La tragedia dei migranti aggrappati alle gabbie di tonni farà scalpore, susciterà qualche reazione, momentanea. Il silenzio mediatico sugli sbarchi che continuavano nonostante l’inverno, invece è durato mesi. Come l’impreparazione del governo sulla prevedibile stagione estiva degli sbarchi. Sarebbe bastato guardare una mappa del contesto geopolitico – massacri e fuga di massa dalla Siria, instabilità libica e greca – per stimare gli probabili arrivi. Dopo le cifre urlate di circa mille migranti approdati questo fine settimana, complessivamente sulle coste siciliane e calabresi, mentre le motovedette della Guardia costiera sono impegnate 24 ore su 24 a sud di Lampedusa e altre navi sono in vista, presto ricadrà il velo sull’emergenza vera: dove vengono stipate, trasferite, detenute queste persone?
Afghani, Curdi, Siriani, Egiziani, minori non accompagnati e donne incinte, pronte a rischiare tutto e che ci dovrebbero fare riflettere sulle ragioni di queste migrazioni – non solo bombe, fame o persecuzioni possono spingere donne ad imbarcarsi di notte al buio con i loro pancioni? Sabato scorso è pure nata una bimba siriana durante il lungo viaggio dalla Grecia alla Calabria. Una speranza che offusca a malapena il cadavere di un immigrato subsahariano, avvistato a largo di Siculiana (Agrigento) dove è approdato un barcone: un essere umano che non ha meritato nemmeno una notizia.
Quando il silenzio viene squarciato dai flash di agenzia, le notizie si focalizzano sul momento drammatico dello sbarco, e poco o nulla si sa del probabile percorso delle persone una volta arrivati in Italia. Scompaiono nei meandri di un sistema di accoglienza che non esiste, come in un buco nero, salvo a ritornare all’attenzione della cronaca quando si ribellano, come a Mineo in Sicilia, o si suicidano, come a Padova.
I “sub sahariani” vengono parcheggiati in centri di accoglienza di ogni genere. Siriani, e soggetti vulnerabili nei Centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara). Egiziani e tunisini, per via degli accordi bilaterali di riammissione dei migranti irregolari con Tunisia ed Egitto sono rimpatriati a bordo di voli charter, nel giro di poche ore e senza rispetto delle normale procedure d’identificazione: senza potere fare valere i diritti di difesa e senza avere accesso alla procedura di asilo. Il rimpatrio forzato, dopo il trattenimento in centri ad hoc, blindati, di identificazione rapida. Questi centri di detenzione temporanea, ubicati in palestre, stadi, scuole dismesse, requisiti dalle prefetture, dove i migranti vengono isolati e interrogati da agenti di polizia, anche di Frontex (l’ente europeo per il controllo delle frontiere), e dove vengono visitati da rappresentanti dei loro consolati, (mentre sono vietate le visite di organizzazioni come Unhcr, OIM e Save the Children), sono stati di recente criticati dal relatore speciale dell’Onu sui diritti umani dei migranti, François Crépeau.
Si continuano a verificare casi di respingimento collettivo da parte delle polizie di frontiera di Siracusa, Trapani e Agrigento, e in altre regioni, come Calabria e Puglia, come se il decreto legislativo n.25 del 2008 non avesse espressamente abrogato quelle residue disposizioni della legge Martelli (39/90) che consentivano alle autorità di polizia in frontiera di valutare come manifestamente infondata una richiesta di asilo e di procedere immediatamente all’accompagnamento forzato.
Siamo in realtà da mesi, malgrado la proclamata discontinuità dal governo precedente, di fronte ad una serie di prassi illegittime dalla polizia di frontiera che ignora impunemente le prescrizioni vincolanti in materia di respingimento e trattenimento amministrativo, dettate dal Regolamento Frontiere Schengen, n.562 del 2006 (che impone formalità e garanzie precise per tutti i casi di respingimento), dalla Direttiva sui rimpatri 2008/115/CE (secondo cui il trattenimento amministrativo si può verificare solo all’interno dei CIE con precise garanzie procedurali), e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che all’art. 19 vieta espressamente le espulsioni ed i respingimenti collettivi. Per non parlare della Costituzione italiana continuamente tradita nella violazione degli articoli 13 e 24 che stabiliscono l’obbligo della convalida giurisdizionale del trattenimento amministrativo ed il diritto ad un ricorso effettivo per tutti, dunque anche per gli immigrati irregolari, come ribadito dall’art. 13 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo.
Un copione già noto, da anni, che si ripete in condizioni sempre più drammatiche perché il sistema di accoglienza è oggi destrutturato e senza i soldi della protezione civile, con fondi ridotti al minimo. Resistono solo gli Sprar finanziati in parte dai comuni, ma dalle ultime notizie giunte, il centro di accoglienza di Mineo sta ormai esplodendo. Il 14 giugno scorso, una decine degli “ospiti”, in maggioranza provenienti dall’Africa sub sahariana, ha iniziato una protesta contro le lungaggini burocratiche delle procedure per il riconoscimento della protezione internazionale. Sono infatti circa tremila richiedenti asilo segregati in questo carcere a porte aperte, centinaia dalla Gambia e dal Mali a cui, dopo una circolare del Ministero dell’Interno (n. 4369 del 15 giugno 2012), si sarebbe dovuto riconoscere subito la protezione sussidiaria per la grave crisi umanitaria nel paese. Invece, il loro trattenimento forzato dura anche fino a 18 mesi. Gli effetti? Trattamento degradante della persona umana, frustrazione, disperazione.
Interrogarsi invece sulle reazioni all’accoglienza negata? Ancora silenzio, assordante.