• Vous surveillez les frontières, nous vous surveillons

    Boza FII Benn Kàddu – Benn yoon
    3me édition
    TDR 72h. Push Back Frontex

    BOZA FII s’engage dans le domaine de la fuite et de la migration. Nous soutenons les migrants de retour volontaire, les migrants qui ont été expulsés vers leur pays d’origine et confrontés à un manque total d’assistance. Ainsi que les amis et familles de ceux qui sont disparus en mer méditerranée et aux frontières, dans leur douloureuse quête de réponses. Mais aussi promouvoir le droit à l’identité et à la dignité pour toutes les victimes de nos frontières, et le droit de leurs familles à savoir. Nous voulons œuvrer au meilleur respect des droits de ces personnes, non seulement fragilisées par les drames de la mi ration mais aussi souvent stigmatisées dans leur propre communauté. Nous souhaitons également encourager la production de connaissances et promouvoir l’objectivité du débat sur les migrations et les échanges internationaux afin d’afronter ensemble les réalités mondiales.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2024/05/14/vous-surveillez-les-frontieres-nous-vous-surve

    #migration

  • #Mothership

    In the middle of the Mediterranean Sea, the crew of the #Ocean_Viking is rescuing people in exile fleeing Libya, crammed in unseaworthy boats. Once rescued and welcomed on board, survivors receive first aid, then accompanied to a safe port. On this ship, like a refuge within a refuge, the Women’s Shelter is a listening and care center for women and children.

    To ensure that people in distress are rescued in compliance with human rights and maritime law, a tug-of-war between authorities and humanitarian aid workers occurs on a daily basis.

    https://www.thepartysales.com/movie/mothership
    https://vimeo.com/943563441/3f3fb81516?share=copy

    #sauvetage #mer #Méditerranée #migrations #réfugiés
    #film #film_documentaire #Muriel_Cravatte

  • Relier les rives. Sur les traces des morts en Méditerranée

    Sur le port de #Catane, à l’est de la Sicile, des milliers de personnes en péril débarquent, accompagnées des corps de celles qui n’ont pas survécu à la traversée de la Méditerranée. Dans un contexte d’#indifférence générale à cette #hécatombe et un environnement politique marqué par la criminalisation des migrants, un petit groupe d’habitants et d’habitantes s’est mobilisé pour redonner un nom aux défunts et joindre leurs familles. L’ouvrage retrace cette initiative locale inédite, qu’aucune autorité nationale ou européenne n’avait entreprise jusque-là de façon systématique.
    Au cours des visites répétées au #cimetière, des lectures de dossiers administratifs et des enquêtes conduites pour suivre les pistes susceptibles de relier un corps à une histoire, un attachement particulier à ces inconnus naît. Le livre raconte les vies des morts auprès de celles et ceux qui les accueillent sur l’autre rivage. Il explore les tentatives collectives et intimes menées pour tracer un chemin entre nous et les autres.
    Émaillé d’extraits de textes rédigés par des hommes et des femmes soucieux d’empêcher l’oubli, ainsi que des poèmes et des chansons qui donnent, à leurs yeux, sens à leur engagement, ce récit entend restituer la dimension sensible de leurs investigations. Il rend également perceptible la fragilité des liens invisibles et rarement mis en mots qui unissent des vivants à des morts dont ils ne savent (presque) rien.

    https://www.editionsladecouverte.fr/relier_les_rives-9782348083761
    #livre #Filippo_Furri #Carolina_Kobelinsky #mourir_aux_frontières #Italie #morts_aux_frontières #migrations #réfugiés #Méditerranée #identification

  • ACCORDO ITALIA – ALBANIA : FRA STRATIFICAZIONE COLONIALE E DEVOZIONE

    In questa puntata di Harraga abbiamo parlato di esternalizzazione della detenzione amministrativa in Albania. Sebbene sembra che la scadenza del 20 Maggio, per l’apertura di un Hotspot a #Shengin e di un #CPRI a #Ghader, stia saltando per via del passo rallentato al quale proseguono i lavori, sarà comunque in tempi molto prossimi che vedremo sorgere le ennesime strutture di reclusione per persone senza documenti europei. La gestione e la giurisdizione alla quale faranno riferimento sarà totalmente made in Italy, di fatti i bandi e gli appalti sia edili che per il dislocamento delle guardie sono stati emessi a Roma. La struttura di Ghader sarà un CPRI ossia un centro di detenzione amministrativa per richiedenti asilo provenienti da paesi cosiddetti sicuri trovati dalla marina militare italiana in acque internazionali.

    Con una compagna abbiamo tentato di fare un inquadramento di questi nuovi investimenti per delle prigioni fuori dal territorio italiano affrontato la profonda stratificazione storica e politica del rapporto tra Italia e Albania interpretabile nei termini della colonia.

    https://radioblackout.org/podcast/accordo-italia-albania-fra-stratificazione-coloniale-e-devozione

    #Albanie #colonialisme #Italie #histoire_coloniale #occupation #occupation_militaire #fascisme #expansionnisme #pétrole #résistance #dépendance #protectorat_italien #blanchité #néocolonialisme #migrations #accords #exploitation #néo-libéralisme #néo-colonialisme #call_center #soft_power #religion #télévision #OTAN #violence #migrants_albanais #invisibilisation

    #podcast #audio

  • Why is Italy forbidding NGO planes from departing from Sicily?

    NGO planes are forbidden from departing from five Italian airports near migrant routes on the Mediterranean, officials said this week. Here’s more background on the decision.

    NGO planes that patrol Mediterranean waters for migrant vessels in distress will no longer be able to depart from airports in Sicily, Italy’s civil aviation authority announced this week.

    Here’s some background on the specifics of the decision.
    No flights from Sicilian airports

    Italy’s National Entity for Civil Aviation (#ENAC) — a department of the Ministry of Transport, which is headed by Matteo Salvini — signed five ordinances barring NGO planes from departing the Sicilian airports of Palermo (Punta Raisi and Bocca di Falco), Lampedusa, Pantelleria and Trapani.

    According to the ordinance, these civil airplanes not only violate “the regulative legal framework of the Search and Rescue missions” but also risk “compromising the safety of migrant people who are not assisted by the current protocols approved by the Maritime Authority.”

    ENAC, in the ordinance, further stated that “anyone who takes part in Search and Rescue operations outside the legal provisions of the framework currently in place is punished with sanctions listed in the navigation code, and additional sanctions such as the administrative detention of the airplane.”
    Nadir rescue

    While the new ordinance was announced, German NGO Resquship vessel Nadir rescued a dinghy carrying 57 migrants in international waters.

    https://www.infomigrants.net/en/post/56955/why-is-italy-forbidding-ngo-planes-from-departing-from-sicily

    #sauvetage #Seabird #avions #criminalisation_de_la_solidarité #Méditerranée #mer_Méditerranée #migrations #réfugiés #Colibrì #Pilotes_Volontaires #Italie #aéroports

    • Migranti, il ministero di Salvini vuole fermare gli aerei delle ong. Le ordinanze emanate dall’Enac: “Elusione del quadro normativo”

      Non solo le navi, più volte sottoposte a fermi amministrativi per aver disobbedito alla guardia costiera libica. Adesso il governo prova a impedire alle ong di usare gli aerei che monitorano il Mediterraneo centrale per segnalare imbarcazioni in difficoltà, ma anche per documentare respingimenti o il comportamento dei libici, più volte filmati mentre intimidiscono gli equipaggi delle navi umanitarie o addirittura mentre sparano nel bel mezzo di un soccorso. Lo strumento per fermare velivoli come il Seabird della ong Sea Watch potrebbero essere alcune ordinanze emanate dell’Ente nazionale per l’Aviazione civile (Enac), controllato dal Ministero dei Trasporti di Matteo Salvini. “Interdizione all’operatività dei velivoli e delle imbarcazioni delle ONG sullo scenario del Mare Mediterraneo centrale”, titolano i provvedimenti, che in base a non meglio precisate “segnalazioni trasmesse dal Comando generale della Guardia costiera” accusano i velivoli delle ong di “sostanziale elusione del quadro normativo di riferimento” e minacciano sanzioni e sequestri.

      “Chiunque effettua attività in ambito Search and Rescue al di fuori delle previsioni del quadro normativo vigente è punito con le sanzioni di cui al Codice della navigazione, nonché con l’adozione di ulteriori misure sanzionatorie quali il fermo amministrativo dell’aeromobile“, dice il primo dei due articoli che compongono le ordinanze emanate dall’Enac nei giorni scorsi per tutti gli aeroporti siciliani e delle due isole minori, compreso quello di Lampedusa, il principale scalo utilizzato dai due velivoli operativi, il Seabird di Sea Watch e il Colibrì della ong svizzera Pilots Volontaires. Le ordinanze emanate dalle direzioni territoriali della Sicilia Occidentale e Orientale di Enac sono già in vigore e fin dalle prossime ore potrebbero abbattersi sugli aerei umanitari, impedendo loro di decollare e quindi di sorvolare il Mediterraneo.

      Questo il ragionamento: “Ritenuto che alla luce della normativa nazionale e sovranazionale citata, solo il Comando Generale della Guardia Costiera deve essere riconosciuto unica Autorità Marittima nazionale competente in ambito SAR”, “preso atto delle segnalazioni trasmesse dalla predetta Autorità marittima circa le reiterate attività effettuata da velivoli e natanti, riconducibili alla proprietà di Soggetti anche extra U/E, che si traduce nel prelievo – da imbarcazioni di fortuna – di persone migranti provenienti da rotte nordafricane”, vista la già citata “sostanziale elusione del quadro normativo “che si traduce per la Guardia Costiera nazionale in un aggravio dei propri compiti istituzionali di intervento in mare” e addirittura, si legge, nel rischio di “compromettere l’incolumità delle persone migranti non assistite secondo i protocolli vigenti ed approvati dall’Autorità marittima”, gli aerei che non rispettano le regole rischiano il fermo amministrativo. Come nel caso delle navi, il fermo potrà essere impugnato davanti ai tribunali amministrativi. Ma nel frattempo si resta a terra.

      I legali delle ong sono già al lavoro per contrastare le ordinanze, che almeno nella forma sembrano piuttosto vaghe. Non è chiaro infatti a quali violazioni si riferiscano. Gli aerei non portano materialmente a termine le operazioni SAR e qualora segnalino barche in pericolo sono poi i comandanti delle navi a interagire e ricevere istruzioni dal centro nazionale di coordinamento di soccorso marittimo competente per l’area SAR interessata. L’accusa potrebbe essere la stessa mossa sempre più spesso alle navi umanitarie, quella di interferire con la guardia costiera libica in zona SAR di sua competenza. Ma le ordinanze non citano i decreti del governo Meloni, quelli voluti dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, la cui supposta violazione motiva i recenti fermi proprio con l’accusa di aver disobbedito ai libici. Accusa che più volte è stata dimostrata infondata, anche grazie ai video che smentiscono la versione dei libici. E che nessuno avrà modo di registrare se gli aerei resteranno a terra. Peggio, i migranti in pericolo segnalati dai velivoli potrebbero non essere intercettati. “In passato ci è capitato di avvistare persone in mare dopo che la loro barca si era già capovolta, e di riuscire a farle soccorrere”, racconta al Fatto un componente dell’equipaggio del Seabird. “In alcuni casi è stato chiarissimo: senza un aereo in grado di avvistarli non avrebbero avuto scampo”.

      Le ordinanze di Enac, dichiara la ong Sea Watch, “hanno il chiaro scopo di fermare i nostri aerei da ricognizione, ovvero gli unici occhi della società civile nel Mediterraneo. Occhi fondamentali per documentare le quotidiane violazioni dei diritti umani che vi avvengono, comprese quelle perpetrate dalla cosiddetta guardia costiera libica attraverso le motovedette e le risorse generosamente elargite dal Governo italiano. Fermare gli aerei ONG vuol dire rendere cieca la società civile e i cittadini italiani ed europei rispetto a quanto avviene nel Mediterraneo come risultato delle politiche migratorie dei loro governi. Un atto vigliacco e cinico di chi usa la criminalizzazione delle ONG come strumento di propaganda politica in vista delle imminenti elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. Non fermeremo le nostre operazioni anche a costo di mettere in pericolo i nostri aerei. Questo attacco che calpesta il diritto internazionale non ci impedirà di continuare a dare fastidio a chi vorrebbe che quanto avviene quotidianamente nel Mediterraneo rimanesse segreto e senza foto e video a documentarlo”.

      https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/05/07/migranti-il-ministero-di-salvini-pronto-a-fermare-gli-aerei-delle-ong-ordinanze-dellenac-elusione-del-quadro-normativo/7539355

  • Panama’s next president says he’ll try to shut down one of the world’s busiest #migration routes
    https://apnews.com/article/panama-immigration-mulino-darien-f46becc989e0f2c944922b03e6417a3f

    But masses of people took the challenge and set out on foot through the jungle-clad Colombian-Panamanian border. A crossing that initially could take a week or more eventually was whittled down to two or three days as the path became more established and entrepreneurial locals established a range of support services.

    It remains a risky route, however. Reports of sexual assaults have continued to rise, some migrants are killed by bandits in robberies and others drown trying to cross rushing rivers.

    Even so, some 147,000 migrants have already entered #Panama through Darien this year.

    Previous attempts to close routes around the world have simply shifted traffic to riskier paths.

    “People migrate for many reasons and frequently don’t have safe, orderly and legal ways to do it,” said Giuseppe Loprete, chief of mission in Panama for the U.N.’s International Organization for Immigration. “When the legal routes are not accessible, migrants run the risk of turning to criminal networks, traffickers and dangerous routes, tricked by disinformation.”

  • « Non au démantèlement à bas bruit de l’aide médicale de l’Etat »
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2024/05/11/non-au-demantelement-a-bas-bruit-de-l-aide-medicale-de-l-etat_6232625_3232.h

    « Non au démantèlement à bas bruit de l’aide médicale de l’Etat »
    Tribune
    Collectif
    Jusqu’ici, grâce à la mobilisation de la société civile et des soignants, l’aide médicale de l’Etat (AME) a échappé à sa transformation en aide médicale d’urgence (AMU), qui revenait de fait à la suppression du dispositif. Mais fin janvier, Gabriel Attal a annoncé lors de son discours de politique générale une réforme du dispositif avant l’été, par voie réglementaire.
    Nous y sommes. Dans les semaines à venir, les arbitrages ministériels devraient être rendus et le décret publié. Derrière les éléments de langage feutrés du gouvernement, employés notamment par le ministre délégué chargé de la santé et de la prévention, Frédéric Valletoux, concernant un simple « ajustement du fonctionnement de l’AME » (France Info le 8 avril), se cachent d’inquiétantes pistes de restrictions.
    Nos organisations lancent l’alerte contre tout ce qui pourrait s’apparenter à un démantèlement à bas bruit du dispositif. Au vu des conséquences sur l’accès aux soins des plus vulnérables et la santé publique, nous appelons à l’abandon du projet.L’AME permet l’accès à la prévention et aux soins pour les personnes étrangères en situation administrative irrégulière, une population particulièrement fragile sur le plan sanitaire et social. Les pistes de restrictions envisagées à ce stade par le gouvernement compromettraient considérablement l’accès et la portée de ce dispositif.
    Le conditionnement de l’accès au dispositif aux ressources du conjoint, à rebours de la réforme de l’allocation adulte handicapé (AAH) entrée en vigueur en octobre 2023, modifierait drastiquement le calcul des ressources. Aujourd’hui, les conditions pour bénéficier de l’AME sont déjà restrictives : le dispositif n’est pas accessible aux personnes en situation irrégulière qui ont des ressources supérieures à 847 euros par mois, parmi lesquelles de nombreux travailleurs qui cotisent et se voient pourtant privés de couverture maladie.
    Le nouveau calcul des ressources entraînerait une sortie sèche de toute couverture santé d’une personne sans-papiers en couple avec un conjoint français ou étranger en situation régulière, dont le cumul des ressources mensuelles dépasserait le seuil de 1 271 euros. Cela conduirait en outre à accroître les situations d’emprise et de dépendance conjugale subies par des femmes étrangères en situation irrégulière, ce qui pourrait les amener à être davantage exposées à des violences conjugales, intrafamiliales, sexistes et sexuelles.
    De plus, la limitation des pièces justificatives d’identité aux seuls documents avec photo, et à l’exclusion des attestations associatives, serait aussi un obstacle administratif insurmontable pour de nombreuses personnes. Beaucoup ont dû quitter leur pays sans pièce d’identité, notamment les plus jeunes, ont perdu leurs papiers, se les sont fait voler, ou sont victimes de confiscation de leur document ou de chantage aux papiers. Priver ces personnes d’accès à l’AME dégraderait leur état de santé, et pèserait in fine sur des services d’urgences déjà surchargés et sur les dettes hospitalières.
    Les difficultés que rencontrent les usagers de l’AME pour accéder à leurs droits et aux soins sont déjà largement documentées (« Entraves dans l’accès à la santé : les conséquences de la réforme de 2019 sur l’accès à l’aide médicale de l’Etat », Rapport d’enquête interassociatif, avril 2023 ; Institut des politiques publiques, « Les refus de soins opposés aux bénéficiaires de la complémentaire santé solidaire et de l’aide médicale de l’Etat », Rapport, n° 43, mai 2023).
    Elles expliquent une grande partie du taux de 50 % de non-recours au dispositif (Institut de recherche et documentation en économie de la santé/Irdes, enquête « Premiers pas », 2019). L’extension du dépôt physique des demandes de renouvellement au guichet des administrations, comme c’est le cas pour les premières demandes depuis 2019, complexifierait encore plus les démarches, tout en alourdissant le travail du service public de l’Assurance-maladie.#
    L’introduction de nouveaux actes et de nouvelles prestations soumis à entente préalable pour l’accès à certains soins (demande de prise en charge remplie par le médecin, qui doit être validée par l’Assurance-maladie avant l’exécution de l’acte ou du traitement) conduirait à des retards voire à des renoncements aux soins des usagers. Elle augmenterait la charge de travail administratif des médecins comme des agents de l’Assurance-maladie.
    Quant à la réinstauration d’une franchise ou d’un droit de timbre pour avoir accès à l’AME, elle risquerait d’augmenter le non-recours tout en contribuant à la hausse des dépenses publiques. L’expérimentation de cette mesure entre 2011 et 2012 a rapidement été abandonnée face à l’ampleur des conséquences négatives (l’instauration d’un droit de timbre de 30 euros entre 2011 et 2012 a ainsi entraîné la baisse des effectifs des bénéficiaires de l’AME sur la période, ainsi qu’une hausse de 10 % de la dépense moyenne par bénéficiaire due à la dégradation de leur santé).
    L’intérêt de l’AME n’est plus à démontrer. Toutes les données d’études scientifiques et les évaluations institutionnelles successives (rapports de l’inspection générale des affaires sociales et de l’inspection générale des finances de 2010, 2019 et 2023) convergent vers les mêmes constats : le dispositif est nécessaire pour la protection de la santé individuelle et publique, son budget est maîtrisé – il représente moins de 0,5 % du budget de l’Assurance-maladie, une proportion stable depuis des années –, et il est indispensable au bon fonctionnement de notre système de soins.
    Le dernier rapport sur ce sujet a été publié en décembre 2023. Réalisé par Claude Evin, ex-ministre de la santé, et Patrick Stefanini, conseiller d’Etat, il confirme l’ensemble de ces résultats : il réfute aussi bien le fantasme de « la fraude » que celui de « l’appel d’air », des contre-vérités largement assénées par les détracteurs du dispositif. Les usagers de l’AME que nos organisations rencontrent au quotidien sur le terrain sont les travailleuses et travailleurs essentiels qui construisent et entretiennent nos villes, cuisinent et livrent nos repas, prennent soin de nos aînés et de nos enfants. Maillons essentiels de notre société, leur santé est aussi la nôtre.
    C’est pourquoi l’ensemble de nos organisations appelle le gouvernement à l’abandon de ce projet de réforme. La seule mesure acceptable est l’instauration d’une carte Vitale pour les usagers de l’AME, unique solution consensuelle et réaliste pour favoriser l’accès aux soins des plus précaires, alléger le travail administratif des soignants et de l’Assurance-maladie et renforcer notre santé publique.

    #Covid-19#migration#migrant#france#AME#sante#politiquemigratoire#etranger#santepublique#sanspaier#migrationirreguliere

  • L’Australie et les Tuvalu ont finalisé un traité historique prévoyant l’accueil de réfugiés climatiques
    https://www.lemonde.fr/planete/article/2024/05/11/l-australie-et-les-tuvalu-ont-finalise-un-traite-historique-prevoyant-l-accu

    L’Australie et les Tuvalu ont finalisé un traité historique prévoyant l’accueil de réfugiés climatiques
    Par Isabelle Dellerba (Sydney, correspondance)
    L’archipel des Tuvalu, un micro-Etat insulaire du Pacifique Sud menacé de disparaître sous les flots d’ici à la fin du XXIe siècle, pouvait difficilement refuser la main tendue par Canberra. En novembre 2023, l’Australie a offert l’asile climatique à l’ensemble de sa population en échange d’un droit de regard sur les pactes de sécurité qu’il envisagerait de signer avec d’autres nations. Ce traité historique a provoqué de vifs débats dans l’archipel, inquiet pour sa souveraineté. Jeudi 9 mai, les deux pays ont conclu un « mémorandum explicatif » qui, en levant certaines zones d’ombre, devrait permettre sa mise en œuvre dès l’année 2024.
    Principal point de contentieux, l’article 4, qui stipule que Canberra aura son mot à dire sur « tout partenariat, accord ou engagement » que les Tuvalu voudraient conclure avec d’autres Etats ou entités sur les sujets de sécurité et de défense ; une clause très critiquée par les Tuvaluans, qui l’ont associée à un droit de veto.Pour mettre fin au débat, le mémorandum précise que cet article ne s’appliquera que dans un « nombre restreint de circonstances » et que les « Tuvalu n’ont pas besoin de la permission de l’Australie avant de commencer à discuter avec d’autres partenaires ». Afin d’aplanir les derniers doutes, il ajoute que chaque partie « peut suspendre les obligations et même résilier le traité par accord mutuel ou unilatéralement ».
    De manière générale, ce mémorandum détaille et confirme les principales dispositions du traité. Il rappelle que l’île-continent viendra en aide à ces îles polynésiennes en cas d’agression militaire, de catastrophe naturelle ou encore de pandémie. Mais aussi et surtout que l’Australie offrira, chaque année, la résidence permanente à 280 Tuvaluans – « tirés au sort » parmi les candidats au départ –, ce qui devrait lui permettre d’accueillir, à terme, les 11 200 habitants de l’archipel.
    Richard Gokrun, directeur de l’organisation Tuvalu Climate Action Network, joint par téléphone par Le Monde, n’a pas l’intention de faire ses valises, mais plutôt de se battre pour assurer un avenir à son peuple, même s’il ne peut que constater chaque jour les dégâts causés par le changement climatique dans son pays constitué de neuf atolls coralliens à fleur d’eau. (...) Cette année, le phénomène océanographique qui submerge habituellement les zones basses de cette langue de terre perdue en plein milieu de l’océan Pacifique a été encore amplifié par de fortes pluies et des vents violents. Les vagues ont atteint 3,41 mètres. L’eau salée a recouvert les cultures, y compris dans des zones jusqu’ici épargnées, a poussé des rochers sur la terre et a endommagé des parties de la route principale, paralysant l’activité des habitants. Avant la fin du siècle, 95 % du territoire des Tuvalu pourrait être inondé par de grandes marées périodiques si la hausse des températures n’est pas maintenue en dessous de 1,5 °C, rendant le pays inhabitable.
    (...) Sur place, les autorités sont à pied d’œuvre. Elles ont d’ores et déjà entrepris de gagner 7,5 hectares de terre sur la mer, en draguant le sable du lagon, pour arrêter les vagues et empêcher l’eau de monter à travers le sol. A terme, elles ont prévu, avec le soutien du Programme des Nations unies pour le développement, de surélever une partie du territoire de la capitale pour y relocaliser progressivement les infrastructures et la population, si elles obtiennent le financement nécessaire.
    Jeudi, le gouvernement australien a annoncé qu’il allait investir 12 millions d’euros pour soutenir ces projets d’adaptation et débourser, au total, 67 millions d’euros d’aides supplémentaires. « Mais il y a déjà de nombreux Tuvaluans qui envisagent de partir pour mettre à l’abri leur famille et assurer leur avenir », regrette l’activiste Richard Gokrun. Ce dernier aurait souhaité que l’Australie, qui continue à approuver de nouveaux projets de mines de charbon, dont quatre ces deux dernières années, s’engage aussi à faire davantage pour réduire ses émissions de gaz à effet de serre.
    Le gouvernement travailliste, dirigé par Anthony Albanese, s’est doté d’une politique climatique relativement ambitieuse – réduire de 43 % les émissions de gaz à effet de serre d’ici à 2030 par rapport à 2005 –, mais qui est pour l’heure insuffisante pour limiter le réchauffement au-dessous de 2 °C par rapport à l’aire préindustrielle. D’autant plus que, jeudi, il a annoncé qu’il prévoyait de recourir au gaz naturel « d’ici à 2050 et au-delà ». Cette annonce a immédiatement provoqué la colère des organisations de défense de l’environnement. « Nous croyons que le Pacifique mérite un avenir meilleur que celui que cette stratégie gazière nous impose. L’Australie ne peut pas espérer réparer les relations avec la région tout en continuant d’extraire et d’exporter la destruction climatique », a notamment condamné Joseph Sikulu, directeur de la région Pacifique de l’ONG 350.org. Avant son entrée en vigueur, le traité, qui est le premier accord bilatéral jamais conclu spécifiquement axé sur la mobilité climatique, sera examiné par les Parlements des deux pays et fera l’objet d’une consultation publique.

    #Covid-19#migrant#migration#australie#tuvalu#refugieclimatique#securite#environnement#sante#asileclimatique#politiquemigratoire

  • Guinée : 26 migrants morts dans un récent naufrage, « hémorragie » migratoire selon le Premier ministre
    https://www.dakaractu.com/Guinee-26-migrants-morts-dans-un-recent-naufrage-hemorragie-migratoire-se

    Guinée : 26 migrants morts dans un récent naufrage, « hémorragie » migratoire selon le Premier ministre
    Vingt-six migrants partis de Guinée ont péri au large du Sénégal dans le naufrage de leur embarcation il y a quelques jours, a rapporté vendredi le Premier ministre guinéen Amadou Oury Bah, qui a parlé d’"hémorragie" migratoire. « Nous avons enregistré près de 26 morts officiellement pour le moment », a-t-il dit à la presse. Il a évoqué les milliers de jeunes Guinéens qui attendent dans différents pays d’être rapatriés après avoir tenté de partir. « C’est une hémorragie pour notre pays », a-t-il dit.

    #Covid-19#migrant#migration#guinee#senegal#atlantique#routemigratoire#mortalite#sante#jeunesse#migrationirreguliere

  • Près de 300 migrants secourus en moins de 24 heures au large des Canaries - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/56989/pres-de-300-migrants-secourus-en-moins-de-24-heures-au-large-des-canar

    Près de 300 migrants secourus en moins de 24 heures au large des Canaries
    Par La rédaction Publié le : 10/05/2024
    Deux cent soixante-neuf migrants ont été secourus en moins de 24 heures jeudi, au lendemain d’une journée déjà active sur cette route migratoire. Depuis le début de l’année, près de 16 000 exilés sont arrivés dans l’archipel.Il était aux alentours de midi jeudi 9 mai lorsque les premières opérations de sauvetage ont débuté. Après avoir reçu une alerte, les garde-côtes espagnols se sont rendus sur place, à 23 km à l’est de l’île de Fuerteventura, et ont secouru 57 personnes (55 hommes et 2 femmes) en difficulté à bord d’une embarcation. Selon leurs témoignages, ils avaient quitté les côtes marocaines la veille. Ensuite, à environ cinq kilomètres de là, le navire espagnol a aperçu un autre canot dans lequel se trouvaient 53 hommes, une femme et un enfant.Les 112 immigrés ont donc tous été pris en charge à bord du Salvamar Izar avant d’être débarqués vers 14h45 au port de Gran Tarajal. Six heures plus tard, le navire espagnol a repris la route pour venir en aide à 56 personnes qui naviguaient dans un bateau à environ 5km au sud-est de Puerto del Rosario, capitale de Fuerteventura. Cinquante-deux hommes et deux femmes originaires du Maghreb ainsi que deux Subsahariens ont été pris en charge lors de cette opération.
    Ensuite, accompagné d’un hélicoptère des autorités espagnoles, le navire a effectué un énième sauvetage au large des Canaries. Suite cette opération, 46 autres personnes, maghrébines et subsahariennes, dont 4 femmes, ont été accompagnées jusqu’à Gran Tarajal.
    Pendant ce temps, un patrouilleur de la Garde civile assistait un autre canot pneumatique avec 55 occupants au nord de Fuerteventura, rapporte l’agence espagnole EFE. Au total, ce sont donc 269 migrants qui ont été secourus au large des Canaries en une journée. Ces sauvetages interviennent au lendemain d’une journée déjà active sur la route des Canaries. Cinquante-deux exilés ont été secourus au large de Tenerife, aux Canaries, et 186 personnes ont été interpellées par la Marine sénégalaise mercredi.
    Conséquences d’un renforcement accru des frontières et de dispositifs toujours plus poussés sur les autres routes migratoires, l’itinéraire via les îles Canaries est de plus en plus emprunté par les exilés désirant rejoindre l’Europe. L’an dernier, 40 000 personnes ont débarqué sur l’archipel depuis les côtes africaines, un chiffre jamais atteint même en 2006, lors de la crise des « cayucos » – terme qui désigne les pirogues utilisées par les migrants pour traverser l’Atlantique. Cette année, les chiffres continuent de progresser : près de 16 000 exilés sont arrivés aux Canaries depuis janvier, soit une augmentation de près de 370% par rapport à la même période en 2023. Les décès aussi se multiplient. L’ONG Caminando Fronteras a déjà dénombré plus de 1 500 morts pour les quatre premiers mois de l’année 2024 sur cette route migratoire. Sur l’ensemble de 2023, l’association en avait compté plus de 6 000.

    #Covid-19#migrant#migration#espagne#canarie#senegal#routemigratoire#atlantique#migrationirreguliere#sante

  • Guinée : 26 migrants meurent dans un naufrage au large du Sénégal - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/57006/guinee--26-migrants-meurent-dans-un-naufrage-au-large-du-senegal

    Guinée : 26 migrants meurent dans un naufrage au large du Sénégal
    Par La rédaction Publié le : 10/05/2024
    Vingt-six personnes parties de Guinée sont mortes dans le naufrage de leur embarcation près des côtes sénégalaises, a rapporté vendredi Amadou Oury Bah. Le Premier ministre guinéen a déploré « une hémorragie pour notre pays », face aux milliers de ressortissants guinéens qui empruntent chaque année les routes migratoires vers l’Europe.
    La route migratoire des Canaries n’en finit pas de produire des drames. Vingt-six migrants partis de Guinée ont péri au large du Sénégal dans le naufrage de leur embarcation il y a quelques jours, a rapporté vendredi 10 mai le Premier ministre guinéen Amadou Oury Bah.La plupart des personnes décédées sont parties de Matam, une des communes constituant la ville de Conakry, a-t-il précisé à la presse.Le naufrage a été rapporté ces derniers jours sur les réseaux sociaux, mais les autorités n’en avaient pas précisé le bilan. D’après les témoignages des proches des disparus recueillis par l’AFP, les candidats à l’exil sont partis fin avril et le drame s’est produit au début du mois de mai.
    Les causes du naufrage sont inconnues. Mais le Premier ministre s’est inscrit en faux contre des affirmations selon lesquelles les migrants avaient été victimes de violences criminelles à la suite d’une querelle avec l’équipage, et non pas d’un naufrage. Il a imputé ces affirmations à des individus qui chercheraient à provoquer une « explosion » sociale en Guinée, et estimé qu’elles auraient pu « compromettre les relations entre les deux pays frères que sont le Sénégal et la Guinée ».
    Ces derniers jours, de nombreuses embarcations ont tenté de traverser l’océan Atlantique pour rallier les îles Canaries. Jeudi, 269 migrants ont été secourus en moins de 24 heures au large de l’archipel espagnol. La veille encore, 52 exilés avaient été pris en charge par les autorités au large de Tenerife et 186 personnes avaient été interpellées près des côtes sénégalaises par la Marine.
    Depuis le début de l’année, près de 16 000 exilés au total sont arrivés aux Canaries, soit une augmentation de près de 370% par rapport à la même période en 2023.
    Lors de son allocution, Amadou Oury Bah a également évoqué les milliers de Guinéens qui attendent dans différents pays d’être rapatriés après avoir tenté de partir. « Nous avons aujourd’hui près de 3 000 de nos jeunes qui attendent d’être rapatriés du côté du Niger, 1 200 du côté de l’Algérie, 400 du côté de la République arabe d’Égypte, des milliers qui sont dans les camps en Italie, sans compter ceux qui sont aux États-Unis dont je n’ai pas le nombre. C’est une hémorragie pour notre pays », a-t-il déploré en faisant référence aux multiples voies empruntées par les migrants.
    Chaque année, des milliers de Guinéens s’engagent sur les routes migratoires menant à l’Europe. En 2023, sur les 157 652 personnes qui ont débarqué en Italie, 18 211 étaient guinéennes. Soit la première nationalité représentée par les migrants arrivés dans le pays, devant la Tunisie et la Côte d’Ivoire. Pour Alhassane Balde, directeur du Laboratoire d’analyse socio-anthropologique de Guinée à l’Université du Québec, « l’instabilité politique » qui règne dans le pays, conjuguée à une situation économique moribonde constituent la cause de cet exode. « Tous les régimes qui se sont succédé depuis l’indépendance ont échoué à sortir le pays du sous-développement, engendrant des crises sociales à répétition, avait-il expliqué à InfoMigrants. Résultat, en Guinée, il n’y a ni sécurité, ni réussite possible ».
    Ibrahima, qui a quitté Conakry en 2017, partage ce constat. Ancien blogueur, le jeune homme se sentait menacé à cause de ses activités politiques. Passé par le Mali, puis l’Algérie et la Libye, il prend finalement la mer fin 2021 pour fuir les rafles anti-migrants perpétrées à Tripoli. « Franchement, tout ça, ce n’était pas prévu. Après mes études, j’étais bien, j’avais mon petit quotidien en Guinée. Mais vivre sous Alpha Condé, c’était trop dangereux pour moi, avait-il confié en janvier 2024, depuis la France. Après le coup d’État [en Guinée, ndlr], je m’étais dit que je pourrais enfin revoir ma famille. Mais la junte au pouvoir n’a rien changé. Je reçois toujours des menaces ». Le Premier ministre a noté que l’émigration clandestine était une réalité ancienne, mais a reconnu que le pays traversait « une passe très difficile » économiquement. « La Guinée, dans les trois, quatre années à venir ne sera pas la Guinée telle qu’elle se présente aujourd’hui. (Je dis) A ceux et à celles qui ont de l’ambition : restez, travaillez, prenez de la peine, prenez des risques », a-t-il déclaré.

    #Covid-19#migrant#migration#guinee#senegal#espagne#canaries#routemigratoire#mortalite#sante#niger#coutedivoire#libye#mali#algerie

  • Le « pacte migratoire » européen, sitôt voté, sitôt contesté
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2024/05/10/le-pacte-migratoire-europeen-sitot-vote-sitot-conteste_6232420_3232.html

    Le « pacte migratoire » européen, sitôt voté, sitôt contesté
    Philippe Jacqué, Bruxelles, bureau européen
    Mardi 14 mai, le conseil des ministres de l’économie de l’Union européenne (UE) doit ratifier le pacte sur la migration et l’asile. Un mois après le vote du Parlement européen, les Etats valideront cette dizaine de textes qui doivent permettre d’harmoniser la gestion de l’arrivée des migrants aux frontières du continent. Après huit ans de négociations, l’UE disposera enfin de règles communes en matière d’enregistrement et de filtrage des demandeurs d’asile, le plus souvent à la frontière dans des centres fermés, et de leur retour dans leur pays d’origine s’ils n’obtiennent pas le statut de réfugié.
    Un système de solidarité entre les Vingt-Sept sera également organisé pour alléger la tâche des pays en première ligne comme l’Italie, l’Espagne, la Grèce, Malte et Chypre. En parallèle, la Commission européenne a multiplié les accords avec les pays du pourtour méditerranéen, comme la Tunisie, l’Egypte et dernièrement le Liban, pour qu’ils contrôlent mieux les départs de migrants, en échange de soutiens financiers.
    Le « pacte migratoire » et ces accords doivent permettre de réduire le nombre d’arrivées irrégulières en Europe. En 2023, quelque 380 000 personnes sont arrivées sur les côtes européennes, le nombre le plus élevé depuis la crise des réfugiés syriens, en 2015. Plus d’un million de personnes étaient alors arrivées sur le continent.Des chercheurs, organisations non gouvernementales et groupes politiques de gauche critiquent cette politique qui renforce l’« Europe forteresse », sans offrir pour autant assez de voies d’accès légales et sûres, qu’il s’agisse de visas d’étude, de travail, voire de visas humanitaires. Ils critiquent une approche de la question migratoire centrée sur le thème des entrées irrégulières, présentées comme une « menace » pour le continent.
    Alors que l’Europe a su accueillir près de 6 millions d’Ukrainiens, une partie du personnel politique se crispe à propos de 380 000 migrants irréguliers. Un nombre qui, rapporté aux 450 millions de citoyens européens, est nettement moins élevé qu’aux Etats-Unis (335 millions d’habitants), où 3,2 millions d’irréguliers sont arrivés en 2023. Tout débat rationnel, prenant en compte le savoir-faire européen en matière d’intégration ou l’importance démographique et économique de l’immigration, semble balayé pendant la campagne des élections européennes, qui se tiendront du 6 au 9 juin.
    Dans ce contexte électoral, le « pacte migratoire », sitôt adopté, est à la fois contesté comme trop répressif par la gauche et comme trop restrictif par la droite qui prône un nouveau durcissement. L’extrême droite n’hésite pas à demander un refoulement systématique des migrants qui tentent d’atteindre les côtes européennes, une pratique non seulement inhumaine, mais illégale. En Allemagne, le parti AfD est allé jusqu’à évoquer l’idée de « remigration », qui prévoit même d’expulser des citoyens allemands issus de l’immigration. Un concept qu’ils affirment ne plus soutenir.
    A droite, d’autres partis veulent chasser sur les terres de l’extrême droite. C’est le cas du premier parti du Parlement européen et qui devrait le rester, le Parti populaire européen (PPE, dont est membre Les Républicains), et sa tête de liste, Ursula von der Leyen, l’actuelle présidente de la Commission. Dans son manifeste électoral, le PPE propose d’externaliser vers des pays tiers dits « sûrs » le traitement des dossiers des demandeurs d’asile arrivés irrégulièrement.
    Débat intense
    L’un des modèles ultimes est la « loi sur la sûreté du Rwanda » qu’a adoptée en avril le Royaume-Uni. Londres a passé un accord avec Kigali pour lui envoyer, contre financements, des demandeurs d’asile arrivés sur ses côtes. Si le système d’asile rwandais leur accorde le statut de réfugiés, ils pourront y rester. Sinon, ils pourraient être renvoyés vers leur pays d’origine selon les règles rwandaises.
    Une telle politique est illégale au regard de la réglementation européenne actuelle. Pour renvoyer une personne dans un pays tiers, il faut que ce pays soit jugé « sûr » – c’est-à-dire qu’il respecte certaines normes en matière de droits humains – et justifier un lien, par exemple familial, entre cette personne et ce pays tiers. Un verrou juridique qui empêche la mise en place de tout système d’externalisation généralisé au niveau européen. Les groupes libéraux, sociaux-démocrates, écologistes rejettent cette idée poussée par le PPE.
    Néanmoins, au niveau des Etats, le débat est intense. Plusieurs pays, dont le Danemark, dirigé par la sociale-démocrate Mette Frederiksen, déploient d’importants efforts diplomatiques pour promouvoir des « projets innovants » de gestion de la migration. Deux tiers des Etats membres, dont le Danemark, la République tchèque, l’Autriche ou l’Italie, préparent une lettre à destination de la prochaine Commission afin d’explorer toutes les options de partenariats, voire d’externalisation, respectant les droits et les conventions actuels.
    Le modèle imaginé par l’Italie avec l’Albanie est particulièrement mis en avant. En 2023, Rome a passé un accord avec Tirana pour y rediriger les migrants sauvés par la marine italienne en Méditerranée. Alors que les ONG de défense des droits humains ont appelé la Commission à dénoncer ce projet, cette dernière n’en a rien fait, car Rome affirme que le droit applicable dans le camp d’accueil des migrants installé en Albanie sera italien, et que toute la procédure sera menée par l’Italie. Rome serait donc dans les clous du droit international. La controverse ne fait que commencer. En 2023, le Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés a marqué son opposition à toute externalisation en matière d’asile : « Celles-ci peuvent déclencher un effet domino et conduire à une érosion progressive de la protection internationale des réfugiés. »

    #Covid-19#migrant#migration#UE#pactemigratoire#albanie#liban#rawanda#droit#remigration#refoulement#externationalisation#refugie#HCR#sante

  • Migrant centres in Albania 20 May opening postponed

    Army engineers at work but facilities not finished.

    The opening of new Italian-run migrant centres in Albania, which was scheduled for 20 May, has been postponed, according to reports Wednesday.
    The Italian military engineers working on the Shengjin and Gjader sites, according to the agreement between Rome and Tirana, have not yet finished setting up the facilities.
    Meanwhile, the contract for the management of the facilities for 24 months was awarded to the Medihospes cooperative with a bid of 133.8 million euro.
    Italy is to set up two migrant hotspots and a centre to hold migrants awaiting repatriation for a total expenditure of almost 34 million euro a year.
    The agreement, signed by Premier Giorgia Meloni and her Albanian counterpart Edi Rama in Rome in November, provides for the reception and processing of up to 3,000 migrants and refugees rescued by Italian ships per month.
    People with special needs such as the elderly, children or pregnant women, migrants and refugees who have been rescued by NGO-run ships and people who land directly on Italian soil are to be excluded from the deal.
    Since taking office in autumn 2022 the Meloni government has been reaching out to third countries in a bid to stem irregular migration by sea to Italy, which in 2023 rose by around 50% over the previous year.
    The Italian opposition has slammed the Albania deal as creating a new Guantanamo and allegedly breaching the Italian Constitution, charges the government rejects.
    The Italian Bishops Conference (CEI) and the Council of Europe have also criticized the agreement.
    Some other EU countries have said it is a model that could be emulated, as has European Commission President Ursula von der Leyen.

    https://www.ansa.it/english/news/world/2024/05/08/migrant-centres-in-albania-20-may-opening-postponed_2ebbb364-2fdc-49ac-bdde-be4

    #migrations #externalisation
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    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...
    https://seenthis.net/messages/1043873

  • 10 mai 2024 :

    🆘 from ~11 people stranded on an islet on the #Evros river, near #Didymoticho!

    We received information about this group, but can’t reach them. The relative who alerted us to them lost contact two hours ago and is worried. @Hellenicpolice
    have been alerted: assist them now!

    https://twitter.com/alarm_phone/status/1788934414317056326

    #limbe #zone_frontalière #île #Evros #asile #migrations #réfugiés #frontières #fleuve_Evros #Turquie #Grèce #Thrace #îlots

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    ajouté à la métaliste sur #métaliste sur des #réfugiés abandonnés sur des #îlots dans la région de l’#Evros, #frontière_terrestre entre la #Grèce et la #Turquie :
    https://seenthis.net/messages/953343

  • Migranti, la nuova mossa del governo per i rimpatri : ampliata la lista dei Paesi sicuri. E scoppia la polemica

    Nei centri in Albania anche chi arriva da Bangladesh, Sri Lanka, Egitto e Camerun. Albano: “I giudici dovranno verificare se sono davvero luoghi non pericolosi”

    Un tassello dietro l’altro il governo prova a riempire la cornice dell’ancora vuoto progetto Albania nel tentativo di non farlo fallire prima del tempo. E così, dopo l’assegnazione dell’appalto da 133 milioni di euro per la gestione dei centri al colosso dell’accoglienza Medihospes del discusso Camillo Aceto, oggi un decreto ministeriale della Farnesina pubblicato in gazzetta ufficiale come d’incanto fa lievitare la lista dei cosiddetti Paesi sicuri, quelli – per intenderci – in cui potranno essere rimpatriati con le procedure accelerate di frontiera i migranti soccorsi nel Mediterraneo che da lì provengono.

    La lista, fino a ieri composta da 15 paesi, ne contiene ora ben 21: tra i sei nuovi ingressi alcuni Paesi d’origine di un numero consistente di migranti che arrivano in Italia via mare. Innanzitutto il Bangladesh, ma anche Sri Lanka, Camerun ed Egitto, a cui di aggiungono due Paesi sudamericani, Colombia e Perù da cui, in aereo, arrivano in Italia ogni anno migliaia di persone che poi chiedono asilo.

    Il Bangladesh , cosi come già l’anno scorso, è in cima alla lista dei Paesi d’origine dei migranti che arrivano in Italia grazie ad una triangolazione dall’Africa che riescono a raggiungere in aereo: 3425 quelli sbarcati nei primi 4 mesi del 2024, più di 1000 gli egiziani.

    Numeri consistenti che adesso, con il loro inserimento nella lista dei Paesi sicuri, consentiranno alle autorità italiane di portarli direttamente nei centri albanesi in attesa del probabile rimpatrio nel caso in cui la loro richiesta di asilo(come avviene nella maggior parte dei casi) dovesse essere respinta. Nel 2023 sono stati più di 12.000 gli arrivi dal Bangladesh e 11.000 dall’Egitto.

    I giudici della sezione immigrazione nutrono forti perplessità sul fatto che alcuni dei paesi inclusi nell’elenco, su tutti l’Egitto, possano essere considerati sicuri. La presidente di Magistratura democratica, Silvia Albano, spiega: “Il decreto ministeriale è fonte normativa secondaria e deve rispettare tanto le fonti sovraordinate, come la Costituzione e la normativa della UE, quanto la legge ordinaria”; quindi “i giudici dovranno verificare se il Paese designato come sicuro con decreto ministeriale, possa essere effettivamente considerato tale in base a quanto stabilito dalla legge”.

    #pays_sûrs #liste #Albanie #Italie #asile #migrations #réfugiés #externalisation #renvois #expulsions

    #Bangladesh #Sri-Lanka #Cameroun #Egypte #Colombie #Pérou

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    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais... :
    https://seenthis.net/messages/1043873

  • Nicolas Schmit veut revoir certains accords migratoires

    Les accords de plusieurs millions d’euros que l’UE a signés avec les pays voisins pour réduire l’immigration irrégulière doivent être « révisés », estime Nicolas Schmit, tête de liste des socialistes européens pour les élections de juin.

    « Je suis assez réticent à l’égard de ces accords qui doivent encore faire la preuve de leur efficacité. Nous dépensons actuellement d’énormes sommes d’argent, en donnant cet argent à différents régimes ou gouvernements, comme le gouvernement tunisien. Nous savons que les autorités tunisiennes traitent très mal les réfugiés », explique Nicolas Schmit à Euronews lors d’une interview exclusive filmée mardi matin.

    « Nous avons toujours des problèmes en Libye, où il y a deux gouvernements. Nous avons des questions pour l’Egypte. Je suis donc assez réticent à ce genre d’accords », poursuit-il.

    « Je pense que nous devons les revoir et voir ce qui peut être fait, comment nous pouvons le faire différemment parce que nous ne savons pas exactement comment l’argent est utilisé ».

    Nicolas Schmit, l’actuel commissaire européen en charge de l’Emploi et des Droits sociaux, rompt ouvertement avec la présidente de la Commission, Ursula von der Leyen, qui, au cours de l’année écoulée, a encouragé la politique de signature d’accords avec les pays voisins, tels que la Tunisie, la Mauritanie et l’Égypte, dans le but de stimuler leurs économies fragiles et de réduire le nombre de départs d’immigrants clandestins.

    Cette stratégie, qui prévoit des millions de fonds européens et des projets d’investissement, bénéficie d’un large soutien des dirigeants de l’UE dont l’Italienne Giorgia Meloni, le Grec Kyriakos Mitsotakis, le Belge Alexander De Croo et l’Espagnol Pedro Sánchez, qui ont tous, à un moment donné, rejoint Ursula von der Leyen lors de ses voyages officiels.

    Mais ces accords ont été fortement critiqués par les ONG humanitaires et les spécialistes des migrations, qui affirment qu’ils sont mal conçus, qu’ils manquent de transparence et qu’ils reposent sur un vote de confiance de la part de gouvernements autocratiques. Les nombreux rapports faisant état de violations des droits de l’homme en Tunisie et en Égypte ont jeté une ombre sur ces textes.

    Le dernier chapitre en date de cette politique concerne le Liban, où la présidente de la Commission a annoncé la semaine dernière un programme d’aide d’un milliard d’euros destiné à soulager les difficultés financières du pays frappé par la crise et à empêcher une vague de réfugiés de se diriger vers Chypre. L’enveloppe, entièrement constituée de subventions, sera progressivement mise en place jusqu’en 2027.

    « Personne ne sait exactement comment l’argent annoncé sera dépensé au Liban, étant donné la situation du gouvernement libanais, qui est, d’une certaine manière, un gouvernement très faible », analyse Nicolas Schmit.

    Au cours de son entretien avec Euronews, Le Luxembourgeois de 70 ans a fustigé le « modèle rwandais » que le Royaume-Uni a mis en place pour transporter les migrants par avion vers le pays africain et traiter leurs demandes d’asile sur place. Si les demandes sont approuvées, les réfugiés se verront accorder l’asile au Rwanda, et non sur le sol britannique.

    Dans son manifeste, le Parti populaire européen (PPE) présente une ébauche de projet similaire au « modèle rwandais » visant à externaliser partiellement le traitement des demandes. Ursula von der Leyen, tête de liste du PPE, nie la comparaison et insiste sur le fait que tout projet serait compatible avec le droit international.

    « Je suis absolument contre ce que nous appelons le modèle rwandais, qui va à l’encontre des droits fondamentaux sur lesquels l’Europe s’est construite », insiste Nicolas Schmit. « Déléguer le traitement des réfugiés au Rwanda ou à d’autres pays est une question de non-respect de la dignité humaine ».
    Pas question de travailler avec CRE

    Nicolas Schmit et Ursula von der Leyen se trouvent dans une position particulière car tous deux travaillent au sein de la Commission mais ils font campagne respectivement pour le PSE et le PPE.

    La présidente de l’institution demeure la favorite selon les sondages. Son parti devrait rester la première force politique au Parlement à l’issue des élections de juin.

    Toutefois, ces dernières semaines, Ursula von der Leyen a fait sursauter l’opinion publique en raison de ses ouvertures vers le groupe des Conservateurs et réformistes européens (CRE), qui regroupe notamment Fratelli d’Italia (Italie), Droit et Justice (Pologne), Vox (Espagne), l’Alliance néo-flamande N-VA (Belgique), le Parti démocratique civique (République tchèque) et les Démocrates de Suède (Suède).

    Le CRE devrait progresser de manière significative après le mois de juin, et pourrait devenir le troisième groupe le plus important, ce qui donnerait à cette formation eurosceptique et anti-Pacte vert un plus grand poids dans la prise de décision.

    Pour être reconduite par les dirigeants, Ursula von der Leyen devra être confirmée par une majorité au Parlement. Les socialistes ont prévenu que si la responsable allemande cherchait à obtenir des voix au sein de CRE, elle perdrait leur soutien.

    « Il n’y a aucun moyen - je suis très clair là-dessus - il n’y a aucun moyen d’avoir un arrangement, un accord ou quoi que ce soit avec l’extrême droite », assure Nicolas Schmit à Euronews.

    Il accuse le PPE de faire une « distinction très spéciale » entre l’extrême droite « décente » et l’extrême droite « paria » et a mis en garde contre les conséquences imprévisibles de cette ligne de plus en plus floue, affirmant que le CRE défendait une conception « fondamentalement différente » de l’Europe.

    « Lorsque je regarde l’extrême droite dite décente, qui sont ces gens ? Ce sont des Vox. Ce sont des admirateurs de Franco. Des admirateurs de Mussolini. C’est le parti PiS (Droit et Justice) qui était sur le point d’abolir l’État de droit en Pologne et qui a été sanctionné par la Commission. Où est donc l’extrême droite décente ? Il n’y en a pas », explique-t-il.

    « C’est pourquoi il n’est pas possible d’avoir un arrangement qui se contente d’acheter des votes parce que l’extrême droite est intelligente. Ils ne donneront pas leurs voix pour rien. Ils demanderont des concessions sur la manière dont la politique européenne sera définie », assure Nicolas Schmit.

    Cette interview fait partie d’une série en cours avec toutes les têtes de liste pour les élections européennes. L’interview complète de Nicolas Schmit sera diffusée sur Euronews le week-end du 17 mai.

    https://fr.euronews.com/my-europe/2024/05/07/les-accords-de-lue-sur-limmigration-avec-legypte-et-la-tunisie-doivent-

    #UE #Tunisia #Egypt #Nicolas_Schmit #Ursula_von_der_Leyen

    ping @cdb_77

  • En Tunisie, la répression s’accentue sur les migrants subsahariens et les associations qui les soutiennent
    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2024/05/08/en-tunisie-la-repression-s-accentue-sur-les-migrants-subsahariens-et-les-ass

    En Tunisie, la répression s’accentue sur les migrants subsahariens et les associations qui les soutiennent
    Par Nissim Gasteli (Tunis, correspondance)
    Il était 2 heures du matin, vendredi 3 mai, lorsque les agents des forces de l’ordre se sont présentés devant le campement de migrants, installé en face du siège de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), dans le quartier des berges du Lac à Tunis. « On était tous couchés, on dormait. D’un coup, il a fallu fuir », se souvient Simon, un exilé camerounais de 21 ans qui préfère utiliser un nom d’emprunt. Lui a réussi à échapper à la police. « Mais ceux qui n’y sont pas parvenus ont été arrêtés. Nous sommes toujours sans nouvelle de certains d’entre eux », dit-il, toujours à la rue. Ils étaient des centaines, originaires principalement de pays d’Afrique de l’Ouest, à dormir dehors dans l’attente d’une assistance de l’OIM pour un retour volontaire dans leur pays. (...)
    Plus loin, au bout de la rue, plusieurs centaines d’exilés – des hommes, des femmes et même des enfants majoritairement originaires du Soudan et de pays d’Afrique de l’Est en proie à la guerre – étaient installées dans les allées d’un jardin public en attendant d’obtenir une protection internationale.
    D’autres avaient planté leurs tentes à quelques centaines de mètres de là, devant le siège du Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés. Des dizaines de personnes exilées, installées dans la Maison des jeunes depuis à la fermeture du camp de Choucha en 2017, ont également été délogées, dans la banlieue de La Marsa.
    Au total, près de 80 mandats de dépôt ont été émis à l’encontre des personnes arrêtées au cours du week-end et au moins plusieurs centaines d’entre elles ont été expulsées vers les frontières du pays, selon plusieurs ONG. Cette évacuation coordonnée et de large ampleur fait suite à d’autres opérations similaires dans la région de Sfax la semaine passée.
    Lundi 6 mai, au cours d’un conseil de sécurité, le président Kaïs Saïed a reconnu pour la première fois des expulsions collectives de la part des autorités tunisiennes, précisant que « 400 personnes » ont été renvoyées vers « la frontière orientale », en « coordination continue » avec les pays voisins. « Nous assistons à une répression tous azimuts des populations noires migrantes qui continuent de subir des abus systématiques de leurs droits », dénonce Salsabil Chellali, directrice du bureau de Human Rights Watch à Tunis. Elle souligne que, de manière générale, les arrestations et les expulsions menées par les autorités se font « sans aucune évaluation au cas par cas du statut » des exilés, « en dehors de tout Etat de droit et cadre légal », simplement car « ces personnes sont identifiées comme noires et comme venant de pays africains ».
    « Hordes de migrants clandestins »
    Depuis le discours du président Kaïs Saïed, en février 2023, au cours duquel il avait désigné les « hordes de migrants clandestins » comme complice d’un complot visant à modifier l’identité arabo-islamique du pays, les autorités tunisiennes ont opéré un virage sécuritaire dans la gestion des migrants africains subsahariens.
    La répression à leur encontre s’est élargie ces derniers jours aux organisations de la société civile. Saadia Mosbah, présidente de Mnemty, une association de lutte contre les discriminations raciales, a été arrêtée lundi 6 mai sur la base de la loi relative à la lutte contre le terrorisme et à la répression du blanchiment d’argent et placée en garde à vue.Activiste tunisienne noire et figure de la lutte antiraciste en Tunisie, Mme Mosbah s’était montrée très critique envers les politiques anti-migrants du président Kaïs Saïed depuis plus d’un an. Un autre membre de l’association a été entendu dans le cadre de l’enquête, mais a été laissé en liberté. Leurs bureaux ont été perquisitionnés.
    L’organisation Terre d’asile Tunisie (TAT), section tunisienne de France terre d’asile, a elle aussi reçu la visite des fonctionnaires de police dans ses bureaux de Tunis et de Sfax. Son ancienne directrice, Sherifa Riahi, a été entendue puis placée en garde à vue sur la base de la même loi utilisée contre Mme Mosbah, confie au Monde une source sous couvert d’anonymat. Quatre personnes ont été entendues, « sans que cela donne lieu à une arrestation ».
    Le président et le vice-président du Conseil tunisien des réfugiés (CTR) ont eux aussi été arrêtés, placés sous mandat de dépôt à l’issue de leur garde à vue. Ils sont accusés d’« associations de malfaiteurs dans le but d’aider des personnes à accéder au territoire tunisien », selon une déclaration du parquet, alors que le CTR assiste le Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés dans l’enregistrement des demandeurs d’asile, avec l’aval des autorités en l’absence de loi encadrant le droit d’asile en Tunisie.
    Le président du Conseil tunisien des réfugiés (CTR) et l’un de ses collègues ont eux aussi été arrêtés. Selon la radio privée Mosaïque FM, ils sont accusés d’aide à l’hébergement de migrants en situation irrégulière, alors même que cette organisation assiste le Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés dans l’enregistrement des demandeurs d’asile, avec l’aval des autorités en l’absence de loi encadrant le droit d’asile en Tunisie.
    (...)Dans son discours lundi soir, M. Saïed a fustigé des associations qui « reçoivent d’énormes sommes d’argent de l’étranger ». « Il n’y a pas de place pour des associations qui pourraient remplacer l’Etat », a-t-il affirmé, qualifiant par ailleurs les dirigeants de ces associations de « traîtres » et d’« agents ». M. Saïed a aussi répété « aux chefs d’Etat » et « au monde entier », comme il l’a fait de nombreuses fois, que « la Tunisie n’est pas une terre pour installer ces gens et qu’elle veille à ce qu’elle ne soit pas également un point de passage pour eux vers les pays du nord de la Méditerranée ».
    Tout en refusant d’accueillir les migrants, les autorités tunisiennes continuent pourtant de les empêcher de rejoindre l’Europe moyennant un soutien financier et logistique de l’Union européenne. Entre le 1er janvier et le 15 avril, 21 270 migrants ont ainsi été interceptés en mer par la Garde nationale, contre 13 903 sur la même période en 2023, selon les chiffres communiqués par son porte-parole, Houssem Jebabli, à l’agence de presse Nova.

    #Covid-19#migrant#migration#UE#tunisie#association#ong#migrationirreguliere#afriquesubsaharienne#discrimination#droit#repression#sante

  • Migration : les États membres s’efforcent de transférer les procédures d’immigration à des États non membres de l’UE

    Un groupe d’États membres de l’UE, emmené par la #République_tchèque et le #Danemark, prépare une #lettre à la #Commission_européenne demandant que les migrants qui tentent d’atteindre l’UE soient transférés vers des États tiers sélectionnés avant d’atteindre les #côtes de l’Union — une procédure qui, selon les experts, risque d’être difficile à appliquer dans le cadre de la législation européenne actuelle sur l’immigration.

    Selon la lettre obtenue par les journaux tchèques, les signataires appellent à la conclusion d’#accords avec des pays tiers vers lesquels les États membres de l’UE pourraient envoyer les migrants interceptés en mer. L’ensemble de l’UE pourrait alors adopter un modèle similaire à celui conclu en novembre 2023 entre l’#Italie et l’#Albanie.

    « Là, une solution permanente pourrait être trouvée pour eux », peut-on lire dans la lettre, comme le rapporte le journal Hospodářské noviny.

    Selon ce plan, les migrants qui se dirigent vers l’Europe sans les documents nécessaires n’atteindraient même pas les côtes de l’UE, peut-on également lire dans la lettre.

    Le plan prévoit également le transfert des personnes qui se trouvent déjà dans un pays de l’UE, mais qui n’y ont pas obtenu l’asile, suggérant que ces migrants pourraient être emmenés dans un pays tiers, où ils resteraient jusqu’à ce qu’ils puissent être expulsés.

    Cette lettre a été rédigée à l’initiative du Danemark et de la République tchèque, et soutenue par plusieurs États membres. Une telle approche est soutenue par la majorité des Vingt-Sept, dont les #Pays-Bas, les États baltes et l’Italie, a appris Euractiv.

    L’Italie a été le premier État membre à signer un accord bilatéral avec un pays tiers — l’Albanie — sur l’externalisation des procédures de migration.

    « L’#externalisation et la #relocalisation des demandes d’asile ont une triple fonction : lutter plus efficacement contre les organisations criminelles dédiées au #trafic_d’êtres humains, comme outil de #dissuasion contre les départs illégaux, et comme moyen de soulager la pression migratoire sur les pays de première entrée, comme l’Italie, la Grèce, l’Espagne, Chypre ou Malte », a déclaré à Euractiv Italie le sous-secrétaire d’État au ministère italien de l’Intérieur, le député de la Lega Nicola Molteni (Identité et Démocratie).

    La #Hongrie est également favorable à une externalisation, mais n’a pas encore signé la lettre. Comme l’a confié un diplomate à Euractiv République tchèque, Budapest est « toxique » et pourrait nuire à la pertinence de la lettre.

    Le débat sur l’externalisation a battu son plein peu après l’approbation par le Parlement européen du nouveau pacte européen sur la migration et l’asile, et les États membres devraient formellement approuver le paquet législatif le 14 mai.

    L’externalisation des procédures d’immigration sera également abordée lors de la conférence internationale sur l’immigration qui se tiendra à Copenhague lundi (6 mai).

    « La conférence sera une bonne occasion de présenter les propositions du groupe de travail dirigé par le Danemark, avec la représentation de la majorité des États membres de l’UE, pour compléter le pacte sur la migration et l’asile après les élections européennes avec de nouvelles mesures, en particulier dans la dimension de la migration extérieure [y compris l’externalisation], basée sur un nouveau type de partenariat aussi complet », a déclaré Hana Malá, porte-parole du ministère tchèque de l’Intérieur, à Euractiv République tchèque.

    Les partenariats avec les États membres ne faisant pas partie de l’UE sont également soutenus par la présidente de la Commission européenne, Ursula von der Leyen.

    « Parallèlement à la mise en œuvre du Pacte sur les migrations, nous poursuivrons nos partenariats avec les pays d’origine et de transit afin de nous attaquer ensemble aux causes profondes des migrations », a-t-elle déclaré.

    Cependant, certains émettent des doutes quant à l’externalisation. C’est notamment le cas des libéraux français.

    Pour le député français Sacha Houlié, qui fait partie de l’aile gauche du parti majoritaire du président Emmanuel Macron, Renaissance (Renew Europe), l’externalisation des processus migratoires est aux antipodes du pacte sur la migration et l’asile adopté par le Parlement européen.

    « Envoyer des personnes dans des pays qui n’ont rien à voir avec leur pays d’origine, comme l’Albanie ou le Rwanda, pose un problème moral et éthique », a fustigé M. Houlié.

    L’externalisation de la gestion des migrations a également été qualifiée d’« inacceptable » par l’eurodéputé italien Brando Benifei, chef de la délégation du Parti démocrate (Partido Democratico, Socialistes et Démocrates européens) au sein de l’hémicycle européen.
    Critiques des ONG

    Les organisations de défense des droits de l’Homme se montrent particulièrement critiques concernant l’externalisation des procédures d’immigration, y compris l’accord italo-albanais.

    « Il est grand temps que les institutions européennes reconnaissent que l’accord entre l’Italie et l’Albanie créerait un système illégal et nuisible, auquel il faut mettre fin. Au lieu d’accroître la souffrance des individus, les autorités devraient garantir l’accès à une procédure d’asile efficace, à un accueil adéquat et à des itinéraires sûrs et réguliers », a souligné l’organisation Amnesty International en février.

    Selon l’expert en migration Vít Novotný, la proposition d’externaliser le traitement des demandes d’asile risque d’être difficile à mettre en œuvre, car les règles européennes, même dans le cadre du nouveau pacte migratoire, sont basées sur des procédures d’asile se déroulant uniquement sur le territoire de l’Union.

    « Le changement est concevable, la porte est là, mais le chemin juridique est long », a déclaré M. Novotný du Centre Wilfried Martens pour les études européennes à Euractiv République tchèque, soulignant que cette situation est encore spéculative.

    Il a expliqué que les propositions sur le retour des demandeurs déboutés pourraient être beaucoup plus faciles à obtenir un consensus et que l’initiative pourrait aider à résoudre le problème de longue date des déportations.

    Toutefois, il est essentiel de trouver des pays partenaires adéquats — un problème qui, selon M. Novotný, persiste.

    « La question est de savoir dans quelle mesure l’UE a essayé de trouver de tels pays. Il est possible qu’elle n’ait pas suffisamment essayé », a-t-il affirmé.

    « Maintenant que même l’Allemagne parle de solutions similaires, ce qui était impensable il y a seulement un an ou deux, il y a peut-être plus de chances de trouver un ou plusieurs pays de ce type. Mais pour l’instant, je ne fais que spéculer », a-t-il ajouté.

    M. Novotný a également rappelé les efforts de l’UE en 2018, lorsque le président du Conseil européen de l’époque, Donald Tusk, a déclaré que l’UE avait essayé de se mettre d’accord avec l’Égypte pour reprendre les personnes secourues en mer.

    « Et [le président Abdel Fattah] al-Sisi avait répondu très fermement à l’époque qu’il n’y avait pas moyen. Maintenant, cela se fait de manière un peu plus diplomatique, ce qui est probablement une meilleure façon de réussir », a conclu l’expert.

    https://www.euractiv.fr/section/all/news/migration-les-etats-membres-sefforcent-de-transferer-les-procedures-dimmigr

    #UE #Union_européenne #EU #asile #migrations #réfugiés #Europe #externalisation #pays_tiers

    • A Copenhague, une #conférence sur les #partenariats pour l’immigration

      Les représentants de plusieurs gouvernements européens se sont retrouvés, lundi, au Danemark, pour discuter des partenariats avec des pays tiers, dans le but de réduire l’immigration en Europe.

      La première ministre danoise, Mette Frederiksen (à gauche), avec la commissaire européenne chargée des affaires intérieures et des migrations, Ylva Johansson, lors d’une conférence internationale sur les migrations, à Copenhague, le 6 mai 2024. MADS CLAUS RASMUSSEN / AFP

      En janvier 2023, le gouvernement danois annonçait renoncer, temporairement, à sous-traiter le droit d’asile au Rwanda. A l’époque, le ministre de l’immigration et de l’intégration, Kaare Dybvad, faisait valoir que son pays souhaitait avancer avec ses partenaires européens, reconnaissant qu’une solution danoise ne réglerait pas le problème auquel faisait face l’Union européenne. « Nous nous sommes aussi rendu compte qu’après nous avoir envoyés balader, de plus en plus de pays semblaient intéressés par ce que nous avions à proposer », explique-t-on aujourd’hui au ministère.

      Lire aussi | Article réservé à nos abonnés Pacte européen sur la migration et l’asile : « Le régime d’asile actuel est inhumain par nature ; il doit être réformé en profondeur »

      Lundi 6 mai, Copenhague accueillait une conférence internationale sur l’immigration. Plus de 250 responsables politiques et représentants d’organisations internationales, dont le Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés, l’Organisation internationale pour les migrations ou Europol, y ont évoqué différents types de « solutions durables », sous forme de « partenariats » avec des pays tiers, destinés à endiguer les arrivées et à accélérer les retours.

      Le ministre de l’intérieur italien, Matteo Piantedosi, ses homologues autrichien et tchèque, Gerhard Karner et Vit Rakusan, de même que le ministre de l’immigration néerlandais, Eric van der Burg, ont fait le déplacement. La Belgique, l’Allemagne et la Suède étaient, quant à elles, représentées par leurs secrétaires d’Etat à l’intérieur et à l’immigration.

      « Une base solide »

      Venue accueillir les délégués, la première ministre sociale-démocrate danoise, Mette Frederiksen, a constaté que « le système actuel de l’immigration et de l’asile s’était de facto effondré », rappelant que le nombre d’arrivées en Europe « était comparable à 2015 ». « Le pacte européen sur la migration et l’asile est une base solide sur laquelle nous pouvons nous appuyer. Mais nous avons également besoin de partenariats plus larges et plus égaux, et d’un engagement en faveur d’une solution durable à long terme », a-t-elle déclaré, en ouverture de la conférence.

      Au cours de la journée, il a notamment été question de la loi, adoptée le 23 avril, par le Parlement britannique, qui va permettre au Royaume-Uni d’expulser des demandeurs d’asile vers le Rwanda. Un modèle très controversé, imaginé par le Danemark, qui avait été le premier pays à légiférer, dès 2021, avant de signer un accord de coopération bilatérale avec Kigali en septembre 2022, puis de suspendre son projet d’y délocaliser la prise en charge des demandeurs d’asile et des réfugiés.

      Lire aussi | Article réservé à nos abonnés Transférer les demandeurs d’asile au Rwanda : l’obstination du gouvernement de Rishi Sunak

      Copenhague, cependant, n’y a pas renoncé, selon M. Dybvad, qui estime qu’« une coopération européenne commune avec un ou plusieurs pays tiers en dehors de l’Europe devrait réduire l’incitation à y venir ». D’après le gouvernement danois, un tel système serait « plus humain et plus juste », car il réduirait le pouvoir des trafiquants et permettrait d’accorder l’asile à ceux « qui en ont vraiment besoin ».

      « Partenariats stratégiques »

      L’accord migratoire, signé entre l’Italie et l’Albanie, en janvier, a également été évoqué ainsi que les « partenariats stratégiques », passés par l’Union européenne, avec la Turquie, la Tunisie, le Maroc, l’Egypte et la Mauritanie. « Il n’est pas possible de penser que nous pouvons gérer l’immigration seuls au sein de l’UE », a observé Ylva Johansson, la commissaire européenne aux affaires intérieures, vantant le partenariat avec la Tunisie, qui a permis de « réduire d’environ 80 % les départs depuis que l’accord a été signé », en juillet 2023.

      Pour autant, pas question de sous-traiter l’asile à un pays tiers : « Ce n’est pas possible dans le cadre du pacte sur la migration » et « cela ne semble pas être un gros succès au Royaume-Uni », a-t-elle asséné. Le ministre autrichien de l’intérieur, M. Karner, n’est pas de cet avis : « Nous n’avons pas besoin d’une, mais de plusieurs solutions », martèle-t-il, affirmant qu’une des priorités, pour la prochaine Commission européenne, devra être de « modifier le cadre réglementaire », notamment « le critère de connexion », qui interdit aux pays européens d’envoyer un demandeur d’asile dans un pays où il n’a aucune connexion.

      Conseiller du ministre des affaires étrangères mauritanien, Abdoul Echraf Ouedraogo plaide, lui, pour « une réponse holistique ». La seule solution durable est de « s’attaquer aux facteurs structurels à l’origine de l’immigration, notamment aux inégalités de développement », dit-il, rappelant, par ailleurs, que les pays européens manquent de main-d’œuvre et auraient tout intérêt à faciliter les voies légales d’immigration vers l’UE.

      https://www.lemonde.fr/international/article/2024/05/07/a-copenhague-une-conference-sur-les-partenariats-pour-l-immigration_6232022_

  • En #Tunisie, la #répression s’accentue sur les migrants subsahariens et les associations qui les soutiennent

    Originaires d’Afrique de l’Ouest ou de l’Est, plusieurs centaines d’hommes, de femmes et d’enfants ont été expulsées vers les frontières du pays.

    Il était 2 heures du matin, vendredi 3 mai, lorsque les agents des forces de l’ordre se sont présentés devant le campement de migrants, installé en face du siège de l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), dans le quartier des berges du Lac à Tunis. « On était tous couchés, on dormait. D’un coup, il a fallu fuir », se souvient Simon, un exilé camerounais de 21 ans qui préfère utiliser un nom d’emprunt. Lui a réussi à échapper à la police. « Mais ceux qui n’y sont pas parvenus ont été arrêtés. Nous sommes toujours sans nouvelle de certains d’entre eux », dit-il, toujours à la rue.

    Ils étaient des centaines, originaires principalement de pays d’Afrique de l’Ouest, à dormir dehors dans l’attente d’une assistance de l’OIM pour un retour volontaire dans leur pays. « On veut juste rentrer chez nous, assure Simon qui a déposé en décembre 2023 une demande pour être rapatrié au Cameroun. On ne comprend pas pourquoi ils ont fait ça. On était calmes, on n’a agressé personne, on n’a rien fait de mal. »

    Plus loin, au bout de la rue, plusieurs centaines d’exilés – des hommes, des femmes et même des enfants majoritairement originaires du Soudan et de pays d’Afrique de l’Est en proie à la guerre – étaient installées dans les allées d’un jardin public en attendant d’obtenir une protection internationale.
    Des expulsions collectives

    D’autres avaient planté leurs tentes à quelques centaines de mètres de là, devant le siège du Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés. Des dizaines de personnes exilées, installées dans la Maison des jeunes depuis à la fermeture du camp de Choucha en 2017, ont également été délogées, dans la banlieue de La Marsa.

    Au total, près de 80 mandats de dépôt ont été émis à l’encontre des personnes arrêtées au cours du week-end et au moins plusieurs centaines d’entre elles ont été expulsées vers les frontières du pays, selon plusieurs ONG. Cette évacuation coordonnée et de large ampleur fait suite à d’autres opérations similaires dans la région de Sfax la semaine passée.

    Lundi 6 mai, au cours d’un conseil de sécurité, le président Kaïs Saïed a reconnu pour la première fois des expulsions collectives de la part des autorités tunisiennes, précisant que « 400 personnes » ont été renvoyées vers « la frontière orientale », en « coordination continue » avec les pays voisins.

    « Nous assistons à une répression tous azimuts des populations noires migrantes qui continuent de subir des abus systématiques de leurs droits », dénonce Salsabil Chellali, directrice du bureau de Human Rights Watch à Tunis. Elle souligne que, de manière générale, les arrestations et les expulsions menées par les autorités se font « sans aucune évaluation au cas par cas du statut » des exilés, « en dehors de tout Etat de droit et cadre légal », simplement car « ces personnes sont identifiées comme noires et comme venant de pays africains ».
    « Hordes de migrants clandestins »

    Depuis le discours du président Kaïs Saïed, en février 2023, au cours duquel il avait désigné les « hordes de migrants clandestins » comme complice d’un complot visant à modifier l’identité arabo-islamique du pays, les autorités tunisiennes ont opéré un virage sécuritaire dans la gestion des migrants africains subsahariens.

    La répression à leur encontre s’est élargie ces derniers jours aux organisations de la société civile. Saadia Mosbah, présidente de Mnemty, une association de lutte contre les discriminations raciales, a été arrêtée lundi 6 mai sur la base de la loi relative à la lutte contre le terrorisme et à la répression du blanchiment d’argent et placée en garde à vue.

    Activiste tunisienne noire et figure de la lutte antiraciste en Tunisie, Mme Mosbah s’était montrée très critique envers les politiques anti-migrants du président Kaïs Saïed depuis plus d’un an. Un autre membre de l’association a été entendu dans le cadre de l’enquête, mais a été laissé en liberté. Leurs bureaux ont été perquisitionnés.

    L’organisation Terre d’asile Tunisie (TAT), section tunisienne de France terre d’asile, a elle aussi reçu la visite des fonctionnaires de police dans ses bureaux de Tunis et de Sfax. Son ancienne directrice, Sherifa Riahi, a été entendue puis placée en garde à vue sur la base de la même loi utilisée contre Mme Mosbah, confie au Monde une source sous couvert d’anonymat. Quatre personnes ont été entendues, « sans que cela donne lieu à une arrestation ».

    Le président et le vice-président du Conseil tunisien des réfugiés (CTR) ont eux aussi été arrêtés, placés sous mandat de dépôt à l’issue de leur garde à vue. Ils sont accusés d’« associations de malfaiteurs dans le but d’aider des personnes à accéder au territoire tunisien », selon une déclaration du parquet, alors que le CTR assiste le Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés dans l’enregistrement des demandeurs d’asile, avec l’aval des autorités en l’absence de loi encadrant le droit d’asile en Tunisie.
    « Faire peur aux associations »

    Le président du Conseil tunisien des réfugiés (CTR) et l’un de ses collègues ont eux aussi été arrêtés. Selon la radio privée Mosaïque FM, ils sont accusés d’aide à l’hébergement de migrants en situation irrégulière, alors même que cette organisation assiste le Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés dans l’enregistrement des demandeurs d’asile, avec l’aval des autorités en l’absence de loi encadrant le droit d’asile en Tunisie.

    « C’est un nouveau cap franchi dans la répression, s’alarme Salsabil Chellali. Les autorités veulent faire peur aux associations qui mènent des actions pour atténuer un tant soit peu la souffrance des migrants et demandeurs d’asile et de mettre fin à toute assistance qu’ils peuvent recevoir en Tunisie. Ça ne fait qu’exacerber les conditions vulnérables dans lesquelles ils sont. »

    Dans son discours lundi soir, M. Saïed a fustigé des associations qui « reçoivent d’énormes sommes d’argent de l’étranger ». « Il n’y a pas de place pour des associations qui pourraient remplacer l’Etat », a-t-il affirmé, qualifiant par ailleurs les dirigeants de ces associations de « traîtres » et d’« agents ».

    M. Saïed a aussi répété « aux chefs d’Etat » et « au monde entier », comme il l’a fait de nombreuses fois, que « la Tunisie n’est pas une terre pour installer ces gens et qu’elle veille à ce qu’elle ne soit pas également un point de passage pour eux vers les pays du nord de la Méditerranée ».

    Tout en refusant d’accueillir les migrants, les autorités tunisiennes continuent pourtant de les empêcher de rejoindre l’Europe moyennant un soutien financier et logistique de l’Union européenne. Entre le 1er janvier et le 15 avril, 21 270 migrants ont ainsi été interceptés en mer par la Garde nationale, contre 13 903 sur la même période en 2023, selon les chiffres communiqués par son porte-parole, Houssem Jebabli, à l’agence de presse Nova.

    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2024/05/08/en-tunisie-la-repression-s-accentue-sur-les-migrants-subsahariens-et-les-ass
    #migrations #anti-migrants #expulsions #expulsions_collectives #réfugiés #arrestations

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    • Nella Tunisia di Saied adesso viene colpito chi aiuta i migranti

      Perquisizioni nelle sedi di importanti organizzazioni umanitarie e arresti di attivisti, mentre Italia e Ue continuano a elargire fondi. Continuano le deportazioni dei cittadini stranieri nelle zone desertiche al confine con Algeria e Libia

      Fin dove si spingerà Kais Saied? Chi lavora in ambito migratorio a Tunisi si pone questa domanda da tempo. Il 21 febbraio 2023 il presidente della Repubblica ha accusato le persone di origine subsahariana e sudanese di stare compiendo una sostituzione etnica nel paese. Successivamente, nel luglio dello stesso anno, sono arrivate le strette di mano con la premier Giorgia Meloni e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen per la firma del memorandum d’intesa, mentre il ministero degli Interni attuava vere e proprie deportazioni di migliaia di migranti verso le zone desertiche ai confini con Algeria e Libia.

      Le deportazioni continuano ancora oggi. Saied, invece, ha rivolto l’attenzione verso tutti coloro che si occupano di migrazioni: «La Tunisia non sarà una terra d’insediamento per questi immigrati e non è neanche un punto di passaggio per loro. Ci sono degli individui che hanno ricevuto dei soldi nel 2018 per portare qui queste persone. Enormi somme di denaro sono arrivate dall’estero a favore degli immigrati africani e a profitto di reti e associazioni che pretendono falsamente di proteggere queste persone», ha dichiarato il presidente durante il Consiglio di sicurezza del 6 maggio scorso.

      SAIED È PASSATO presto dalle parole ai fatti. Nell’ultima settimana quattro persone di tre organizzazioni diverse sono state poste in custodia cautelare con capi di accusa che vanno dall’associazione a delinquere con il fine di aiutare le persone a entrare illegalmente in Tunisia al riciclaggio di denaro e appropriazione indebita. Si tratta di due esponenti del Centro tunisino per i rifugiati (Ctr) che lavora a stretto contatto con l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), all’interno di un quadro giuridico estremamente precario in quanto il paese manca di una legislazione sul diritto d’asilo; della ex presidente di Terre d’Asile in Tunisia Sherifa Riahi e di Saadia Mosbah, uno dei volti più conosciuti della società civile locale per la sua attività di sensibilizzazione contro il razzismo e presidente dell’associazione Mnemty.

      I dettagli della messa in applicazione di queste disposizioni rappresentano un precedente a cui la società civile tunisina potrebbe abituarsi molto presto. I locali di Terre d’Asile sono stati perquisiti a Sfax, Sousse e Tunisi. La stessa sorte è capitata all’ufficio di Mnemty e all’abitazione di Mosbah. Nonostante un quadro altamente frammentato e a rischio per chi decide di andare contro le disposizioni presidenziali, le reazioni non sono mancate. Romdhane Ben Amor, portavoce del Forum tunisino per i diritti economici e sociali, ha dichiarato che «la Tunisia sta aggravando la crisi e promuove l’idea che non ci sia una soluzione». Si è espresso duramente anche Bassem Trifi, presidente della Lega tunisina dei diritti umani, organizzazione che vinse il premio Nobel per la pace nel 2015.

      AL DI LÀ DELLA CRONACA è importante capire dove si inserisce l’ulteriore stretta autoritaria del presidente Kais Saied. Da inizio anno la Garde nationale ha dichiarato di avere intercettato in mare 21.270 persone, 9mila in più rispetto al 2023. Un dato preoccupante sia per il piccolo Stato nordafricano, diventato un hub strategico di primo piano per le partenze, ma anche per l’Europa e per l’Italia in particolare, impegnate a finanziare in maniera sempre più importante le politiche securitarie della Tunisia.

      Una soluzione per garantire gli interessi delle due sponde del Mediterraneo sono le deportazioni verso il deserto. Da quasi un anno migliaia di persone sono state caricate sui bus e lasciate a loro stesse in aree disabitate lungo i confini del paese con l’Algeria e la Libia. Un meccanismo attuato dal ministero degli Interni su tutto il territorio nazionale, con una particolare attenzione a Sfax, seconda città della Tunisia dove il fenomeno migratorio è più accentuato. L’ultimo caso risale alla mattina del 3 maggio di fronte ai locali dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e dell’Unhcr a Tunisi dove centinaia di persone in attesa del rimpatrio volontario o che godevano di qualche forma di “protezione” avevano trovato un rifugio precario costruito con tende di fortuna. Un imponente intervento securitario ha evacuato la zona, arrestato circa 80 persone e deportato almeno altre 200, secondo la ricostruzione di Refugees in Libya.

      ANCHE IN QUESTO CASO urge andare oltre la cronaca. La sensazione che emerge da questo ulteriore restringimento presidenziale è che da ora in avanti occuparsi di migrazione e documentare possibili abusi diventerà sempre più complicato, soprattutto in quelle zone periferiche dove le violazioni avvengono. A partire proprio da Sfax: in questa città da più di un mese sono aumentati i raid della polizia nei confronti della popolazione subsahariana e sudanese.

      https://ilmanifesto.it/nella-tunisia-di-saied-adesso-viene-colpito-chi-aiuta-i-migranti

    • En Tunisie, arrestation de deux autres chroniqueurs pour avoir critiqué la situation du pays

      #Borhen_Bssais, présentateur à la télévision et à la radio, et #Mourad_Zeghidi, chroniqueur, ont été interpellés samedi soir, tout comme #Sonia_Dahmani, avocate et chroniqueuse.

      Au lendemain de l’arrestation musclée de l’avocate et chroniqueuse Sonia Dahmani poursuivie pour des motifs similaires, la justice tunisienne a décidé, dimanche 12 mai, de placer en détention deux chroniqueurs qui ont émis des critiques sur la situation du pays, a appris l’Agence France-Presse (AFP) auprès d’un avocat.

      Interpellés samedi soir, Borhen Bssais, présentateur à la télévision et à la radio et Mourad Zeghidi, chroniqueur, « font l’objet d’un mandat de dépôt de quarante-huit heures », selon Me Ghazi Mrabet. « Ils devront comparaître devant un juge d’instruction », a-t-il ajouté à l’AFP. Selon l’avocat, M. Zeghidi est poursuivi « pour une publication sur les réseaux sociaux dans laquelle il soutenait un journaliste arrêté [Mohamed Boughalleb, condamné à six mois de prison pour diffamation d’une fonctionnaire] et des déclarations lors d’émissions télévisées depuis février ».

      Mourad Zeghidi est commentateur politique à la télévision et travaille avec Borhen Bssais, qui présente des programmes sur des chaînes de radio et télévision privées. Les motivations exactes de l’arrestation de M. Bssais ne sont pas établies mais, selon l’avocat, il aurait été arrêté aussi en vertu de l’article 54, promulgué en septembre 2022 par le président tunisien, Kaïs Saïed, pour réprimer la production et diffusion de « fausses nouvelles », mais critiqué par les défenseurs des droits humains car sujet à des interprétations très larges.

      Poursuite de plus de soixante critiques du pouvoir

      En un an et demi, plus de soixante personnes parmi lesquelles des journalistes, des avocats et des opposants à M. Saïed, auteur d’un coup de force en juillet 2021 par lequel il s’est octroyé les pleins pouvoirs, ont fait l’objet de poursuites sur la base de ce texte, selon le Syndicat national des journalistes.

      C’est en vertu du même décret 54 que l’avocate Sonia Dahmani fait l’objet de poursuites et a été arrêtée samedi soir à la suite d’une intervention ironique à la télévision, alors qu’elle s’était réfugiée à la Maison des avocats. La scène a été filmée en direct par une équipe de la télévision publique française France 24 mais a été interrompue par l’intervention de policiers encagoulés.

      Jeudi, l’avocate avait reçu une convocation, à laquelle elle n’a pas donné suite, pour comparaître devant un juge d’instruction sans que les motifs soient précisés, à la suite d’une intervention ironique à la télévision. L’ordre national des avocats a condamné devant la presse samedi soir ce qu’elle a décrit comme « une invasion [de son siège] et une agression flagrante », exigeant la libération immédiate de Mme Dahmani et annonçant une grève régionale à partir de lundi.

      France 24 a protesté dans un communiqué contre le fait ces policiers aient « arraché la caméra de son trépied » et arrêté pour « une dizaine de minutes » son caméraman. La chaîne francophone internationale a condamné « fermement cette entrave à la liberté de la presse et cette intervention brutale et intimidante des forces de l’ordre empêchant ses journalistes d’exercer leur métier ».

      Lors d’une émission de télévision, mardi, Sonia Dahmani avait lancé d’une façon ironique « de quel pays extraordinaire parle-t-on ? », en réponse à un autre chroniqueur qui affirmait que les migrants venus de plusieurs pays d’Afrique subsaharienne cherchaient à s’installer en Tunisie, une déclaration jugée par des internautes comme « dégradante » pour l’image du pays.
      Répression des migrants subsahariens et de leurs soutiens

      Par ailleurs, plusieurs ONG d’aide aux migrants ont subi des contrôles la semaine passée et la présidente de l’association antiraciste Mnemty (« mon rêve »), Saadia Mosbah, a été placée en garde à vue le 6 mai pour des soupçons de blanchiment d’argent.

      Mme Mosbah et son association avaient été en première ligne dans la défense des migrants d’Afrique subsaharienne en Tunisie après un violent discours en février 2023 du président Saïed dénonçant l’arrivée de « hordes de migrants clandestins » dans le cadre d’un complot « pour changer la composition démographique » du pays.

      Lundi, M. Saïed a répété que son pays « ne sera[it] pas une terre pour implanter ces gens-là » et « veillera[it] à ne pas être un point de passage ». Il s’en est également pris à « des associations et organisations » qui reçoivent, selon lui, « des sommes astronomiques de l’étranger ». Avec la Libye, la Tunisie est l’un des principaux points de départ de l’émigration clandestine en direction de l’Italie.

      Une manifestation à l’appel de la coalition d’opposition Front de salut national pour réclamer « des élections libres et équitables » cet automne, et « la fin de la destruction systématique du pays », a rassemblé environ trois cents personnes dimanche, selon des journalistes de l’AFP. « Stop Etat policier » ou « Dégage, dégage Kaïs Saïed ! », scandaient les manifestants.

      https://www.lemonde.fr/afrique/article/2024/05/12/en-tunisie-arrestation-de-deux-autres-chroniqueurs-pour-avoir-critique-la-si

    • Inquiétante arrestation d’une militante antiraciste en Tunisie

      Le pouvoir tunisien durcit un peu plus le ton sur la question des migrants subsahariens... Il s’en prend désormais aux ONG qui les aident !

      La garde à vue de Saadia Mosbah est inquiétante à bien des égards. Elle a fait sienne la cause des Tunisiens et des Tunisiennes qui, comme elle, sont noirs. Elle est également très active dans la défense des droits des migrants d’Afrique subsaharienne. Chaque année, des milliers d’entre eux rejoignent les côtes de la Tunisie pour tenter la traversée vers l’Europe.

      Leur présence est un sujet explosif dans le pays et une cible de choix pour le président Kaïs Saïed. Il dénonce « des hordes de migrants clandestins » venus pour modifier la composition démographique du pays. Le grand remplacement, version tunisienne. Résultat : les tensions sont vives entre une partie de la population et les migrants.

      L’année dernière la police tunisienne en a arrêté des centaines avant de les conduire dans le désert, dans un no man’s land près des frontières libyenne et algérienne. Des hommes, des femmes, des enfants, parfois des bébés...sans vivre. Plusieurs d’entre eux sont morts.

      Parmi les voix qui s’élèvent, celle de Saadia Mosbah, véritable égérie du mouvement antiraciste en Tunisie. C’est elle qui vient d’être arrêtée, ainsi que l’ancienne présidente de la branche locale de France Terre d’Asile.

      Ce qui leur est reproché

      Selon la presse tunisienne, les deux femmes auraient été placées en garde à vue pendant plusieurs jours pour de possibles violations d’une loi contre le terrorisme et le blanchiment d’argent. En début de semaine, le président tunisien a lancé une charge violente contre les organisations qui aident les migrants. Kaïs Saïed reproche à ces ONG de toucher beaucoup d’argent de l’étranger. Il les a qualifiés de « traîtres » et les accuse d’essayer d’implanter les migrants subsahariens en Tunisie.

      Une menace pour les Tunisiens noirs

      Si Saadia Mosbah défend les droits des migrants, elle s’est surtout fait connaître en brisant un tabou. Celui des discriminations raciales en Tunisie.

      Par son combat, elle a largement contribué à faire que son pays soit le premier du monde arabe à adopter une loi contre le racisme. Votée en 2018, elle prévoit des amendes, voire même de la prison pour des faits de discrimination raciale. A ce jour, elle reste très rarement appliquée.

      Le président, pourtant un juriste de formation, ne semble pas la connaître ou s’en préoccuper. Pour les Tunisiens descendants d’esclaves qui constituent 10 à 15% de la population selon l’ONG que dirige Saadia Mosbah, son arrestation est un recul de plus dans un contexte particulièrement tendu.

      https://www.radiofrance.fr/franceinter/podcasts/les-histoires-du-monde/histoires-du-monde-du-vendredi-10-mai-2024-7541609

  • Migranti, la #Medihospes si aggiudica l’appalto da 133 milioni di euro per i centri in Albania

    Il colosso dell’accoglienza in diverse inchieste anche per le condizioni poco dignitose di vita garantite nelle strutture. Il suo amministratore è #Camillo_Aceto, già arrestato a Bari e finito in #Mafia_capitale.

    La gallina dalle uova d’oro dei centri per migranti in Albania è finita nelle mani del businessman italiano dell’accoglienza, quel Camillo Aceto il cui nome, negli ultimi vent’anni, è comparso nelle più disparate inchieste della magistratura da un capo all’altro d’Italia e con le accuse più diverse: dalla truffa nelle forniture di pasti alle mense ospedaliere di Bari che lo vide finire agli arresti nel 2003 all’indagine per infiltrazioni mafiose nella gestione del Cara di Mineo in Mafia capitale a svariate indagini per frode in pubbliche forniture da parte delle varie società in cui ha avuto incarichi dirigenziali e che alla fine sono confluite nella Medihospes.

    Il colosso dell’accoglienza che gestisce più del 60 per cento di centri migranti in Italia, 3.800 posti letto in 26 strutture, si è aggiudicato il bando milionario per la gestione dei centri che il governo italiano intende aprire in Albania per tenervi, in attesa di rimpatrio, alcune migliaia di migranti provenienti dai cosiddetti paesi sicuri che verranno soccorsi da navi militari italiane in acque internazionali. Ben 133.789.967,55 milioni di euro la cifra che Medihospes incasserà per gestire l’accoglienza dei migranti nell’#hotspot di #Shengjin e nel centrio per richiedenti asilo ( con annesso Cpr) che sorgerà nell’area di #Gjader. La prefettura di Roma ha ritenuto l’offerta di Medihospes, con un ribasso del 4,94 per cento sulla base d’asta, più vantaggiosa rispetto a quelle degli altri due concorrenti selezionati tra oltre 30 aziende: il consorzio #Hera e #Officine_sociali. Per due anni, rinnovabili per altri due, Medihospes dovrà provvedere alle esigenze di vitto, alloggio e servizi basici per i migranti che verranno portati in Albania.

    Un’aggiudicazione che continua ad assembrare ombre sull’operazione Albania i cui altissimi costi di partenza (650 milioni) sono già lievitati a quasi un miliardo a fronte di una totale incertezza sui tempi di apertura dei centri. Stando al bando, Medihospes dovrebbe essere pronta per partire il 20 maggio. Peccato che, per quella data, nelle aree di Shengjin e Gjader non ci sarà molto altro oltre alle ruspe. La consegna dei lavori delle opere di urbanizzazione e della realizzazione delle strutture affidata al genio militare è infatti prevista per la fine di ottobre quando la stagione calda degli sbarchi sarà già finita.

    Il ruolo di semimonopolio di Medihospes nel mondo dell’accoglienza viene fuori dal report “Centri d’Italia” 2022 fatto da Action Aid e Open Polis sugli ultimi dati forniti dal Viminale: a quella data la cooperativa sociale gestiva 26 strutture in sei regioni: 24 Cas, il Cpa di Udine e l’hotspot di Messina, 3800 posti letto sempre sovraffollati in condizioni spesso oggetto di denunce.

    Ex amministratore de #La_Cascina, indagata in Mafia capitale, con sedi e iniziative spesso coincidenti con quelle della #Senis_Hospes, poi diventata Medihospes, Camillo Aceto è sempre caduto in piedi mantenendo un ruolo centrale. «Solo con economie di scala e sacrificando i servizi - osserva Fabrizio Coresi di Action Aid - solo soggetti come Medihospes possono riuscire a realizzare un ribasso consistente e rendersi disponibili a gestire centri come quelli in Albania dove i diritti delle persone accolte non sono al centro».

    https://www.repubblica.it/cronaca/2024/05/07/news/migranti_appalto_albania_medihospes-422857446

    #Albanie #Italie #asile #migrations #réfugiés #coût #appel_d'offre #externalisation #sous-traitance
    –-

    ajouté à la métaliste sur l’#accord entre #Italie et #Albanie pour la construction de #centres d’accueil (sic) et identification des migrants/#réfugiés sur le territoire albanais...
    https://seenthis.net/messages/1043873

  • Manche : 22 personnes secourues en mer, d’autres ont continué la traversée - InfoMigrants
    https://www.infomigrants.net/fr/post/56924/manche--22-personnes-secourues-en-mer-dautres-ont-continue-la-traverse

    Manche : 22 personnes secourues en mer, d’autres ont continué la traversée
    Par La rédaction Publié le : 08/05/2024
    Lundi soir, les autorités maritimes françaises ont porté assistance à une embarcation de migrants traversant la Manche. Au total, 22 personnes ont été secourues. Les autres exilés présents sur l’embarcation ont souhaité poursuivre la traversée jusqu’en Angleterre.C’est après avoir été prévenue qu’une embarcation était en difficulté en mer que la préfecture a mobilisé l’un de ses navires, lundi 6 mai, dans la soirée. Une fois arrivé sur place, le Ridens a porté secours à 22 personnes au large de Gravelines, au nord de Calais.
    Mais, lors de l’opération, « plusieurs personnes encore présentes à bord de l’embarcation » ont refusé l’assistance des autorités françaises, selon la préfecture qui n’a pas précisé le nombre de personnes qui sont restées sur le bateau."Lors de certaines opérations de sauvetage, il arrive qu’une partie des migrants refusent d’être secourus par les moyens français. Dans cette configuration, compte tenu des risques encourus par les migrants en cas d’actions contraignantes pour les obliger à embarquer sur les moyens de sauvetage de l’État (chute à la mer, choc thermique, trauma divers), le choix est fait de les laisser poursuivre leur route", précise la préfecture dans un communiqué.
    Selon les données publiées par le ministère de l’Intérieur du Royaume-Uni, 98 personnes ont accosté sur les côtes anglaises le 6 mai. Parallèlement, en une semaine, près de 1 000 migrants ont été empêchés dans leur traversée.
    Cette opération intervient alors que les drames se multiplient depuis le début de l’année dans la région. Depuis janvier 2024, 16 migrants ont péri dans leur tentative de traversée de la Manche pour rejoindre le Royaume-Uni. Un chiffre en forte augmentation par rapport à l’année 2023 durant laquelle 12 décès avaient été comptabilisés.
    La plupart des exilés sont décédés en pleine mer lors de leur traversée, mais d’autres ont trouvé la mort dans les canaux qui se jettent dans la Manche. Les décès dans ces cours d’eau ont été nombreux ces derniers mois. Le 19 mars, le corps d’un Syrien de 27 ans, disparu depuis plusieurs jours, a été découvert dans le canal de l’Aa.Le 3 mars, c’est une fillette de sept ans qui est morte noyée dans ce même cours d’eau après le chavirage d’une petite embarcation chargée de migrants. Cette méthode d’embarquement depuis les canaux affluents de la Manche est de plus en plus utilisée par les exilés pour éviter les contrôles qui ont été renforcés le long du littoral.Le nombre de traversées augmente également. Selon le Home Office britannique, plus de 8 942 personnes ont traversé la Manche depuis le début de l’année 2024. Sur la même période l’année dernière, le nombre était de 6 691 exilés.La journée du 1er mai 2024 constitue un record : plus de 700 personnes ont atteint les côtes anglaises ce jour-là.

    #Covid-19#migration#migrant#france#royaumeuni#manche#traversee#PREMAR#traversee#sante#migrationirreguliere

  • Le contrôle au faciès, une pratique qui vise de plus en plus d’étrangers au Japon
    https://www.lemonde.fr/international/article/2024/05/08/le-controle-au-facies-une-pratique-qui-vise-de-plus-en-plus-d-etrangers-au-j

    Le contrôle au faciès, une pratique qui vise de plus en plus d’étrangers au Japon
    Par Philippe Mesmer (Tokyo, correspondance)
    Avec le nombre d’étrangers en hausse au Japon – ils étaient 3,4 millions en décembre 2023, soit une hausse de plus de 10 % sur un an –, la question du contrôle au faciès fait l’objet d’une contestation croissante dans l’Archipel. Témoignant en avril dans le quotidien de centre gauche Mainichi, un policier resté anonyme avoue en être arrivé à considérer « que les ordres donnés pour “sévir contre les étrangers” – en d’autres termes, les juger sur leur seule apparence – constituaient une violation des droits humains ».
    L’agent, qui a passé dix ans dans la police, raconte qu’affecté dans un commissariat local, il devait « cibler les étrangers pour les interroger et vérifier leur carte de résident. Il y avait “un mois de répression des étrangers” au cours duquel il fallait redoubler d’efforts pour vérifier les cartes, mais aussi [les] fouiller pour trouver de la drogue ou des couteaux ». L’ordre provenait de la division des enquêtes criminelles, à la recherche des personnes en situation irrégulière. Ces contrôles ne ciblaient pas de groupes ethniques particuliers, mais, précise le policier, il y avait des préjugés contre « les Noirs ou les Asiatiques du Sud-Est » ou encore les Coréens – la deuxième population étrangère du Japon, longtemps victime de discriminations
    Le contrôle au faciès a été condamné en 2020 par le Comité des Nations unies pour l’élimination de la discrimination raciale qui a recommandé d’agir pour le prévenir. Sur l’Archipel, la question a été publiquement soulevée, en décembre 2021, quand l’ambassade des Etats-Unis au Japon s’est inquiétée sur son compte Twitter d’avoir « reçu un nombre croissant de témoignages d’étrangers arrêtés et fouillés par la police sans motif autre que celui du profilage racial ».
    Réagissant à ce message, les parlementaires japonais ont demandé à l’Agence de la police nationale de mener une enquête interne. En novembre 2022, cette dernière a reconnu six cas de contrôle inapproprié ou sans raison, sur la base de stéréotypes raciaux. A l’époque, et alors que le Japon interdisait toute entrée en raison de la pandémie de Covid-19, la police avait intensifié les contrôles des étrangers pour trouver ceux en situation irrégulière. Elle ciblait notamment les quartiers à forte population étrangère comme celui d’Okubo à Tokyo.
    Une enquête du barreau de Tokyo, menée entre janvier et février 2022 auprès de résidents étrangers, a par ailleurs révélé que 62,9 % des 2 094 personnes interrogées avaient été questionnées par la police au cours des cinq dernières années. Parmi elles, 85,4 % avaient été abordées parce qu’elles étaient étrangères.
    Le 29 janvier, trois personnes ont porté plainte contre l’Etat nippon sur cette question. Maurice, un Noir Américain se présentant uniquement sous ce prénom, déplore d’avoir été contrôlé « seize ou dix-sept fois » depuis son arrivée au Japon, il y a dix ans. Zain Syed, Pakistanais devenu Japonais à l’âge de 13 ans, affirme avoir été contrôlé par la police à quinze reprises depuis son installation en 2016 à Nagoya (dans le centre du pays). Or, explique-t-il, ces contrôles renvoient une image négative aux gens. « Je pense qu’il existe une image très forte associant “étranger” et “criminel”. »
    Comme les interpellations se déroulent dans la rue, « les gens les voient et peuvent penser que les étrangers sont mal intentionnés. Cela renforce la stigmatisation. Cela va totalement à l’encontre de la politique du gouvernement qui souhaite accueillir davantage d’étrangers », estime Motoki Taniguchi, avocat des plaignants qui attendent une confirmation qu’il est illégal pour les policiers de contrôler une personne en raison de sa couleur de peau ou de sa nationalité. Pour les plaignants, l’attitude des policiers enfreint les principes constitutionnels de non-discrimination raciale et de respect de l’individu, ainsi que la loi japonaise qui exige une raison valable pour un contrôle.

    #Covid-19#migrant#migration#japon#racisme#discrimination#etranger#sante

  • Pacte européen sur la migration et l’asile : « Un continuum de l’enfermement attend désormais les exilés »
    https://www.lemonde.fr/idees/article/2024/05/06/pacte-europeen-sur-la-migration-et-l-asile-un-continuum-de-l-enfermement-att

    Pacte européen sur la migration et l’asile : « Un continuum de l’enfermement attend désormais les exilés »
    Tribune Claire Rodier Juriste
    Parmi les dix textes adoptés par le Parlement européen le 10 avril, aucun n’a pour objet spécifique l’enfermement des étrangers. Pourtant, la détention est omniprésente dans le pacte européen sur la migration et l’asile – ce terme y figure plus de cent cinquante fois –, qu’il s’agisse de « filtrer » les arrivées de migrants aux frontières, de préparer le départ de ceux qui ne peuvent être admis sur le territoire européen, mais aussi d’instruire les demandes d’asile ou même d’organiser l’accueil des demandeurs. Comme si les Etats de l’Union européenne (UE) ne pouvaient répondre aux attentes de ceux qui frappent à leur porte, parmi lesquels un grand nombre fuit des pays en guerre ou en crise, autrement qu’en les mettant derrière des barreaux.
    Une directive européenne de 2008, dite « retour », fixe déjà des règles communes permettant que certains étrangers soient privés de liberté, sans avoir été condamnés pour un quelconque délit, si cette mesure est considérée comme nécessaire pour la gestion de leur situation administrative. Une pratique qui existe depuis longtemps en France, avec les centres de rétention, où sont placées des personnes en attente d’expulsion, et les zones d’attente aux frontières, où d’autres sont « maintenues » le temps d’examiner leur cas.
    Ces détentions se font sous le contrôle d’un juge et peuvent faire l’objet de recours, même si l’effectivité de ces garanties s’amenuise au fil des réformes législatives. En étendant la possibilité d’enfermer à toutes les étapes du parcours migratoire, le pacte consacre une présomption d’indésirabilité. Un soupçon qui vise principalement les exilés arrivant en Europe par ses frontières méridionales.
    Lire aussi la tribune (2023) | Article réservé à nos abonnés « Les centres de rétention sont devenus des lieux de violations systématiques des droits et d’atteintes graves à la dignité humaine »
    Car tout le monde n’est pas logé à la même enseigne : lorsqu’en 2022 plus de quatre millions d’Ukrainiens fuyant l’agression russe se sont précipités aux frontières de l’UE, nul n’aurait songé à les mettre dans des camps ou à contrôler leurs déplacements. Dans tous les pays européens, où ils avaient libre choix de s’installer, un dispositif d’accueil a été mis en place en quelques jours pour leur offrir l’hospitalité, sans entraîner de bouleversement majeur.
    Au contraire, avec le pacte, pour faire face à ce que certains n’hésitent pas à qualifier de « submersion migratoire » venue du Sud – rappelons qu’on parle de quelque 270 000 personnes arrivées irrégulièrement aux frontières de l’Europe en 2023 et que l’UE accueille moins de 10 % du total des réfugiés dans le monde –, les mêmes ont choisi de généraliser l’« approche hot spot », inventée en 2015 pour bloquer les exilés débarquant alors en grand nombre aux frontières maritimes de la Grèce et de l’Italie.
    La combinaison des différents règlements du pacte aboutit à ce que toute personne se présentant, sans les documents exigibles, à une frontière extérieure de l’UE soit systématiquement maintenue sous autorité policière, pendant une période de huit jours destinée au « filtrage » (identification et évaluation de la situation). Cette règle s’impose à tous, demandeurs d’asile et enfants mineurs compris.
    A l’issue de cette première phase, elle sera orientée soit vers une procédure de renvoi, soit vers une procédure d’asile à la frontière. Dans les deux cas, la détention se poursuivra. Jusqu’à dix-huit mois, pour ceux qui doivent être expulsés, pendant de longues semaines pour de nombreux autres – alors même que, selon le droit international, la privation de liberté des demandeurs d’asile devrait rester une mesure exceptionnelle. Et si ces derniers sont « relocalisés » pour voir leur demande examinée dans un autre Etat membre de l’UE, c’est encore sous la contrainte que s’effectuera leur transfert dans ce pays.
    Sans compter que le respect des délais prévus par le pacte suppose un bon fonctionnement des instances chargées du filtrage, de l’examen des demandes d’asile et du contrôle de ces procédures. Il exige aussi des locaux adaptés à l’accueil des populations concernées. Or, l’expérience des « hot spots » italiens, et surtout grecs, fait craindre que l’impossibilité matérielle de gérer ces différentes contraintes ne perpétue un mécanisme aussi inefficace qu’inhumain.Faute de pouvoir procéder à des expulsions, faute de personnel compétent en nombre suffisant, faute de capacités d’hébergement décent, plusieurs îles grecques de la mer Egée sont devenues, avec l’« approche hot spot », des centres de triage où des dizaines de milliers de personnes – hommes, femmes, enfants, vulnérables et malades mélangés – sont entassées et souvent enfermées, pendant parfois plusieurs années, dans des conditions matérielles et sanitaires en deçà de tous les standards.
    En 2019, la commissaire aux droits de l’homme du Conseil de l’Europe Dunja Mijatovic [remplacée en avril par Michael O’Flaherty] rapportait, après une visite, avoir vu « une situation explosive [où] les soins médicaux et les installations sanitaires font cruellement défaut, [et où] les gens font la queue pendant des heures pour recevoir de la nourriture ». Depuis, de nombreux rapports, émanant tant d’organismes officiels que d’organisations non gouvernementales, confirment le caractère structurel des violations des droits dont sont victimes les occupants des « hot spots ».
    La massification de la détention instaurée par le pacte ne s’arrête pas aux frontières et n’épargne personne, dès lors qu’on a été obligé, faute d’accès à des voies légales pour voyager, d’emprunter la route de la clandestinité. Car un règlement du pacte sur les conditions « d’accueil » des demandeurs d’asile finalement admis sur le territoire européen prévoit qu’on pourra aussi détenir certains d’entre eux pour éviter les « risques de fuite ».
    Bien loin du « système (…) pleinement ancré dans les valeurs européennes et le droit international » qu’avait promis la Commission européenne en 2020 en présentant le pacte, c’est un continuum de l’enfermement qui attend désormais les exilés ayant réussi à franchir les remparts de la forteresse Europe.

    #Covid-19#migrant#migration#UE#hotspot#droit#detention#UE#pactemigratoire#asile#retour#sante#frontiere

  • A Copenhague, une conférence sur les partenariats pour l’immigration
    https://www.lemonde.fr/international/article/2024/05/07/a-copenhague-une-conference-sur-les-partenariats-pour-l-immigration_6232022_

    A Copenhague, une conférence sur les partenariats pour l’immigration
    Les représentants de plusieurs gouvernements européens se sont retrouvés, lundi, au Danemark, pour discuter des partenariats avec des pays tiers, dans le but de réduire l’immigration en Europe.
    Par Anne-Françoise Hivert (Malmö (Suède),
    En janvier 2023, le gouvernement danois annonçait renoncer, temporairement, à sous-traiter le droit d’asile au Rwanda. A l’époque, le ministre de l’immigration et de l’intégration, Kaare Dybvad, faisait valoir que son pays souhaitait avancer avec ses partenaires européens, reconnaissant qu’une solution danoise ne réglerait pas le problème auquel faisait face l’Union européenne. « Nous nous sommes aussi rendu compte qu’après nous avoir envoyés balader, de plus en plus de pays semblaient intéressés par ce que nous avions à proposer », explique-t-on aujourd’hui au ministère.
    Lundi 6 mai, Copenhague accueillait une conférence internationale sur l’immigration. Plus de 250 responsables politiques et représentants d’organisations internationales, dont le Haut-Commissariat des Nations unies pour les réfugiés, l’Organisation internationale pour les migrations ou Europol, y ont évoqué différents types de « solutions durables », sous forme de « partenariats » avec des pays tiers, destinés à endiguer les arrivées et à accélérer les retours.Le ministre de l’intérieur italien, Matteo Piantedosi, ses homologues autrichien et tchèque, Gerhard Karner et Vit Rakusan, de même que le ministre de l’immigration néerlandais, Eric van der Burg, ont fait le déplacement. La Belgique, l’Allemagne et la Suède étaient, quant à elles, représentées par leurs secrétaires d’Etat à l’intérieur et à l’immigration.
    Venue accueillir les délégués, la première ministre sociale-démocrate danoise, Mette Frederiksen, a constaté que « le système actuel de l’immigration et de l’asile s’était de facto effondré », rappelant que le nombre d’arrivées en Europe « était comparable à 2015 ». « Le pacte européen sur la migration et l’asile est une base solide sur laquelle nous pouvons nous appuyer. Mais nous avons également besoin de partenariats plus larges et plus égaux, et d’un engagement en faveur d’une solution durable à long terme », a-t-elle déclaré, en ouverture de la conférence.
    Au cours de la journée, il a notamment été question de la loi, adoptée le 23 avril, par le Parlement britannique, qui va permettre au Royaume-Uni d’expulser des demandeurs d’asile vers le Rwanda. Un modèle très controversé, imaginé par le Danemark, qui avait été le premier pays à légiférer, dès 2021, avant de signer un accord de coopération bilatérale avec Kigali en septembre 2022, puis de suspendre son projet d’y délocaliser la prise en charge des demandeurs d’asile et des réfugiés.Copenhague, cependant, n’y a pas renoncé, selon M. Dybvad, qui estime qu’« une coopération européenne commune avec un ou plusieurs pays tiers en dehors de l’Europe devrait réduire l’incitation à y venir ». D’après le gouvernement danois, un tel système serait « plus humain et plus juste », car il réduirait le pouvoir des trafiquants et permettrait d’accorder l’asile à ceux « qui en ont vraiment besoin ».
    L’accord migratoire, signé entre l’Italie et l’Albanie, en janvier, a également été évoqué ainsi que les « partenariats stratégiques », passés par l’Union européenne, avec la Turquie, la Tunisie, le Maroc, l’Egypte et la Mauritanie. « Il n’est pas possible de penser que nous pouvons gérer l’immigration seuls au sein de l’UE », a observé Ylva Johansson, la commissaire européenne aux affaires intérieures, vantant le partenariat avec la Tunisie, qui a permis de « réduire d’environ 80 % les départs depuis que l’accord a été signé », en juillet 2023.
    Pour autant, pas question de sous-traiter l’asile à un pays tiers : « Ce n’est pas possible dans le cadre du pacte sur la migration » et « cela ne semble pas être un gros succès au Royaume-Uni », a-t-elle asséné. Le ministre autrichien de l’intérieur, M. Karner, n’est pas de cet avis : « Nous n’avons pas besoin d’une, mais de plusieurs solutions », martèle-t-il, affirmant qu’une des priorités, pour la prochaine Commission européenne, devra être de « modifier le cadre réglementaire », notamment « le critère de connexion », qui interdit aux pays européens d’envoyer un demandeur d’asile dans un pays où il n’a aucune connexion.
    Conseiller du ministre des affaires étrangères mauritanien, Abdoul Echraf Ouedraogo plaide, lui, pour « une réponse holistique ». La seule solution durable est de « s’attaquer aux facteurs structurels à l’origine de l’immigration, notamment aux inégalités de développement », dit-il, rappelant, par ailleurs, que les pays européens manquent de main-d’œuvre et auraient tout intérêt à faciliter les voies légales d’immigration vers l’UE.

    #Covid-19#migration#migrant#UE#asile#paystiers#migrationlegale#ecpnomie#developpement#inegalite#HCR#EUROPOL#OIM#maindoeuvre#immigration#retour#sante

  • A #Lampedusa non nascevano bambini da più di mezzo secolo. Nel 2021 è nata Maria e le hanno dedicato un parco giochi, dove però i bimbi arrivati come lei via mare non possono giocare. Vietato per loro uscire dall’hotspot. Una storia di diritti negati a persone innocenti.

    https://twitter.com/SeaWatchItaly/status/1787832638901825906
    #toponymie #toponymie_migrante #noms_de_rue #migrations #Lampedusa

    • Si battezza Maria, la prima nata a Lampedusa dopo 51 anni

      E’ nata il 31 luglio 2021 a Lampedusa dove i suoi genitori, della Costa d’Avorio, sono giunti con un barcone partito dall’Africa.

      Ora Maria è tornata, dopo due anni e mezzo sull’isola dove oggi verrà battezzata durante la messa serale, nella parrocchia di San Gerlando. La bambina e i suoi genitori sono arrivati a Lampedusa da Cassaro, comune di poco più di 700 abitanti in provincia di Siracusa, dove sono ospiti della rete Sai (sistema accoglienza integrazione) gestita dalla cooperativa Passwork.

      La famiglia è stata accolta dal sindaco delle Pelagie Filippo Mannino che ha voluto la cittadinanza onoraria, deliberata dal Consiglio comunale, per la piccola. Il riconoscimento è stato conferito, mentre in via Roma è stato intitolato a Maria il parco giochi realizzato con i fondi Fami del ministero dell’Interno.

      Mannino, accogliendo ieri la bimba e i genitori, ha chiesto se fossero cattolici e se era possibile un incontro con la comunità dei fedeli di Lampedusa. I genitori di Maria si sono detti disponibili all’incontro e hanno anche manifestato l’intenzione di battezzare la piccola proprio nella sua isola. Stamani è stato contattato il parroco che ha dato il via libera e che ha già trovato la tutina bianca da far indossare a Maria.

      La bimba è stata la prima a nascere, dopo 51 anni, a Lampedusa, dove le donne non partoriscono per mancanza di una struttura sanitarie adeguata. Maria è nata nell’ambulatorio del punto territoriale d’emergenza (Pte). Rita, ivoriana di 38 anni, già madre di due figli rimasti in Costa d’Avorio, faceva parte di un gruppo di migranti salvato e sbarcato nell’isola. La donna, giunta alla fine della gestazione, è stata portata in via precauzionale al poliambulatorio. Al Pte la ha iniziato il travaglio e non essendo stato possibile trasferirla in elisoccorso i sanitari hanno deciso di farla partorire lì.

      Ad assisterla e supportarla oltre ai medici in servizio è stata Maria Raimondo, infermiera di Corleone in servizio all’ambulatorio di Lampedusa: i genitori hanno deciso di dare il nome della donna alla figlia.

      La cittadinanza onoraria e l’intitolazione del parco - partecipa anche per il dipartimento Libertà civili e immigrazione il vice prefetto Carmen Cosentino - sono state decise in quanto Maria è un simbolo di speranza. Nelle motivazioni è scritto: «Maria è il simbolo di chi c’è l’ha fatta ma soprattutto di chi non ce l’ha fatta, di chi nutre la speranza di raggiungere un posto migliore dove mettere radici, dove vivere nella piena libertà e legalità, dove il diritto all’infanzia è una priorità. Ed è per questo che la nostra comunità è in dovere e in diritto di riconoscerle la cittadinanza onoraria, un riconoscimento alla vita, alla solidarietà, al rispetto e tutela dei diritti umani e di tutti i bambini che come Maria sono nati a Lampedusa».

      https://www.ansa.it/sicilia/notizie/2024/05/04/maria-prima-nata-a-lampedusa-dopo-51-anni-si-battezza_1403e10e-4d73-46a1-a322-a