• Confine Serbia-Ungheria: aumenta la militarizzazione e la violenza della polizia

    Una sparatoria (probabilmente tra “trafficanti”) diviene il pretesto per un’ulteriore stretta repressiva

    La zona di confine tra la Serbia e l’Ungheria è da molti anni un luogo di sosta forzata e di transito delle persone migranti. E’ qui, tra la cittadina ungherese di #Röszke e quella serba di #Horgos, che nell’autunno del 2015 venne costruita da Orban la prima barriera “anti-rifugiati” che divenne in poco tempo uno dei simboli della politica dell’Unione europea, replicata poi in molteplici forme.

    Questo territorio al nord della Serbia rimane oggi uno dei punti più caldi delle rotte balcaniche settentrionali, essendo – al pari del confine tra Bosnia-Erzegovina e Croazia – uno snodo fondamentale per l’accesso all’Europa e quindi per le politiche di controllo e respingimento. Diversi report e costanti attività di monitoraggio hanno descritto nel dettaglio la violenza e la brutalità della polizia nei confronti di persone in movimento sia sul lato serbo che su quello ungherese.

    Nel rapporto trimestrale del 2023 riferito ai mesi di luglio, agosto e settembre 1, la Ong #KlikAktiv di Belgrado ha indicato le tendenze in atto. Il report è frutto di osservazioni durante le visite agli insediamenti informali ai confini esterni dell’UE con la Serbia e della raccolta di testimonianze e foto delle condizioni di vita, e fornisce anche informazioni sul contesto, compreso il quadro giuridico e le scelte politiche relative alla gestione della migrazione. In particolare, l’organizzazione punta l’attenzione sui respingimenti da e verso la Serbia, sulla violenza della polizia serba e sulla morte delle persone lungo il percorso. Una parte è dedicata anche alle sparatorie avvenute in quei mesi nell’area settentrionale del Paese e delle reti di passatori (smugglers) sospettate di esserne all’origine. Sono illustrati anche alcuni dati: la maggior parte delle persone incontrate dall’Ong proveniva da Siria e Afghanistan (94%); il punto di “ingresso” più comune in Serbia è dalla Bulgaria (con il 40% che a settembre è entrato solo attraverso la Macedonia settentrionale), mentre i tragitti più utilizzati per uscire dal Paese sono quelli verso la Bosnia-Erzegovina e l’Ungheria, con quest’ultima che ha anche il primato dei respingimenti. Klikaktiv ha, infine, continuato a rilevare un numero significativo di minori non accompagnati negli insediamenti informali presenti nella zona di confine, perfino ragazzini di età inferiore ai 14 anni provenienti soprattutto dalla Siria.

    Un episodio emblematico è quello raccontato da No Name Kitchen, che opera a Subotica supportando centinaia di persone che vivono fuori dai campi ufficiali negli edifici abbandonati.
    L’Ong tramite la pagina facebook ha denunciato un violento pushback nei confronti di quattro ragazzi marocchini. Racconta di aver incontrato il gruppo fuori dal campo di #Subotica la notte del 25 ottobre, dopo essere stati informati della gravità delle condizioni fisiche di uno dei giovani: «La polizia lo ha colpito molto violentemente causandogli una ferita aperta sulla fronte e una grave commozione cerebrale. Anche gli altri tre amici indossavano bende in testa. M. e i tre amici sono stati arrestati e brutalmente attaccati da tre poliziotti ungheresi, dopo aver attraversato il villaggio serbo di #Martonoš».

    «L’estrema violenza usata in questa repressione ci lascia senza parole – scrivono le attiviste -. Il gruppo ha segnalato di essere stato picchiato in mezzo alla foresta alle 23 da due poliziotti maschi. Usavano soprattutto manganelli per infliggere ferite. Mentre il gruppo stava soffrendo terribilmente, il terzo poliziotto ha iniziato a filmare la scena».

    No Name Kitchen spiega che il ragazzo per la quantità di botte ricevute in testa ha perso conoscenza ed è stato trasportato in un ospedale nella città ungherese di Szeged dove è stato rapidamente curato e rilasciato senza ulteriori visite mediche nonostante i sintomi indichino un potenziale trauma cerebrale. Insieme al gruppo di amici è stato illegalmente rispedito in Serbia senza che nessuno si preoccupasse delle sue condizioni di salute.

    Il pretesto “perfetto”

    E’ in questo contesto, nel quale la mobilità umana viene pesantemente repressa, che un nuovo scontro tra gruppi di migranti, probabilmente smugglers, ha portato alla morte di tre persone e al ferimento di un’altra. Le uniche notizie sono legate ad un comunicato diramato dal ministero dell’interno serbo, dove si legge che la polizia ha poi fatto irruzione in alcuni edifici abbandonati nell’area di Horgos, sequestrando armi e munizioni, trovando inoltre 79 persone di varie nazionalità che sono state trasferite nei campi di ricezione. L’operazione – che ha coinvolto le unità anti-terrorismo, la gendermerie e gli elicotteri della polizia – ha portato all’arresto di quattro cittadini afghani e due turchi sospettati di possesso illegale di armi ed esplosivi.

    La sparatoria e le morti sono diventate così il nuovo pretesto per portare un’ulteriore stretta e militarizzazione nell’intera zona di confine. Il presidente serbo Vucic ha infatti dichiarato che potrebbe far intervenire l’esercito per risolvere la situazione se le forze di polizia non si dimostreranno all’altezza, avvertendo così il suo stesso Ministro degli Interni Gasic: “[…] non è la prima volta che parlo con il Ministro degli Interni. O farete le cose che dovete fare, o direte che non siete in grado di farle. Mettetevi in guardia, farò intervenire l’esercito e faremo piazza pulita, li arresteremo e li metteremo dietro le sbarre”, ha detto intervenendo in televisione. Dopo la sparatoria è stato stipulato un accordo di cooperazione tra lo stesso Gasic e il Ministro degli Interni ungherese Pinter, in un incontro al valico di frontiera di Reska, dove hanno discusso della lotta “all’immigrazione irregolare” e dell’utilizzo di ufficiali ungheresi a supporto dei colleghi serbi. “Per combattere la criminalità organizzata e la migrazione irregolare, è stato proposto di istituire un gruppo di lavoro congiunto tra i membri dei ministeri degli Interni di Serbia e Ungheria”, riporta il comunicato congiunto 2.

    Le autorità hanno inoltre comunicato a tutte le organizzazioni umanitarie che sono attive nei campi profughi dislocati nella zona che temporaneamente non potranno lavorare al loro interno. Alcuni testimoni affermano che i successivi controlli di polizia hanno portato a fermi e diversi episodi di violenza.

    https://www.youtube.com/watch?v=l43XWHlj8uw&embeds_referring_euri=https%3A%2F%2Fwww.meltingpot.org%

    «Negli ultimi mesi le operazioni poliziesche sono diventate dei veri e propri “rastrellamenti” nelle strade, nelle stazioni e nei negozi della regione di Subotica e Sombor.»

    Gli ultimi aggiornamenti di No Name Kitchen sono del 2 novembre, quando le attiviste hanno visitato il campo ufficiale a Subotica e lo hanno trovato completamente vuoto. Il campo solitamente ospita più di 300 persone tra uomini, donne, ragazzi e famiglie, e la polizia l’ha sgomberato il 31 ottobre deportando con la forza le persone. «Ci è stato detto che durante lo sgombero ci sono stati pestaggi e violenza. Non sappiamo dove siano state portate queste persone, ma sembra che la chiusura di tutti i campi serbi faccia parte dell’ultima azione promossa dallo Stato per reprimere l’immigrazione irregolare al confine tra Serbia e Ungheria».

    «Recentemente – osserva l’organizzazione – è stato pubblicato un video che mostra le forze militari e di polizia che rastrellano ostelli e insediamenti informali alla ricerca di bande di smuggler e persone migranti. La clip di 7 minuti è accompagnata da musica che ricorda un videogioco di guerra. Le forze militari armate con il volto coperto vengono filmate mentre arrestano e sfrattano le persone dagli edifici».

    La caccia ai migranti è diventata la norma, di fatto impedendo la circolazione delle persone migranti anche all’interno del territorio serbo, attraverso una politica di deportazioni dal nord al sud, verso i campi al confine con la Macedonia e il Kosovo, rallentando il viaggio delle persone e alimentando così il circuito economico connesso al movimento dei migranti, che coinvolge – tra gli altri – gli apparati dello stato stessi e i network di smuggling. Dall’altra parte, le guerre intestine tra le organizzazioni di smuggling forniscono il pretesto perfetto per la repressione governativa, che però si abbatte in modo generalizzato sulle persone migranti senza scalfire le organizzazioni criminali che si propone di colpire. Dopo diverse inchieste giornalistiche firmate da Balkan Insight negli ultimi mesi, la credibilità delle autorità serbe è a pezzi agli occhi dell’opinione pubblica, perché è stata dimostrata più volte la complicità tra gli apparati di polizia e le bande di smuggler, svelando un sistema dove economicamente tutti ci guadagnano, sulla pelle delle persone migranti 3.

    https://www.meltingpot.org/2023/11/confine-serbia-ungheria-aumenta-la-militarizzazione-e-la-violenza-della-
    #Serbie #Hongrie #militarisation_des_frontières #frontières #migrations #asile #réfugiés #Balkans #route_des_Balkans #violence

    • The Third Quarterly Report in 2023

      The report covers trends observed in the field during our team’s visits to the informal settlements at the EU’s external borders with Serbia during July, August and September 2023, including testimonies and quotes of refugees, as well as the photos of the living conditions. The report also provides information on the context, including important legal framework and political trends regarding migration management in the country. We particularly shed light on push backs to and from Serbia, violence by the Serbian police and deaths of refugees on the route. We also wrote about recent shootings in the northern area of the country and smuggling networks suspected to be behind them.

      Some of the key trends identified in the reporting period were:

      - Majority of all Klikaktiv’s beneficiaries were from: Syria and Afghanistan (94% combined). Most common entry point: Bulgaria (with 40% who entered through North Macedonia in September) Most common attempted exit points: to Hungary and to Bosnia and Herzegovina.

      – Push backs from the EU Member States have continued in the reporting period - majority of which happened from Hungary to Serbia. Push backs by the Serbian police were reported by people on the move on the border with Bulgaria in joint operation with Austrian police, and on the border with North Macedonia together with German police.

      - Klikaktiv continued to note a significant number of unaccompanied boys in informal settlements in the border area, particularly those younger than 14 years old, mostly from Syria.

      - Although in smaller numbers compared to refugees from Syria and Afghanistan, we continued to meet Turkish citizens who came to Serbia legally and tried to continue to the EU irregularly.

      These trends are further elaborated on in the report, as well as other information and cases from the field.

      You can download the full report here: https://drive.google.com/file/d/1nQiQvm4atW8ltpjTFTTBGeMseJvzsEO_/view

      https://klikaktiv.org
      #rapport #push-backs #refoulements

  • Aux Canaries, l’île d’El Hierro, nouvelle porte d’entrée des migrants vers l’Espagne
    https://www.lemonde.fr/international/article/2023/11/04/aux-canaries-l-ile-d-el-hierro-nouvelle-porte-d-entree-des-migrants-vers-l-e

    Aux Canaries, l’île d’El Hierro, nouvelle porte d’entrée des migrants vers l’Espagne
    Par Sandrine Morel (El Hierro (Canaries), envoyée spéciale)
    Plus de 13 000 migrants sont arrivés dans l’archipel espagnol durant le seul mois d’octobre, dont près de 7 300 sur le territoire le plus petit, qui tente d’échapper à « l’effet Lampedusa », du nom de l’île italienne débordée par les arrivées. Coque contre coque, douze pirogues sénégalaises aux couleurs vives et autant de barques mauritaniennes sont amarrées sur la jetée du tout petit port de pêche traditionnelle de La Restinga, aux Canaries. Sur le quai, deux ouvriers, débordés, s’affairent pour les détruire et faire de la place. Longtemps, lorsque des migrants accostaient sur l’île d’El Hierro, la plus petite et la plus occidentale de l’archipel espagnol, ce n’était que par « accident », parce qu’ils s’étaient perdus dans l’immensité de l’océan Atlantique baignant les côtes rocheuses, noires et escarpées, de cet ancien volcan situé au large du sud du Maroc. A présent, non seulement ils s’y rendent volontairement mais, depuis cet été, El Hierro, qui ne compte que trois communes et moins de 10 000 habitants sur un territoire de 268 kilomètres carrés, est devenue la principale porte d’entrée en Espagne par la mer.
    « Le Maroc a renforcé la surveillance de ses côtes, et même si des canots pneumatiques et des barques continuent d’en partir, on observe une certaine reconfiguration des routes migratoires, explique Sofia Hernandez, responsable du centre de coordination de la société publique de sauvetage en mer Salvamento maritimo, à Las Palmas de Gran Canaria. En s’éloignant du littoral, pour ne pas être interceptées par les garde-côtes, avant de mettre le cap au nord, les pirogues qui partent du Sénégal se dirigent droit sur El Hierro… » Si tout va bien, après six à huit jours en mer et près de 1 500 kilomètres parcourus, les passagers, essentiellement sénégalais, mais aussi gambiens et guinéens, arrivent dans cette réserve de la biosphère.
    Durant le seul mois d’octobre, près de 7 300 migrants y ont ainsi accosté – du jamais-vu en un si court laps de temps. « Même la “crise des pirogues” de 2006 n’est pas comparable à ce qui se passe ici », explique Javier Armas, sénateur et conseiller municipal du village El Pinar, en référence aux 31 000 migrants qui, cette année-là, avaient débarqué aux Canaries. Un nombre sur le point d’être dépassé : près de 30 000 migrants sont déjà arrivés sur l’archipel entre le 1er janvier et 31 octobre. Au moins 778 sont morts ou ont disparu durant le premier semestre lors de la traversée périlleuse, selon le collectif d’aide aux migrants Caminando Fronteras.
    Bacari Djassi y a échappé de peu. Parti en avril 2021 de Nouakchott, en Mauritanie, à bord d’un bateau de pêche où 65 migrants comme lui avaient pris place, le périple de ce jeune Sénégalais, alors âgé de 16 ans, devait durer quatre ou cinq jours. « Au sixième jour, on a compris que l’on s’était perdus. On n’avait plus rien à boire ni à manger. Un premier passager est mort après avoir bu de l’eau de mer. Les jours suivants, il a fallu jeter à l’eau 17 corps… », explique le jeune homme, originaire de Kolda, en Casamance.
    Au douzième jour, un chalutier les a finalement repérés au large d’El Hierro. « Quand les secours nous ont amenés au port, personne ne pouvait marcher, sauf le capitaine et ses deux amis, qui avaient gardé de l’eau », se souvient Bacari Djassi, assis sur un muret qui domine la mer à Valverde, la capitale de l’île. Après deux ans dans un centre d’accueil pour mineurs isolés, il y vit désormais avec sa petite amie espagnole et leur bébé de 2 mois. Volontaire à la protection civile, il aide les secouristes et fait partie du club de lutte canarienne, revitalisé grâce à la venue des jeunes migrants.
    Eviter un « effet Lampedusa » Comme lui, Siny Diop, Sénégalais de 22 ans, fait partie des « anciens » arrivés avant la vague de cet été qui se sont intégrés. Embauché dans une exploitation de bananiers avec trois autres compatriotes, il gagne près de 1 100 euros par mois, paie 250 euros de loyer et envoie 150 euros à sa famille. Il économise le reste, avec l’espoir un jour de retourner monter un négoce au Sénégal. En attendant, il joue dans la petite équipe de football Atletico El Pinar.
    Sur l’île, longtemps très pauvre, les arrivées de migrants ont d’abord suscité une vague de solidarité. « Nous avons tous des grands-parents ou des arrière-grands-parents qui ont émigré à Cuba ou au Vénézuéla pour fuir les pénuries et nous savons ce que signifie chercher ailleurs un avenir meilleur », rappelle Francis Mendoza, chef des volontaires des services de protection civile qui n’a pas hésité à écourter ses vacances pour revenir prêter main-forte à ses collègues cet été. Javier Armas souligne toutefois qu’il « faut prendre garde à ce que les services publics suivent et que les habitants ne se sentent pas délaissés. Les pêcheurs, les centres de plongée et les hôteliers sont gênés. Le port est encombré, la rade polluée, et le personnel de la Croix-Rouge, les volontaires et les capitaines de bateaux de sauvetage sont épuisés ».
    Prise de court cet été, la population a vu le médecin et l’infirmière de garde de l’unique centre médical de Valverde mobilisés pour soigner les migrants, qui souffrent souvent de brûlures et des symptômes de déshydratation. Depuis, une équipe a été envoyée en renfort, mais le petit hôpital de 20 lits reste sous tension et les hôteliers du port de La Restinga craignent que les touristes fuient l’île. Le président du parti d’extrême droite Vox, Santiago Abascal, a d’ores et déjà tenté de récupérer politiquement ces tensions lors d’une visite à La Restinga, le 19 octobre, pour dénoncer « l’invasion migratoire ».
    Malgré les défis posés par les arrivées de migrants, tout est fait pour éviter sur l’île d’El Hierro un « effet Lampedusa », du nom de l’île italienne débordée par les arrivées. Une fois identifiés par la police dans le centre d’accueil précaire aménagé sous une vaste tente, dans l’ancien pavillon des sports de San Andres, les adultes sont transférés en moins de soixante-douze heures sur l’île de Tenerife, plus grande et mieux préparée, avec un ordre d’expulsion en poche – peu effectif étant donné les difficultés posées par les pays d’origine pour accepter les rapatriements. Lorsque les capacités d’accueil des Canaries sont atteintes (6 300 places), ils sont envoyés sur la péninsule, où des ONG leur procurent un hébergement durant un mois. Le gouvernement espagnol prévoit d’ouvrir 11 000 places supplémentaires.
    Devant le centre de migrants de Las Canteras, installé dans une ancienne caserne militaire à 15 kilomètres au nord de Santa Cruz de Tenerife, les Sénégalais Oussénou Bouich, pêcheur, et Moussa N’Diaye, soudeur, tous deux âgés de 20 ans, et Daouda Gningue, conducteur d’engin agricole, arrivés il y a moins d’une semaine après avoir payé entre 400 000 et 450 000 francs CFA (environ 680 euros), attendent avec impatience de gagner le continent et de poursuivre leur route. Ils partagent le même souhait de trouver « du travail » et « une bonne vie » à Madrid, Paris, Londres ou Berlin. Plus que la crise politique qui secoue le Sénégal, ils disent fuir « la misère » et « le manque d’espoir ».Sur l’île d’El Hierro, seuls restent les mineurs isolés, placés sous la tutelle des régions. Ils sont ainsi près de 260, actuellement, répartis entre une résidence étudiante, une ancienne garderie et d’autres sites provisoires. « Les habitants sont très empathiques mais nous n’avons pas les moyens matériels d’accueillir, de scolariser et d’intégrer socialement autant d’enfants. Si nous voulons le faire bien, nos capacités ne nous permettent pas de prendre en charge plus d’une cinquantaine d’entre eux », estime le président socialiste du cabildo, le gouvernement insulaire, Alpidio Armas. Le ministre de l’intérieur espagnol, Fernando Grande-Marlaska, qui met la recrudescence des arrivées sur le compte de l’« instabilité dans le Sahel », s’est rendu le 30 octobre à Dakar afin de renforcer les mécanismes de lutte contre les réseaux de trafic de migrants et tenter de réactiver les vols de rapatriement, très impopulaires pour les gouvernements africains. Au contingent de 33 gardes civils et de 5 policiers espagnols – dotés de quatre embarcations, d’un hélicoptère et de 13 véhicules tout-terrain – qui collaborent avec les autorités sénégalaises, s’est ajouté, le 17 octobre, un avion de la garde civile pour surveiller les côtes sénégalaises et mauritaniennes. Sur l’île d’El Hierro, ces derniers jours, seul le mauvais temps en mer a été capable de ralentir le rythme des arrivées.

    #Covid-19#migration#migrant#espagne#canaries#iledelhierro#routemigratoire#traversee#atlantique#maroc#mauritanie#senegal#casamance#kolda#sahel#migrationirrreguliere#rapatriement#politiquemigraroire

  • Frontiera alpina tra Italia e Francia: cronaca di altre morti annunciate
    https://www.meltingpot.org/2023/11/frontiera-alpina-tra-italia-e-francia-cronaca-di-altre-morti-annunciate

    «È una guerra contro ragazzi che hanno la colpa di cercare una terra in cui abitare e di aspirare a una vita dignitosa”», denuncia OneBorders, laboratorio di ricerca e analisi su frontiere, margini e oltrepassamenti, attivo alla frontiera alpina del Nord-Ovest italiano. OneBorder ricostruisce l’episodio: «Nella notte tra il 27 e 28 ottobre 2023, un gruppo di 4 persone in cammino è stato intercettato dalla polizia, dopo che erano partiti nella notte da Claviere in direzione di Briançon. Dopo un primo tentativo di fuga, 2 sono stati fermati e gli altri 2 si sono ritrovati soli e privi di orientamento nella

    #Rapporti_e_dossier #Confini_e_frontiere

  • «Trattenuti. Una radiografia del sistema detentivo per stranieri»
    https://www.meltingpot.org/2023/11/trattenuti-una-radiografia-del-sistema-detentivo-per-stranieri

    Un sistema inumano e costoso, inefficace e ingovernabile, che negli anni ha ottenuto un solo risultato evidente: divenire lo strumento per rimpatri accelerati dei cittadini tunisini, che nel periodo 2018-2021 rappresentano quasi il 50% delle persone in ingresso in un Centro di permanenza per il rimpatrio (CPR) e quasi il 70% dei rimpatri. Ma i migranti tunisini sono stati solo il 18% degli arrivi via mare nel 2018-2023. Quasi il 70% dei rimpatri dai CPR è di soli cittadini tunisini. Sono questi i tratti caratteristici del sistema dei CPR raccolti nel report “Trattenuti. Una radiografia del sistema detentivo per (...)

  • "We know who you are": Hostile migration politics and the criminalisation of solidarity actors in #France and Morocco.

    The study – conducted in collaboration with Dr Maria Hagan – explores how NGO practitioners, activists, and other solidarity actors in France and Morocco increasingly face intimidation, repression, and prosecution from state authorities amidst hostile and violent policies aimed at curbing migration. Whilst high-profile court cases (especially regarding sea rescue operations) have gained some attention in public debates, there has been little exploration of more ordinary, insidious forms of criminalisation and repression targeting solidarity actors, especially beyond European countries. In collaboration with advocacy organisations and artists, the study addresses this gap through ethnographic research carried out in northern France and Morocco. Several academic and creative outputs for the wider public are in gestation– watch this space.

    https://sebastienbachelet.com/crimes-of-solidarity
    #rapport #Maroc #criminalisation_de_la_solidarité #solidarité #asile #migrations #réfugiés #intimidation #répression #poursuites #poursuites_judiciaires

    ping @karine4

  • Sous la pression des libéraux, l’#Allemagne souhaite externaliser le traitement de demandes d’asile en #Afrique

    Le gouvernement allemand a annoncé envisager d’externaliser le #traitement_des_demandes d’asile sur le continent africain, sous la pression des libéraux, membres de la coalition.

    L’Allemagne, à l’instar de tous les pays européens, a vu une augmentation de plus de 70 % des demandes d’asile en 2023 par rapport à l’année dernière. Une tendance à laquelle le FDP, parti libéral membre de la coalition gouvernementale, souhaite remédier.

    La solution ? Envoyer des demandeurs d’asile dans des pays non-membres de l’UE, notamment en Afrique, pour gérer les demandes.

    « J’attends du ministre de l’Intérieur qu’il examine dès que possible comment le traitement des demandes d’asile dans les pays tiers peut être facilité, car c’est ce que nous avons convenu dans notre accord de coalition », a déclaré à Euractiv Ann-Veruschka Jurisch, rapporteure parlementaire du FDP sur la migration.

    La première mesure devrait être prise avant la fin de la législature en 2025, a ajouté Mme Jurisch, renforçant ainsi les demandes du président du groupe du FDP au parlement allemand, Christian Dürr.

    « Cette disposition empêcherait les personnes qui n’ont aucune chance d’obtenir l’asile d’entreprendre la dangereuse traversée de la Méditerranée », a déclaré M. Dürr, le président du groupe FDP au Parlement allemand, mardi (31 octobre).

    Les députés sociaux-démocrates, dont le chancelier #Olaf_Scholz est membre, ont affirmé travailler sur une proposition législative en ce sens.

    Dès mardi, la ministre de l’Intérieur, #Nancy_Faeser, signait en outre un accord avec le #Maroc pour accélérer le #rapatriement des demandeurs d’asile refusés en échange d’une migration légale plus facile vers l’Allemagne.

    Dans le respect des droits humains

    La proposition du FDP rappelle le projet controversé du gouvernement britannique d’envoyer les demandeurs d’asile au Rwanda, projet dont la mise à l’essai, annoncée l’année dernière, avait créé un tollé dans la classe politique.

    Le Royaume-Uni a déjà rencontré des obstacles dans la mise en œuvre de ce programme, la législation étant en cours de révision depuis que la Cour européenne des droits de l’Homme a interrompu les vols vers le Rwanda pour des raisons liées aux droits humains.

    Le Royaume-Uni a donc menacé de se retirer de la Convention européenne des droits de l’Homme si la Cour ne statuait pas en sa faveur.

    Selon le FDP, les demandes d’asile pourraient en effet être externalisées « dans le respect de la Convention de Genève et de la Convention européenne des droits de l’Homme », malgré l’existence de gouvernements autoritaires en Afrique du Nord, a déclaré Mme Jurisch.

    « Il est hors de question de quitter la Convention européenne des droits de l’Homme », a-t-elle souligné, se désolidarisant des menaces britanniques. Toute législation viendrait compléter et non supplanter un accord européen en cours d’élaboration sur le traitement des demandes d’asile aux frontières extérieures de l’Union européenne.

    Le gouvernement se rapproche ainsi de la rhétorique plus radicale du parti de centre droit CDU/CSU, le plus grand parti d’opposition. Hendrik Wüst, Premier ministre CDU de l’État régional de Rhénanie-du-Nord–Westphalie et candidat potentiel à la chancellerie en 2025, avait lancé le débat plus tôt dans la journée de mardi (31 octobre) en appelant à transférer le traitement des demandes d’asile à l’étranger.

    M. Wüst a refusé de préciser si un éventuel futur gouvernement CDU prendrait des mesures plus radicales, un porte-parole ayant expliqué à Euractiv que la conception concrète de toute mesure devrait être déterminée par le gouvernement.

    Cependant, le porte-parole a salué les discussions de la coalition avec les pays africains en les décrivant comme « la bonne approche ».

    https://www.euractiv.fr/section/immigration/news/sous-la-pression-des-liberaux-lallemagne-souhaite-externaliser-le-traitemen

    #asile #migrations #réfugiés
    #offshore_asylum_processing #externalisation #Rwanda

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    ajouté à la métaliste sur les différentes tentatives de différentes pays européens d’#externalisation non seulement des contrôles frontaliers, mais aussi de la #procédure_d'asile dans des #pays_tiers
    https://seenthis.net/messages/900122

    • Épisode 1/4 : Des #bénévoles dans les airs face à l’agence européenne de garde-frontières et garde-côtes, #Frontex

      Depuis 2018, l’ONG #Pilotes_Volontaires survole le large des côtes libyennes pour localiser les bateaux de fortune en détresse qu’empruntent les migrants pour tenter de rejoindre l’Europe.

      #José_Benavente fait ce triste constat : « les agences européennes comme Frontex espéraient que mettre un terme à l’opération "#Mare_Nostrum" rendraient les traversées plus difficiles et opéreraient un effet de dissuasion pour les migrants qui tentent de traverser la mer ». Or depuis leur petit avion d’observation, le Colibri 2, ils aident les bateaux qui sont évidemment toujours présents dans la zone à opérer des sauvetages plus rapidement.

      D’autres avions, ceux de Frontex notamment, transitent aussi par là pour permettre aux gardes côtes libyens d’opérer toujours plus d’interceptions synonymes d’un retour en enfer pour les migrants qui tentent justement de fuir coûte que coûte ce pays en proie à la guerre civile. Comme le regrette #Charles_Heller « les migrants fuient la Libye, où ils sont réduits à l’esclavage, aux travaux forcés, à la torture. Les migrants sont devenus un objet qui circule de main en main, que ce soit les milices ou les centres de détention de l’Etat. Aucune opération de secours en mer dans la zone libyenne ne peut effectivement être terminée de manière adéquate et respectueuse du droit international, dès lors que les passagers sont ramenés dans un pays où leur vie est en danger ».

      Surveillance et interception d’un côté, contre surveillance et sauvetage de l’autre, ce documentaire retrace l’histoire récente de ce qui se trame dans les airs et en mer depuis l’arrêt en 2014 de l’opération "Mare Nostrum" initiée par la marine italienne et qui avait permis de sauver des dizaines de milliers de vies car comme le rappelle Charles Heller : « l’Union européenne a sciemment créé ce vide de secours d’abord, et ce système de refoulement indirect ensuite. Et les avions de surveillance européens sont au cœur de ce dispositif » et José Benavente ajoute « lorsqu’on survole la Méditerranée, on n’est pas au-dessus d’un cimetière. On est littéralement au-dessus d’une fosse commune ».

      Avec :

      – Jose Benavente, fondateur de l’ONG Pilotes Volontaires ONG Pilotes Volontaires
      - Charles Heller, chercheur et cinéaste, co-fondateur du projet Forensic Oceanography

      https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/lsd-la-serie-documentaire/des-benevoles-dans-les-airs-face-a-l-agence-europeenne-de-garde-frontier
      #frontières #sauvetage_en_mer #sauvetage #Méditerranée #mer_Méditerranée #asile #migrations #réfugiés #gardes-côtes_libyens #pull-backs #solidarité

    • Épisode 2/4 : De l’#apprentissage à l’#expulsion

      Les initiatives pour alerter sur la condition des jeunes majeurs étrangers en passe d’être expulsés se multiplient partout en France.

      La très médiatique grève de la faim de Stéphane Ravacley, boulanger à Besançon, tentant d’empêcher l’expulsion vers la Guinée de son apprenti Laye Fodé Traoré, a fait des émules : “j’ai reçu énormément d’appels de patrons qui étaient dans la même problématique que moi et ça m’a posé question. Je savais qu’il y avait des milliers de Laye en France, mais que je ne m’étais jamais posé la question. Et là, je me suis dit il faut faire quelque chose.”

      Dans la Marne, les militants épuisés, par l’aberration du système, comme l’explique Marie-Pierre Barrière : “il faut une autorisation de travail pour aller au CFA et il faut un titre de séjour. Donc ils ne peuvent pas travailler avec un patron parce qu’ils ne l’ont pas. C’est le serpent qui se mord la queue”.

      Pourtant quelques chefs d’entreprise commencent à timidement à protester contre les mesures d’expulsion de leurs apprentis étrangers. C’est le cas de Ricardo Agnesina : _“_je suis furax parce que quand on a justement des éléments comme Souleyman, on se dit il ne faut pas le louper parce que c’est réellement quelqu’un à qui il faut donner sa chance. Qu’il vienne de Guinée, de Pologne, de Normandie ou du sud de la France, peu importe, c’est quelqu’un qui a envie de travailler et qui a envie d’apprendre un métier donc on n’a pas le droit de lui dire non.”

      Ces patrons et artisans de secteurs dits "en tension" comme la restauration et le bâtiment se trouvent, par le biais de la défense de leurs intérêts, nouvellement sensibilisés à la question migratoire sont interdits face à l’arbitraire des décisions préfectorales qu’ils découvrent alors qu’ils peinent à embaucher des jeunes compétents. Bruno Forget, président de la foire de Châlons-en-Champagne s’indigne : “aujourd’hui, on vit une véritable hérésie. J’ai un cas précis d’une personne qui ne peut pas avoir de boulot parce qu’elle n’a pas de papiers. Et cette personne n’a pas de papiers parce qu’on ne peut pas fournir un certificat d’employeur. On se pince ! Il faut s’indigner ! ”

      Avec :

      – Mamadou, jeune apprenti guinéen
      - Souleimane, jeune apprenti guinéen
      - Laye Fodé Traoré, jeune apprenti guinéen
      - Marie-Pierre Barrière, militante Réseau Education Sans Frontières (RESF)
      – Stéphane Ravacley, boulanger, fondateur de l’association Patrons solidaires
      – Riccardo Agnesina, chef d’entreprise
      – Bruno Forget, directeur de la foire de Châlons-en-Champagne
      – M. et Mme Ansel, restaurateurs à Reims
      – Alexandrine Boia, avocate au barreau de Reims

      https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/lsd-la-serie-documentaire/de-l-apprentissage-a-l-expulsion-4412030
      #travail #sans-papiers

    • Épisode 3/4 : #Femmes migrantes invisibles

      Statistiquement plus nombreuses que les hommes sur les chemins de l’exil, les femmes sont pourtant les grandes absentes du récit médiatique et de la recherche scientifique dans le domaine des migrations.

      Pour comprendre l’invisibilité Camille Schmoll constate : “il y a aussi un peu d’auto-invisibilité de la part des femmes qui ne souhaitent pas forcément attirer l’attention sur leur sort, leur trajectoire. La migration reste une transgression” et remarque que cette absence peut servir un certain discours “ or, quand on veut construire la migration comme une menace, c’est probablement plus efficace de se concentrer sur les hommes.”

      Depuis plus d’un demi-siècle, les bénévoles de l’Association meusienne d’accompagnement des trajets de vie des migrants (AMATRAMI) viennent en aide aux personnes migrantes présentes sur leur territoire, aux femmes notamment. Camille Schmoll rappelle cette situation : “il y a toujours eu des femmes en migration. On les a simplement occultés pour différentes raisons. En fait, ce sont à l’initiative de femmes, de chercheuses féministes que depuis les années 60-70, on redécouvre la part des femmes dans ces migrations. On sait qu’elles étaient très nombreuses dans les grandes migrations transatlantiques de la fin du 19ème siècle et du début du 20ème siècle. "

      Confrontées tout au long de leurs parcours migratoires mais également dans leur pays de destination à des violences de genre, ces femmes ne sont que trop rarement prises en compte et considérées selon leur sexe par les pouvoirs publics. Majoritairement des femmes, les bénévoles de l’AMATRAMI tentent, avec le peu de moyens à leur disposition de leur apporter un soutien spécifique et adapté.  Lucette Lamousse se souvient “elles étaient perdues en arrivant, leur première demande c’était de parler le français”. Camille Schmoll observe un changement dans cette migration : “les femmes qui partent, partent aussi parce qu’elles ont pu conquérir au départ une certaine forme d’autonomie. Ces changements du point de vue du positionnement social des femmes dans les sociétés de départ qui font qu’on va partir, ne sont pas uniquement des changements négatifs”.

      Avec

      - Aïcha, citoyenne algérienne réfugiée en France
      - Mire, citoyenne albanaise réfugiée en France
      - Salimata, citoyenne ivoirienne réfugiée en France
      - Lucette Lamousse, co-fondatrice de l’Association meusienne d’accompagnement des trajets de vie des migrants (AMATRAMI)
      - Colette Nordemann, présidente de l’AMATRAMI
      - Camille Georges, médiatrice socioculturelle à l’AMATRAMI
      – Khadija, employée à l’AMATRAMI
      – Camille Schmoll, géographe, autrice de Les damnées de la mer (éd. La Découverte)
      - Élise Buliard, animatrice famille à l’AMATRAMI

      https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/lsd-la-serie-documentaire/femmes-migrantes-invisibles-6230660
      #femmes_migrantes #invisibilisation

    • Épisode 4/4 : Une famille afghane en #Touraine

      Comment Aziz et les siens négocient-ils leur exil en Touraine ? 

      Après des années d’une attente angoissée que la France veuille bien lui fournir un sauf conduit pour fuir la menace des Talibans en Afghanistan, Aziz, ancien Personnel Civil de Recrutement local (PCRL) de l’armée française est en sécurité dans le village d’#Avoine (Indre-et-Loire) avec son épouse et leurs six enfants. Mais comme le précise le maire de la commune d’Avoine : “une petite commune comme nous de 1900 habitants quand vous avez 10 réfugiés sur le terrain de la commune, ils sont acceptés, les gens sont très généreux avec eux et ils sont très acceptés. Si demain vous m’en mettez 200 sur un terrain de la commune, là vous risquez d’avoir des problèmes”.

      Quoique libéral car il a créé un lycée pour filles, Aziz est originaire d’une petite ville de province, patriarcale, religieuse et conservatrice qu’il a laissée derrière lui pour découvrir le monde jusque-là inconnu d’une société sécularisée. Ancien notable de cette petite ville qui l’a vu naître, il doit désormais vivre l’expérience du déclassement et de l’anonymat : “j’ai tout laissé derrière et j’ai le sentiment de ne plus avoir de valeur” . Mais il doit aussi faire face et tenter d’accepter la transformation de ses plus jeunes enfants qu’il a confiés aux bons soins de l’école de la République. Et l’adaptation n’est pas toujours évidente, ainsi son épouse qui à la nostalgie du pays, se sent mise à nue depuis le jour où elle a dû quitter sa burka : “c’était la première fois que je n’avais pas le visage caché. Nous portions toujours le voile avant. Je me sentais très bizarre. Je ne pouvais pas regarder les gens. C’était étrange, difficile”

      Le couple est vigilant et craint que leurs enfants perdent peu à peu l’usage de leur langue, le pashto : "j’espère que mes filles et mes fils n’oublieront pas l’islam, leur langue maternelle et leur éducation. Les quatre plus grands sont âgés et nous devons faire attention aux deux petites filles parce qu’elles sont petites. Elles oublient facilement la culture.”

      Avec :

      - Aziz Rahman Rawan, citoyen afghan réfugié en France, son épouse Bibi Hadia Azizi et leurs enfants
      - Julie Vérin, artiste
      – Françoise Roufignac, enseignante à la retraite
      – Didier Godoy, maire d’Avoine (Indre-et-Loire)
      – Christelle Simonaire, parente d’élève
      – M. Galet, directeur de l’école primaire d’Avoine
      – Mme Camard, enseignante à l’école primaire d’Avoine
      – Pauline Miginiac, coordinatrice régionale en Formation professionnelle à l’Union française des centres de vacances (UFCV)

      https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/lsd-la-serie-documentaire/une-famille-afghane-en-touraine-6456038
      #réfugiés_syriens

  • #Rima_Hassan : « Nous subissons une #punition_collective »

    Pour Rima Hassan, juriste et fondatrice de l’Observatoire des camps de réfugiés, ce qui se passe à #Gaza est un « #carnage », qui relève d’une logique de « #génocide ». Elle dénonce le #cynisme de #Nétanyahou et la #récupération du #Hamas.

    Rima Hassan, 30 ans, est une Palestinienne dont toute la vie s’est déroulée en exil. Apatride jusqu’à ses 18 ans, aujourd’hui française, elle suit la guerre depuis la Jordanie, où elle séjourne actuellement pour une recherche à travers plusieurs pays sur les camps de réfugié·es palestinien·nes. Juriste autrice d’un mémoire de master en droit international sur la qualification du crime d’apartheid en Israël, dans une approche comparative avec l’Afrique du Sud, cette fondatrice de l’Observatoire des camps de réfugiés dénonce aujourd’hui un « génocide » et la #responsabilité d’#Israël dans la création du Hamas. Elle répond par téléphone à Mediapart samedi après-midi, alors que toutes les communications avec Gaza étaient coupées depuis la veille au soir.

    Mediapart : Qu’avez-vous comme informations sur ce qu’il se passe depuis vendredi soir à Gaza ?

    Rima Hassan : Les seules informations dont je dispose sont celles des journalistes d’Al Jazeera. C’est un carnage qui est en train de se passer. Jusqu’ici, l’#armée_israélienne prévenait tout de même avant de bombarder : #Tsahal larguait des centaines de petits coupons de papier sur la population gazaouie, pour avertir et donner quelques heures aux civils pour évacuer. Mais cette nuit-là, d’après Al Jazeera, il n’y a même pas eu d’annonce. Ce sont des #attaques_indiscriminées, par tous les moyens dont dispose l’armée israélienne. Il faudra mettre en perspective le nombre de responsables du Hamas tués par rapport au nombre de #victimes_civiles. D’après l’UNRWA, l’agence de l’ONU d’aide aux réfugiés palestiniens, 1,2 million de personnes de la bande Gaza ont par ailleurs déjà été déplacées.

    Ce qui se passe est inédit, paralysant, il est très compliqué de réfléchir. Depuis vendredi en fin de journée, on ne peut plus joindre personne dans la bande de Gaza.

    Comment qualifier les événements ?

    Cela relève du génocide. On n’a pas encore les chiffres précis, les Palestiniens ne sont plus en mesure de compter leurs morts. Ce vendredi 27 octobre était de toute façon une nuit sans précédent en termes d’intensification des #bombardements, dans l’un des territoires les plus densément peuplés au monde.

    Mais au-delà des morts, c’est tout ce qui entoure cette offensive qui caractérise le génocide : le fait de ne pas laisser de passages sûrs accessibles aux civils pour pouvoir fuir les combat, d’empêcher les humanitaires de passer, de ne pas prévenir les lieux qu’on cible, et le #blackout. En coupant toutes les communications, les autorités israéliennes veulent minimiser l’écho international de ce qui s’est passé dans la nuit de vendredi à samedi à Gaza. Je rappelle que 34 journalistes ont été tués dans le territoire depuis le 7 octobre.

    On fait tout pour concentrer une population sur un même espace, et précisément au moment où une résolution est adoptée à la majorité à l’ONU en faveur d’un cessez-le feu, on intensifie les bombardements, tout en bloquant tous les canaux de #communication : tout est mobilisé pour que les dégâts soient maximaux.

    Israël a tué bien plus à Gaza depuis le 7 octobre qu’au cours des vingt dernières années.

    Estimez-vous qu’il y a une intention génocidaire ?

    Il suffit d’écouter les déclarations des officiels israéliens. L’#animalisation du sujet palestinien est constante, de la même manière que les Juifs et les Tutsis étaient comparés à des animaux. Toutes les catégories des groupes ayant fait l’objet de #massacres ont été déshumanisées dans le but de justifier leur exclusion de la communauté humaine ; c’était un préalable à leur #extermination. « Nous combattons des #animaux_humains », a dit le ministre israélien de la défense #Yoav_Gallant le 9 octobre…

    Les médias israéliens répandent en outre l’idée qu’il n’y a pas d’innocents à Gaza : les civils tués sont assimilés au Hamas, à des terroristes – dans ces circonstances, un #dommage_collatéral n’est pas très grave. Les propos tenus sont sans ambiguïté : « #incinération_totale », « Gaza doit revenir à Dresde », « annihiler Gaza maintenant », etc. Voilà ce qu’a pu dire jeudi #Moshe_Feiglinun, ancien membre de la Knesset, sur un plateau télé.

    On a entendu dire également par #Benyamin_Nétanyahou que les Palestiniens pouvaient être accueillis dans le #Sinaï [territoire égyptien frontalier d’Israël et de la bande de Gaza – ndlr], ce qui renvoie, là aussi, à une logique de #disparition : c’est une population indésirable que l’on souhaite exclure.

    Toute cela s’inscrit dans une logique colonialiste de la part d’Israël, depuis sa création. Depuis longtemps on observe, chez les officiels israéliens, une constante à déshumaniser les Palestiniens, qui, bien avant le 7 octobre 2023, ont été comparés à des #cafards ou à des #sauterelles. « Les Palestiniens seront écrasés comme des sauterelles (…) leurs têtes éclatées contre les rochers et les murs », disait le premier ministre israélien #Yitzhak_Shamir en 1988. « Lorsque nous aurons colonisé le pays, il ne restera plus aux Arabes qu’à tourner en rond comme des cafards drogués dans une bouteille », avait déclaré le chef d’état-major #Raphael_Eitan en 1983 d’après le New York Times.

    Les massacres du 7 octobre ont été perçus comme quelque chose d’explosif. En termes de vies civiles perdues, c’est sans précédent. Mais il faut rappeler que cela s’inscrit dans un #conflit_colonial_asymétrique, où les #réfugiés_palestiniens ont vu l’abolition de leur #droit_au_retour, où les Palestiniens de #Cisjordanie vivent sous #colonisation et sous #occupation, où les Palestiniens citoyens d’Israël se sont vu octroyer un statut de seconde zone après un régime militaire jusqu’en 1967, et où les Palestiniens de Gaza vivent un #blocus illégal depuis dix-sept ans.

    Quelle est l’importance du facteur religieux ?

    Ce n’est pas un #conflit_religieux. Même si l’on a au pouvoir des gens liés à une #radicalité_religieuse, du côté du pouvoir israélien comme du Hamas. On observe une #dérive_religieuse dans les extrêmes des deux sociétés.

    La population palestinienne ne fait pas de reproche aux Israéliens pour ce qu’ils sont – des Juifs –, mais pour ce qu’ils font : la colonisation.

    Rappelons que les personnes à l’origine de la fondation de l’État d’Israël étaient des laïques, et non pas des religieux. L’identité palestinienne a par ailleurs toujours été multiconfessionnelle.

    Il est inconcevable de confisquer une souffrance palestinienne vieille de 75 ans avec la #récupération qui est faite aujourd’hui par le Hamas. Pour nous, c’est la #double_peine.

    Côté israélien, c’est d’un #cynisme sans nom : c’est Nétanyahou lui-même qui a soutenu le Hamas, car l’organisation islamiste était perçue comme rivale du #Fatah [parti nationaliste palestinien fondé par Yasser Arafat – ndlr]. Voilà ce qu’il déclarait par exemple en mars 2019, comme l’a rappelé récemment un article d’Haaretz : « Quiconque veut contrecarrer la création d’un État palestinien doit soutenir le renforcement du Hamas et transférer de l’argent au Hamas. » Israël a une responsabilité majeure dans la création de l’organisation islamiste. Ce sont les autorités israéliennes qui ont nourri le monstre.

    Nous subissons avec ce blocus une punition collective. Nous qui utilisons le droit international et la voie diplomatique, qui nous battons depuis des dizaines d’années pour un État laïque, nous nous trouvons face à des autorités qui ont soutenu le Hamas... et qui aujourd’hui nous bombardent.

    https://www.mediapart.fr/journal/international/291023/rima-hassan-nous-subissons-une-punition-collective
    #Palestine #7_octobre_2023 #déshumanisation #religion #à_lire

  • #TotalÉnergies : 33 « #bombes_climatiques » en prévision

    À travers le monde, TotalÉnergies est impliquée dans trente-trois projets super-émetteurs, qui risquent de « faire exploser le climat ». Tel est le résultat d’un rapport publié par Greenpeace, le 25 octobre, intitulé « Les bombes climatiques de TotalÉnergies, la forêt derrière l’arbre Eacop » (https://www.greenpeace.fr/espace-presse/rapport-ces-projets-de-totalenergies-qui-vont-faire-exploser-le-climat), qui liste les projets fossiles auxquels la major participe.

    L’ONG conclut que « la frénésie de TotalÉnergies pour l’#exploration et le développement de nouveaux champs pétroliers et gaziers », que l’ONG considère comme autant de « bombes climatiques », compromet l’objectif de l’Accord de Paris de limiter le réchauffement climatique à 1,5 °C.

    Depuis 2015, TotalÉnergies a été impliquée dans l’acquisition de nouvelles #licences_d’exploration_fossile dans le cadre de 84 projets. Les #licences de onze d’entre eux ont même été acquises après 2021, année de la parution du rapport de l’Agence internationale de l’énergie (AIE), qui appelait à arrêter le développement de nouvelles infrastructures fossiles. Trente-trois autres projets « pourraient potentiellement émettre encore 93 milliards de tonnes de CO2 équivalent, soit plus que les émissions cumulées d’un pays comme le Royaume-Uni sur la période 1850-2021 ».

    Le projet #Vaca_Muerta en #Argentine (14,5 milliards de tonnes de CO2 équivalent) et les projets #North_Field_East au #Qatar (7 milliards de tonnes de CO2 équivalent) figurent en tête de liste des #projets les plus émetteurs. Par ailleurs, dix-neuf de ces projets sont situés à moins de 50 km d’une zone de #biodiversité protégée.

    « Ces projets sont non seulement un #désastre pour le climat, mais sont également susceptibles d’alimenter des situations de #corruption, de #conflits_armés, de violations des #droits_humains et des #libertés_fondamentales », rappelle Edina Ifticène, chargée de campagne énergies fossiles pour Greenpeace France. La majorité de ces projets super-émetteurs sont situés dans des États en guerre, et/ou dans des pays où les régimes sont jugés « autoritaires ».

    https://reporterre.net/TotalEnergies-33-bombes-climatiques-en-prevision
    #climat #changement_climatique #pétrole #gaz

    • Ces projets de TotalEnergies qui vont faire exploser le climat

      A la veille de l’annonce des résultats du groupe au troisième trimestre, Greenpeace France publie un nouveau rapport, intitulé Les bombes climatiques de TotalEnergies, la forêt derrière l’arbre EACOP dans lequel elle pointe la frénésie de TotalEnergies pour l’exploration et le développement de nouveaux champs pétroliers et gaziers. L’association y dévoile également une liste de projets fossiles super-émetteurs auxquels la major participe [1]. Autant de « bombes climatiques » qui compromettent l’objectif 1,5° C de l’Accord de Paris et contredisent les propres engagements de la multinationale d’atteindre la neutralité carbone d’ici 2050 [2].

      Barnett Shale au Texas ou Vaca Muerta en Argentine – où on exploite du gaz de schiste dont la production est interdite en France – Artic LNG en Russie, Mozambique LNG, North Field au Qatar, ce rapport montre que EACOP en Ouganda, n’est que l’arbre qui cache la forêt des projets hautement contestables de TotalEnergies, aussi bien sur le plan environnemental qu’au niveau des droits humains.

      Une expansion en contradiction avec l’objectif 1,5° C

      L’Accord de Paris a fixé l’objectif de “limiter l’élévation de la température à 1,5 °C”, ce qui supposait, dès sa signature en décembre 2015, de laisser dans le sol une grande partie des réserves fossiles.

      Pourtant, depuis 2015 :

      - TotalEnergies a été impliquée dans l’acquisition de nouvelles licences d’exploration fossile dans le cadre de 84 projets.
      – Pour 11 de ces projets, ces licences ont même été acquises après 2021, soit après que l’Agence Internationale de l’Énergie (AIE) a publiquement recommandé de renoncer au développement de nouveaux champs pétroliers ou gaziers pour rester aligner sur l’objectif de neutralité carbone d’ici 2050 [2].

      « Le PDG de TotalEnergies va encore se présenter en bienfaiteur de l’humanité qui ne ferait que ‘répondre à la demande en énergies fossiles’. Mais en continuant à développer de nouveaux projets pétroliers et gaziers, l’industrie fossile crée cette fameuse demande pour continuer à engranger des profits faramineux, et nous enferme dans une dépendance aux énergies fossiles pour plusieurs décennies”, souligne Edina Ifticène, chargée de campagne Énergies fossiles pour Greenpeace France.

      Des projets super émetteurs destructeurs du climat

      Selon nos calculs estimatifs, sur l’ensemble des projets de production d’hydrocarbures dans lesquels TotalEnergies est impliquée, on dénombre en 2022, 33 projets super-émetteurs, répartis dans 14 pays. Ensemble, ces 33 projets pourraient potentiellement émettre encore 93 Gt de CO₂e, soit plus que les émissions cumulées d’un pays comme le Royaume-Uni sur la période 1850-2021.

      En haut du tableau, se trouvent notamment le projet Vaca Muerta en Argentine, dont les émissions pourraient atteindre encore 14,5 Gt de CO₂e ainsi que les projets North Field et North Field E au Qatar qui représenteraient chacun encore plus de 7 Gt de CO₂e, toujours selon les calculs estimatifs de Greenpeace France.

      De plus, parmi ces 33 projets “super-émetteurs”, 19 sont situés à moins de 50 km d’une zone de biodiversité protégée.

      Une stratégie à risques multiples

      En plus de leur empreinte climatique et environnementale, le rapport de Greenpeace s’intéresse aux situations de conflits, de corruption ou d’atteintes aux droits humains dans lesquelles interviennent ces projets. L’organisation a ainsi produit des cartes superposant les projets auxquels TotalEnergies participe avec plusieurs classements internationaux, comme le Global Peace Index produit par The Institute for Economics & Peace, le Democracy Index de l’Economist Intelligence Unit, l’indice de perception de la corruption de Transparency International et l’indice des droits des travailleurs et des travailleuses dans le monde de la Confédération syndicale internationale.

      Sur les 33 projets fossiles super-émetteurs auxquels TotalEnergies participe en 2022 :

      - les 2/3 de ces projets super-émetteurs sont situés dans des États dont le niveau de paix n’est pas bon
      – les 3/4 dans des pays dont les régimes sont jugés “autoritaires”
      - 42 % dans des États en-dessous de la moyenne mondiale en termes de perception de la corruption
      - 70 % dans des pays dont les régimes sont mal classés en termes de respect des droits des travailleur·ses

      “La vie réelle évoquée par Patrick Pouyanné aux universités d’été du MEDEF, ce sont ces projets qui sont non seulement un désastre pour le climat, mais sont également susceptibles d’alimenter des situations de corruption, de conflits armés, de violations des droits humains et des libertés fondamentales. A quelques semaines de la COP 28, les responsables politiques doivent aller au-delà des grands discours sur la sortie des énergies fossiles : des mesures doivent être prises pour contraindre l’industrie fossile”, poursuit Edina Ifticène.

      Alors que TotalEnergies a annoncé sa volonté d’augmenter sa production d’hydrocarbures de 2 % à 3 % par an lors des cinq prochaines années [4] et malgré la poursuite-bâillon adressée par TotalEnergies à Greenpeace en avril 2023 à la suite de la publication de son dernier rapport sur le bilan carbone de la major, Greenpeace France n’entend pas se laisser intimider et continuera de dénoncer la politique d’expansion fossile et de profit à tout prix de TotalEnergies [5].

      Notes aux rédactions

      [1] Pour identifier les projets “super-émetteurs” impliquant TotalEnergies, Greenpeace France s’est basée sur la définition d’un projet selon la base de données de Rystad et a comptabilisé les projets qui pourraient encore émettre, d’après nos calculs estimatifs, au moins 1 Gt de CO₂e, si toutes les réserves qu’il restait à extraire fin 2022 étaient exploitées (voir la partie “Méthodologie” du rapport).
      Les données de Rystad ont été extraites au mois d’avril 2023.

      [2] https://totalenergies.com/company/transforming/ambition/net-zero-2050

      [3] https://www.iea.org/reports/net-zero-by-2050

      [4] https://totalenergies.com/fr/medias/actualite/communiques-presse/presentation-strategie-perspectives-2023

      [5] https://www.greenpeace.fr/espace-presse/justice-totalenergies-tente-de-museler-greenpeace

      https://www.greenpeace.fr/espace-presse/rapport-ces-projets-de-totalenergies-qui-vont-faire-exploser-le-climat
      #rapport #Greenpeace

  • En six ans, plus de 43 millions d’#enfants ont été déplacés à cause de #catastrophes_météorologiques

    Les catastrophes climatiques ont déraciné et traumatisé des dizaines de millions d’enfants dans le monde, a alerté vendredi le Fonds des Nations Unies pour l’enfance (UNICEF).

    Selon ses estimations, les inondations fluviales pourraient, à elles seules, déplacer presque 96 millions d’enfants au cours des 30 prochaines années.

    Entre 2016 et 2021, quatre types de #catastrophes_climatiques (#inondations, #tempêtes, #sécheresses, #incendies), dont la fréquence et l’intensité augmentent avec le réchauffement de la planète, ont entraîné 43,1 millions de déplacements d’enfants à l’intérieur de 44 pays, dont 95% liés aux inondations et aux tempêtes, détaille le rapport. Et ce n’est là que « la partie émergée de l’iceberg », souligne l’UNICEF, déplorant le manque d’attention portée à ces « victimes invisibles ».

    Sur cette période de six ans, il s’agit d’environ 20.000 déplacements par jour. « Imaginez la terreur d’un enfant qui voit sa communauté ravagée par un feu incontrôlé, une tempête ou une inondation », a déclaré Catherine Russell, Directrice générale de l’UNICEF. « En plus d’affronter la peur, ceux qui sont contraints de fuir traversent des épreuves aux conséquences particulièrement dévastatrices, sans savoir s’ils pourront rentrer chez eux et retourner à l’école ou s’ils devront se déplacer à nouveau ».

    Inondations, tempêtes, sécheresses

    Les inondations et les tempêtes ont donné lieu à 40,9 millions de déplacements d’enfants entre 2016 et 2021, soit 95% du nombre total recensé. Dans le même temps, les sécheresses ont provoqué plus de 1,3 million de déplacements internes d’enfants, la Somalie comptant une fois encore parmi les pays les plus touchés, tandis que les feux incontrôlés en ont provoqué 810.000, dont plus d’un tiers au cours de la seule année 2020.

    Même si les impacts grandissants du changement climatique frappent partout, le rapport pointe du doigt des zones particulièrement vulnérables. Ainsi, les Philippines, l’Inde et la Chine sont les pays les plus touchés en nombre absolu (près 23 millions de déplacements d’enfants en 6 ans), en raison de leur très large population, de leur situation géographique, mais aussi de plans d’évacuation préventifs.

    Mais en examinant la proportion d’enfants déplacés, on constate que les enfants vivant dans de petits États insulaires, tels que la Dominique et le Vanuatu, ont été les plus affectés par les tempêtes, tandis que ceux de Somalie et du Soudan du Sud sont au premier rang des victimes d’inondations.

    Le risque de déplacement est particulièrement élevé pour les enfants vivant dans des pays déjà aux prises avec des crises simultanées, telles que les conflits et la pauvreté, et dont les capacités locales à faire face à d’éventuels déplacements d’enfants supplémentaires sont mises à rude épreuve. Haïti, par exemple, pays à haut risque de déplacements d’enfants liés à des catastrophes, est également en proie à la violence ainsi qu’à la pauvreté et pâtit d’un manque d’investissements dans des mesures d’atténuation des risques et de préparation.

    96 millions d’enfants déplacés dans les 30 prochaines années

    Par ailleurs, le rapport avance des projections. Par exemple, les inondations uniquement liées au débordement des rivières pourraient provoquer 96 millions de déplacements d’enfants dans les 30 prochaines années, les vents cycloniques 10,3 millions et les submersions marines liées aux tempêtes 7,2 millions. Des chiffres qui n’incluent pas les évacuations préventives.

    « À mesure que les effets des changements climatiques s’accentuent, les mouvements en lien avec le climat s’intensifient eux aussi, et force est de constater que nous n’agissons pas assez vite, alors même que nous disposons des outils et des connaissances nécessaires pour relever ce défi de plus en plus urgent », a ajouté Mme Russell.

    Alors que les dirigeants s’apprêtent à se réunir à Dubaï en novembre à l’occasion de la COP 28 pour aborder la question des changements climatiques, l’UNICEF appelle les décideurs à prendre des mesures pour protéger les enfants et les jeunes exposés à un risque de déplacement et les préparer, ainsi que leurs communautés. Il importe de veiller à ce que les services essentiels pour les enfants, notamment l’éducation, la santé, la nutrition, la protection sociale et la protection infantile, soient résilients aux chocs, mobiles et ouverts à tous, y compris aux enfants déjà déracinés.

    https://news.un.org/fr/story/2023/10/1139392
    #climat #changement_climatique #IDPs #déplacés_internes #réfugiés_climatiques #chiffres #statistiques #UNICEF #rapport #enfance #déplacés

    • Alerte UNICEF : impacts du réchauffement climatique et de la crise environnementale sur les enfants

      La crise climatique et environnementale est l’un des plus grands défis à relever pour nos sociétés, et la jeune génération est déjà la plus touchée. Face à cette vulnérabilité, l’Unicef lance à nouveau l’alerte …

      Avec #Dina_Ionesco Chef de la Division des migrations, de l’environnement et du changement climatique (MECC)

      La situation est critique et ces chiffres devraient malheureusement continuer d’augmenter dans les années à venir. Quels sont les impacts du changement climatique et des dégradations environnementales sur les enfants du monde ? Quelles initiatives et solutions existent et doivent être soutenues au plus haut niveau ?

      Avec Jodie Soret, responsable du service ‘Programmes, plaidoyer et affaires publiques’ chez UNICEF France et Dina Ionesco, spécialiste des questions de migrations climatiques qui a travaillé sur ces questions à l’Organisation Internationale pour les Migrations (OIM) jusqu’en 2021 et travaille actuellement pour le Forum des Pays les Plus Vulnérables (Climate Vulnerable Forum, le CVF).

      https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/de-cause-a-effets-le-magazine-de-l-environnement/alerte-unicef-impacts-du-rechauffement-climatique-et-de-la-crise-environ
      #audio #podcast

  • Global Tax Evasion Report 2024

    Over the last 10 years, governments have launched major initiatives to reduce international tax evasion. Yet despite the importance of these developments, little is known about the effects of these new policies. Is global tax evasion falling or rising? Are new issues emerging, and if so, what are they? This report addresses these questions thanks to an unprecedented international research collaboration building on the work of more than 100 researchers globally.

    https://www.taxobservatory.eu/fr/publication/global-tax-evasion-report-2024
    #rapport #Tax_observatory #fiscalité #évasion_fiscale #2023 #statistiques #chiffres #monde

  • Presentazione del Rapporto – Denuncia «Al di là di quella porta»
    https://www.meltingpot.org/2023/10/presentazione-del-rapporto-denuncia-al-di-la-di-quella-porta

    Il lavoro di un anno (Maggio 2022 – Maggio 2023) con dati, testimonianze, ricerche, cartelle cliniche, accessi agli atti, sopralluoghi, verifiche, per cercare di far luce sul Centro Di Permanenza per il Rimpatrio di Milano e rendere pubblici i quotidiani abusi, violenze, discriminazioni e ostruzionismo. Un report-denuncia unico, dettagliato, approfondito su un non-luogo progettato, come gli altri luoghi di detenzione amministrativa in Italia, per essere nascosto e nascondere gli orrori che strutturalmente contiene. Buchi neri da chiudere immediatamente ed evitare che si moltiplichino, come invece sta per accadere. Sono due gli appuntamenti previsti per Mercoledì 25 ottobre a Milano. Alle (...)

    #Rapporti_e_dossier #CPR,_Hotspot,_CPA

  • [Fade to Pleasure ] FTP #207.5 w/Snooba
    https://www.radiopanik.org/emissions/ftp/ftp-2075-wsnooba

    Tout individu collabore à l’ensemble du cosmos ….

    Broadcasted & mixed by Snooba on Panik (Brussels-Be) Canal B (Rennes-Fr) C’rock (Vienne-Fr) Louiz Radio (Belgique-Louvain la neuve) You #fm (Mons-Be) Woot (Marseille) Campus FM (Toulouse-FR) RQC (Mouscron)

    FTP 207.5

    Coded Scott Binary Beautiful (Sunshine Variation

    Jon Lee Walk on By Simy Garay Z Sharp Minor Remix

    Brandon Markell Holmes & Pink Flamingo Rhythm Revue - Losing Side [Only Good Stuff]

    Ursula 1000 feat Yuuko ings Life Is So Beautiful

    Claus Casper - All About Love [True Romance]

    Sebb Junior - Sound Of Life (Original #mix) [Only Good Stuff

    Moojo & Bun Xapa Toujours VIF (Original Mix) • Calamar Records

    Pandhora - Sea Sky

    Sirens Of Lesbos-Bowie feat. Erick The Architect (...)

    #philosophie #poetry #jazz #electro #errance #indie #trap #dj #chill #rap #afro #futurism #food #deep #down_tempo #drill #trip #uk #cloud #amalgam #smooth #mood #monday #no_boundaries #sunday #philosophie,poetry,mix,jazz,electro,errance,indie,trap,dj,chill,rap,afro,futurism,food,deep,down_tempo,drill,trip,uk,cloud,amalgam,smooth,fm,mood,monday,no_boundaries,sunday
    https://www.radiopanik.org/media/sounds/ftp/ftp-2075-wsnooba_16653__1.mp3

  • 2023 : Dai 2,4 milioni d’immigrati il 9% del Pil italiano

    #Fondazione_Moressa: gli stranieri sono il 28,9% tra il personale non qualificato Dichiarati redditi per 64 miliardi e versati 9,6 miliardi di Irpef. Aumentano gli imprenditori. Da Il Sole 24 ore.

    Sostengono crescita demografica e soprattutto il Pil con un valore aggiunto di 154,3 miliardi di euro, il 9% del prodotto interno lordo. Sono i lavoratori immigrati, per lo più manuali e concentrati in agricoltura ed edilizia, una delle grandi stampelle dell’economia interna. Parola della Fondazione Leone Moressa che ieri alla Camera per bocca dei ricercatori Chiara Tronchin ed Enrico di Pasquale ha presentato insieme al segretario di Europa+ Riccardo Magi il 13° Rapporto annuale 2023 sull’economia dell’Immigrazione. Il report è stato presentato anche al Viminale.

    https://sbilanciamoci.info/dai-24-milioni-dimmigrati-il-9-del-pil-italiano

    –—

    Rapporto 2023 sull’economia dell’immigrazione


    http://www.fondazioneleonemoressa.org/2023/10/19/rapporto-2023-sulleconomia-dellimmigrazione

    #PIB #agriculture #BTS #économie_de_l'immigration #rapport
    #statistiques #chiffres #Italie #migrations #économie #réfugiés #asile

    –-

    ajouté à la métaliste sur le lien entre #économie (et surtout l’#Etat_providence) et la #migration... des arguments pour détruire l’#idée_reçue : « Les migrants profitent (voire : viennent POUR profiter) du système social des pays européens »...
    https://seenthis.net/messages/971875

  • Les ouvriers agricoles thaïlandais, victimes collatérales des attaques du Hamas
    https://www.lemonde.fr/international/article/2023/10/13/les-ouvriers-agricoles-thailandais-victimes-collaterales-des-attaques-du-ham

    Les ouvriers agricoles thaïlandais, victimes collatérales des attaques du Hamas
    Par Brice Pedroletti(Bangkok, correspondant en Asie du Sud-Est)
    Publié le 13 octobre 2023 à 16h00, modifié le 14 octobre 2023 à 07h13
    Avec 24 morts et 16 personnes présumées kidnappées, la Thaïlande se retrouve au deuxième rang des pays étrangers pour le nombre de victimes derrière les Etats-Unis. Un lourd bilan, qui s’explique par le nombre de migrants thaïlandais travaillant dans l’agriculture en Israël : ils sont environ 30 000 à être employés dans des fermes et des kibboutz, dont 5 000 autour de la bande de Gaza. Ce n’est pas la première fois que cette population compte des victimes : deux ouvriers thaïlandais étaient morts, en mai 2021, après des tirs de roquettes.
    La plupart de ces migrants sont des hommes, originaires de l’Isan, la grande région rurale du nord-est de la Thaïlande, la plus pauvre du royaume, comme Somkuan Pansa-ard. Agé de 39 ans et employé dans une plantation de fruits depuis moins d’un an, l’homme avait eu le temps de parler à sa mère samedi 7 octobre alors que des assaillants fondaient sur son lieu d’habitation. Sa famille a appris dimanche qu’il n’avait pas survécu.
    Une partie des travailleurs thaïlandais tués l’auraient été dans le kibboutz Alumim, où la plupart des habitants auraient eu la vie sauve après de longues heures de combat. « Dans ce kibboutz, les gardes ont réussi à tuer un certain nombre de terroristes du Hamas et à les empêcher d’atteindre les principales zones d’habitation. Malheureusement, un groupe de terroristes a réussi à atteindre les quartiers d’habitation de plusieurs travailleurs agricoles thaïlandais et les a massacrés », rapporte le canal Telegram israélien South first responders qui archive les images envoyées par des équipes de premiers secours. Une vidéo montre l’intérieur de baraquements sens dessus dessous, avec d’épaisses traînées de sang sur le sol.
    Parmi les victimes du kibboutz Alumim figurent aussi dix étudiants népalais, selon Katmandou. Quatre autres, présents au même endroit ce jour-là, ont survécu. Ils faisaient partie d’un programme de onze mois de stages payés qui concernaient 269 étudiants venus de plusieurs universités du pays. La plupart des 5 000 Népalais vivant en Israël sont eux employés dans les services de santé ou d’aide à la personne. La veille de l’attaque, la page Facebook d’un des Népalais qui fait partie de la liste des victimes, Ganesh Nepali, montrait des images du kibboutz, sous le titre « vue nocturne d’Alumim », avec un cœur et deux drapeaux d’Israël : on y voit la haute barrière de sécurité, le ciel qui vire au rose, des allées paisibles bordées de bosquets de fleurs. Ironie du sort, trois jours auparavant, le 3 octobre, il avait écrit un long poste de commentaire sur le couvre-feu qui venait d’être décrété à Nepalgunj, une bourgade népalaise à la frontière indienne, après des incidents entre communautés hindoues et musulmanes locales, en s’accablant de « l’incapacité des personnes religieuses à accepter la culture de l’autre, ce qui conduit à des guerres de religion ».
    Les Thaïlandais font partie des travailleurs étrangers qui ont remplacé les Palestiniens en Israël à mesure que l’emploi de ceux-ci était soumis à des restrictions. Un accord bilatéral en 2012 a formalisé leur recrutement, avec un quota annuel passé à 6 500 ouvriers par an depuis 2022. Ils sont employés pour des contrats de deux ans, renouvelables jusqu’à un maximum de cinq ans et trois mois. Payés environ 1 500 dollars (1 422 euros), ils doivent s’acquitter d’au moins un mois et demi de salaire en « frais d’agence ».Depuis le week-end, l’un de ces travailleurs a livré sur X, anciennement Twitter, sous le pseudonyme de SuperBallAI, le récit de sa fuite avec d’autres migrants. « Plus de vingt-quatre heures se sont écoulées depuis l’incident, et les travailleurs thaïlandais se trouvant dans les zones dangereuses n’ont toujours pas reçu d’aide ni de plan d’évacuation vers une zone sûre », écrit-il le 8 octobre, avant de montrer tout un groupe de migrants qui partent sur un tracteur. Il s’indigne ensuite que son employeur l’ait revendu à un autre sans son accord.
    S’il a finalement réussi à être rapatrié en Thaïlande par un vol arrivé le 12 octobre, il a par ses tweets rappelé une réalité dérangeante : le traitement parfois désinvolte des droits de ces travailleurs étrangers par leurs employeurs. Dans un rapport datant de 2021 sur les droits bafoués des migrants thaïlandais à la santé, l’ONG israélienne de défense des droits des migrants Kav LaOved déplorait que « dans les zones ciblées par les tirs de roquettes lors des escalades du conflit, récemment dans la région de Gaza, les employeurs demandent souvent aux travailleurs de continuer à travailler dans les champs ou dans la ferme, sans abri, même si cela est interdit par le commandement du front intérieur israélien. Cette situation a entraîné de nombreuses blessures et de nombreux décès parmi les travailleurs. Le rapport demande que des abris soient mis à la disposition de tous les travailleurs situés à proximité des zones de combat. » Rien n’indique que ces recommandations aient été suivies. Un deuxième vol de rapatriés thaïlandais, dont certains blessés, est arrivé à Bangkok vendredi 13 octobre, après un premier qui a atterri jeudi. Au moins 5 000 Thaïlandais ont postulé pour quitter le pays depuis les événements de samedi. Samedi matin, le premier ministre Srettha Thavisin a indiqué que la Thaïlande « ne prendrait pas parti » dans le conflit entre Israël et le Hamas.

    #Covid-19#migrant#migration#israel#thailandais#nepalais#travailleursmigrants#conflit#crise#rapatriement#mortalite#sante

  • [Fade to Pleasure ] #205.5 w/ Red Ant
    https://www.radiopanik.org/emissions/ftp/ftp-2055-w-red-ant

    You don’t need a band to do hip-hop; you only need a DJ.

    Broadcasted by Snooba & mixed by Red Ant on Panik (Brussels-Be) Canal B (Rennes-Fr) C’rock (Vienne-Fr) Louiz Radio (Belgique-Louvain la neuve) You FM (Mons-Be) Woot (Marseille) Campus FM (Toulouse-FR) RQC (Mouscron)

    https://soundcloud.com/red-ant

    #hip_hop #mix #trap #rap #drill #uk #cloud #hip_hop,mix,trap,rap,drill,uk,cloud
    https://www.radiopanik.org/media/sounds/ftp/ftp-2055-w-red-ant_16585__1.mp3

  • Les espaces de faibles densités en chansons

    « Artisan d’un Ploucstarap hexagonal, MC Circulaire dresse un portrait au vitriol de la Vendée rurale, dont il est originaire. La misère, l’ennui, l’alcoolisme règnent en maître dans "Demain c’est trop tard". "T"façon tout l’monde s’en branle, on est la France oubliée / Dans mon quartier y’a jamais eu de MJC ! / Pourtant la misère est là, j’t’assure qu’elle est bien réelle / Elle s’cantonne pas qu’dans les banlieues, elle est universelle / Combien de familles au chômdu qui survivent grâce aux allocs / Y’a plus de darons alcooliques qu’en cure de désintox / L’Etat nous laisse dans not’merde, et verra plus tard / On est qu’une bande de crevards gouvernée par des bâtards / On est pas la France qui squatte les halls, mais les arrêts d’car/ Et ici-bas on sait bien que demain c’est trop tard." »

    version blog : https://lhistgeobox.blogspot.com/2023/10/les-espaces-de-faibles-densites-en.html

    version podcast : https://podcasters.spotify.com/pod/show/blottire/episodes/Allons-z-la-campagne-et-oublions-Paris--Les-espaces-de-faibles-d

  • A Chypre, la solidarité de la communauté syrienne : « On s’est construit une stabilité, étape par étape »
    https://www.lemonde.fr/international/article/2023/10/02/a-chypre-la-solidarite-de-la-communaute-syrienne-on-s-est-construit-une-stab

    A Chypre, la solidarité de la communauté syrienne : « On s’est construit une stabilité, étape par étape »
    Par Laure Stephan (Nicosie (Chypre), envoyée spéciale)
    Le réseau au sein de la communauté aide les nouveaux arrivants, de plus en plus nombreux, à s’intégrer au sein du marché du travail. Mais Nicosie voudrait que l’Union européenne réévalue certaines régions de Syrie comme « sûres » afin que des rapatriements puissent avoir lieu.
    Mohamed guette le mouvement dans la rue, devant le local où il prépare des mana’iche (pizzas orientales) et autres mets salés prisés de sa clientèle, souvent syrienne. Il sourit quand sa femme, Fatima, accompagnée de leurs trois filles, se gare devant son échoppe située à Kaimakli, un quartier de Nicosie, la capitale chypriote. Les fillettes sont nées ici ; Fatima était enceinte de Rahaf, l’aînée, lorsque le jeune couple est arrivé sur l’île, en octobre 2015, par bateau. Ils espéraient gagner la Grèce, mais l’agitation de la mer en a décidé autrement. Ils ne le regrettent pas. « Le climat et le goût des Chypriotes pour les liens sociaux nous rappellent la Syrie, dont les côtes sont proches, à une centaine de kilomètres », observe Mohamed, originaire du gouvernorat de Homs, qui souhaite, comme tous ceux rencontrés, ne pas communiquer son nom de famille.
    Pour commencer ce nouveau chapitre, il a frappé aux portes de compatriotes déjà installés : le snack où il travaille appartient à un Syrien. Fatima y prépare des falafels. « On s’est construit une stabilité, étape par étape. Aujourd’hui, c’est à notre tour de recevoir des Syriens en quête de travail », avance cette femme qui se préparait à être institutrice en Syrie quand la guerre a éclaté. Elle mesure leur chance : ils ont obtenu rapidement un statut de protection, à la différence de Syriens arrivés plus tard, dont les dossiers ne sont pas tranchés – les métiers qu’ils peuvent exercer sont limités quand ils ont le statut de demandeurs d’asile. Dans la salle, Rahaf fait ses devoirs. Elle parle arabe à la maison, grec à l’école, et joue parfois la traductrice pour ses parents, du haut de ses 7 ans.
    A Chypre, une diaspora syrienne s’est formée à partir des années 1980. Elle est longtemps restée petite de taille. Ses membres ont réussi, dans la restauration ou la construction, et faisaient souvent la navette avec leur pays d’origine. Puis, à partir de 2011, sont venus d’autres Syriens fuyant la guerre. La communauté, qui comprend aujourd’hui de 20 000 à 25 000 personnes selon les estimations, est multiconfessionnelle, comme dans le pays d’origine. Des sunnites (majoritaires en Syrie) y sont installés, mais aussi des alaouites (la confession de Bachar Al-Assad) et des chrétiens.
    « On s’entraide pour trouver du travail », avance Mohamed, 26 ans, qui était boucher dans le sud de la Syrie. Sur l’île divisée, il a débuté comme ouvrier dans le bâtiment. « J’étais prêt à tout, pourvu que mes enfants mangent », raconte-t-il, assis dans une rue piétonne de la vieille ville de Nicosie, face à la boucherie-épicerie qu’il a fini par ouvrir en 2022. Un Chypriote et un Syrien lui ont prêté des fonds. Il n’a pas choisi l’adresse au hasard : beaucoup de ses compatriotes fréquentent le quartier. « On travaille du petit matin jusqu’à tard le soir. On a peu de temps pour les occasions sociales. Des mariages nous rassemblent parfois, à Kaimakli. »
    C’est ici que vit aussi un homonyme, Mohamed, ouvrier. Installé dans l’entrée d’une bâtisse ancienne, de celles qui font le charme des ruelles, il fume le narguilé et boit du maté, une boisson issue de la culture amérindienne, très populaire en Syrie. Originaire de la région de Tartous, il était mineur lorsqu’il a débarqué à Chypre, il y a un an, sans avoir terminé sa scolarité. Un cousin déjà installé lui a trouvé une place sur un chantier. « Des amis sont venus ici aussi, à cause de la situation économique en Syrie. Il n’y a pas de travail. »
    Abou Jad (un surnom) connaît bien les régions chypriotes fréquentées par la communauté. Natif d’Idlib, il « rêve tous les jours de pouvoir revivre dans [s]on pays ». En attendant, il s’apprête à ouvrir un bureau pour s’occuper des démarches des réfugiés, « ceux qui ne parlent ni grec ni anglais et s’arrachent les cheveux pour les formalités administratives », après avoir longtemps apporté une aide bénévole. Mais tout n’est pas que solidarité chez les exilés, déchirés par la séparation avec leurs proches restés en Syrie. Beaucoup se gardent de parler de politique avec de nouvelles connaissances, par crainte d’être fichés ou de mettre en danger leur famille. Alors qu’un collectif pro-opposition existe déjà pour représenter la communauté, des Syriens aimeraient qu’un autre voit le jour, apolitique.
    La représentation diplomatique de Damas demeure incontournable pour certains papiers. Des hommes d’affaires à Chypre continuent de soutenir le régime. Rami Makhlouf, cousin de Bachar Al-Assad et symbole de l’affairisme néolibéral conspué par les manifestants de 2011, avait obtenu la nationalité chypriote en 2010, lorsque le régime était jugé fréquentable par les Occidentaux. Elle lui a été retirée deux ans plus tard par les autorités de Nicosie, après que son nom a été inscrit sur la liste noire de l’Union européenne. Au snack où travaillent Mohamed et Fatima, la voix du premier se teinte d’émotion quand il évoque les retrouvailles avec ses parents cet été. « Cela faisait dix ans que je ne les avais plus vus ! » Le rassemblement a eu lieu en Jordanie. La famille a pu s’y rendre parce qu’elle a obtenu des documents de voyage, délivrés par les autorités chypriotes.
    D’autres réunions se déroulent, en cette fin d’après-midi de septembre, à l’entrée du camp de transit de Pournara, situé dans une zone isolée à l’écart de Nicosie. C’est là que sont conduits les nouveaux arrivants pour être identifiés et enregistrés. Une embarcation partie de Syrie a gagné les eaux chypriotes le matin ; une autre est annoncée. Des Syriens patientent à l’extérieur du camp, vivres à la main, qu’ils veulent remettre à leurs proches. Ils ne pourront pas les étreindre, mais ils sont autorisés à s’approcher du grillage qui ceint le camp, pour un face-à-face de quelques minutes. Les portes de l’abri chypriote pourraient se refermer. Davantage de barques sont parties cet été depuis les côtes syriennes. Il est encore trop tôt pour savoir si le flux se tarira une fois finie la saison propice aux traversées depuis le Liban, la Turquie ou la Syrie. Mais la poursuite de la descente aux enfers syrienne, avec l’effondrement économique, nourrit les départs, y compris de candidats venus de zones tenues par la rébellion anti-Assad. Les mineurs sont aussi plus nombreux à prendre la mer.
    Le gouvernement de Nicosie souhaite que l’Union européenne réévalue certaines régions de Syrie comme « sûres » – une position que partageraient d’autres pays – afin que des rapatriements puissent avoir lieu. Le renvoi de Syriens vers le Liban – lié par des accords avec Chypre sur la question migratoire, et érigé en « rempart » par Nicosie, qui demande plus d’aide pour le pays du Cèdre – cet été avait été vivement critiqué par le Haut-Commissariat aux réfugiés des Nations unies.

    #Covid-19#migrant#migration#syrie#chypre#refugie#ue#retour#rapatriement#liban#hcr#demandeurdasile#protection

  • Walls and fences at EU borders

    The number of border walls and fences worldwide has increased dramatically in recent decades. This also holds for the EU/Schengen area, which is currently surrounded or criss-crossed by 19 border or separation fences stretching for more than 2 000 kilometres (km). Between 2014 and 2022, the aggregate length of border fences at the EU’s external borders and within the EU/Schengen area grew from 315 km to 2 048 km. Two main official reasons are put forward for building border fences: to prevent irregular migration and combat terrorism. The construction of fences at EU borders raises important questions as to their compatibility with EU law, in particular the Schengen Borders Code, fundamental rights obligations, and EU funding rules on borders and migration. While border fences are not explicitly forbidden under EU law, their construction and use must be in accordance with fundamental rights (such as the right to seek international protection) and the rights and procedural safeguards provided by EU migration law. Amid renewed pressure and tensions at the EU’s external borders, in 2021, several Member States asked the European Commission to allow them the use of EU funds to construct border fences, which they regarded as an effective border protection measure against irregular migration. According to Regulation (EU) 2021/1148, EU funding can support ’infrastructure, buildings, systems, and services’ required to implement border checks and border surveillance. The Commission has so far resisted demands to interpret this provision as allowing for the construction or maintenance of border fences. The European Parliament has condemned the practice of ’pushbacks’ at the EU borders consistently, expressing deep concern ’about reports of severe human rights violations and deplorable detention conditions in transit zones or detention centres in border areas’. Moreover, Parliament stressed that the protection of EU external borders must be carried out in compliance with relevant international and EU law, including the EU Charter of Fundamental Rights.

    https://www.europarl.europa.eu/thinktank/en/document/EPRS_BRI(2022)733692
    #murs #barrières_frontalières #frontières #EU #UE #Union_européenne #migrations #asile #réfugiés #chiffres #statistiques #rapport #droits_humains #droits_fondamentaux #contrôles_frontaliers

  • A Chypre, les migrants subsahariens poussés au « retour volontaire »
    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/09/29/a-chypre-les-migrants-subsahariens-pousses-au-retour-volontaire_6191668_3212

    A Chypre, les migrants subsahariens poussés au « retour volontaire »
    Un dédommagement est offert à ceux qui décident de quitter l’île. Nicosie veut faire passer le nombre de personnes reparties de 700 par mois en moyenne à 1 000.
    Par Laure Stephan(Nicosie, Chypre, envoyée spéciale)
    Publié le 29 septembre 2023 à 20h00
    2023. CHRISTINA ASSI / AFP
    « Le 10 octobre, cela fera trois ans que je suis arrivée à Chypre. J’ai déposé une demande d’asile, mais je n’ai toujours pas obtenu de rendez-vous pour un entretien », dit Paulette, une Camerounaise de 26 ans assise sur un banc de la vieille ville de Nicosie, où elle savoure son jour de congé hebdomadaire. Sur l’île méditerranéenne, la jeune femme, employée dans un fast-food, se sent « loin des menaces » qu’elle a vécues à Kumba, au Cameroun anglophone en proie à un conflit entre séparatistes et armée, et vit « mieux qu’au pays ». Mais elle se pose la question de « prendre l’option du retour volontaire », programme promu par le gouvernement chypriote : « Les compatriotes arrivés en même temps que moi ont été déboutés du droit d’asile. Le quotidien s’est dégradé, en raison de l’inflation, de la concurrence entre migrants, et du durcissement de la politique migratoire. »
    Les rapatriements volontaires visent les étrangers nouvellement arrivés, et ceux dont la demande d’asile a été rejetée, à condition que leur présence soit toujours légale – ils sont autrement passibles d’expulsion, dont le taux à Chypre est le plus élevé de l’Union européenne (UE). Les ressortissants d’Afrique subsaharienne ont le droit, comme les Syriens, à la compensation la plus élevée – 1 500 euros – s’ils optent pour le retour, avec la prise en charge de leur billet d’avion. Cela s’explique par leur forte représentation ces dernières années : les Nigérians, les Camerounais, les Congolais de République démocratique du Congo (RDC) et les Somaliens constituaient en 2022 38 % des quelque 21 000 nouveaux demandeurs d’asile.
    Les chiffres des arrivées sont minimes en comparaison d’autres pays du sud de l’Europe, comme l’Italie. Mais, à l’échelle de la partie sud de l’île divisée qui compte 915 000 habitants pour moins de 6 000 km2, l’afflux, en hausse depuis 2018, est jugé inquiétant par les autorités de Nicosie.
    Une approche critiquée par les ONG, qui mettent en avant l’apport des migrants à l’économie et le besoin de protection des réfugiés. Le gouvernement, lui, dénonce la main de la Turquie derrière ces arrivées : la plupart des migrants franchissent, avec un passeur, la ligne de démarcation entre le nord de Chypre, contrôlé par la République turque de Chypre du Nord (RTCN, reconnue uniquement par Ankara), et le sud. Il estime avoir à faire, dans une majorité de cas, à des migrants économiques. Plus de 95 % des demandes d’asile ont été rejetées en 2022, un chiffre qui s’explique aussi par l’interruption pendant plus de deux ans de l’étude des dossiers des Syriens, au profil de réfugiés.
    Déterminé à limiter les présences et à décourager les arrivées – l’afflux a diminué lors du premier semestre –, le gouvernement a fait des retours volontaires l’un de ses outils : plus de 2 000 personnes sont reparties dans leur pays d’origine, suivant ce mécanisme, au cours du premier trimestre. L’objectif annoncé est de passer de 700 personnes par mois, la moyenne actuelle, à mille.« Ce programme peut séduire ceux dont la demande d’asile est refusée, pourvu qu’ils n’aient pas fui des persécutions ou une guerre. Les retours, qui ne peuvent se faire que vers des pays sûrs, doivent découler d’une décision personnelle », plaide Elizabeth Kassinis, directrice de Caritas Chypre, dont les locaux se trouvent dans la vieille ville de Nicosie, au pied de la zone tampon entre les parties sud et nord.
    « Mais c’est aussi une solution de facilité de dire : “Renvoyons les étrangers !”, quand il existe à la fois le sentiment d’être dépassé par le nombre, des courants politiques hostiles aux migrants [le candidat du parti d’extrême droite Elam a obtenu 6 % des voix à la présidentielle de février] et que le personnel chargé des demandes d’asile n’est pas formé », poursuit la responsable. Les équipes de Caritas reçoivent au quotidien migrants et demandeurs d’asile, dont près de 90 % de francophones en quête d’aide. Ou d’informations sur les retours volontaires.
    Madame Kassinis considère que « Chypre n’était pas préparée lorsque la crise des demandeurs d’asile a commencé. Le système – à commencer par le logement – n’est toujours pas prêt à absorber des chiffres élevés. En outre, le débat sur les migrants souffre d’imprécision et de paresse intellectuelle ». Elle connaît la détresse de jeunes fraîchement débarqués « qui découvrent que l’île, dans l’UE, ne fait pas partie de l’espace Schengen, et que la procédure de Dublin les contraint à rester sur place ».
    Coutumière de la vieille ville, où les migrants travaillent, transitent par la gare centrale des bus ou trouvent parfois des logements à bas prix, Paulette réfléchit aux opportunités si elle repart avec une indemnité : « Je pourrais ouvrir un atelier de nettoyage de voiture en ville, ou un commerce dans le village où mes parents sont retournés, en zone francophone. Si la situation empire ici, mieux vaut être à leurs côtés, ou tenter depuis le Cameroun un départ vers une nouvelle destination. » Sa famille avait déboursé pour son périple en 2020 environ 3 000 euros, « ce qui comprenait le billet d’avion de Douala à Ercan [Chypre du Nord] avec une escale à Istanbul, l’inscription à une université nord-chypriote [qui permet l’obtention d’un visa étudiant] et le passage vers le sud de l’île ». Un business d’universités privées s’est développé dans le nord, en partie utilisé par les candidats à l’exil.
    A Limassol, ville sur la côte septentrionale prisée par les nouveaux arrivants pour les emplois du secteur touristique, Ugwu (un pseudonyme), un Nigérian de 27 ans, surveille l’heure : il prend son service en fin d’après-midi comme plongeur dans un restaurant du bord de mer. Sous son air calme, il bouillonne : « Les étrangers occupent les métiers pénibles, et pourtant ils ne sont pas les bienvenus. Je me fais parfois insulter dans la rue. Face au racisme, des Africains plongent dans la dépression. » Sa demande d’asile a été rejetée à la mi-septembre. « J’hésite à faire appel car cela coûte très cher, ou à rentrer, via les retours volontaires. J’ai fui un conflit familial. » Parmi les autres mesures de dissuasion, les autorités de Nicosie ont lancé en juin une campagne à destination, principalement, des pays d’Afrique subsaharienne, « Parlons franchement de Chypre ». Elles ont exclu les étrangers arrivés à partir de 2023 d’une réinstallation vers un autre pays européen et disent accélérer l’étude des demandes d’asile, dont environ 30 000 dossiers sont en souffrance.
    Le soir, Mohamed, Somalien de 32 ans, scrute la mer de Paphos, station balnéaire du sud-ouest de l’île. Rejoindre Chypre, en 2022, a été « le moyen le plus sûr et le moins cher de se rapprocher de l’Europe ». L’ancien camionneur vit de boulots temporaires, dans la construction ou le nettoyage. Il a la nostalgie de sa terre, même s’il a voulu quitter les « problèmes tribaux ». Des amis, dont il n’a plus de nouvelles, sont repartis avec le programme de retour volontaire : « Ils galéraient ici, pour l’emploi ou le logement. » Craignant que ses jours soient comptés à Chypre, où il « se sent bien », il espère une réinstallation, en France ou en Allemagne. En attendant que l’administration chypriote tranche sur sa demande d’asile, il envoie chaque mois les économies accumulées au cours d’heures harassantes à sa femme et à ses quatre enfants, pour assurer leur quotidien.
    Laure Stephan(Nicosie, Chypre, envoyée spéciale)

    #Covid-19#migrant#migration#chypre#mediterranee#retourvolontaire#rapatriement#reinstallation#sante#santementale#racisme#accueil#asile#ue

  • [Fade to Pleasure ] #204.5 w/ Snooba
    https://www.radiopanik.org/emissions/ftp/2045-w-snooba

    La démarche poétique est une démarche de naturation qui s’opère sous l’impulsion démentielle de l’imagination.

    Ftp 204

    Echo conscious- Arrived

    muqata_a_ma_wara

    marcy_mane_prosecco__prod_by_mrcheezl_

    jam_city_redd_st__turbulence__x-tended_mix

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    matvei_my_mind

    Cortese-_Tell_Me

    rennie foster i ve been waitin

    delilah holliday ong Time Coming

    Aberton - Illusion • Moiss Music Black

    jerome_sydenham__fatima_njai_the_operator

    Tim_Engelhardt-High_Places

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    djdextro_forbidden_dreams

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    Lloyd_Stellar-Digital_Hallucinations_Exploited_Club

    maria_chiara_argir__greenarp__terracassette_remix

    Broadcasted & hosted by Snooba on Panik (Brussels-Be) Canal B (Rennes-Fr) (...)

    #philosophie #poetry #mix #electro #errance #trap #dj #chill #rap #afro #futurism #food #deep #down_tempo #drill #trip #uk #cloud #amalgam #smooth #fm #mood #monday #no_boundaries #sunday #philosophie,poetry,mix,electro,errance,trap,dj,chill,rap,afro,futurism,food,deep,down_tempo,drill,trip,uk,cloud,amalgam,smooth,fm,mood,monday,no_boundaries,sunday
    https://www.radiopanik.org/media/sounds/ftp/2045-w-snooba_16524__1.mp3

  • #Eni sapeva” degli impatti delle fonti fossili sul clima sin dagli anni 70

    Una documentata ricerca di Greenpeace e ReCommon svela pubblicazioni ufficiali in cui già cinquant’anni fa il colosso evidenziava i rischi dell’accumulo di carbonio in atmosfera e della connessa crisi climatica. Ma la multinazionale ha continuato (e continua) a investire sull’estrazione di idrocarburi. Il ruolo dell’organizzazione Ipieca

    “A causa dell’aumento dell’uso di oli minerali l’anidride carbonica in atmosfera, secondo quanto riportato in un recente documento del Segretario generale delle Nazioni Unite, è aumentata a livello globale di circa il 10% nell’ultimo secolo; attorno all’anno 2000 potrebbe raggiungere il 25% con ‘catastrofiche’ conseguenze per il clima”.

    Questa frase è contenuta in uno studio pubblicato nel 1970, quando iniziava a diffondersi anche nell’opinione pubblica una crescente attenzione per i problemi legati all’inquinamento. A mettere a fuoco quell’allarme, però, non furono ricercatori o scienziati, e nemmeno attivisti o associazioni ambientaliste, ma Eni.

    Nel 1969 la società -all’epoca controllata interamente dallo Stato- aveva affidato a un proprio centro studi (l’Istituto per gli studi sullo sviluppo economico e il progresso tecnico, Isvet) il compito di realizzare un’indagine tecnico-economica per valutare i danni causati dall’inquinamento e i costi economici collegati. Un’affermazione inequivocabile, contenuta in una pubblicazione ufficiale commissionata dalla società e realizzata da un centro studi dell’Eni stessa.

    A riportarla alla luce è stata la ricerca “Eni sapeva” condotta da Greenpeace e ReCommon realizzata grazie ad approfondimenti svolti nel corso di alcuni mesi nelle biblioteche e negli archivi della stessa società o di istituzioni scientifiche come il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr). Lo studio è basato su recenti analisi simili che hanno indagato gli archivi e le pubblicazioni di compagnie come la francese TotalEnergies. Comprende inoltre i contributi di storici della scienza come Ben Franta, ricercatore in climate litigation presso l’Oxford sustainable law programme, tra i maggiori esperti del tema a livello mondiale, e Christophe Bonneuil, direttore di ricerca presso il più grande ente pubblico di ricerca francese, il Centre national de la recherche scientifique (Cnrs).

    Il passaggio dello studio di Isvet del 1970 non è un caso isolato. “In diverse sue pubblicazioni risalenti agli anni Settanta e Ottanta, il colosso italiano metteva in guardia sui possibili impatti distruttivi sul clima del Pianeta derivanti dalla combustione delle fonti fossili –denunciano le due organizzazioni-. Eppure, nonostante questi ammonimenti, l’azienda ha proseguito e continua ancora oggi a investire principalmente sull’estrazione e lo sfruttamento di petrolio e gas”.

    I casi citati nel report di Greenpeace e ReCommon sono diversi, come due studi pubblicati dalla società Tecneco (sempre appartenente a Eni) rispettivamente nel 1973 e nel 1978. Nel secondo (intitolato “Ambiente e fonti di energia esauribili e rinnovabili”) gli autori si chiedevano quali fossero i limiti che l’ambiente poneva alla produzione e al consumo di energia in costante aumento: “È auspicabile, tecnicamente fattibile ed economicamente valido ridurre il tasso di crescita del consumo energetico, senza diminuire il prodotto nazionale lordo -si legge nel documento del 1978-. Sarebbe inoltre necessario implementare un programma intensivo di sviluppo energetico da fonti rinnovabili ed estensive come l’energia solare, geotermica ed eolica”.

    Lo studio condotto da Tecneco continuava poi concentrandosi sulle emissioni di CO2, evidenziando come queste avessero già raggiunto nel 1970 una concentrazione di 320 parti per milione (ppm) in crescita del 10% nel corso dei 110 anni precedenti: “Si presume che con l’aumento del consumo di combustibili fossili, iniziato con la rivoluzione industriale, la concentrazione di CO2 raggiungerà le 375-400 ppm. Ipotizzando che il 35-45% della CO2 emessa rimanga in atmosfera e che il resto venga rimosso dal ciclo bio-geochimico, questo aumento è considerato da alcuni scienziati un possibile problema a lungo termine, soprattutto perché potrebbe alterare il bilancio termico dell’atmosfera, portando a cambiamenti climatici con gravi conseguenze per la biosfera”.

    Inoltre, sin dalla prima metà degli anni Settanta Eni ha fatto parte dell’Ipieca (International petroleum industry environmental conservation association), un’organizzazione fondata nel 1974 da diverse compagnie petrolifere internazionali che, secondo recenti studi, a partire dagli anni Ottanta avrebbe consentito al gigante petrolifero statunitense Exxon di coordinare “una campagna internazionale per contestare la scienza del clima e indebolire le politiche internazionali sul clima”.

    “A partire dal 1974 questa associazione ha assunto il ruolo di una diplomazia petrolifera internazionale di fronte alle emergenti normative transnazionali, ad esempio sulle fuoriuscite di petrolio, sull’inquinamento atmosferico e, negli anni Ottanta, sul riscaldamento globale -ha spiegato lo storico dell’ambiente Christophe Bonneuil-. Sebbene non si sia mai definita un gruppo di pressione, dal 1988 al 1994 è diventata chiaramente un canale attraverso il quale le compagnie petrolifere hanno condiviso informazioni e strategie relative al lavoro delle Nazioni Unite sulla strada verso il Vertice della terra di Rio del 1992 e i dettagli dei negoziati sulla Convenzione sui cambiamenti climatici”.

    Ipieca ha iniziato a occuparsi di riscaldamento globale attorno al 1984 e nel 1988 ha dato vita al “Working group on global climate change” i cui compiti erano -tra gli altri- quelli di documentare lo stato della scienza dei cambiamenti climatici indotti dall’effetto serra ed elaborare strategie di risposta vantaggiose per l’industria. Sebbene non fosse presente all’interno di questo gruppo di lavoro, “nella sua rivista Ecos, Eni ha dichiarato di essere stata coinvolta nei primi anni Novanta nel sostegno agli studi e alle azioni sul cambiamento climatico condotte dall’Ipieca -si legge nel report di Greenpeace e ReCommon-. Attività che si rifanno a una delle strategie già descritte da Bonneuil in precedenza, ovvero mettere in evidenza le presunte incertezze della scienza climatica promuovendo ulteriori ricerche per ritardare l’azione necessaria per porre fine alla combustione dei combustibili fossili”.

    “La nostra indagine dimostra come Eni possa essere aggiunta al lungo elenco di compagnie fossili che, come è emerso da numerose inchieste internazionali condotte negli ultimi anni, erano consapevoli almeno dai primi anni Settanta dell’effetto destabilizzante che lo sfruttamento di carbone, gas e petrolio esercita sugli equilibri climatici globali, a causa delle emissioni di gas serra -conclude Felice Moramarco, che ha coordinato la ricerca per Greenpeace Italia e ReCommon-. Se ci troviamo oggi nel pieno di una crisi climatica che minaccia le vite di tutte e tutti noi, la responsabilità ricade principalmente su aziende come Eni, che hanno continuato per decenni a sfruttare le fonti fossili, ignorando gli allarmanti e crescenti avvertimenti provenienti dalla comunità scientifica globale”.

    Lo scorso 9 maggio, come abbiamo raccontato su Altreconomia, Greenpeace Italia, ReCommon e dodici cittadine e cittadini italiani hanno presentato una causa civile nei confronti della società amministrata da Claudio Descalzi per i danni subiti e futuri, di natura patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici a cui la compagnia avrebbe significativamente contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, pur essendo consapevole degli impatti sul clima delle proprie attività. La “Giusta causa” punta a costringere Eni a rivedere la sua strategia industriale e a ridurre le sue emissioni del 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020, come raccomandato dalla comunità scientifica internazionale per rispettare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.

    https://altreconomia.it/eni-sapeva-degli-impatti-delle-fonti-fossili-sul-clima-sin-dagli-anni-7

    #industrie_pétrolière #changement_climatique #climat

    • #ENI_SAPEVA

      In diverse sue pubblicazioni risalenti agli anni Settanta e Ottanta, il colosso italiano ENI, all’epoca interamente controllato dallo Stato, metteva in guardia sui possibili impatti distruttivi sul clima del pianeta derivanti dalla combustione delle fonti fossili. Eppure, nonostante questi ammonimenti, l’azienda ha proseguito e continua ancora oggi a investire principalmente sull’estrazione e lo sfruttamento di petrolio e gas.

      Inoltre sin dalla prima metà degli anni Settanta il Cane a sei zampe ha fatto parte dell’IPIECA, un’organizzazione fondata da diverse compagnie petrolifere internazionali che, secondo recenti studi, a partire dagli anni Ottanta avrebbe consentito al gigante petrolifero statunitense Exxon di coordinare “una campagna internazionale per contestare la scienza del clima e indebolire le politiche internazionali sul clima”.

      È quanto denuncia «ENI sapeva», il rapporto diffuso oggi da Greenpeace Italia e ReCommon e realizzato grazie a ricerche effettuate negli scorsi mesi presso biblioteche e archivi della stessa ENI o di istituzioni scientifiche come il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR).

      https://www.greenpeace.org/italy/rapporto/18843/eni-sapeva

      #rapport #responsabilité

  • Au Sénégal, la douloureuse réinstallation des migrants rapatriés
    https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/09/25/au-senegal-la-douloureuse-reinstallation-des-migrants-rapatries_6190947_3212

    Au Sénégal, la douloureuse réinstallation des migrants rapatriés
    Le retour des candidats à l’exil est souvent considéré comme un échec pour les familles qui se sont démenées afin de réunir l’argent du départ.
    Par Théa Ollivier( Thiaroye-sur-mer, correspondance)
    « Je me sens abattu, je dois tout reprendre à zéro », lâche dans un souffle Baldé. Au téléphone, le jeune homme de 25 ans raconte son histoire d’une voix hésitante depuis Kolda, sa ville d’origine à 700 km au sud de Dakar où il a été contraint de retourner. Etudiant en lettres modernes à l’université Cheikh Anta Diop de Dakar, il avait décidé de quitter le Sénégal l’année dernière pour tenter sa chance en Espagne, faute de pouvoir payer ses études. Mais à son arrivée sur les îles Canaries, il est arrêté par les autorités espagnoles puis rapatrié par avion dans son pays le 22 septembre 2022.
    « Ma famille m’a abandonné… Mes deux oncles et un cousin qui ont cotisé 3 millions de francs CFA [environ 4 500 euros] pour que je voyage vers l’Espagne en passant par le Maroc ne me parlent plus et me demandent de les rembourser », témoigne-t-il. Baldé n’a pas pu retourner dans la maison familiale et habite seul dans une petite chambre à Kolda, où il essaie de se débrouiller en faisant des petits boulots au jour le jour. « Beaucoup de gens se sont moqués de moi car je n’ai pas réussi alors que d’autres sont arrivés à destination. »
    L’Union européenne (UE) s’alarme du nombre d’arrivées de migrants sur son sol ces dernières semaines, mais de nombreux candidats à une nouvelle vie en Europe ne parviennent jamais à leur but. Certains périssent en mer, d’autres survivent à la défaillance de leur embarcation et beaucoup sont interpellés par les forces de l’ordre. Selon le ministère des forces armées sénégalaises, la marine nationale a ainsi intercepté 1 500 migrants entre le mois de mai et le 6 septembre sur la route migratoire passant par les îles Canaries ou le Maroc, « illustrant ainsi un net regain des tentatives d’émigration irrégulière au cours de cette période. Cette recrudescence du nombre de traversées, qui s’observe aussi sur la route passant par la Tunisie et menant à Lampedusa en Italie, ne s’est pas tarie depuis. » Les autorités ont annoncé que, le 19 septembre, deux pirogues transportant 167 passagers ont été arraisonnées par la marine nationale sénégalaise à 120 km au large de Dakar.
    Après un échec, il n’est pas toujours facile pour ces migrants de se réinstaller dans leur pays d’origine. Lébou, pêcheur de 33 ans, a quant à lui été bien accueilli par sa famille à son retour, alors qu’il était rentré sans papiers et sans argent chez lui après vingt-quatre heures de traversée. « Nous avons été interceptés en mer début septembre par la marine nationale au large de Saint-Louis. Une fois débarqués au port de Dakar, nous nous sommes débrouillés pour rentrer chez nous, sans aucune aide ni accompagnement de l’Etat », regrette-t-il. Une version que réfutent les autorités. Selon le ministère des affaires étrangères et des Sénégalais de l’extérieur, les candidats à l’émigration sont toujours accueillis à leur arrivée par une équipe des Bureaux d’accueil, d’orientation et de suivi (BAOS), présents dans chacune des quatorze régions du Sénégal ainsi qu’à l’aéroport international Blaise-Diagne. « Nous distribuons des collations, de l’eau, des tee-shirts, des chaussures ainsi que des primes de transport, qui peuvent monter jusqu’à 50 000 francs CFA (76 euros). Cela leur permet de redémarrer leur vie », assure Maguette Seck Mbow, coordinatrice des BAOS, photos à l’appui qu’elle fait défiler sur son téléphone.
    Les équipes des BAOS assurent qu’elles se chargent d’offrir un appui psychosocial aux migrants rapatriés et de les rediriger vers les structures de l’Etat qui peuvent répondre à leurs besoins de formation ou de financement de projets. L’objectif de ce programme, soutenu par l’UE et la coopération espagnole, est de les accompagner dans leur réinsertion et de les convaincre de renoncer à un nouveau projet migratoire en leur présentant les opportunités sur place. En 2023, les BAOS ont accueilli 2 098 migrants revenus au pays de façon involontaire, dont 64 femmes et 16 enfants.
    « Malheureusement, nous n’avons pas les moyens ni les ressources humaines pour faire un véritable suivi étant donné le nombre de migrants rapatriés », regrette Amadou François Gaye, à la tête de la direction générale d’appui aux Sénégalais de l’extérieur, qui reconnaît que ses équipes ont du mal à être écoutées. « La plupart des candidats à l’émigration qui ont été rapatriés sont laissés à eux-mêmes, donc ils sont forcément tentés de repartir », regrette Boubacar Seye, président de l’organisation de défense des migrants Horizon sans frontières, qui estime que « rien n’est fait pour les retenir ».
    Dogo, célibataire de 40 ans, a vendu son taxi pour se payer le voyage vers l’Espagne. Un projet qui lui a coûté 2,5 millions de francs CFA. Mais, une fois arrivé aux îles Canaries, il a aussi été arrêté et expulsé par avion. Arrivé à l’aéroport, il assure qu’il n’a jamais croisé les équipes du BAOS. Quelques semaines après son retour, il a trouvé une petite chambre à Keur Massar, une commune excentrée de la banlieue dakaroise, moins chère que son précédent logement aux Parcelles Assainies, un quartier beaucoup plus central.
    Faute de pouvoir se racheter un taxi, il s’est lancé dans un petit élevage de poulets avec difficulté. « Je pense à des projets mais je ne trouve pas l’argent pour investir et les banques ne me feront jamais un prêt car je n’ai pas les garanties suffisantes », regrette Dogo. Il ne peut plus compter sur sa famille qui lui a tourné le dos.
    Les migrants rapatriés n’ont alors qu’une idée en tête : essayer de nouveau la traversée. « Je n’ai pas honte d’être revenu chez moi après un deuxième échec, car j’ai des amis qui ont tenté plus de cinq fois avant d’y arriver », explique Lébou, qui est prêt à repartir. « Ce n’est pas en nous interceptant que nous allons nous décourager. »

    #Covid-19#migrant#migration#senegal#sante#projetmigratoire#routemigratoire#migrationirreguliere#rapatriement#expulsion

  • [Fade to Pleasure ] #203.5 w/Snooba
    https://www.radiopanik.org/emissions/ftp/2035-wsnooba

    “Les événements sont l’écume des choses dont les causes profondes résident dans l’ensemble du cosmos.”

    Ftp 203.5

    BRECON -Contort

    Iman Houssein - House of Light [BBE Music]

    mykki blanco - slug christ ketamine

    Col Lawton - Little Closer Liz Somes featt Katty Heath

    Dana ruh - tj mornings.

    Wyatt marshall pepe g - coco bomb

    Ransel - Love Is In The Air 320

    Act On & Josh Burnett - Take You On (Extended #mix)

    Nguzunguzu - Mirage Girl Unit Rmx

    Automat feat. Barbie Williams - Climb [Only Good Stuff]

    Reinhard Vanbergen - Lost In Rèverie

    Karen y Los Remedios – Silencio

    Ana Frango Elétrico - Insista em Mim [Only Good Stuff]

    WMC Cut Mella Dee Spangled On The Terrace (...)

    #philosophie #poetry #electro #errance #trap #dj #chill #rap #afro #futurism #food #deep #down_tempo #drill #trip #uk #cloud #amalgam #smooth #fm #mood #monday #no_boundaries #sunday #philosophie,poetry,mix,electro,errance,trap,dj,chill,rap,afro,futurism,food,deep,down_tempo,drill,trip,uk,cloud,amalgam,smooth,fm,mood,monday,no_boundaries,sunday
    https://www.radiopanik.org/media/sounds/ftp/2035-wsnooba_16492__1.mp3