• Les ministres israéliens veulent un million de colons dans le nord de la Cisjordanie d’ici à 2050

    Un plan soutenu par les ministres du gouvernement israélien prévoit une augmentation de près de 500% des 170 000 colons vivant actuellement dans le nord de la Cisjordanie.

    Les ministres israéliens de l’actuel gouvernement d’extrême droite soutiennent un plan visant à augmenter considérablement le nombre de colons dans le nord de la Cisjordanie occupée pour atteindre un million d’ici 2050.

    Ce plan prévoit une augmentation de près de 500% par rapport aux 170 000 colons qui vivent actuellement dans cette région, qu’Israël désigne par le terme biblique de « Samarie ».

    Le ministre de l’économie Nir Barkat, le ministre de la culture et des sports Miki Zohar, le ministre du tourisme Haim Katz et le ministre de l’immigration Ofir Sofer figurent parmi les partisans de ce plan, a rapporté le site d’information israélien Ynet.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2023/09/11/les-ministres-israeliens-veulent-un-million-de

    #international #israel #palestine

  • 🔴 Israël, refuser la guerre — La Déferlante

    Dans un pays diri­gé par l’extrême-droite et impré­gné de culture mili­ta­riste, les objecteur·ices de conscience, relégué·es à la marge de la socié­té, tentent d’incarner une solu­tion de sor­tie à la guerre contre les Palestinien·nes (...)

    #Israel #Palestine #Paix #servicemilitaire #Tsahal #antimilitarisme #Paix #Refuznik #ObjectionDeConscience #Solidarité...

    ⏩ Lire l’article complet...

    ▶️ https://revueladeferlante.fr/israel-refuser-la-guerre

  • La siccità e le politiche israeliane assetano i contadini palestinesi

    La crisi idrica ha stravolto l’economia del villaggio di #Furush_Beit_Dajan, in Cisgiordania: la tradizionale coltivazione di limoni ha lasciato spazio a serre di pomodori. E lo sfruttamento intensivo rischia di impoverire ulteriormente la terra

    Il telefono squilla incessantemente nello studio di Azem Hajj Mohammed. Il sindaco di Furush Beit Dajan, un villaggio agricolo nel Nord della Cisgiordania, ha lavorato tutta la notte per cercare di identificare due uomini del vicino villaggio di Jiftlik che, sfruttando l’oscurità, si sarebbero allacciati illegalmente alla rete di distribuzione idrica. Secondo la regolamentazione di epoca ottomana, gli abitanti di Furush Beit Dajan hanno diritto al 10% dell’acqua estratta dal pozzo artesiano situato a Nord del villaggio, mentre il 90% spetta a Jiftlik. Ma quando la pressione dell’acqua è bassa, alcuni residenti che ritengono di non riceverne abbastanza si allacciano illegalmente ai tubi, generando tensioni in questa comunità dove l’agricoltura è la principale fonte di reddito per nove abitanti su dieci.

    “Devo individuare rapidamente i responsabili e trovare una mediazione prima che il furto sfoci in un conflitto tra famiglie e che intervenga l’esercito israeliano -spiega il sindaco in un momento di pausa tra due chiamate-. Nessuno vuole autodenunciarsi. Dovrò visionare i filmati delle telecamere di sorveglianza, trovarli e andare a parlarci”, dice a un suo collaboratore. Il viso è segnato dalle occhiaie, dalla fatica e dallo stress accumulati per amministrare un villaggio la cui esistenza affoga in un paradosso: nonostante sorga su una ricca falda, l’acqua è centellinata goccia per goccia. Le restrittive politiche israeliane in materia, aggravate dalla siccità nella Valle del Giordano, hanno causato una profonda crisi idrica che ha stravolto l’economia del luogo, portando i contadini a optare per l’agricoltura intensiva.

    Se Azem Hajj Mohammed è così preoccupato è perché l’accesso all’acqua garantisce la pace sociale a Furush Beit Dajan. Il villaggio si era costruito una reputazione e una posizione sul mercato agricolo palestinese grazie alle floride distese di alberi di limone, piante molto esigenti in termini di fabbisogni idrici. “Il profumo avvolgeva il villaggio come una nuvola. L’acqua sgorgava liberamente, alimentava i campi e un mulino. I torrenti erano così tumultuosi che i bambini rischiavano di annegare”, ricorda l’agricoltore ‘Abd al-Hamid Abu Firas. Aveva diciannove anni quando nel 1967 gli israeliani consolidarono il loro controllo sul territorio e le risorse idriche in Cisgiordania dopo la Guerra dei sei giorni. Da allora, l’acqua ha iniziato a ridursi.

    Nel 1993 gli Accordi di Oslo hanno di fatto conferito a Israele la gestione di questa risorsa, che oggi controlla l’80% delle riserve idriche della Cisgiordania. Le Nazioni Unite stimano che gli israeliani, compresi i coloni, abbiano accesso in media a 247 litri d’acqua al giorno, mentre i palestinesi che vivono all’interno dell’Area C, sotto controllo militare, si devono accontentare di venti litri. Solo un quinto del minimo raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità.

    Il progressivo esaurimento delle falde e le crescenti esigenze idriche delle vicine colonie israeliane di Hamra e Mekhora hanno spinto gli agricoltori a una scelta radicale: abbandonare le varietà di limoni autoctone per sostituirle gradualmente con le coltivazioni verticali e pomodori in serra, che presentano un rapporto tra produttività e fabbisogno idrico più alto. Secondo l’istituto olandese di Delft, specializzato su questi temi, per produrre una tonnellata di pomodori sono necessari mediamente 214 metri cubi d’acqua. La stessa quantità di limoni ne richiederebbe tre volte di più. L’acqua, tuttavia, ci sarebbe. La vicina colonia di Hamra -illegale secondo il diritto internazionale e costruita nel 1971 su terreni confiscati ai palestinesi- possiede una coltivazione di palme da dattero di 40 ettari: per produrre una tonnellata di questi frutti servono 2.300 metri cubi d’acqua, quasi dieci volte la quantità necessaria per la stessa quantità di pomodori.

    Le distese di campi di limoni hanno lasciato il posto a quelle che Rasmi Abu Jeish chiama le “case di plastica”. Il paesaggio è radicalmente mutato: il bianco delle serre ha sostituito il verde delle piante. Dei suoi 450 alberi di limone, il contadino ne ha lasciati in piedi soltanto 30 per onorare la tradizione familiare. Il resto dei suoi 40 dunum di terre (unità di misura di origine ottomana corrispondente a circa mille metri quadrati) sono occupate da serre.

    La diminuzione dell’acqua per l’irrigazione ha generato un cambiamento nei metodi di produzione, portando gli agricoltori ad aumentare le quantità di pomodori prodotte per assicurarsi entrate sufficienti. “Le monocolture rendono i contadini più vulnerabili alle fluttuazioni dei prezzi, più inclini a usare pesticidi e fertilizzanti per assicurarsi entrate stabili. Sul lungo termine questo circolo vizioso rende il terreno infertile e inutilizzabile per l’agricoltura”, avverte Muqbel Abu-Jaish, del Palestinian agricultural relief committees, che accompagna gli agricoltori del villaggio nella gestione delle risorse idriche.

    Senza l’ombra degli alberi di agrumi, anche le temperature registrate all’interno del villaggio sono aumentate, rendendo la vita ancora più difficile d’estate, quando nella Valle del Giordano si superano i 40 gradi. La mancanza di accesso all’acqua e la politica espansionistica dei coloni israeliani, aggravate dalla crisi climatica, hanno portato così l’agricoltura a contribuire soltanto al 2,6% del Prodotto interno lordo della Cisgiordania.

    Il cambiamento di produzione è stato affrontato con più elasticità dalla nuova generazione di agricoltori, non senza difficoltà. “Nonostante questa situazione abbiamo deciso di continuare. Il lavoro è diminuito molto ma qui non abbiamo altre possibilità. È come se senza l’acqua fosse sparita anche la vita. Dobbiamo adattarci”, racconta Saeed Abu Jaish, 25 anni, la cui famiglia ha ridotto i terreni coltivati da 15 a due dunum convertendoli interamente alla coltivazione di pomodori in serra. Oggi il villaggio fornisce circa l’80% dei bisogni del mercato palestinese di questo prodotto.

    Le difficoltà sono accentuate dall’impossibilità di costruire infrastrutture, anche leggere, per la raccolta e lo stoccaggio di acqua piovana. Tutto il villaggio si trova in Area C, sotto controllo amministrativo e militare israeliano, dove ogni attività agricola e di costruzione è formalmente vietata. Quando, nel 2021, il sindaco di Furush Beit Dajan ha fatto installare un serbatoio d’acqua per uso agricolo l’esercito israeliano si è mobilitato per smantellarlo nel volgere di poche ore. Come era accaduto ad altri 270 impianti idrici negli ultimi cinque anni.

    Il sindaco non può nemmeno avviare lavori di ammodernamento della rete idrica, risalente al mandato britannico terminato nel 1948. Dei nove pozzi da cui dipendeva il villaggio, la metà si sono prosciugati, mentre il flusso d’acqua di quelli restanti è diminuito inesorabilmente, passando da duemila metri cubi all’ora prima del 1967, a soli 30 metri cubi oggi, secondo il sindaco Azem Hajj Mohammed.

    Le restrizioni sull’erogazione dell’acqua in Cisgiordania hanno anche un’altra conseguenza, cruciale sul lungo periodo, in questo territorio conteso. Una legge risalente all’epoca ottomana e incorporata dal sistema legislativo israeliano permette infatti allo Stato ebraico di dichiarare “terra di Stato” tutti i campi palestinesi lasciati incolti per almeno tre anni. La carenza d’acqua, i costi, e la disperazione spingono così i contadini palestinesi ad abbandonare il loro terreni che, senza la possibilità di essere irrigati, non producono reddito e pesano sulle finanze familiari. “Non vedo possibilità di miglioramento nell’attuale status quo, con gli Accordi di Oslo che conferiscono il controllo dell’acqua ad Israele. Il numero di coloni aumenta costantemente mentre l’acqua diminuisce. Senza un cambiamento, la situazione non può che peggiorare”, analizza Issam Khatib, professore di Studi idrici e ambientali dell’Università di Birzeit.

    Adir Abu Anish ha 63 anni e coltiva ormai soltanto un sesto dei 50 dunum che possiede. Oltre alle serre di pomodoro, si è concesso di piantare delle viti che afferma essere destinate a seccarsi in un paio d’anni. Il torrente da cui si approvvigionava è contaminato dalle acque reflue provenienti dalla vicina città di Nablus, un caso di inquinamento che il sindaco ha portato in tribunale. All’ombra del suo vigneto, Abu Anish sospira: “Di solito i genitori lasciano in eredità ai loro figli possedimenti e ricchezze. Noi lasciamo campi secchi”.

    https://altreconomia.it/la-siccita-e-le-politiche-israeliane-assetano-i-contadini-palestinesi

    #sécheresse #crise_hydrique #Palestine #Israël #Cisjordanie #agriculture #serres #citrons #tomates #agriculture_intensive #eau #Jiftlik #accès_à_l'eau #réserves_hydriques #Hamra #Mekhora #irrigation #températures #colonies_israéliennes #paysage #puits #terres_d'Etat #Accords_d'Oslo #Nablus

  • 230 adolescent·es israéliens·ne déclarent leur refus de s’enrôler dans l’armée israélienne pour protester contre la dictature en Israël et dans les territoires occupés

    Au moment où nous écrivons ces lignes, plus de 200 adolescent·es israélien·nes lancent une lettre de refus publique, annonçant qu’elles et ils ne s’engageront pas dans l’armée israélienne en signe de protestation contre la réforme juridique du gouvernement israélien qui tente de faire d’Israël une dictature, et en signe de protestation contre la dictature israélienne en cours dans les territoires palestiniens occupés. Lisez leur lettre ci-dessous et partagez-la avec le plus grand nombre de personnes que vous connaissez. Nous devons les soutenir.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2023/09/09/230-adolescent·es-israeliens·ne-declarent-leur

    #international #israel

  • Israel imposing apartheid on Palestinians, says former Mossad chief | Palestinian territories
    Chris McGreal | Wed 6 Sep 2023 | The Guardian
    https://www.theguardian.com/world/2023/sep/06/israel-imposing-apartheid-on-palestinians-says-former-mossad-chief

    A former head of the Mossad intelligence agency has said Israel is imposing a form of apartheid on the Palestinians, joining a growing number of prominent Israelis to compare the occupation of the West Bank to South Africa’s defunct system of racial oppression.

    But Tamir Pardo’s views will have added impact because of the high regard for Mossad in Israel and because they come at a time when far-right members of Israel’s government are moving to kill off any prospect of an independent Palestinian state.

    Pardo told the Associated Press that Israel’s mechanisms for controlling the Palestinians, from restrictions on movement to placing them under military law while Jewish settlers in the occupied territories are governed by civilian courts, matched the old South Africa.

    “There is an apartheid state here,” he said. “In a territory where two people are judged under two legal systems, that is an apartheid state.”

    Pardo, 70, was appointed to head Mossad in 2011 by Benjamin Netanyahu, Israel’s prime minister then and now. Netanyahu’s Likud party said Pardo “should be ashamed” of his comments.

    “Instead of defending Israel and the Israeli military, Pardo slanders Israel,” it said.

    Successive Israeli governments have fought back against accusations of apartheid by characterising them as antisemitic out of concern the charge will fuel a boycott movement or open the way to prosecutions under international laws against apartheid.

    But such allegations become harder to dismiss when they come from those within the Israeli establishment.

    Pardo told the AP his views on the system in the West Bank were “not extreme. It’s a fact.”

    He also warned that what has been described as Israel’s “forever occupation” threatens its existence as a Jewish state. “Israel needs to decide what it wants,” he said. “A country that has no border has no boundaries.” (...)

    #IsraelApartheid

    • Israël : un ancien chef du Mossad affirme que son pays impose un système d’apartheid en Cisjordanie
      Par MEE | Jeudi 7 septembre 2023
      https://www.middleeasteye.net/fr/actu-et-enquetes/israel-ancien-chef-mossad-apartheid-cisjordanie-palestiniens

      Tamir Pardo, ancien directeur des renseignements israéliens, a déclaré que les lourdes restrictions imposées par Israël aux Palestiniens s’apparentaient à une forme d’apartheid, devenant l’une des nombreuses personnalités à s’exprimer à ce sujet.

      Un ancien chef du Mossad, l’agence de renseignement israélienne, a déclaré qu’Israël imposait un système d’apartheid contre les Palestiniens en Cisjordanie occupée.

      Tamir Pardo, qui a dirigé le Mossad de 2011 à 2016, a accordé mercredi une interview à Associated Press dans laquelle il a affirmé que le traitement des Palestiniens était similaire à la séparation raciale mise en place en Afrique du Sud dans le cadre d’un système qui a pris fin au début des années 1990.

      « Il y a un État d’apartheid ici », a déclaré Pardo lors de l’interview. « Dans un territoire où deux personnes sont jugées selon deux systèmes juridiques, c’est un État d’apartheid. »

      Pardo a développé en disant que les citoyens israéliens étaient libres de monter dans une voiture et conduire où bon leur semblait, à l’exception de la bande de Gaza sous blocus, alors que les Palestiniens n’avaient pas le droit d’entrer dans certaines zones et étaient obligés de passer par des check-points opérés par des soldats lourdement armés.

      Réaffirmant ses propos, il a conclu que ses déclarations n’étaient « pas extrêmes » mais « factuelles ».

    • Révolte en Israël : la société civile condamne aussi l’occupation
      René Backmann | 12 septembre 2023
      https://www.mediapart.fr/journal/international/120923/revolte-en-israel-la-societe-civile-condamne-aussi-l-occupation

      Alors que la Cour suprême s’apprête à statuer sur les pétitions hostiles à la réforme autoritaire voulue par le gouvernement, la situation de Nétanyahou est de plus en plus intenable. Des officiers et directeurs de services de sécurité dénoncent « les racistes fascistes aujourd’hui au pouvoir ».

      (...) « Chaque jour rapproche un peu plus Israël de la fin du rêve sioniste . »

      Tamir Pardo, directeur du Mossad entre 2011 et 2016

      On sait aujourd’hui qu’en 2011 il avait contesté, avec le soutien du chef d’état-major de l’époque, Benny Gantz, la décision prise par Nétanyahou de lancer une frappe contre l’Iran, frappe qu’il jugeait illégale car elle n’avait obtenu l’aval ni du gouvernement ni du cabinet de sécurité. Le premier ministre avait dans un premier temps menacé de démissionner, avant de renoncer à son projet.

      Après l’arrivée de Trump à la Maison Blanche, Pardo, inquiet, avait mobilisé plusieurs de ses prédécesseurs pour tenter de convaincre Nétanyahou qu’il faisait une erreur en conseillant au président américain de retirer son pays de l’accord sur le nucléaire iranien.

      La semaine dernière, enfin, il a publié avec l’aval des « commandants pour la sécurité d’Israël » (CIS), organisme qui rassemble plus de 540 officiers supérieurs et directeurs des services de sécurité, une tribune dans laquelle il affirme que « chaque jour rapproche un peu plus Israël de la fin du rêve sioniste ». « Les messianiques et les fascistes, estime-t-il, ont lié un bloc ultra-orthodoxe, ultranationaliste et antisioniste à Nétanyahou et ont transformé son parti de droite, démocratique, en une formation raciste, ultra-orthodoxe autoritaire. »

      « Les racistes fascistes aujourd’hui au pouvoir aspirent impatiemment au déclenchement d’un conflit apocalyptique au terme duquel les juifs auront vaincu tous les autres, les auront chassés, tués s’ils résistent ou les auront contraints de vivre en permanence avec un statut inférieur », a-t-il ajouté.
      Pétition

      Comme s’il redoutait de n’avoir pas été entendu, l’espion à la retraite a enfoncé le clou, un mois plus tard, dans une interview à Associated Press. « Il y a un État d’apartheid ici », a-t-il insisté. « La question des Palestiniens, a ajouté Pardo, est l’une des plus pressantes aujourd’hui pour Israël. Plus pressante que le programme nucléaire iranien. Quand je dirigeais le Mossad, j’ai répété à Nétanyahou qu’il devait décider où étaient les limites d’Israël. Car un pays qui n’a pas de limites n’a pas de frontières. Et si l’État des juifs n’a pas de frontières, il risque la destruction. »

      Cruelle, vertigineuse et crédible, car fondée sur des réalités indiscutables, la perspective dessinée par Tamir Pardo est d’autant plus accablante pour Nétanyahou et sa coalition qu’il est difficile d’accuser son auteur d’islamogauchisme ou d’antisémitisme. Et qu’elle recoupe l’analyse avancée par les quelque 2 300 signataires – universitaires, intellectuels, artistes, rabbins, Israéliens ou amis d’Israël – dans la pétition qu’ils viennent d’adresser aux membres et aux responsables des organisations de la communauté juive des États-Unis.

      Sous le titre « L’éléphant dans la pièce », les auteurs du texte constatent qu’« il existe un lien direct, en Israël, entre les attaques récentes contre la justice et l’occupation illégale de millions de Palestiniens […] qui sont privés de presque tous les droits fondamentaux, y compris ceux de voter et de protester. Et qui affrontent une violence constante : cette seule année, les forces israéliennes ont tué plus de 190 Palestiniens de Cisjordanie et de Gaza et démoli plus de 590 constructions. Les colons brûlent, pillent et tuent, en totale impunité ». « Sans droits égaux pour tous, que ce soit dans un État, dans deux, ou dans n’importe quel autre cadre politique, il y a un danger de dictature », écrivent encore les signataires.
      (...)

      D’autres, comme l’ex-général Amiram Levin, ancien chef du commandement nord de l’armée israélienne, relaient les accusations des opposants les plus radicaux à l’occupation en estimant qu’« il n’y a jamais eu de démocratie en Cisjordanie depuis cinquante-sept ans. Il y a un apartheid total. Forcée d’y exercer sa souveraineté, l’armée y pourrit de l’intérieur en restant les bras croisés et en regardant agir sans rien faire les colons émeutiers. Elle commence à être partenaire des crimes de guerre ».

      Vétéran de la guerre de Kippour il y a un demi-siècle, au cours de laquelle, à 22 ans, aux commandes de son F-4 Phantom de l’escadron 201, il a abattu deux appareils ennemis et perdu sept de ses camarades, tandis que quatorze étaient faits prisonniers, Gil Regev estime aujourd’hui qu’en Israël, « sans armée de l’air, il n’y a pas d’armée. Tout dépend des réservistes. Qui sont des civils. On ne peut pas imposer aux gens, explique-t-il, des missions de combat ».

      « Une mission de combat est fondée sur le volontariat, sur un contrat non écrit, poursuit-il. Qui suppose que les volontaires n’aient pas à obéir à un État messianique, corrompu. À des repris de justice ou à des personnes inculpées comme il y en a dans ce gouvernement. Si le projet du gouvernement va à son terme, le pays deviendra une dictature. Je propose donc que le chef d’état-major de l’armée, le directeur du Mossad, celui du Shin Bet aillent voir le premier ministre ensemble pour lui expliquer que son projet risque de provoquer la désintégration de l’armée. Et qu’ils lui disent : ça suffit. Cela réclame plus de courage que d’être sur le champ de bataille. Beaucoup plus. Mais ils entreront dans l’histoire . »

      René Backmann

  • Explained: Why Israel’s Far-right Government Is Trying to Oust the Head of Yad Vashem - Israel News - Haaretz.com
    https://www.haaretz.com/israel-news/2023-09-04/ty-article/.premium/explained-why-israels-far-right-government-is-trying-to-oust-the-head-of-yad-vashem/0000018a-6044-d895-ab8b-6e6619400000


    Yad Vashem Chairman Dani Dayan at the Holocaust memorial center last year.
    Credit: Emil Salman

    There are three reported reasons why the Netanyahu government is looking to fire Dani Dayan as head of the Israel’s Holocaust memorial center – ranging from a diplomatic push with far-right European parties to plain old revenge

    The Biden administration, the European Union and the U.S. Holocaust Memorial Museum all issued statements in recent days in support of Dani Dayan, who heads Yad Vashem – Israel’s national institution for commemoration of the Holocaust. To many supporters of Israel in the United States and elsewhere, these statements came as a surprise: They were not aware of any crisis at the respected, Jerusalem-based institution.

    So what is happening at Yad Vashem, and how is it related to the policies of Israel’s far-right, ultranationalist government? Haaretz explains.

    Dayan has been leading Yad Vashem since August 2021, after being appointed by the previous Israeli government headed by Naftali Bennett and Yair Lapid. He succeeded the previous Yad Vashem chairman, Avner Shalev, who had retired after 18 years on the job. Dayan had served in the past as Israel’s consul general in New York – a role to which he was appointed in 2016 by Prime Minister Benjamin Netanyahu. Prior to that, he led the Yesha Council of settlements in the occupied West Bank.

    Dayan was for years a Netanyahu supporter, but changed his view of the prime minister after completing his diplomatic service in the United States. In the March 2021 Israeli election, he was part of the New Hope party led by Gideon Sa’ar, who had left Likud in protest over Netanyahu’s adoption of a populist, Trumpist style of politics.

    Ever since Netanyahu’s return to power in December 2022, his government has reportedly set its sights on replacing Dayan, even though there is no apparent justification for doing so. Dayan is highly appreciated among the professional ranks of Yad Vashem, enjoys consensus support in the Jewish Diaspora (where he won many allies during his years in New York) and has not been involved in any scandal during his time leading the institution. His two immediate predecessors both held the position for almost two decades.

    At first, Dayan’s removal was seen as a relatively low priority for the government, which was focused exclusively on passing its controversial legislation against the judicial system. In recent weeks, however, there has been a renewed push to oust him and replace him with a Likud loyalist (though the national and international backlash may have caused the government to now rethink).

    The main reason for this is seemingly a desire to punish a critic of the government. But there are other forces at play, which is perhaps why the Biden administration chose to get involved.

    The current Netanyahu government is leading a diplomatic effort to “whitewash” far-right European parties with problematic histories of antisemitism and Holocaust denial. A recent example has been the decision by Foreign Minister Eli Cohen to end Israel’s boycott of the far-right Alliance for the Union of Romanians (AUR) party. There is a similar push regarding far-right parties in Sweden, Finland and, down the line, also the Alternative for Germany (AfD) party.

    Dayan has faithfully represented the position of Yad Vashem historians against legitimizing far-right European parties unless they unequivocally rid themselves of Holocaust denial. This has made him a thorn in the side of the Netanyahu government’s diplomatic agenda.

    Yad Vashem has strongly opposed these efforts, warning that statements put out by these parties in which they express opposition to antisemitism, without fully accepting the historical facts of the Holocaust, should be treated with skepticism by Israel. In the Romanian case, Yad Vashem’s opposition to AUR was so persistent that Likud’s Cohen ordered the institution’s experts no longer be invited to meetings on the subject.

    Behind this policy of recognizing far-right parties is a transparent diplomatic “deal”: Israel provides these parties with public legitimacy and a mark of approval that they are no longer antisemitic or Holocaust-denying. In return, these parties support Israeli settlements in the West Bank.

    In the Romanian case, the Israeli ambassador came to his meeting with AUR leadership accompanied by Yossi Dagan, a settler leader who has spent years forging relations with Europe’s far right.

    Dayan, as noted, is also a settler and opposes the two-state solution. But as chairman of Yad Vashem, he has given full backing to the historians and experts working for the institution, and has faithfully represented their position against legitimizing far-right European parties unless they unequivocally rid themselves of all forms of Holocaust denial. This has made him a thorn in the side of the Netanyahu government’s diplomatic agenda.

    A chilling message
    Last week, Israel’s Channel 12 reported another, pettier reason behind the efforts to replace Dayan. According to the report, Netanyahu and his wife Sara were offended by the fact that Keren Peles – a popular Israeli singer who has taken part in protests against the judicial overhaul – was invited to sing at a public Yad Vashem event that they both attended. As a result, they began to pressure Education Minister Yoav Kisch to oust Dayan.

    None of the alleged reasons for seeking to replace Dayan are reassuring: the purely political motivation to install a loyalist at a nonpartisan, national consensus institution like Yad Vashem; the blatant attempt to remove a “troublemaker” who opposes ties with Holocaust deniers; or the alleged “insult” caused by Yad Vashem’s invitation of a popular singer who also happens to be a critic of the government.

    One thing is clear: replacing Dayan under these circumstances would send a chilling message that Yad Vashem is not an independent institution, loyal to no one but the victims and survivors of the Holocaust. It would taint the institution as political and loyal to the desires and needs of a temporary government. And it would weaken Yad Vashem and provide ammunition for Holocaust deniers worldwide.

  • Émeutes de Tel Aviv : Les commerçants déplorent les dégâts causés à leurs magasins
    Par Canaan LIDOR – 3 septembre 2023, 20:02 - The Times of Israël
    https://fr.timesofisrael.com/emeutes-de-tel-aviv-les-commercants-deplorent-les-degats-causes-a-

    (...) « Toute cette affaire est marginale, ce n’est même pas quelque chose dont nous, Erythréens, nous soucions au quotidien », a déclaré Johnny Ranemaskal, un employé de restaurant de 32 ans qui est arrivé illégalement en Israël en 2011. « C’est un noyau dur de personnes pro-gouvernement et anti-gouvernement qui se sont battues. »

    Comme de nombreux Érythréens interrogés dans le cadre de cet article, Ranemaskal a refusé de dire quelle était sa position sur le conflit ou de se faire prendre en photo. Mais il a donné quelques indications. « L’Érythrée est une dictature militaire. C’est horrible là-bas. Maintenant, l’ambassade veut organiser un événement pour dire que tout va bien en Érythrée », a-t-il déclaré.

    Des témoins des émeutes ont déclaré que des centaines de personnes portant des chemises bleues se sont opposées aux participants et aux organisateurs – dont beaucoup portaient des tee-shirts rouges et jaunes – d’un événement culturel organisé par l’ambassade d’Érythrée en Israël et qui, selon le groupe vêtu de bleu, soutenait le régime du président Isaias Afwerki.

    Ranemaskal a ajouté qu’il ne considérait pas cet affrontement comme un conflit idéologique sur ce qui se passe en Érythrée, mais plutôt comme un différend entre les Érythréens vivant en Israël sur des faits qui pourraient compromettre leur statut semi-officiel de réfugié dans ce pays. S’ils disent que tout va bien en Érythrée, tout le monde en Israël demandera : « Pourquoi les Érythréens ne retournent-ils pas en Érythrée ? »

    « Nous ne voulons pas y retourner et nous ne voulons pas que les Israéliens pensent qu’il est normal de nous y renvoyer », a-t-il déclaré.

    Des dizaines de personnes ont été hospitalisées, certaines dans un état critique, à la suite des affrontements. Une cinquantaine de policiers ont été blessés et certains d’entre eux, craignant pour leur vie, ont ouvert le feu sur les manifestants. (...)

    #IsraelÉrythrée

  • ‘Sorry Mohammad’: What’s behind Ben Gvir’s apartheid honesty?
    https://www.972mag.com/ben-gvir-sorry-mohammad-apartheid

    Ben Gvir is no outlier […]. He is the natural conclusion of the many decades throughout which the Zionist project has subjugated and dispossessed, ghettoized and divided — and after which Palestinians have still refused to bow their heads or leave.

    #sionisme

  • Les normes théocratiques ne méritent pas notre respect

    Le 13 août, un chauffeur de bus circulant entre le sud et le nord d’Israël a demandé à un groupe d’adolescentes de s’asseoir à l’arrière et de se couvrir parce que, a-t-il dit, il y avait des passagers haredi à bord et que les filles étaient habillées de manière « immodeste ». Bien que les adolescentes aient fini par obtempérer, elles se sont disputées avec le chauffeur, qui a rejeté leurs craintes de se sentir « humiliées ».

    Cette histoire a suscité l’indignation en Israël au cours de la semaine écoulée, le tumulte tournant essentiellement autour de l’inquiétude du public laïc, et des femmes en général, face à la religiosité croissante des espaces publics.

    Cette inquiétude est fondée et peut même être considérée comme trop faible, trop tardive. Des normes religieuses strictes sont depuis longtemps imposées au grand public en Israël et sont déjà mises en œuvre dans une sorte de mouvement de tenailles – les autorités imposant ces normes d’en haut et les citoyens « proactifs », tels que le chauffeur de bus, les poussant d’en bas.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2023/08/20/les-normes-theocratiques-ne-meritent-pas-notre

    #international #israel

  • Les activistes anti-occupation ont besoin de votre aide

    Le député Simha Rotman est un politicien israélien fasciste et l’un des chefs du « coup d’État judiciaire » du gouvernement israélien actuel. Il est également un colon. La semaine dernière, le mouvement pro-démocratie a organisé une manifestation devant son domicile, au fin fond du sud de la Cisjordanie. Deux des partenaires israéliens de RSN, Mesarvot et Mothers Against Violence, étaient en tête de la manifestation. Suivaient des membres de groupes de protestation centristes, dont beaucoup, quelques semaines auparavant, avaient tout fait pour ostraciser le mouvement anti-occupation.

    Hier soir, les Mères ont pris la tête du cortège lors de la manifestation centrale en faveur de la démocratie à Tel Aviv. Elles ont brandi une banderole avec le texte « Faites sortir les soldats des territoires occupés », et derrière elles, des milliers de personnes ont défilé. Avec votre aide, nos partenaires ont placé la question palestinienne au cœur de l’agenda du mouvement pro-démocratique. Un message clair : « Il n’y a pas de démocratie sous occupation ! »

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2023/08/16/les-activistes-anti-occupation-ont-besoin-de-v

    #international #israel

  • West Bank ’apartheid’ is ’just like Nazi Germany’ - former IDF commander - Israel News - The Jerusalem Post
    https://www.jpost.com/breaking-news/article-754560


    Amiram Levin speaks at a conference organized by Zionist Camp parliament member Erel Margalit in Tel Aviv. May 22, 2016.
    photo credit: TOMER NEUBERG/FLASH90

    "For 57 years there has been no democracy" in the West Bank, Amiram Levin said. “There is absolute apartheid there.”

    Former IDF Northern Command commander Amiram Levin stated that there has been “absolute apartheid” in the West Bank for the past 57 years, during an interview with KAN Reshet Bet radio on Sunday morning.

    “[Prime Minister Benjamin Netanyahu] is sharp and he has always been sharp, but he’s startled by the case against him and the too-long years in power have done their work. There is no one who stays in power that long and doesn’t fall to the sin of hubris, who isn’t surrounded by sycophants instead of serious people who would give him a real picture of things,” said Levin.

    “A Messianic, criminal group who graduated from the hilltop youth took advantage of his weakness, people who do not even understand what democracy is. They came from the West Bank. For 57 years there has been no democracy there. There is absolute apartheid there. The IDF against its will has to enforce sovereignty there and is standing by and watching the rampant settlers and is beginning to be complicit in war crimes. This is 10 times worse than the issue of [the IDF] being ready and training hours. Walk around Hebron and you will see streets where Arabs cannot walk, just like what happened in Germany.”

    “I am not pitying the Palestinians, I am pitying us. We are killing ourselves from within. Bibi failed here. He placed criminals and draft dodgers in key positions who, in a civilized country would be sitting behind bars.”

    Levin served in the IDF from 1965-1998, starting as a paratrooper and finishing as commander of Northern Command. Levin also served as deputy head of the Mossad. 


    Amiram Levin speaks during a protest against the government’s judicial overhaul, in Tel Aviv. August 12, 2023
    credit: AVRAHAM SASSONI

    Levin in 2017: ’We’ll tear the Palestinians apart if they don’t accept a peace deal’
    In an interview with Maariv in 2017, Amiram stated that the Palestinians “deserved the occupation,” adding that any peace negotiations should not return to the ’67 lines.

    “If they don’t want to move forward with [Palestinian Authority Mahmoud Abbas]’s leadership, which is probably incapable, a young leadership will come, one that ate shit, sat in prison, and saw that it is impossible to beat us. We will give them a carrot in the shape of a country, and if they don’t want it, we’ll tear them apart. I too would like the complete Land of Israel. Many times I say that if they violate agreements, the next time we fight they will not stay here, we will throw them across the Jordan. This is how you have to fight. We were too kind in ’67.”

    Levin’s support for Breaking the Silence
    In 2015, Levin expressed support for the Breaking the Silence organization - an organization that publishes anonymous testimonies from veterans concerning abuse and vandalism in operations by Israeli security forces in the West Bank and Gaza Strip - stating that it “strengthens our morality.”

    “Under the difficult conditions imposed on the IDF, it must struggle every day to encourage and maintain a high morale level,” added Levin at the time. “Breaking the Silence protects IDF soldiers in the impossible position the politicians have placed them.”

    “The IDF must encourage Breaking the Silence and those like them to make their voice heard without fear among the IDF and Israeli society (and only within the IDF and Israeli society),” continued the former IDF official’s statement. “As a person who was once a combat soldier and a commander, and today is a father to two combat officers who served in the paratroopers and saw with their own eyes, I am breaking the silence.”

    • cet ancien chef du Mossad a des paroles imagées destinées à frapper les esprits à un moment où la seule contestation dans ce pays porte sur une politique à l’usage exclusif des israëliens mais en réalité il s’agit bien d’un apartheid non pas absolu (?) mais plus ou moins violemment aggravé, avec une colonisation initiale et extensive, des persécutions exercées tant par l’armée que par des « civils » (colons), accompagné d’incursions militaires et de bombardements à l’encontre de palestiniens hors d’Israël, mais, comme le soulignait Élias Sanbar [https://seenthis.net/messages/1012024 ], il existe une différence fondamentale qui distingue la politique nazie de l’israëlienne : les nazis menaient une politique d’extermination ; Israël pour sa part continue, sur sa lancée fondatrice, à pratiquer une politique de colonisation en vue non pas d’exterminer (quoi qu’il en soit par ailleurs du nombre de morts palestiniens, au quotidien, comme en ce moment, ou lors d’attaques particulières) mais d’expulser.
      pour le nazisme, il s’agit d’éradiquer la "race juive ; pour Israël (plus ou moins grand) le slogan « une terre sans peuple pour un peuple san terre » dit l’objectif (quitte à conserver par réalisme de la main d’oeuvre).

      Amiram Levin, 2017
      https://seenthis.net/messages/652611

      #Israël #palestiniens

  • Pétition : l’éléphant dans la pièce

    Nous, universitaires et autres personnalités publiques en Israël/Palestine et à l’étranger, attirons l’attention sur le lien direct entre la récente attaque d’Israël contre son propre système judiciaire et son Occupation illégale qui affecte des millions de palestinien.ne.s dans les Territoires palestiniens occupés. Le peuple palestinien est privé de presque tous ses droits fondamentaux, y compris le droit de voter et de manifester. Il est confronté à une violence constante : cette année seulement, les forces israéliennes ont tué plus de 190 palestinien.ne.s en Cisjordanie et à Gaza et démoli plus de 590 structures. Les colons justiciers brûlent, pillent et tuent en toute impunité.

    Sans droits égaux pour tous – que cela soit dans un État, deux États ou dans un autre cadre politique – il plane toujours un danger de dictature. Il ne peut y avoir de démocratie pour les juifs et juives en Israël tant que les peuple palestinien vit sous un régime d’Apartheid, comme l’ont qualifié les experts juridiques israéliens eux-mêmes. En effet, le but ultime de la refonte judiciaire est de renforcer les restrictions sur Gaza, de priver les palestinien.ne.s d’une égalité en droit au-delà et aussi à l’intérieur de la Ligne verte, d’annexer de plus en plus de terres et de nettoyer ethniquement en effaçant sa population palestinienne tous les territoires sous domination israélienne. Les problèmes n’ont pas commencé avec l’actuel gouvernement extrémiste : le suprémacisme juif se développe depuis des années et fut consacré par la loi sur l’État-nation de 2018.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2023/08/12/petition-lelephant-dans-la-piece

    #international #palestine #israel

  • Une famille ultra-orthodoxe malmène des soldates israéliennes dans un train Times of Israel Staff

    Une famille ultra-orthodoxe, comprenant de jeunes enfants, a insulté un groupe de soldates voyageant dans un train. Des images ont été diffusées mardi.

    Une partie a été filmée par les soldates. La Douzième chaîne a flouté l’identité des personnes impliquées.

    Le média a indiqué que les « agresseurs » appartenaient tous à une même famille, sans préciser quand cela avait eu lieu, ni où le train se rendait.

    Sur la vidéo, on entend des membres du groupe scander : « Nous mourrons et ne serons pas enrôlés. Nous irons en prison et pas à l’armée. »

    « Attendez, comment ça on peut emmener des chiens dans le train ? Comment font-ils pour monter ? », demande un jeune garçon.

    Une femme lui répond. « Une société de nettoyage a apporté la benne à ordures et a déversé toutes les poubelles ici. Qu’est-ce que vous ne comprenez pas ? »

    Un garçon dit alors au reste du groupe de « se calmer, elle [la soldate] pleure ».

    Un autre dit : « Enlevez cette odeur de poubelle d’ici ».

    Une femme passe ensuite devant les soldats, se couvrant les yeux en disant « pas besoin de voir une shiksa », terme péjoratif désignant une femme non-juive.

    Tsahal n’a pas encore commenté l’incident.

    Le ministre du Logement et de la Construction, Yitzchak Goldknopf, chef du parti ultra-orthodoxe Yahadout HaTorah, a condamné l’incident en déclarant que « ce comportement n’est pas représentatif du public observant la Torah ».

    De nombreux membres de la communauté ultra-orthodoxe refusent de faire leur service militaire obligatoire qui s’applique pourtant à la majorité des Israéliens, et la communauté a historiquement bénéficié d’exemptions générales de l’armée en faveur d’études religieuses.

    Ces dernières années, plusieurs incidents se sont produits au cours desquels des soldats ont été physiquement agressés par des membres de la communauté haredi.

    #israel #racisme #religions #religion #ultra-orthodoxe #ultra-orthodoxes #patriarcat #violence #violences_sexuelles #domination #Femmes #harcèlement #virilisme #agressions

    Source : https://fr.timesofisrael.com/une-famille-ultra-orthodoxe-malmene-des-soldates-israeliennes-dans

  • Les 7 lois israéliennes les plus racistes

    1. La loi sur l’État-nation juif
    L’une des lois fondamentales quasi-constitutionnelles d’Israël. Elle dispose que le droit à l’autodétermination en Israël et dans les territoires palestiniens occupés « est propre au peuple juif » et encourage la ségrégation raciale et la discrimination à l’encontre des Palestiniens en matière de logement en demandant à l’État de promouvoir le « développement de l’implantation juive en tant que valeur nationale ».

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2023/08/07/les-7-lois-israeliennes-les-plus-racistes

    #international #israel

  • 1 070 nouveaux rabbins qui coûteraient des millions de shekels aux contribuables Canaan LIDOR - Time of #israel

    Un nouveau projet de loi présenté rapidement par la coalition pourrait coûter aux contribuables 120 millions de shekels par an, voire le double, en salaires pour des centaines de nouveaux rabbins orthodoxes municipaux au service du Grand-Rabbinat.

    Ce chiffre, publié mercredi dans une analyse du journal financier Calacalist, est une estimation prudente du coût du projet de loi sur les services religieux juifs, présenté en juin par le député Simcha Rothman (HaTzionout HaDatit) et le député Erez Malul (Shas).

    S’il est adopté, ce projet de loi controversé permettra au gouvernement de nommer 1 070 nouveaux rabbins orthodoxes municipaux, probablement au détriment du budget des municipalités. Ces nouveaux rabbins viendraient s’ajouter aux 491 rabbins municipaux actuellement employés à travers le pays.


    Erez Malul, un député du Shas, assistant à la cérémonie d’investiture du rabbin Yehuda Cohen dans une synagogue de Jérusalem, le 13 juillet 2023. (Crédit : Chaïm Goldberg/Flash90)

    Le projet de loi, dont le libellé exclut littéralement l’embauche de rabbins non-orthodoxes, limiterait également le pouvoir discrétionnaire des rabbins municipaux, les rendant plus subordonnés au Grand-Rabbinat ultra-orthodoxe qu’ils ne le sont aujourd’hui.

    Le projet de loi, qui se heurte à l’opposition des libéraux et même de certains partisans de la ligne radicale, donnerait plus de pouvoir au rabbinat conservateur à un moment où la nation est divisée et secouée par des manifestations de grande ampleur contre la refonte judiciaire de la coalition d’extrême-droite et religieuse qui la soutient.

    Selon le projet de loi, le ministère des Affaires religieuses serait en mesure de nommer pas moins de 1 070 nouveaux rabbins, d’après une analyse récente de l’Institut israélien de la démocratie (IDI). Mais le ministère se prépare actuellement à n’embaucher que 514 nouveaux rabbins au cours des deux ans et demi à venir, a révélé Calcalist. Cet ajout coûterait au moins 120 millions de shekels par an, a déterminé le journal, en se basant sur l’évaluation du salaire moyen et du champ d’activité des rabbins municipaux. Recruter l’ensemble de la liste pourrait doubler ce chiffre.


    Le président de la commission de la Constitution, du Droit et de la Justice de la Knesset, le député Simcha Rothman, dirigeant une réunion de commission sur un projet de loi visant à limiter sévèrement l’utilisation par les tribunaux de la norme du « caractère raisonnable », le 16 juillet 2023. (Crédit : Yonatan Sindel/Flash90)

    Le financement public est controversé parce qu’il pourrait obliger les municipalités qui n’ont pas de rabbin – il y en a plus de 30 dans le pays – à en nommer et à en embaucher au moins un, malgré l’opposition idéologique généralisée de nombreux résidents à l’implication du Rabbinat dans le gouvernement.

    Tel Aviv et Haïfa seraient obligés d’engager deux rabbins municipaux : un séfarade et un ashkénaze. Actuellement, aucun rabbin municipal n’est employé par l’une ou l’autre de ces villes, qui comptent de nombreux résidents musulmans et chrétiens ainsi qu’une masse électorale de Juifs plutôt très laïcs. Deux rabbins municipaux seraient également nommés à Beer Sheva, qui ne compte actuellement qu’un seul rabbin. Jérusalem compte déjà des rabbins séfarades et ashkénazes.

    Le ministère des Affaires religieuses, actuellement dirigé par Michael Malkieli (Shas), pourrait également nommer des rabbins salariés dans des quartiers spécifiques, même s’il n’y a pas de demande locale.

    Tous les rabbins municipaux « sont soumis aux directives du Grand Conseil Rabbinique d’Israël, qui est l’autorité religieuse, halakhique et spirituelle ultime sur toutes les questions relatives à la fonction », stipule le projet de loi.


    Le député Shas Michael Malkieli arrivant pour participer aux négociations de la coalition, dans un hôtel de Jérusalem, le 17 novembre 2022. (Crédit : Yonatan Sindel/Flash90)

    Cette formulation est nettement plus restrictive que la loi actuelle sur les rabbins municipaux, qui stipule simplement qu’ils « agiront conformément aux décisions du rabbinat local et du Grand-Rabbinat ».

    Lors d’une discussion en commission mardi, Rothman a défendu cette disposition comme une garantie d’uniformité « et pour éviter le genre de conflits qui ont parfois déchiré l’establishment rabbinique en lambeaux », a-t-il déclaré. Rothman a cité en exemple le Get de Clèves, une controverse rabbinique du XVIIIe siècle en Allemagne qui, selon certains historiens, a ouvert la voie au mouvement Haskalah et à l’assimilation.

    L’exclusion des rabbins non-orthodoxes se retrouve dans les clauses du projet de loi stipulant que tous les candidats au poste de rabbin municipal doivent être approuvés par le Grand-Rabbinat – qui ne reconnaît que le judaïsme orthodoxe – et accepter son autorité.

    La procédure de nomination présente une autre controverse majeure, puisqu’elle vise à donner au ministère un plus grand droit de regard sur l’élection des rabbins municipaux, au détriment des électeurs locaux.


    Des manifestants rassemblés pour les droits des femmes au rabbinat de Tel Aviv, le 18 juillet 2023 (Crédit : Yaël Gadot)

    Les rabbins municipaux doivent être élus par un conseil électoral ad hoc dont la moitié des délégués sont nommés par le ministre des Affaires religieuses, selon le projet de loi. La moitié des délégués nommés par le ministre doivent être des femmes. Les 16 membres du Conseil du Grand-Rabbinat font également partie du comité électoral, de même que les conseillers de la municipalité concernée et le chef de son conseil religieux, qui est le bureau local du Grand-Rabbinat.

    Rothman, un éminent député du parti HaTzionout HaDatit qui a co-rédigé le projet de loi et qui est l’un des principaux architectes de la refonte judiciaire du gouvernement, a déclaré qu’il modifierait le projet de loi afin d’augmenter la représentation des collectivités locales au sein de l’organe d’élection des rabbins municipaux. Rothman fait avancer le projet de loi en sa qualité de président de la commission de la Constitution, du Droit et de la Justice de la Knesset.

    Le rabbin, député Gilad Kariv (Avoda) et directeur du Mouvement israélien pour le judaïsme réformé et progressiste, a protesté contre cette loi lors des débats, la qualifiant de « saisie d’emplois » et de « corruption gouvernementale légalisée ». Si la loi est adoptée, Kariv a affirmé qu’elle ne survivrait pas à l’examen juridique de la Cour suprême, qu’il s’est engagé à saisir parce que la loi est discriminatoire à l’égard des non-orthodoxes.

    Mais le projet de loi s’attire également les foudres des milieux conservateurs, et même d’autres députés de la coalition, dont Tally Gotliv (Likud), qui est une autre ardente promotrice de la refonte judiciaire.


    Le député Gilad Kariv pendant une réunion de la commission parlementaire de la Constitution, du Droit et de la Justice, sur le projet de loi sur la « raisonnabilité », le 17 juillet 2023. (Crédit : Danny Shem Tov/porte-parole de la Knesset)

    Mardi, lors de la dernière discussion en commission sur le projet de loi, Gotliv et Rothman ont échangé des mots durs à ce sujet. Gotliv a accusé Rothman d’avoir fait passer le projet de loi sans véritable débat. Rothman a suggéré que Gotliv ne pouvait pas être prise au sérieux.

    La prise de bec a mis en évidence la portée du projet de loi peu discuté et a mis à nu certaines animosités et frustrations qui divisent les principaux acteurs de la coalition dans un contexte d’opposition féroce à leurs politiques.

    « Ce n’est pas comme si quelqu’un allait m’écouter, tout ici a été prédéterminé », a déclaré Gotliv, députée du parti du Premier ministre Benjamin Netanyahu.

    Il s’agissait probablement d’une référence au style largement autoritaire de Rothman en tant que président, mais peut-être aussi à l’hypothèse largement répandue selon laquelle le projet de loi est le résultat d’un pacte passé entre le Shas et HaTzionout HaDatit – des partis dont les points de vue sont contradictoires sur d’essentielles questions politiques et idéologiques.


    La députée Tally Gotliv escortée hors d’une audience de la commission de la Constitution, du Droit et de la Justice, le 25 juin 2023. (Crédit : Yonatan Sindel/Flash90)

    Le mois dernier, certains des plus éminents rabbins du parti HaTzionout HaDatit, dont Dov Lior, Haïm Steiner et Yaakov Ariel, ont demandé au parti d’arrêter le projet de loi, a rapporté le site web religieux Israel National News. Les rabbins n’ont pas analysé la politique qui sous-tend le projet de loi et se sont contentés de remettre en question le soutien public dont il bénéficie, ajoutant qu’eux-mêmes et d’autres rabbins n’avaient pas été consultés.


    Le ministre des Finances Bezalel Smotrich, chef du parti HaTzionout HaDatit, à gauche, et le chef du Shas Aryeh Deri assistant à une conférence de presse de la Knesset avant le vote du budget de l’État 2023-2024, le 23 mai 2023. (Crédit : Yonatan Sindel/Flash90)

    Une théorie populaire sur le pacte politique qui sous-tend le projet de loi est qu’il profite grandement au Shas, qui a une influence considérable sur le Grand-Rabbinat et dispose d’un réseau d’apparatchiks très dévoués et robustes. Un pacte entre le Shas, dont le député le plus ancien est Aryeh Deri, et HaTzionout HaDatit, dirigé par le ministre des Finances Bezalel Smotrich, permettrait au Shas d’installer des centaines de fidèles du parti à des postes relativement bien rémunérés : les salaires mensuels des rabbins municipaux se situent entre 9 000 et 43 000 shekels.

    Selon le rabbin Ido Pachter, coordinateur de la religion et de l’État à Ne’emanei Torah VeAvodah, un mouvement sioniste religieux relativement docile, l’intérêt du parti HaTzionout HaDatit à s’engager dans cette voie est moins évident.

    « Il s’agit d’un accord politique dont les détails sont inconnus », a déclaré Pachter au Time of Israel. « Peut-être qu’en échange de sa coopération, le Shas permettra à HaTzionout HaDatit de nommer son propre grand rabbin. Peut-être y aurait-il d’autres nominations. »


    Le rabbin Ido Pachter. (Crédit : Liron Moldovan)

    Mais cela signifierait que les dirigeants du parti HaTzionout HaDatit « vendent le droit d’aînesse de leurs électeurs pour un plat de lentilles », a déclaré Pachter, faisant référence à l’histoire biblique d’Ésaü et de Jacob. « Pour quelques petites réalisations, ils cèdent effectivement l’establishment rabbinique au Shas et aux haredim, tout en s’aliénant le camp laïc dans le processus. »

    Le projet de loi devrait être discuté à la Knesset à deux reprises la semaine prochaine, avant une première lecture en séance plénière, qui devrait avoir lieu au cours de la prochaine session d’hiver.

    #israel #Laïcité (à la poubelle) #religions #religion #haredims #ultra-orthodoxe #ultra-orthodoxes #patriarcat #rabbinats #apparatchiks #rabbins #rabbins_municipaux

    Source : https://fr.timesofisrael.com/1-070-nouveaux-rabbins-qui-couteraient-des-millions-de-shekels-aux

  • Les Palestiniens et la question palestinienne | La série documentaire
    https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/serie-les-palestiniens-et-la-question-palestinienne

    La Palestine illustre les difficultés de l’écriture de l’#histoire dans cette région du monde où on est ramené à une « vision par le petit bout de la lorgnette », une histoire qui ne peut se détacher des enjeux du conflit politique et territorial actuel comme si la #Palestine et les #Palestiniens se résumaient à ce #conflit_israélo-palestinien.
    Comment alors raconter la Palestine et les Palestiniens ? Revenir aux fondamentaux et tirer le fil des étapes de la construction d’une identité et de la prise de conscience d’appartenir à un peuple, à une nation ? Si le terme « Palestine » à un sens géographique, du Jourdain à la Méditerranée indépendamment des identités nationales des peuples qui y vivent, il a également un sens politique défini par un groupe national essentiellement arabophone et majoritairement musulman. Confondre les deux n’aurait aucun sens. C’est ce que nous allons raconter dans cette série documentaire.
    Une série documentaire d’Alain Lewkowicz , réalisée par Somany Na.

    Une histoire de la Palestine avec de multiples intervenants qui permet de prendre du recul et d’approfondir, de mieux saisir, pour ma part, la singularité d’un #nationalisme palestinien qui ne se résume pas à la confrontation avec le colonialisme anglais, français, puis sioniste et israélien.

    edit Sanbar distingue politique d’extermination (nazie) et politique de #colonisation et d’éviction (#Israël)

    #radio #podcast #histoire #récit #analyse

  • Comment la Knesset israélienne adopte en catimini des lois qui renforcent l’annexion de la Cisjordanie – Site de la chaîne AlManar-Liban
    https://french.almanar.com.lb/2662321

    D’autres lois visent à affaiblir financièrement l’Autorité palestinienne : lors du dernier jour précédant la saison estivale, une loi a été votée en première lecture permettant aux familles des Israéliens tués dans des opérations de résistance de déposer des demandes d’indemnisation contre l’Autorité palestinienne.

    La loi votée en première lecture sur « l’indemnisation punitive des victimes de crimes », dont les opérations palestiniennes, permet également de priver les prisonniers palestiniens des avantages financiers et autres qu’ils obtiennent de l’Autorité palestinienne, et de verser une indemnisation de pas moins de 10 millions de shekels aux personnes touchées par les opérations.

    Selon le journal, pendant la prochaine saison hivernale, devrait être soumise au vote une loi qui donne aux familles des morts et blessés israéliens dans les opérations le droit d’obtenir des indemnisations en provenance de l’assurance nationale israélienne et de l’Autorité palestinienne en même temps.

    Sont également promus un projet de loi qui accorde des pouvoirs accrus aux institutions de l’occupation en Cisjordanie occupée, dans le cadre d’une large annexion, ainsi qu’une loi permettant de percevoir des amendes auprès des Palestiniens devant les tribunaux militaires. Et une troisième loi en cours d’élaboration qui incite à imposer la souveraineté israélienne sur les sites archéologiques et du patrimoine historique en Cisjordanie.

    D’autres projets de loi promeuvent des restrictions sur les écoles palestiniennes et surtout le programme scolaire palestinien dans la ville sainte d’al-Qods (Jérusalem)

    Source, Al-Manar, interdite de diffusion par les autorités françaises...

  • Dévoiler les fictions juridiques d’Israël

    Noura Erakat discute l’invasion de Jénine et les efforts d’Israël pour modifier unilatéralement les lois de la guerre

    Le 3 juillet, des drones israéliens ont lancé des frappes aériennes sur le camp de réfugiés de Jénine en Cisjordanie occupée, et plus de 1 000 soldats ont envahi la zone. L’assaut de deux jours était la plus grande opération militaire en Cisjordanie depuis 2002. Lorsque les forces israéliennes se sont retirées du camp, les soldats avaient tué 12 palestiniens, en avaient blessé plus de 100 et forcé des milliers de personnes à fuir leurs maisons. Ils avaient également attaqué les infrastructures du camp, rasé des routes, dévasté les réseaux d’électricité, d’eau et d’égouts, et endommagé des voitures, des maisons et des hôpitaux.
    Les responsables israéliens ont déclaré que l’opération était nécessaire pour réprimer les groupes armés palestiniens dont certains membres vivaient dans le camp et qu’ils accusent d’avoir lancé plus de 50 tirs sur des cibles israéliennes au cours des six derniers mois. L’armée israélienne a également affirmé avoir saisi plus de 1 000 armes stockées dans le camp. Alors qu’une grande partie de la communauté internationale – y compris le gouvernement des États-Unis – a conforté la position israélienne en considérant l’invasion comme légitime, l’avocate et défenseuse des droits de l’homme Noura Erakat, auteur du livre Justice for Some : Law and the Question of Palestine, affirme que l’attaque a violé le droit international. Les justifications d’Israël, soutient-elle, démontrent sa persévérance dans un projet qui vise, comme elle le formule, « le rétrécissement du civil », limitant la définition juridique d’un « civil » lorsqu’il s’agit de Palestiniens. J’ai interrogé Erakat sur le raisonnement juridique qu’Israël a utilisé pour défendre l’invasion, les efforts qu’il a faits pour changer unilatéralement les lois de la guerre – et les limites de l’utilisation du droit international pour s’opposer à la violence israélienne. Cette interview a été raccourcie et modifiée pour plus de clarté.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2023/07/27/devoiler-les-fictions-juridiques-disrael

    #international #palestine #israel

  • La Norvège, Oslo et les Palestiniens : une histoire pourrie
    Publié le 2023 sur Middle East Eye
    Joseph Massad, 18 juillet 2023 – Traduction : Jean-Marie Flémal, Charleroi pour la Palestine
    https://charleroi-pourlapalestine.be/index.php/2023/07/25/la-norvege-oslo-et-les-palestiniens-une-histoire-pourrie

    (...) Avant déjà et depuis son émergence soudaine en tant que pays sponsor d’un accord de « paix » entre l’Organisation de libération de la Palestine (OLP) et Israël, en 1993, la Norvège s’est toujours présentée comme une bienfaitrice neutre dont le seul but était de réconcilier les parties en guerre et de mettre un terme aux conditions d’oppression auxquelles est soumis le peuple palestinien.

    Cette description, toutefois, contredit le rôle historique de la Norvège consistant à aider activement la colonisation sioniste de la Palestine et à perpétuer les conditions coloniales oppressives sous lesquelles vit le peuple palestinien. Une historienne norvégienne, Hilde Henriksen Waage, a publié les comptes rendus les plus dignes de foi concernant cette histoire mouvementée.

    Non seulement la Norvège a voté pour la partition de la Palestine en 1947 entre la minorité de colons juifs et la majorité des Palestiniens autochtones, mais elle allait devenir l’une des plus proches amies d’Israël au lendemain de 1948. En effet, le premier secrétaire général des Nations unies, le Norvégien Trygve Lie, fut un partisan « passionné » des sionistes au point d’agir comme un informateur, sinon un espion, à leur service.

    Dans ses prérogatives en tant que secrétaire général de l’ONU, Lie rencontra secrètement des représentants de l’Agence juive quasiment chaque jour à son domicile, après avril 1947. Plus tard, il soutint sans réserve le plan de partition et fut un « fervent avocat » de l’affiliation d’Israël aux Nations unies, au point de considérer Israël comme son « propre bébé ». (...)

    #IsraelNorvège

  • Les enfants de Jénine n’oublieront jamais

    Un garçon d’environ trois ans sort de chez lui mercredi matin [5 juillet], pour la première fois depuis deux jours, accompagné de sa mère et de sa grand-mère. D’une main, il tient la main de sa mère, de l’autre une arme à feu jouet. La rue est encore à peu près vide, seuls quelques habitants ont osé sortir, et ceux qui l’ont fait semblent en état de choc. Un terrible silence règne sur la rue à demi détruite, ce silence qu’on entend toujours après le bruit. L’enfant jette un regard inexpressif sur la pile de décombres qui borde la chaussée anciennement pavée, réduite aujourd’hui à une piste de terre. Il est silencieux, tout comme sa mère. Cette image était mercredi sur les écrans d’Al-Jazeera, qui a assuré une diffusion ininterrompue depuis le camp de réfugiés de Jénine.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2023/07/20/les-enfants-de-jenine-noublieront-jamais

    #international #palestine #israel

  • Les plans de colonisation de Smotrich prennent appui sur des infrastructures conçues depuis des décennies

    Dans la première étape de son « Plan décisif » – une proposition détaillée rédigée en 2017 pour « gagner et mettre fin » au conflit israélo-palestinien – Bezalel Smotrich a exposé une vision qu’il a appelée « la victoire par la colonisation ». Le député israélien, qui occupe actuellement le poste de ministre des Finances et de surintendant du gouvernement en Cisjordanie – grâce à un rôle ministériel spécial créé pour lui au sein du ministère de la Défense –, a expliqué dans son exposé que son plan nécessiterait « l’encouragement de dizaines et de centaines de milliers de résidents à venir s’établir en Judée et en Samarie », en utilisant le nom biblique de la Cisjordanie.

    « Rien n’aurait un impact plus grand et plus profond sur la conscience des Arabes de Judée et de Samarie […] en démontrant l’impossibilité d’établir un autre Etat arabe à l’ouest du [fleuve] Jourdain », écrit-il. « Les faits sur le terrain découragent les aspirations et font échouer les ambitions. »

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2023/07/18/les-plans-de-colonisation-de-smotrich-prennent

    #international #palestine #israel

  • Jérusalem : « pourquoi certains juifs crachent sur des chrétiens » – Portail catholique suisse Luc Balbont pour cath.ch

    L’évènement était annoncé à Jérusalem pour le 16 juin 2023, initialement programmé à la Tour de David, Porte de Jaffa, à l’entrée de la Vieille ville. Devant les polémiques soulevées, c’est plus modestement au séminaire des Arméniens, sans éclat médiatique, qu’il a finalement eu lieu. Le titre du colloque : »Pourquoi certains juifs crachent sur les chrétiens », jugé provocateur, voire parfois antisémite par les autorités israéliennes, avait provoqué un malaise dans la communauté juive.

    Marqués par un nombre croissant d’injures et d’humiliations visant des ecclésiastiques chrétiens par des juifs religieux extrémistes, des universitaires israéliens se sont fédérés, afin de mettre sur pied un colloque pour analyser ces déviances, que beaucoup font remonter au retour aux affaires du Premier ministre Benjamin Netanyahou et de son gouvernement d’extrême droite, fin 2022.

    Le harcèlement des chrétiens dure depuis 1947
    Selon Etienne Lepicard, un médecin français qui vit à Jérusalem depuis plus de 35 ans, « tout est parti d’une vidéo filmée par Yisca Harani qui avaient suscité nombre de commentaires. Les universitaires israéliens avaient déjà été alertés par elle : en 2013, elle avait réussi à organiser une protestation publique lors de la profanation d’un cimetière chrétien protestant sur le Mont Sion. Elle avait reçu la même année le Prix Mount Sion décerné par l’université de Lucerne. »

    « Le phénomène n’est pourtant pas nouveau », remarque Nora Carmi, 77ans, figure importante de la communauté palestinienne, qui depuis sa naissance à Jérusalem a toujours connu ce type d’agressions : « C›est une constante. Depuis le début de l’occupation israélienne en 1947, affirme-t-elle. Il règne dans la ville une atmosphère de harcèlement trop faiblement condamné par les Eglises, et encouragée par le mutisme des occupants, qui ignorent la plupart du temps les plaintes des victimes… » Beaucoup d’Arabes de Jérusalem redoutent les réactions du pouvoir actuel, qui se terminent parfois par des menaces d’expulsion, et des interdictions de retour dans « la ville trois fois sainte ».



    Inscription sur le mur du quartier arménien de la vieille ville de Jérusalem le 12 janvier 2023 indiquant « Mort aux Arabes et aux goyim » (non-juifs) | © Patriarcat Arménien

    Au patriarcat latin de Jérusalem, Firas Abbedrabo, secrétaire du patriarche, reconnaît que si « le phénomène n’est pas nouveau, il a pris ces deniers temps une ampleur jamais vue. Au point que ce ne sont plus seulement les chrétiens mais des juifs israéliens, des intellectuels et des universitaires, qui entendent alerter l’opinion publique sur les dangers de cette christianophobie grandissante. »

    En témoigne, ce travail d’un journaliste israélien, Yossi Eli, qui dans une enquête pour Channel 13 https://www.cath.ch/newsf/un-journaliste-israelien-deguise-en-franciscain-se-fait-cracher-dessus s’est penché sur les injures des « craignant Dieu », ces juifs ultra-orthodoxes (les haredim). Vêtu d’une robe de moine, accompagné d’un franciscain, le faux prêtre a été victime d’injures et de crachats durant sa balade, montrant ce que pouvait endurer les religieux chrétiens, lors de leurs déplacements dans la vieille ville. Insultes, crachats non seulement d’adultes mais aussi d’adolescents et même de soldats. Des attitudes hostiles et des paroles incompatibles avec l’image d’une cité sainte, qualifiée de paix et d’ouverture.

    Profanations, actes de vandalisme, injures
    Profanation de monuments chrétiens, actes de vandalisme, inscriptions morbides, telles que « mort aux chrétiens » peintes sur des bâtiments se multiplient depuis quelques temps. 

    Des inquiétudes qui expliquent la tenue de ce colloque, où des penseurs et des enseignants juifs se sont rassemblés pour analyser et tenter d’expliquer la christianophobie ambiante. Des intervenants qui se sont interrogés sur ces attaques et ces provocations. Qui sont ces ultras, qui s’en prennent aux églises ? Par qui sont-ils soutenus ? Pourquoi cette recrudescence de vandalisme ? Quels sont les dangers de tels actes ? Et les mesures pour combattre ce fléau, qui met en danger la réputation de la cité à l’étranger ? Au risque de réduire les recettes du tourisme qui s’élèvent à 54 milliards de shekels par an (13,5 milliards d’euros environ) dont 74% provenant des pays chrétiens. 

    A l’initiative du colloque, se trouve Yisca Harani, une personnalité incontournable dans les rapports entre l’Eglise et la Synagogue. Les cours de cette professeure au Centre du christianisme à l’université ouverte de Ranana, près de Tel-Aviv sont assidûment suivis et appréciés par de nombreux étudiants juifs israéliens. Mme Harani est aussi guide officielle, et fait découvrir à des groupes de juifs, les lieux chrétiens de la ville. Elle a aussi conçu et lancé une plate-forme multilingue « Religious Freedom Data Center », qui recense les actes antichrétiens, en donnant la parole aux victimes. Son intervention au colloque a été illustrée par des vidéos visant à recenser toutes les formes de harcèlement.



    Profanation du cimetière chrétien de Beit Gémal à l’ouest de Jérusalem. (photo Patriarcat latin de Jérusalem)

    Le monde universitaire juif inquiet
    Si l’assistance était composée de chrétiens, pour la première fois depuis l’indépendance, tous les intervenants étaient juifs. Une dizaine d’interventions en tout, et des tables rondes de grande qualité ont ponctué le colloque. Des titulaires de chaires dans de prestigieuses universités, des directeurs de centres de recherches et d’institutions diverses, des responsables du tourisme. Yonatan Moss professeur de religion comparée, a ainsi insisté sur les récentes agressions juives, mais aussi chrétiennes dans des temps plus anciens, où les Juifs étaient considérés comme des parias, qui refusaient la foi nouvelle de Jésus. Une réciprocité qui a encore du mal à disparaître.

    Certains conférenciers ont mis l’accent sur l’éducation pour mettre fin à ces agressions. Beaucoup d’intervenants ont stigmatisé la responsabilité du gouvernement israélien actuel, composé de ministres d’extrême droite, tels Betzalel Smötrich (ministre des Finances, également en charge de l’administration des colonies juives), Itamar Ben Gvir (ministre de la Sécurité nationale) ou d’identitaires comme Aryeh King (maire adjoint de Jérusalem). Tous marqués par une profonde aversion des Palestiniens et du désir de réduire la présence chrétienne au strict minimum ( »qu’ils restent à l’intérieur de leurs églises, et n’en sortent pas, dit l’un d’eux »)

    Intervenant également au colloque, l’enseignante à l’université hébraïque de Jérusalem Karma Ben- Yohanan remarque avec pertinence que les « juifs israéliens doivent aujourd’hui reconnaître qu’ils ne sont plus les victimes, mais les dirigeants de ce pays, et qu’ils doivent s’efforcer d’y instaurer des règles démocratiques non sectaires. » (cath.ch/lba/mp)

    Quatre questions à Olivier Catel


    Le dominicain, Olivier Cartel, doctorant à l’Université hébraïque de Jérusalem, était présent à ce colloque. Il a répondu aux questions de cath.ch . Le dominicain Olivier Cattel vit à Jérusalem depuis plusieurs années | Luc Balbont

    Menacé à un moment d’annulation, le colloque a finalement eu lieu au séminaire des Arméniens, Mais beaucoup se sont décommandés au vu de son intitulé. 
Suite aux remous suscité par le titre jugé antisémite, beaucoup ont préféré ne pas venir. De plus, la salle du séminaire arménien réservée à cet évènement était beaucoup plus petite que celle de la Tour de David. 80 personnes environ ont quand même pu assister en présentiel au colloque également diffusé par vidéo-conférence.

    Y-a-t-il eu des officiels, et des membres du gouvernement israéliens présents ? 
Aucun représentant de la ville de Jérusalem, aucun membre du gouvernement non plus, ni de la police, ni de l’armée ne sont venus. L’ancien grand rabbin d’Israël, Shlomo Amar avait pourtant rédigé en anglais, mais pas en hébreu, un communiqué dénonçant l’aberration de ces violences anti chrétiennes, mais lui non plus n’est pas venu au colloque. Seul le rabbin Goshen Gottstein avait rejoint l’assistance.

    Pourtant, ces provocations, ces injures, et ces actes de vandalisme à l’encontre des chrétiens se multiplient aujourd’hui. 
Une majorité d’Israéliens déplorent ces violences antichrétiennes, mais le contentieux historique est encore lourd entre les deux religions. Après les persécutions chrétiennes, ce sont les juifs qui à leur tour « crachent » aujourd’hui sur les chrétiens.

    Quelles sont les mesures prises par Israël pour mettre fin au fléau ? 
Pour le moment aucune, hélas ! D’autant que les plaintes sont très rares, et que la police israélienne les enterre souvent. LBA

    #israel #religions #colloque #violences #Palestine #racisme #haredims #profanation #persécutions #jerusalem #ultra-orthodoxe #ultra-orthodoxes

    Source : https://www.cath.ch/newsf/jerusalem-pourquoi-certains-juifs-crachent-sur-des-chretiens

  • Sans justice pour les Palestiniens, Israël ne sera jamais entièrement légitime

    Une carte blanche parue dans Le Soir de la semaine dernière fustigeait les appels au boycott d’Israël, qui seraient, d’après les signataires, largement motivés par l’antisémitisme [Définir les limites de l’antisémitisme – Le Soir, parue le 4 juillet].

    L’Association belgo-palestinienne (ABP), l’Union des progressistes juifs de Belgique (UPJB), Een Andere Joodse Ste (EAJS) et Palestina Solidariteit répondent dans un texte paru dans Le Soir en ligne d’aujourd’hui que si Israël est de plus en plus perçu comme illégitime, c’est en raison de sa politique coloniale d’apartheid contre le peuple palestinien.

    Plus que jamais, il faut combattre l’amalgame associant les Juif·ves à Israël, et non pas l’entretenir comme le font certains pompiers pyromanes dont le premier objectif semble être de désamorcer toute critique d’un régime indéfendable.

    https://entreleslignesentrelesmots.wordpress.com/2023/07/13/sans-justice-pour-les-palestiniens-israel-ne-s

    #international #israel #palestine

  • La criminalisation de la solidarité avec la Palestine gagne du terrain en Europe
    Orient > Baudouin Loos > 11 juillet 2023 > Baudouin Loos
    https://orientxxi.info/magazine/la-criminalisation-de-la-solidarite-avec-la-palestine-gagne-du-terrain-e

    Le Parlement britannique vient d’adopter le 3 juillet 2023 une loi qui sanctionne le boycott et cible au premier chef les opposants à la politique d’Israël. Et il n’est pas le seul, car le phénomène a pris de l’ampleur en Allemagne, au Royaume-Uni et en France : par divers biais, la solidarité active avec la cause palestinienne devient la cible de législations répressives. (...)

    #IsraelEurope