_traitance #syndicats ##Holyday_Inn #grève #droit_du_travail

  • À propos de l’émission « Dans le ventre de l’hôpital » diffusée ce soir sur ARTE et dont le résumé figure ci dessous :

    A l’Hôpital Saint-Louis, à Paris, le bloc opératoire regroupant les activités chirurgicales fonctionne à la chaîne : quatorze salles en ligne ayant pour objectif de pratiquer chacune quotidiennement huit à dix interventions. L’organisation du travail, hyper-sophistiquée, est devenue pathogène. Stress chronique, burn-out et risques psychosociaux gangrènent l’hôpital. Consciente de ce problème, l’administration a commandé un audit sur l’organisation du travail afin de tenter de désamorcer le début d’incendie. L’objectif de ce film est de plonger au coeur du travail et de ses excès, quand l’embrasement menace. Après deux ans de recherche, le cinéaste, en collaboration avec Pascal Chabot, auteur de « Global Burn-out », a choisi de s’immerger dans cette situation particulière.

    à lire ou relire le livre de Pascal Chabot, « Global Burn Out » qui a inspiré cette investigation.
    https://lectures.revues.org/11524

    1« La philosophie est une réflexion pour qui toute matière étrangère est bonne et nous dirions volontiers pour qui toute bonne matière doit être étrangère » écrivait G. Canguilhem1. L’ouvrage de Pascal Chabot, par conséquent, porte son regard philosophique sur cet objet étrange et étranger à la philosophie : le burn-out. L’enjeu est de comprendre ce phénomène et de le situer « dans une époque excessive » (p. 12). En effet, le burn-out dépasse le cadre de la pathologie de l’individu, il est pathologie de relation : relation de l’individu à la société. En d’autres termes, l’épuisement professionnel n’interroge pas seulement l’homme ou la société, mais leurs rapports, c’est une « pathologie de civilisation ». Qu’est-ce qui caractérise le burn-out ? Quels sont les mécanismes conduisant à l’augmentation de sa fréquence d’apparition ? Pourquoi est-ce une pathologie de civilisation ? Et comment prévenir et lutter contre ce mal ? Autant de questions que l’auteur aborde afin d’établir de quoi le burn-out est-il le nom.

    On en parle ici aussi : http://www.philomag.com/les-livres/lessai-du-mois/global-burn-out-6754

    Le travail brûle. Aux racines philosophiques du burn-out, la course au « trop » qui consume jusqu’aux plus motivés. Radiographie sensible d’un mal de civilisation.

    Un #burn_out, c’est plus qu’une simple #dépression mais on préfère juger le malade plutôt que de combattre les vraies causes de la maladie.

    Voir aussi : https://seenthis.net/messages/634331

    • « Le burn out n’est pas une maladie professionnelle », dixit Agnès Buzyn, sinistre de la santé qui vient d’annoncer une série de catastrophes destinées à limiter les dépenses
      http://lelab.europe1.fr/le-multiplex-du-dimanche-22-octobre-avec-bayrou-buzyn-ciotti-et-le-mai

      « S’il y a une chose que je connais bien, c’est le burn-out des équipes médicales, notamment dans les hôpitaux », estime Agnès Buzyn, interrogée sur les conditions de travail des personnels hospitaliers. Pour autant, la ministre de la Santé explique que le burn-out ne sera pas reconnu comme une maladie professionnelle. Elle développe :"C’est un sujet que j’ai eu à traiter quand je présidais la Haute autorité de santé puisque j’avais été saisie par la ministre pour faire un rapport sur le burn-out. Aujourd’hui, il s’avère que ce n’est pas une maladie. C’est un ensemble de symptômes et donc, c’est très difficile, c’est très difficile aujourd’hui de décider que c’est une maladie professionnelle." On comprend donc que le burn-out ne sera pas reconnu comme une maladie professionnelle. « En tout cas, la Haute autorité de santé, à l’époque, avait rendu un avis défavorable », ajoute-t-elle. Haute autorité, elle venait de le dire, qu’elle présidait, donc.

      Il y a des tueries qui ont droit à un bel emballage
      Santé : Agnès Buzyn, l’atout social d’Emmanuel Macron
      http://www.lejdd.fr/politique/sante-agnes-buzyn-latout-social-demmanuel-macron-3471269

      #santé #déni #économie #guerre_aux_pauvres

    • Le 10 juin 2016, un décret a été publié permettant de faciliter la reconnaissance des pathologies mentales comme maladies professionnelles. Mais attention, sur la page du site Service- Public.fr, on est prévenu d’emblée : "Cet article est ancien, l’information n’est peut-être plus exacte. Vous pouvez néanmoins consulter cette page" .
      https://www.service-public.fr/particuliers/actualites/A10687

      Et là, en cliquant sur le lien de l’article « plus vraiment d’actualité », on apprend que :

      Depuis le 10 juin 2016, les pathologies psychiques peuvent être plus facilement reconnues comme des maladies professionnelles. Toutes les affections psychiques sont concernées et notamment le syndrome d’épuisement professionnel, communément appelé « burn-out ».

      En effet, le décret du 7 juin 2016 vient de mettre en place des mesures permettant de renforcer l’expertise médicale pour la reconnaissance des pathologies psychiques : ainsi, il sera possible de faire appel à l’expertise d’un médecin psychiatre à tous les stades de la procédure de reconnaissance d’une affection psychique. Ce décret comprend par ailleurs plusieurs mesures de simplification de la procédure d’instruction qui faciliteront à terme la reconnaissance de l’ensemble des maladies professionnelles, notamment celle des affections psychiques.

      Le texte s’applique à tous les assurés du régime général de sécurité sociale et du régime des salariés et des non-salariés agricoles.

      Ce décret permet l’application de l’article 27 de la loi du 17 août 2015 relative au dialogue social et à l’emploi (dite « loi Rebsamen ») qui avait consacré au niveau de la loi, la reconnaissance des pathologies psychiques comme maladies professionnelles.

      N’ayant aucune expertise en #droit_du_travail, ni en droit « tout court », je m’autorise néanmoins à la ramener en disant que :
      – Ce réajustement juridique n’est qu’un simple détricotage des avancées promises (car à ce stade, pour moi, ce n’étaient que promesses) par le précédent gouvernement.
      – il n’est même pas étonnant qu’Agnès Buzyn monte au créneau car elle est dans la logique d’action de la république en mode « marche ou crève » : elle sécurise et renforce le #management_toxique de ses ami·e·s les entrepreneur·euse·s et les #DRH.
      Les épuisé·e·s professionnellement apprécieront ...